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Post n°122 pubblicato il 09 Luglio 2006 da kayfakayfa

Nell’economia dell’esistenza di ognuno di noi spesso ciò che di primo acchito ci appare insignificante, superfluo, futile, allorché gli eventi si sono poi svolti, a ripensarci scopriamo che, diversamente da quanto ci sembrava, quei fatti apparentemente privi di senso erano un campanello d’allarme suonato dalla vita per ammonirci dell’evolversi non certo felice, o comunque facile che avrebbero preso gli avvenimenti che stavano per susseguirsi. E’ quel che è successo ieri prima che iniziassi il terzo incontro di laboratorio di scrittura creativa con le ragazze rom del centro di recupero minorile di cui vi ho già parlato in due precedenti post.


Memore che l’accesso all’auto che immette al centro è stato ripristinato e che le ragazze alle cinque fanno merenda, mi avvio con calma, anche perché da poco sono rientrato dal mare dove ho trascorso una piacevole giornata insieme alla famiglia. Espletate le prassi di riconoscimento sul pontile e al cancello d’ingresso che, confesso, mi turbano sempre un po’, terminata la salita in auto, parcheggio nell’area di sosta del centro e e mi reco alla portineria per avvertire del mio arrivo chi mi dovrà affiancare. Dopo le presentazioni, l’agente di custodia chiama al citofono su negli uffici. Cinque minuti e il mio accompagnatore arriverà. Mentre aspetto, la guardia mi chiede dettagli sul laboratorio. Dopo avermi ascoltato, conclude con una frase che mi turba alquanto: tra ragazzi e ragazze, nel centro ci sono poco più di cinquanta soggetti. Quando escono, se solo uno prende una strada diversa da quella che l’ha condotto in questo luogo è già un successo!
L’arrivo del mio tutore dissipa la tensione prodotta da quelle parole. Mentre ci incamminiamo verso la palazzina dove le ragazze alloggiano, il responsabile mi chiede informazioni sugli sviluppi del laboratorio. Quando arriviamo, la vigilante ci apre il portone con l’enorme chiave. Rispetto alle precedenti che ho conosciuto nei primi incontri, è anziana ma vestita elegantemente e simpatica. Allorché il mio tutore le spiega chi sono, risponde che già è informata avendo letto sul registro le mie presenze. Quindi si rivolge a me chiedendomi un documento di riconoscimento. Le faccio notare che è la prima volta che mi si fa una richiesta del genere. Imbarazzata, si domanda perché certe cose accadano sempre a lei. Forse perché l’esperienza le ha insegnato a non fidarsi di nessuno; forse perché ne avrà viste così tante in quei posti che reputa giusto non centellinare la prudenza, penso tra me. Levo il portafogli da tasca, lo apro, prendo la carta d’identità e gliela porgo. Faccio per riporre il portafoglio il suo sguardo inquisitore mi blocca. Devo lasciarlo in custodia nella cassetta insieme al cellulare a alle chiavi. Inoltre mi chiede d’ispezionare la borsa a tracolla che mi pende da una spalla in cui tengo il materiale da lavoro. Sorridendo la poggio sul tavolo, la apro e la svuoto per mostrarle che non contiene nulla all'infuori di libri e quaderni. Finalmente mi apre il cancello per farmi entrare nella zona dove alloggiano le ragazze. Diversamente dalle altre volte, mi sento agitato. Tutti quei gesti precauzionali, unitamente alle parole sconsolate del secondino in portineria, mi hanno improvvisamente sbattuto in faccia la tristezza del luogo in cui mi trovo. Finito di far merenda, le ragazze si accomodano nella sala dove le aspetto per incominciare. Il responsabile nel frattempo ha letto la fotocopia dell’estratto da LA SAGGEZZA DEL MARE di Bjorn Larssen che leggerò alle ragazze. Essendo appassionato di vela, non appena ha saputo che il libro in questione è il resoconto dei due anni vissuti dallo scrittore svedese in barca a vela sul mare del nord, si appropria delle fotocopie per leggere. Quando entrano, le ragazze sembrano alquanto scosse, in particolare chi tra loro contava di tornare a casa. Manca quella incinta col bambino piccolo, al suo posto c’è una nuova. Percepisco la pesantezza dell’atmosfera. Cerco di alleggerirla proponendo di rifare lo stesso gioco con le parole fatto la scorsa settimana. Qualcuna è entusiasta, qualcun'altra mostra totale indifferenza. Per un istante intravedo in qualche sguardo una velata paura. Paura di me o di cosa? Seppur sorridono, intuisco che quei sorrisi non sono sinceri. Nel loro animo, quest’oggi, il dolore, la sofferenza per essere rinchiuse lì predomina su tutto. Sebbene abbiano commesso degli errori, sono esseri umani con le loro fragilità, dubbi, insicurezze paure, non animali! Prendendo spunto da un passo del brano dove si parla dell’esistenza di tre tipi d’uomini, (vivi, morti e quelli che amano il mare), le ragazze avanzano diverse considerazioni, alcune giuste altre fuori luogo. Ma tutte convengono che si può essere morti pur essendo vivi, nel senso che la persona morta è quella che non usa la testa prima di agire. Parlando delle azioni errate che spesso compiamo, pur sapendo di stare commettendo un crimine, tutte osservano che a volte non basta la volontà a evitare di sbagliare. In molti casi, se anche vorresti reprimerti, è la necessità a spingerti a rubare o comunque a fare qualcosa di sbagliato. Poi a volte sono anche gli altri che ti inducono a sbagliare, e tu non puoi rifiutarti pur sapendo che quello stai per fare è un reato e quindi rischi la galera!
Per quanto mi sforzi di tenere vivo l’incontro, mi rendo conto che oggi è un giorno speciale: per la prima volta la realtà del luogo si sta manifestando in tutta la sua tristezza e pesantezza. Sarà per questo che, solo ora, mi accorgo delle grate alle finestre. Malgrado la più grande delle ragazze abbia solo sedici anni, tutte hanno un tale bagaglio di esperienze alle spalle da far venire la pelle d’oca al solo pensarci.
Percependo il distacco con cui alcune mi seguono, faccio loro presente che se la mia presenza non è gradita, se vogliono, possiamo finire lì il laboratorio.

Subito qualcuna mi ricorda che già la settimana scorsa avevo chiesto la stessa cosa e mi avevano risposto che la mia presenza gli fa piacere perché le faccio parlare!
Torniamo a lavorare.  Come al solito chiedo loro di scrivere anche solo un pensiero. Una dice che ce l’ha in mente ma non le va di scriverlo. Allora mi propongo di farmelo dettare: io scrivo e lei firma.
Leggiamo. Come al solito tra le scarne righe traspare tanta voglia di libertà!

L’incontro è terminato. Mentre abbandoniamo la sala, chiedo al responsabile secondo lui come è andata. Sembra sorpreso dalla mia domanda. Forse per questo risponde senza peli sulla lingua: il brano letto è bello ma, forse per loro, troppo impegnativo. Meglio sarebbe scegliere per la prossima volta una favola. Penso ha ragione. Attraverso il cancello mentre lui si ferma a parlare con le ragazze. La vigilante sorridendomi, chiude il cancello alla mie spalle. Dio com'è infinitamente sottile il confine tra la libertà e la prigione.
Apro la cassetta per raccogliere le mie cose. Mentre infilo i fogli e il libro nella borsa, osservo la vigilante. Mi sorride, un sorriso triste! Forse anche lei in cuor suo pensa che tutto ciò che sto facendo è tempo perso? Che quando uscirà di lì nessuna delle ragazze   prenderà una strada diversa da quella che ce l'ha condotta?
La vigilante ha esperienza, i suoi modi professionali lo testiomoniano. Chissà quante volte si sarà illusa che davvero la vita di queste anime poteva cambiare stando lì, e poi invece ha scoperto che, uscendo, niente era cambiato!  Magari tante volte avrà visto ritornare lì chi già c'era stata, o l'avrà incontrata in un contesto ancora più triste...
Le stringo la mano e esco.      
Alla prossima!

 
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