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Messaggi del 25/06/2017

MARCIALONGA IN SALITA, PELLEGRINI DELLO SPORT

Post n°1825 pubblicato il 25 Giugno 2017 da kayfakayfa
 
Tag: RUNNER

Se è vero, e lo è, che ogni gara è una storia sé, è altrettanto vero che ogni sport, sia a livello agonistico che amatoriale, è segnato da sfide che ne fanno la storia. Per quanto concerne il podismo, alias running, in Italia ci sono diverse gare che ricoprono tale ruolo, sia per la complessità del percorso, sia per  la lunghezza del chilometraggio, unitamente alla bellezza dello scenario in cui sono ambientate: la 100 chilometri del passatore, sogno e incubo di ogni runner; la Pistoia- Abetone; la Cortina- Dobbiaco; la Strasimeno,l’ultramaratona del lago Trasimeno; la Seiore dei  Templari, per citarne alcune.

Per quanto concerne la Campania, tra le più famose  la Coast to Coast (Sorrento-Positano-Sorrento) che quest’anno, oltre alle classiche maratona e mezza maratona, avrà anche l’ultramaratona di 59 km; la 25 km di Maddaloni - maratonina della mela annurca - con passaggio nel centro storico di Sant’agata dei Goti e suggestivo attraversamento sui ponti della valle al suono dell’inno di Mameli; la Maree Monti con partenza e arrivo a Sorrento, scollinando su  Massalubrense;  la San Lorenzo di Cava dei tirreni, la gara più “antica” del circuito campano, giunta alla 56°edizione; la marcialonga in salita Mercogliano-Montevergine, 16 km tutti in ascesa,senza un attimo di respiro,  fino al Santuario di Mamma Schiavona.

Gare dal sapore epico, seppure mi rendo conto dell’esagerazione lessicale, perché di notevole complessità tanto che chi decide di parteciparvi ammette la propria follia.

Personalmente non so se sia follia o cos’altro a spingere un runner  a cimentarsi in simili sfide che,bisogna ammetterlo, pongono a dura prova il fisico e la mente, imponendo degli allenamenti impegnativi e un attento stile di vita, soprattutto a tavola, con il solo obiettivo di arrivare al traguardo senza troppa sofferenza. Almeno per me è così.

Del resto chi mi conosce sa che non vivo in maniera ossessiva e ossessionante la passione per la corsa. Per me correre rappresenta prima di tutto un pretesto per stare con gli amici e divertirmi con loro. Il risultato cronometrico non mi ha mai assillato più del dovuto. Seppure quandomi succede di correre una 10 km sotto i 50 minuti o una 21 km sotto l’ora e cinquanta, lo ammetto, mi sento soddisfatto.

Ieri si è corsa la ventesima edizione della marcialonga in salita, una gara tremenda a detta di chi l’ha corsa almeno una volta. Sedici chilometri tutti in salita-  in alcuni tratti con il 10% di pendenza, soprattutto negli ultimi tre chilometri.

È una gara dall’innegabile fascino mistico anche per chi come si professa non credente o addirittura ateo.

Inerpicarsi per sedici chilometri da Mercogliano fin su al monastero di Montevergine si è rivelato uno sforzo al di là dell’immaginabile.Anche perché in molti di noi albergava la speranza che, pur correndo d’estate con questo caldo africano che da settimane sta affliggendo la penisola comportando problemi di siccità,  correre alle quattro del pomeriggio in alta collina avrebbe garantito un minimo di frescura,e dunque di sollievo, rispetto all’afa che si respira al livello del mare.

Tale speranza s’è rivelata subito vana non  appena siamo giunti a Mercogliano: i 30° di temperatura esterna indicati dal termometro dell’auto e la sensazione opprimente di umidità che ci ha colti non appena siamo scesi dalla vettura hanno cancellato ogni illusione.

In tanti, prima della partenza, ci alternavamo alla fontanina posta in piazza per bagnarci il capo nel tentativo di  trovare un po’ di refrigerio. Quel sollievo che mai ci ha accolti per tutto il tragitto. I rifornimenti lungo il percorso si sono tramutati in agognati momenti per concederci  brevi docce con le bottigliette d'acqua offerte ogni quattro chilometri dai rappresentanti dello staff per lenire l’arsura e l’afa che perfino nei pochi tratti ombreggiati non ci hanno mai abbandonato rendendo faticoso respirare, inzuppando le scarpette come se stessimo correndo, magari fosse stato così!, sotto un nubifragio.

Per quanto mi riguarda penso che definire un calvario la gara di ieri non sia affatto un’esagerazione.

 Mi si obietterà che me la sono cercata. È vero, me la sono cercata, come tutti gli altri partecipanti. Eppure, quando alla fine ho tagliato il traguardo, la fatica che mi ha accompagnato per tutto il percorso s’è diradata al pensiero che dovevo affrettarmi nel cambiarmi perché, come mi ero ripromesso nei giorni precedenti,prima di andare via, ci tenevo a entrare nel santuario per omaggiare la Madonna.

Un pensiero che ho scoperto avevano tanti atleti che erano arrivati fin lassù.

Nemmeno per un istante, mentre mi arrampicavo sulla montagna, malgrado fossi preda della sofferenza dovuta al caldo torrido, mi ha sfiorato il pensiero “chi me l’ha fatto fare?”.

Ogniqualvolta sentivo le gambe venire meno, istintivamente alzavo lo sguardo al monastero incastonato nella roccia come un diamente in un anello, circondato dalla boscaglia. Come se producesse un effetto propellente, quella visione cancellava ogni barlume di spossatezza e scoramento, stimolandomi a proseguire verso la meta.

Una volta tagliato il traguardo e cambiatomi, entrando in chiesa mi ha colto un moto di commozione che ho trattenuto a fatica: per uno che si professa non credente, o quanto meno credente a modo suo - “quando gli conviene” direbbe un sacerdote che conosco – è stata certamente una reazione imprevista. Diciamo insolita. Probabilmente dovuta all’accumulo di tensione nervosa e fatica durante la gara che in quel luogo trasudante spiritualità,trovava la propria liberazione.

O forse è vero che in ognuno di noi risiede un principio divino che per manifestarsi ha bisogno che l’individuo si trovi in condizioni e situazioni emotive particolari.

Quale possa essere stata la ragione di quell’improvviso coinvolgimento spirituale in chiesa, probabilmente non lo saprò mai. Di sicuro la gara di ieri ha dimostrato che davanti alle difficoltà, l’uomo non si fa scrupoli ad affidarsi finanche all’ignoto per superarle.  

Fede, superstizione o che?, ieri in prossimità dell’arrivo c’è stato chi ha sentito addirittura il bisogno di levarsi le scarpe e coprire scalzo gli ultimi duecento metri.

A costoro va tutto il mio rispetto così come a tutti quelli che ieri hanno partecipato alla “scalata” di Montevergine.

Ieri non eravamo atleti bensì pellegrini, seppure in tanti non ne fossero consapevoli!

 
 
 

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