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Rosa dei venti

Post n°109 pubblicato il 16 Marzo 2008 da ventovela
Foto di ventovela

Il rugby. Un mucchio di uomini in calzoncini e scarpette, paradenti e cuffiette da neonato - se le possono permettere, quelle cose lì: sono muscolosi, imponenti, veloci, intrepidi. 
Se gli si sfila una scarpetta continuano nella mischia così, col calzino bianco per aria. Se si ammaccano un occhio, continuano finché non vengono costretti fuori. Loro sono così, che ci si può fare. 

La partita comincia e la telecronaca è epica: forza, anche da casa, spingiamo insieme il carretto azzurro! si, anche da casa, spingiamo tutti insieme!
ed eccolo, finalmente giunto alla meta, là dove l'erba è più alta.
ma ecco in arrivo la cavalleria leggera, i nostri più rapidi!

Così a noi ci viene il brivido di conquista all'odore di erba e zolle, quella col terriccio sotto la suola e i gomiti ammaccati.
Io, quella conquista lì, non l'ho mai provata, mi viene il brivido perché l'ho vista nei film. Ci sono arrivata vicina quando arrancavo col fiato spezzato in cima a una mezzatacca di collinetta scarsa, o il dorso docile di una montagnina.
Ecco, quella fatica fisica lì, che alla fine ti guardi intorno e domini quei duecentometri sotto di te che ti hanno appena sfiancato la milza.

Alla fine la fatica si condensa tutta in una sconfitta e in una vittoria. La squadra battuta esce dal campo in mezzo a due ali di alteti che applaudono - i vincitori onorano i vinti (e senza sberleffi).
Epico, epico. I vittoriosi intonano canti, con le lacrime agli occhi si danno abbracci -  con quelle braccia lì che schiacciano una noce tra avambraccio e bicipite.
Poi, il giro del campo. I vittoriosi raccolgono i fazzoletti delle dame per il prossimo torneo.

 
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