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NON è UNA MALATTIA SE BEN ALIMENTATA , GIUSTAMENTE VISSUTA è UN ADORABILE COMPAGNA.....

Post n°48 pubblicato il 17 Aprile 2007 da musaforever
Foto di musaforever

(malincolakiopatìa) ..meglio di ADRENOCROMI,FENCICLIDINA,BUFOTENINA ecct..la prescrivo un etto al giorno a tutti!
La tristezza è monotona ; la malinconia, proteiforme. Forse il lettore si sorprenderà delle contraddizioni dei suoi discorsi, della molteplicità dei suoi registri e delle sue apparenti incoerenze, tanto è prodigiosa la varietà delle manifestazioni malinconiche : aggressività e ripiegamento su se stessi, prostrazione ed entusiasmo, senso di colpa e desideri folli, lamento e derisione, idee fisse e folli chimere.E’ in mille modi che si è potuto narrare, dall’Ecclesiaste a Cioran, l’inconveniente di essere venuti al mondo; è in mille modi che si è espresso, da Democrito a Jean Paul-Sartre, il disgusto dell’esistenza. Ma la proliferazione dei suoi sintomi, che rende così difficile e incerta la classificazione nosografica dello stato malinconico, è in verità una ricchezza; essa ha in buona parte contribuito a costruire ciò che noi chiamiamo la nostra cultura. Mistica o erotica, dolce o amara, feconda o sterile, è in tutti i suoi stati (o quasi) che la proteiforme malinconia appare in questa antologia. Quel che canta Saffo, per esempio, è il mal d’amore; è la prima a descriverne gli effetti più direttamente fisici. Ma per Michelangelo, molto più tardi, in un contesto del tutto differente, la malinconia si identifica con la sofferenza del creatore; l’artista lavora "nel sordido" e "fuori dal mondo", "nel mezzo di grandi fatiche e di mille sospetti"; nelle sue lettere e nelle sue poesie, Buonarroti si dice diviso tra l’orrore che incute la morte, la paura di tradire i suoi ideali e la crudele certezza di essere un uomo fuori dal comune (cioè un Cristo nuovamente crocefisso: "Si ha idea di quanto sangue costi tutto questo?" egli scrive in una delle sue opere, un crocefisso offerto a Vittoria Colonna). Altri ancora sono i sintomi della malinconia detta romantica : in un mondo vuoto, che Dio e altri hanno abbandonato, il René di Chateaubriand si scopre diverso da quello che è. In totale disarmonia con se stesso e il cosmo, si percepisce come un rifiuto, spossessato di sé, o posseduto da una forza maligna, vive la propria vita come un esilio, come una tragica separazione. Nessun avvenimento che non gli confermi l’inanità di ogni cosa e la vanità delle sue azioni: né le conquiste della ragione, di cui conosce i limiti, né gli pseudo - trionfi dell’ l’dei quali conosce la fragilitàEd egli vive nel giusto mezzo, tra gli antichi e i moderni, tra passato e presente, tra immobilità ed erranza, tra immensità e piccolezza, tra l’antico e il nuovo mondo; cadavere animato, anima prigioniera di un corpo putrefatto, si raffigura come un morto — vivente. Questo giusto-mezzo, del resto, è tutto il contrario di una media: alla e alla degli Antichi, come al giusto mezzo dei borghesi, il malinconico oppone la logica dell’. Alla piatta saggezza di gente assennata, egli oppone una saggezza paradossale, che non teme né la contraddizione né l’eccesso: "Si gioisce di ciò che non è comune, anche quando questa cosa è una sciagura".Il proteiforme, tuttavia, non è informe. Sia nei dipinti che nelle incisioni il figlio di Saturno (o oggi l’intellettuale, nelle foto delle riviste) si riconosce dalla sua postura, palma aperta che sostiene la testa, come nei discorsi malinconici si manifestano alcune forme ripetitive: certi motivi, ", denunciano l’impronta, d’intensità assai variabile, di un tipo melanconico sull’immaginario dello stesso nome". Certi temi attraversano i secoli: il nero e il pesante, l’autunno e il "mai più", il crepuscolo e l’oceano, il labirinto e l’abisso. Delle metamorfosi si ripetono — che sono, del resto, delle metafore solo per uno sguardo non malinconico: la spina nella carne, il corpo di vetro, l’inferno e la caduta, l’emorragia e il buco. Le stesse ricorrenze nei discorsi teorici: gli autori si ripetono, alle volte anche a loro insaputa, e anche quando innovano scientificamente. Così i primi psichiatri riprendono gli aneddoti dei Rinascimentali, che riprendono i medici arabi, i quali trasmettono racconti greci; si notano ovunque delle costanti. Gladys Swain lo sottolinea molto bene: anche se non rimane "granchè di vivente dell’autentico sistema di quel mondo di cui la malinconia fu il centro di gravità nella sua età dell’oro della cultura europea", e anche se "tutta la comprensione moderna dell’angoscia malinconica […] si è forgiata espressamente in rottura" con la cosmologia, la fisiologia e l’antropologia del Rinascimento, l’articolazione fondamentale rimane intatta. "Come se la carne si fosse sciolta lasciando lo scheletro": anche nelle sue trasformazioni la malinconia sembra rimanere stabile. Ne testimonia la tenuta così sorprendente, molto tempo dopo l’abbandono della teoria degli umori, del modello atrabiliare di cui porta tracce la neuropsichiatria, o la ripresa, presso Falret e Baillarger, della bipolarità che Aristotele attribuiva all’atrabile. Ne testimonia anche ed ancor più la permanenza dei trattamenti terapeutici, di cui un inventario impressionante può essere letto in Robert Burton. Se i procedimenti diabolici sono da escludere, osserva con prudenza l’autore, Dio ammette molti mezzi per raggiungere la guarigione: "mezzi fondati sulle pietre, i semplici, le piante, i metalli, etc., come tutte le cose simili preparate a nostro uso dalla scienza e dall’industria dei nostri medici".Tali gli elettuari lenificanti, i purgativi e revulsivi che espellono l’umore viziato, i confortativi che restituiscono al corpo il suo dinamismo. Sono egualmente raccomandati i bagni di acqua chiara, le dolci musiche, gli esercizi regolati del corpo e dello spirito, le passeggiate in campagna. E una dieta rigida, beninteso, a base di cibo "umido, facile da digerire, che non provochi aria, nè fritto nè arrosto ma bollito"; carni giovani, vini bianchi, frutta fresca, pesce che non abbia il gusto di fango… Tutti questi consigli obbediscono ad una logica; come sottolinea Jean Starobinski in uno studio citato più avanti (p. xxx), "la somministrazione di purganti, fluidificanti e di corroboranti obbligavano il paziente a "somatizzare" la sua rappresentazione della malattia e a mimare con il suo corpo tutti i processi della "catarsi" e della ricostruzione psichica. Il metodo doveva annoverare senza dubbio dei successi per trasmettersi con tale regolarità da una generazione all’altra".

In definitiva : diversità delle malinconie ma persistenza della malinconia fino a coloro che la combattono. Il fatto è che essa riguarda tutti, il "normale" non meno del folle e il folle non meno del genio; essa può colpire tutto il tessuto sociale. E’ così che in ogni epoca, quali che siano le teorie che cercano di renderne conto, essa ci rinvia ai nostri enigmi. Enigma della nostra finitudine; enigmi della morte e del linguaggio; enigma del rapporto tra l’anima e il corpo, secondo la terminologia dualista, o tra lo spirito e la materia. Ingenuamente o scientificamente affrontati, questi enigmi ci riportano al mal di vivere; ma senza questo male, si può vivere bene?

 
 
 
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