Creato da ventovela il 01/08/2005
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Cime

Post n°128 pubblicato il 15 Settembre 2009 da ventovela
Foto di ventovela

Io non scrivo più come scrivevo una volta. 

Ho ancora le stesse cose da dire, ma le ho già dette e non riesco più a metterle giù in maniera convincente. Forse dovrà passare ancora molto tempo prima di riuscire a dirle come se fossero nuove, con parole fresche.

Il tempo viaggia in moti concentrici, pare dicano le stagioni. E così le emozioni: si provano sempre le stesse cose, ma con profondità diverse - a spirale. 

 

 
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Orza!

Post n°127 pubblicato il 14 Settembre 2009 da ventovela
Foto di ventovela

Così succedeva in un parco:

un gruppo di italiani faceva il barbeque ben oltre l'ora di chiusura. Un vigilante si avvicinava per chiudere i cancelli. Un secondo gruppo, bottiglie alla mano, voleva entrare (sentendo forse odore di salsicce) e il vigilante lo impediva.

No, non posso fare entrare nessuno, già loro devono uscire, se entrate anche voi è finita. Devo chiudere il parco. 
Ma se loro sono già dentro, allora entriamo anche noi. 
No, non vi posso fare entrare. 
Allora li facciamo uscire noi, ci andiamo noi a farli uscire.

E così il vigilante rimaneva sul cancello di entrata: gruppo di immigrati con bottiglie fuori, italiani testardi con barbecue dentro. 

Poi, italiani che parlano col vigilante, vigilante che parla di regole uguali per tutti.

E vira sugli immigrati che pisciano davanti ai figli in carrozzina. E da quando sono arrivati loro non é più come una volta, non è, non hanno niente da perdere. Loro non ci rimettono niente, io non posso fare nulla perché se alzo le mani su qualcuno poi mi sospendono come è già successo, per quaranta giorni, e uno che mi aveva spaccato la macchina a calci e pugni non l'hanno nemmeno messo dentro un giorno. Allora dico, danno le case popolari a loro e non a noi, ci vengono a dire di togliere il crocefisso dalle nostre aule, ci vengono a dire - e intanto noi paghiamo anche il loro ticket perché loro il ticket non lo pagano nemmeno. Allora datemi un passaporto da extracomunitario, lo voglio, non se ne può più così. Intanto capite, loro hanno le bottiglie in mano e non hanno niente da perdere, si ubriacano fino a vomitare e chi li controlla poi?

Mentre il vigilante si sfoga, gli italiani del barbecue hanno già fatto amicizia con gli immigrati-che-non-hanno-nulla-da-perdere, e ridono in spagnolo maccheronico e italiano ispanico. 

Il vigilante si fuma un'ultima sigaretta e telefona alla centrale. Io il cancello lo lascio aperto allora, gli animi si sono pacati, c'è una generale assenza di tensione. Vado a chiudere gli altri parchi.  

Il vigilante se ne va augurando una buona serata.
E finisce che si beve birra e vino sulle panchine del parco. 

 
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Scirocco

Post n°126 pubblicato il 09 Aprile 2009 da ventovela
Foto di ventovela

Le sere nella grande sala sono lunghe e sanno di fumo di stufa. Il pavimento è in parte coperto di truccioli e in parte di legno. Ci muoviamo per scaldarci. Leggiamo vicino al fuoco. Il tempo passa a tratti, fuori batte l'inverno. Sotto cigolano le porte e i concerti aprono la pancia delle grandi stanze vuote. A volte si sente l'aria calda rotolare per delle tubature, pompata, sotto, altrove.

Veniamo qui per ricordarci chi siamo. Veniamo per palare con voci diverse e sgranare gli occhi, per pensare alle finzioni e alle verità.

Il tempo poi rallenta, ci ricorda della velocità della vita. I graffiti danzano cose nuove, le sigarette bruciano vicino alle labbra. Sui marciapiedi si sente parlare di terre dove non sapere leggere è una cosa buona.
Poi si fa tardi, è sempre un po' più tardi.

 
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Naufragio

Post n°125 pubblicato il 06 Gennaio 2009 da ventovela
Foto di ventovela

E poi dice, a Gaza la gente muore. 600 fino ad ora, civili, bambini. Invece il telegiornale fa lo speciale sulla befana e sui balocchi. C'è da sapere ancora una montagna di cose sulle varietà di torroni con le mandore o le nocciole. E chi ne può sapere mai a sufficienza di dolciumi? Ci si addentra nel pozzo di san patrizio delle idiozie. Non si giunge mai al fondo.

Io i bambini della befana, quelli che parlano come nelle pubblicità, con la voce cantilenante dei bambini viziati, li confondo per un attimo coi bambini che sono morti negli ospedali di gaza. è inutile addentrarsi nei dettagli più scuri, quelli che ci disturbano il sonno: basta pensare a una famiglia, anche una sola famiglia che ha perso un figlio, una madre, un padre. Una famiglia spezzata come le piantine sotto la grandine.

Cose che cadono dal cielo. Sotto, la gente.

 
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Cambusa

Post n°124 pubblicato il 06 Gennaio 2009 da ventovela
Foto di ventovela

Empanadas. Lo sai che si fanno con la carne? Tantissima carne.  E poca crosta. Ah, si. Involucri di carne macinata che ripenso a Londra, alle meat pies rotonde, che però trasudano sughi - carne cotta alla birra, al whiskey, che si spande dalla crostata a tutto il piatto.

Le empanadas invece sanno di pampas e di miscugli di razze. Ci si mette tutto: olive, uova sode, uvetta, addirittura peperoni e cumino, secondo alcuni. E poi taluni le friggono, e allora diventano pasteles de carne. E si mangiavano fragranti per strada, come da noi le bombe alla crema, oppure le arancine. Le empanadas le vedo impilate in enormi vassoi, distribuite tra i parenti alle tavolate, mangiate insieme a insalate improbabilli condite con la maionese. Tutto ipercalorico e stracolmo. Innaffiato di un qualche vino, per le feste si sa, bisogna alzarsi a fatica. Bisogna mangiarsi tutto: Lo comì todo, me lo comì! Un grido di vittoria, una forzatura tra fegato e pancreas fuori forma. Pasteles, già il nome ti impasta la bocca di frittura.

La famiglia, la vedo con un paio di occhiali che rendono tutto colorato di giallo, come nelle foto degli anni 70. E anche gi accessori sono vintage, caraffe di plastica e anelli porta-tovaglioli, tovaglie dai fiori arancio e vassoi rossi. La famiglia fa un brindisi, rimane così, immortalata coi bicchieri in alto, con le braccia alzate, con le facce sorridenti, tutti intorno alla tavola, la faccia di qualcuno nascosta da una bottiglia di aranciata.

Empanadas criollas. Il tango si è dileguato nel torpore della digestione. Non si sentono nemmeno le navi che arrivano al porto, non si sente nemmeno lo sciacquio del fiume a mar del plata. Non si sentono nemmeno le ruote lungo calle corrientes.

Tutto si arrotonda nell'oblio panciuto del dopopasto.

 
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Moto ondoso

Post n°123 pubblicato il 28 Dicembre 2008 da ventovela
Foto di ventovela

La madre cucinava e sapeva farlo, era l'unzione del suo regno. 
I fedeli intorno al sacro rito della cena, alle stoviglie, alle posate, al vino nelle bottiglie di altri vini. Poi il caffé, l'ammazzacaffé, le paste, la frutta e lo schiaccianoci. Si torna ai tempi del rosolio, del limoncello fatto riposare in dispensa - scorze di limone e alcol che prende colore - delle pastiglie di anice e delle famiglie che tirano avanti. Si tira. Tutto bene, si tira.

Gli uomini si abbandonano alle sedie, parlano di vaghe teorie di calcio e di governo, che è la stessa cosa, col ricordo del pasto ancora in bocca. E in testa insistono a ronzare le stesse due o tre nozioni, come che il mondo non è più come era, e che le donne camminano davanti agli uomini, e non più dietro, e il mondo, da lì, è andato a rotoli. C'è il tempo che se ne va, e come scorre, il tempo? E quando ero giovane, ed ero militare, si usciva la sera e si cantavano le canzoni alle ragazze.

La festa è una tovaglia a quadri, un pasto abbondante, una fuga in tondo, un riposo dal troppo cappone, una digestione lenta.

 

 

 
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Ormeggi

Post n°122 pubblicato il 23 Dicembre 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Poi c'è da dire che le giornate sono divisioni surreali del tempo. E magari il tempo è surreale pure lui.
Io non lo so perché chiamiamo oggi oggi e ieri ieri. Tutta colpa della rotazione della Terra. Stesse ferma, noi smetteremmo di avere il tempo.

Muovendosi in senso verticale, invece, oggi il miniterremoto con epicentro nei pressi di reggio emilia mi ha fatto riflettere sulla sopravvivenza, che è un miracolo in un mondo dove siamo coperti da una pellicola così sottile che se cadiamo sul selciato ci si sbuccia. Perfino le unghiette di un gatto ci producono sgraffi sanguinanti. Siamo morbidi e caduchi, non siliconici o rimbalzanti. Sopravvivere in un ambiente fatto non di cuscinetti e cotone ma di spigoli vivi e metallo è davvero sorprendente.

Così se la terra si muove orizzontalmente, portandoci sempe verso il tramonto e sempre verso l'alba, il tempo va normale.
Se invece si mette a fare sussulti, il tempo - pare - si ferma.

 

 
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àncora?

Post n°121 pubblicato il 03 Dicembre 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Così mi metto a girare tra i canali radio, mentre guido e fa freddo e non mi funziona lo stereo.

E' molto meglio quando funziona lo stereo: posso decidere di che umore viaggiare. Giornata grigia, tiriamo su con ella fitzgerald. Giornata assolata, elis regina e si pensa al brasile. Guida notturna, kind of blue. Scampagnata, gli eagle. Fila in tangenziale, chet baker.

dunque mentre mi rammarico di essere costretta ad ascoltare le infami pubblicità radiofoniche (giovanna, dove hai comprato quelle scarpe? al supermercato della scarpa, in via delle industrie al 33!), girello tra una statica e un bobby solo, quando sento - oh meraviglia - 'on the sunny side of the street', così old swing, che mi commuove.

poi guardo il display e mi raggelo: l'ora del giezz la danno su radio padania libera.

non si sa più di chi fidarsi.

 
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Rompighiaccio

Post n°120 pubblicato il 29 Novembre 2008 da ventovela
Foto di ventovela

c'era una bambina. vendeva fiammiferi per strada e una notte che nevicava, li accese, perché non aveva casa e aveva freddo. così li bruciò uno per uno, e la mattina la trovarono morta. ma così bella, nella neve, il volto così bianco. era così dolce, nella neve, che fece piangere tutti i passanti.

soprattutto quelli che non avevano comprato fiammiferi. insomma, quelli che l'avevano vista mendicare.
è spiacevole, vedere qualcuno che mendica. io, personalmente, a volte guardo altrove. è terribile vedere una mano tesa.

invece vederla morta - quasi un sollievo, una preoccupazione in meno, e in più una vicenda così dolcemente straziante! che tutti ci ricamarono cose ancora più strappalacrime: ogni fiammifero, acceso, era l'illusione di un focolare - di una famiglia - di un albero di Natale, con sotto i doni! di un'anatra arrosto sulla tavola - di un focolare, di un focolare acceso.
ora la piccola si sentiva le mani calde.
ora si addormentava piano, convinta di riposare il capo sul grembo di una madre.

era così seducente, quel dolore straziante, che tutti amarono esserne straziati per un po'. le lacrime versate li fecero sentire nobili, tutti. era così bella, era così piccola, era così povera! che sofferenza. che pena. 
una sana punta di dolore cristiano da pigiare come pulsante-sprigiona-carità postuma.

è così che vanno le cose. le storie che ci piacciono sono quelle a cui non possiamo porre rimedio. quelle infinitamente tristi che ci convincono che se solo avessimo potuto fare qualcosa! ma oramai è troppo tardi, peccato.

invece le cose che non sopportiamo sono quelle minute, quelle a cui si può porre rimedio e ci pungolano con la loro possibilità-di-cambiamento-se-solo-lo-vogliamo.

siamo amanti delle grandi cause, romanticoni da finali strazianti. ci piace pensare che amiamo tutto il mondo perché i bambini che muoiono di fame, quello ci fa tristezza.
ma ora qui si sono trasferiti i cingalesi, che figura ci fa questo condominio, che una volta era tanto perbene? 

 
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La scia

Post n°119 pubblicato il 05 Novembre 2008 da ventovela
Foto di ventovela

così ho creato il mondo. l'ho creato tondo perché girasse sulle mie stesse idee, per espandersi in senso circolare: è la via infinita, che non sembra mai tornare, e non sembra mai partire.

ora ci sono i lampi nel cielo. i miei pensieri, che partono dalla mia mente che è qui, in questo tempo, mi riportano a quando leggevo i libri della collana dei quindici. c'era una bambina che guardava la pioggia oltre la finetra. i lampi sono fenomeni di elettricità nel cielo! la luce, il tuono. contare i secondi per sapere se il temporale si avvicina o si allontana. oppure è proprio sopra la testa, lampotuono. perché la luce viaggia più veloce del suono.

ora sento le macchine sotto la pioggia. ora penso alle foglie sul bagnato. ora penso ai viali tristi della mia infanzia lombarda. e ora penso al bianco del mio grembiule che non era mai abbastanza bianco. così i pensieri si dipartono in direzioni circolari, tutto intorno, per orbite, per scie di pensieri infiniti: perché non possono avere fine, o perché non sono ancora conclusi? così quando smetteremo di pensare i nostri circoli di idee si chiuderanno in un punto?

ho deciso di scrivere senza filtrare, così, per vedere quanto riesco ad allontanarmi e quanto riesco a tornare. ho deciso di non parlare di nulla di preciso. di non parlare di consapevolezza o crescita, né di amore o bellezza, né di fame o sonno. vorrei parlare di questo mondo minuscolo che è solo mio, di cui non esiste spiraglio sufficiente perché per i pensieri non esistoo parole, vorrei spiegare i gomitoli di cose che diventano percepibili solo a tratti.

Io ho creato me stessa: mi formo con ogni pensiero che si dipana da me. sono la creatrice e la figlia dei miei pensieri. sono la madre della mia vita.

e tutto dipende da me.

 
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Rotta incerta

Post n°118 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da ventovela
Foto di ventovela

La crisi del 34esimo anno. La chiameremo così perché così si piazza nell'ambito del passaggio del tempo e della consapevolezza dell'età.

Qui nascerebbe, di diritto, un disquisizione su quello che vuol dire crescere. No, non invecchiare, crescere. Nascerebbe una riflessione su come mai esistono 'tappe', per cui le cose che si fanno nella vita sono 'nel momento giusto' o 'troppo presto' o 'troppo tardi'. La nostra crescita non è allora relativa? Siamo omologati in fasi uguali per tutti? Allora siamo solo parte della razza umana, non individui su sentieri indipendenti?

Ma la disquisizione che nascerebbe di diritto la tronchiamo sul nascere. La rimandiamo alla prossima volta. Tanto i miei post si susseguono a ritmi semestrali, abbiamo tutto il tempo per prepararci ad affrontare l'argomento.

Fatto è che la crisi del 34esimo anno mi ha presa alla gola. Sto congelata tra uno snodo di strade che mi sono aperta davanti, incapace di incamminarmi su un solo sentiero. Le scelte comportano intrinsecamente la perdita di altre scelte possibili. Scegliere vuol dire rinunciare. Ecco la verità! E rinunciare implica sapere cosa si vuole. E sapere cosa si vuole implica avere la maturità per saperlo.

Ed essere maturi vuol dire avere fatto scelte. E il circolo si chiude su sé stesso.

 
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Scafo

Post n°117 pubblicato il 25 Agosto 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Ma poi che ragione c'è di amare, se non amare e basta?

Perché se si ama per ricevere amore, allora é baratto. Avvolto di piacevolezze, ma baratto rimane.

 
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Navigare per stelle

Post n°116 pubblicato il 23 Giugno 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Io li avevo visti, nei giornali antichi che a volte spuntano dalla cantina, gli avvisi pubblicitari degli anni '30. C'erano camicie e calzini, pastiglie per la digestione e polverine per l'acqua, ciprie sbiancanti e bustini.
Però quando la nonna ha tirato fuori dai segreti del suo armadio la scatoletta blu di bourjois, non riuscivo a crederci.

Ci si chiede come faccia un oggetto, qualsiasi oggetto, a sopravvivere al tempo, . All'inizio si conserva perché é utile. Poi, quando è molto vecchio, si conserva perché è un ricordo. Ma tra il diventare ricordo-dei-tempi-andati e l'essere ancora-utile, c'è un lungo periodo di mezzo, in cui un oggetto è soltanto inutile e la maggior parte di noi se ne disfa. A meno che non abbia valore. Ma una cipria che valore ha?
Me lo sono chiesta molte volte.
Perché poi quella cipria non è semplicemente stata dimenticata in un cassetto, immobile nel tempo, in una sola casa, in un solo comò, là dove sono rimasti tutti gli oggetti del passato. La nonna ha viaggiato tanto.

Me la immagino poco più che ventenne, negli anni 40. Fa le valigie per andare in America, prepara una borsa con gli oggetti da toeletta e ci mette la sua scatoletta blu di cipria. Arrivata in Argentina cambia almeno 6 case.
Passano vent'anni, e dopo un'alluvione della sua fattoria nella Pampa, si prepara a tornare in Italia. Tra gli oggetti salvati all'acqua c'è la cipria che ormai ha 30 anni. 
Arrivata in Italia, la cipria accompagnerà la nonna in almeno altri 5 cambi di case. 

Il fatto è che non la metteva da decenni. Una cipria bianca-bianca che serviva a schiarire la carnagione quando andava l'incarnato pallido.

L'anno scorso, di questi tempi, la nonna è morta. Dopo il periodo di smarrimento segue, per forza, un periodo in cui ci si occupa degli oggetti appartenuti al defunto. L'intrusione in quelle ante di armadio che un tempo profumavano di saponette, svela le cose ancora piegate da lei. Questa era la sciarpa che aveva fatto un inverno lunghissimo. Qui aveva riposto le camicie da notte. Qui ci sono i cofanetti coi suoi pochi gioielli, che non le ho mai visto addosso.
Una spartizione di oggeti-ricordo che mi prosciuga il cuore. 

In questi mesi, però, di tanto intanto sono stata assalita dal timore che qualcuno avesse buttato via quella scatoletta, superstite dell'adolescenza di mia nonna. 
Così ieri ho preso tutto il mio coraggio e sono andata a prenderla.
Era sempre lì, in un angolo dell'armadio che conoscevo bene, un oggetto che forse ricordavo solo io.

Una scatolina blu di cipria. Ancora intatta.

 
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Ormeggi

Post n°115 pubblicato il 11 Giugno 2008 da ventovela
Foto di ventovela

ho un orto.
é strano perché io la terra non la so coltivare, non ho dimestichezza con nessun attrezzo né - soprattutto - con nessuno degli animali della terra: le lumache nascoste sotto le foglie mi spaventano, i lunghi lombrichi che si tuffano di testa nelle zolle mi lasciano sbigottita.
però ho un orto e, un po' goffamente, lo coltivo.
ho scoperto che quando piove, oltre alle cose che ho piantato, crescono anche moltissime erbacce. e se non si sta attenti, poi si fa fatica a distinguere quali erano le melanzane e quali la gramigna. 
 
oggi ho però visto l'ombra di un fiore di zucca e l'assaggio di un futuro peperone.
si scavano solchi e si mettono semi e la terra fiorisce addirittura beni commestibili.
incredibile.
 
ho sentito dire, da un antropologo, che la civiltà cacciatrice nomade era più sana e meno fragile di quella che ha cominciato a stabilirsi e coltivare la terra.
chissà se questa tendenza a stazionare in un solo posto è stata la nostra rovina: ci siamo affezionati agli alberi che abbiamo curato, abbiamo nutrito amore per la terra arata, e non l'abbiamo lasciata nemmeno durante gli inverni più duri e le estati più torride. ci siamo attaccati ai posti.
così è cominciata ad esistere la casa.
e la nostalgia.

 
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Beccheggio 

Post n°114 pubblicato il 14 Maggio 2008 da ventovela
Foto di ventovela

La politica è la cosa di tutti. In realtà ora è la cosa di nessuno.

Nell'antica Grecia, dove è nata la democrazia, ai cittadini non è che veniva dato il voto i tanto in tanto. Non è che si svegliavano dal torpore delle soap opera interrotto dalla propaganda e poi sceglievano il candidato perché gli era piaciuta la musichetta di uno spot. O la faccia di un candidato.
Nono, i greci andavano nell'acropoli, discutevano animatamente, con le manine in tasca al lenzuolo, e la vita politica era di tutti.

Non è che non ci fossero cosette nascoste pure lì, eh. Le manovrine ci sono sempre, pure nell'elezione del presidente di classe alla quinta ginnasio. Però il 'governo del popolo' era una novità e non un condizione scontata, e forse la gente lo prendeva sul serio.

Il punto é che ci si aspetta che quelli chiamati a governare siano attivamente coinvolti nel fare il bene del paese. Ma loro sono rappresentanti. Sono i nostri dipendenti. La politica è una cosa affidata, in primo luogo, alla gente. E' la cosa di tutti, la cosa pubblica. Siamo noi a disinteressarci di politica, e non la politica a disinteressarsi di noi.

Il punto è che se il governo è affidato a noi, se è vero che siamo in democrazia, come facciamo a pretendere che funzioni se non ne siamo coinvolti? Andiamo a votare come dei ciechi, senza sapere chi c'è nelle liste, che cosa hanno fatto per meritarsi di esserci. Niente, si vota in base a credo campanilisti, scelte di famiglia o di gruppo sociale, convenienze.

Quando arriva la campagna elettorale ci infastidiamo del troppo parlare di politica che interrompe la fiction del cuore. Il telegiornale, se non parla della biancheria intima in voga tra le vip, ci sembra una mappazza inutile. Le notizie, se non appaiono nei titoli di testa dei tiggì, non esistono. Di leggere libri nemmeno se ne parla.
La realtà è che tutti vogliamo vincere a chi vuol essere milionario perché almeno una volta anche un disgraziato se lo merita un turno alla ruota della fortuna della vita. Siamo rancorosi e distratti, pigri incalliti, facili alla lamentela col sapore di bianchetto al bar, inclni alla sentenza facile ricopiata dalla voce dei media, ingannabili e manipolabili da chi vuole far passare per prima pagina i delitti familiari e dimenticare i processi di mafia.

Il governo del popolo è un immenso parlamento con 56 milioni di onorevoli assenteisti.

 
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Dieci e lode

Post n°113 pubblicato il 05 Maggio 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Ho scoperto che mi è stato dato un 10 e lode da Stefy14. Io non sapevo cosa fosse, così sono andata sul suo blog ed ho cercato di capire. Qui riporto allora le regole da seguire, e poi vi dico chi sono i miei 10 e lode.

Questo è il regolamento del gioco.

"D eci e lode" è un premio, un certificato, un attestato di stima e gradimento per ciò che il premiato propone.
Come si assegna?
Chi ne ha ricevuto uno può assegnarne quanti ne vuole, ogni volta che vuole, come simbolo di stima a chiunque apprezzi in maniera particolare, con qualsiasi motivazione  sempre che il destinatario, colui o colei che assegna il premio o la motivazione non denotino valori negativi come l'istigazione al razzismo, alla violenza, alla pedofilia e cosacce del genere dalle quali il "Premio D eci e lode" si dissocia e con le quali non ha e non vuole mai avere niente a che fare.
Le regole:
   1. Esporre il logo del "Premio D eci e lode", che è il premio stesso, con la motivazione per cui lo si è ricevuto. E' un riconoscimento che indica il gradimento di una persona amica, per cui è di valore (nel post originario c'è il pratico "copia e incolla");
   2. Linkare il blog di chi ha assegnato il premio come doveroso ringraziamento;
  3. Se non si lascia il collegamento al post originario già inserito nel codice html del premio provvedere a linkarlo (nel post originario c'è il pratico "copia e incolla");
  4. Inserire il regolamento (nel post originario c'è il pratico "copia e incolla");
  5. Premiare almeno 1 blog aggiungendo la motivazione.
Queste regole sono obbligatorie soltanto la prima volta che si riceve il premio per permettere la sua diffusione, ricevendone più di uno non è necessario ripetere le procedure ogni volta, a meno che si desideri farlo. Ci si può limitare ad accantonare i propri premi in bacheca per mostrarli e potersi vantare di quanti se ne siano conquistati.
Si ricorda che chi è stato già premiato una volta può assegnare tutti i "Premio D eci e lode" che vuole e quando vuole ( a parte il primo), anche a distanza di tempo, per sempre. Basterà dichiarare il blog a cui lo si vuole assegnare e la motivazione. Oltre che, naturalmente, mettere a disposizione il necessario link in caso che il destinatario non sia ancora stato premiato prima.

Dunque, se ho capito bene, ora seguo le istruzioni:

Allora, Stefy14 aveva scritto, premiando questo blog tra molti altri:

10 e lode a ventovela e al suo blog La barca e il viaggio. Perchè quando leggo i suoi post riesco ad essere nei luoghi, nei tempi e nelle storie di cui scrive. (il post originale è al link http://blog.libero.it/Stefi/4391576.html)

Ed ecco i miei 10 e lode:

Achampaosel ed al suo - Passaggioanordovest. Nel suo blog un tempo leggevo storie di terre lontanissime e freddissime, di ghiaccio e scatolette di conserve. Ora è tornato in Italia ma i suoi post continuano a portare lontano, spesso "dentro", che è il luogo più misterioso di tutti.

Ad ascaso1974 che scrive A volte penso Che..., per la capacità straordinaria di scrittore. Ho letto libri celebratissimi scritti con meno maestria di quella che si ritrova ogni volta nei suoi post. Un cuore sensibile ed uno stile incisivo, degno di qualsiasi casa editrice.

Ad ossimora per i suoi scritti su antonia nella notte, che rappresentano sempre uno spunto per una riflessione più profonda sulle questioni che attraversano la vita di tutti.

In Elsewhere Perhaps, invece, non ci sono parole ma solo immagini. Bellissime. Un'occasione per tornare a ricordi, nutrire desideri, e riflettere sulla vita.

Stefy14 per le parole di Viaggi e miraggi..., che lei definisce inutili pensieri, ma che invece sono momenti di grande tenerezza, intimi, veri.

Ho fatto. Ci ho messo molto, ma alla fine! Eh!

:)


 
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Deriva

Post n°112 pubblicato il 17 Aprile 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Quando prende in braccio il cucciolo lo fa con una foga da far sorridere. Lo porto con me! Lo porto con me, dice. Invece il cucciolo ha un laccio e una padrona, e lei dice dolecemente, lascialo a me, è l'unica cosa che ho. Mentre se ne va, lui lo guarda stringendosi le braccia intorno al petto.

Ecco. Lui passa le notti sulla piazza, carico dì'alcol perché deve vendere e per parlare con tutti deve essere disinibito - e senza alcol in corpo è timido, così tanto che non ha nemmeno il coraggio di guardarti negli occhi. Guarda altrove. Dice un sacco di sciocchezze, ride.

L'ho conosciuto perché tutti prima o poi si passa per quella piazza. Io ci ho mangiato un kebab, seduta sui gradini, e se rimani lì per pochi minuti prima o poi conosci il suo socio in affari, e poi lui. Così si chiacchiera mentre la notte diventa profonda e poi diventa mattina. Sulla piazza si sciolgono le canzoni strappate alle corde di una chitarra, cantate a gola incerta sul portone di una chiesa. Passano le ore della notte e tornano a casa quelli che hanno ballato e quelli che hanno bevuto. Poi si avvicina un uomo con gli occhi appannati e ci da un libro di aforismi che tiene in tasca come una bibbia. L'uomo legge declamando, lui ascolta ed è colpito e dice tienilo di buon conto, il libro, dice cose importanti, non lo perdere, è un bel libro.

Perché lui si commuove facilmente. Si commuove mentre parla di sua madre, che è lontana, dall'altra parte dell'oceano. Si commuove quando si parla di libertà. Poi smette di parlare di cose serie, si batte le mani sui jeans lisi e dice che capisce, capisce quello che sento e capisce quello che penso e si confonde tra la comprensione di sé e quella di me, che lo guardo - mentre lui guarda altrove. La mattina è blu come un mare profondo.

L'amore è vero come il tempo. Il tempo scorre, l'amore con lui. In quell'istante l'amore era sincero e breve. La stanza era buia e lui non doveva guardare altrove, così poteva parlare sussurrando ad occhi chiusi, tratteggiando con le dita i pensieri sulle mie braccia.
Come sei piccolo, come sei minuto e solo, in questa stanza dove ti piace fare entrare il sole, sotto le coperte calde e scomposte. Dormi stretto alle tue sole braccia, con le mie mani intorno alla vita, mentre ogni ora segna parole a metà, dette per controllare che la notte non sfugga via tutta in una volta, che si appoggi sulle palpebre piano, piano..

 
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Pelo d'acqua

Post n°110 pubblicato il 16 Marzo 2008 da ventovela
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Mi hanno ricordato che si legge per scoprire sé stessi, non per conoscere chi scrive.  
Leggo "Lettera dall'Inferno", di Ingrid Betancourt, e prendo lunghe pause. E' troppo da leggersi tutto d'un fiato.

Mentre lei parla della sua separazione dai suoi cari, da sua madre, io penso a mia madre e a come potrebbe essere la vita dominata da un dolore così pervasivo. Penso alla mia fortuna, penso che essere nata da una donna così buona sia la mia salvezza.

Penso a quella giungla scura e umida, e a cosa vuol dire vita, scelta, crescita, sapere, amore, sopravvivenza, speranza. 
Credo che il mio problema sia quello di essere sopraffatta dalle possibilità e dalla scelta. Lei è prigioniera, io invece, posso fare tutto, posso essere tutto: la difficoltà non sta nei limiti, ma nel sentire di non avere limiti di crescita (se solo lo voglio). Il numero di cose che posso fare è così alto che mi disorienta: sono accecata dalla vita che mi sta davanti, che mi assale come una piena.
Sto di fronte a mille strade e non riesco ad imboccarne neppure una. Cento bivii come se fossero un vicolo cieco...

 
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Rosa dei venti

Post n°109 pubblicato il 16 Marzo 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Il rugby. Un mucchio di uomini in calzoncini e scarpette, paradenti e cuffiette da neonato - se le possono permettere, quelle cose lì: sono muscolosi, imponenti, veloci, intrepidi. 
Se gli si sfila una scarpetta continuano nella mischia così, col calzino bianco per aria. Se si ammaccano un occhio, continuano finché non vengono costretti fuori. Loro sono così, che ci si può fare. 

La partita comincia e la telecronaca è epica: forza, anche da casa, spingiamo insieme il carretto azzurro! si, anche da casa, spingiamo tutti insieme!
ed eccolo, finalmente giunto alla meta, là dove l'erba è più alta.
ma ecco in arrivo la cavalleria leggera, i nostri più rapidi!

Così a noi ci viene il brivido di conquista all'odore di erba e zolle, quella col terriccio sotto la suola e i gomiti ammaccati.
Io, quella conquista lì, non l'ho mai provata, mi viene il brivido perché l'ho vista nei film. Ci sono arrivata vicina quando arrancavo col fiato spezzato in cima a una mezzatacca di collinetta scarsa, o il dorso docile di una montagnina.
Ecco, quella fatica fisica lì, che alla fine ti guardi intorno e domini quei duecentometri sotto di te che ti hanno appena sfiancato la milza.

Alla fine la fatica si condensa tutta in una sconfitta e in una vittoria. La squadra battuta esce dal campo in mezzo a due ali di alteti che applaudono - i vincitori onorano i vinti (e senza sberleffi).
Epico, epico. I vittoriosi intonano canti, con le lacrime agli occhi si danno abbracci -  con quelle braccia lì che schiacciano una noce tra avambraccio e bicipite.
Poi, il giro del campo. I vittoriosi raccolgono i fazzoletti delle dame per il prossimo torneo.

 
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Gorgo

Post n°108 pubblicato il 27 Dicembre 2007 da ventovela
Foto di ventovela

uno nemmeno se ne accorge ed è già passata la vigilia, il natale e santo stefano. trittico di felicità obbligatoria e di abbuffo calorico.

a natale tutto è obbligatorio: stare bene in famiglia, avere una famiglia, farsi dei regali a vicenda, mangiare come capponi alì'ingrasso (e per colmo mangiare capponi ingrassati!)

poi arriverà capodanno, altro tripudio di contentezza comandata.
evviva! brindisi.
anno nuovo urrà. diamoci i baci e gli abbracci.
capodanno e natale: incubo per i soli, quando l'aggregazione compulsiva crea intorno a sé il vacuum - vuoto siderale dove tutto si disfa, cessa di respirare, si rattrappisce e congela.

capodanno nella mia mente è un'enorme festa felliniana: i cappellini buffi, le stelle filanti, il trenino di gente che ride, i bicchieri che si agitano in aria
le facce deformate in un sorriso che indolenzisce i muscoli facciali
lo sguardo perso nello champagne
(e anche il nome "champagne - sciampàn" suona provinciale e goffo)

poi si ricomincia con un giorno normale, il 2 - le feste si sono disfatte e la vita si riporta al quotidinano inverno
ma no, manca ancora la vecchietta che porta i regali
e va bene, il 7.
ma è lì, il 7, che comincia la vera magia: i saldi.

 
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