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Messaggi di Marzo 2014

 

OPPORSI SEMPRE PER NON CAMBIARE E' UNA MALATTIA DA CUI DOBBIAMO GUARIRE PER CRESCERE VERAMENTE

Post n°776 pubblicato il 31 Marzo 2014 da sebregon

IV SETTIMANA DI QUARESIMA – MARTEDÌ

 

 



 


Gv 5, 1-16


Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato. 

 

L’atteggiamento dei Giudei, per delle strane sovrapposizioni tra sacro e profano presenti nella mia mente, mi porta a un parallelo con la nostra situazione odierna, ma soprattutto passata, quando piuttosto che riformare gli ordinamenti della nostra Italia la si lasciava morire.

 

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Questa mia annotazione non vuole essere un prendere partito per questa o quella formazione politica  che sembrano muoversi per le riforme ma solo constatare che fino adesso ha prevalso in Italia la mentalità giudaica che preferiva mantenere paralitico un uomo piuttosto che vederlo sano e salvo anche se guarito in un giorno di sabato.

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E cioè detto in altri termini si preferiva baloccarsi con i reciproci equilibri piuttosto che prendersi la responsabilità di un vero cambiamento. Il paragone con i giudei lo vedo in quel continuo darsi da fare per rendere vano ogni cambiamento perché lesivo di questo di quell’altro interesse di parte. Forse il paragone è tirato lo confesso ma lego il tutto al fatto che sia i politici che i giudei non vogliono fa nascere niente di nuovo abituati al tran tran delle loro tradizioni.

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Gesù fa capire che la situazione del paralitico è legata al suo peccato e così anche noi non possiamo dare tutta la colpa ai politici ma anche al modo come noi tutti viviamo in questa nostra Italia e cioè da persone che si prendono poca cura della cosa pubblica e che quindi se stanno male è perché se lo sono meritato. Abbiamo allora bisogno di prendere coraggio ed acconsentire senza paura a chi ci propone un vero cambiamento. Rischio, mi accorgo, d’essere equivocato e tirato da una parte politica, ma per far comprendere meglio mi basta volgere lo sguardo a papa Francesco e a come stia cambiando la Chiesa ed il nostro modo di viverla e di pensarla.  

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che ci sei da guida e suggeritore nei passi che intraprendiamo in questo mondo illumina le nostre menti perché possiamo dare fiducia a quanti propongono un vero cambiamento.  

 

Michele Sebregondio

  www.montetabor.de

 
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ESSERE CONSAPEVOLI DI PORTARE ADDOSSO IL PECCATO NEL MONDO E DI CONTRIBUIRVI E' L'INIZIO DEL CAMBIAMENTO

Post n°775 pubblicato il 29 Marzo 2014 da sebregon

III SETTIMANA DI QUARESIMA - SABATO

 


 

 

 


Lc 18, 9-14

 
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». 

 

Questa parabola ci mette davvero in crisi perché sembriamo congegnati per fornire un perfetto meccanismo di adeguatezza tra noi ed il mondo che ci circonda nel senso che se quest'ultimo ci chiede di pagare le tasse lo facciamo, se ci chiede di aiutare qualcuno lo facciamo e cosí via come nell'enumerazione del fariseo. E non ci vuole molto per capire la sua condizione perché é anche la nostra quando per strada incontriamo un povero, uno straccione o un rom : dentro di noi, come un qualcosa iscritto sul tessuto della nostra pelle, scatta il senso della differenza, il rifiuto di quella condizione e la certezza che il nostro modo di vivere sia migliore ed  anche, attaccato a questo, una sensazione, non apertamente confessata a noi stessi, che siamo stati capaci d'essere piú perfetti di coloro che ci troviamo davanti.

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Abbiamo cosí la percezione d'essere giusti in questo mondo come frutto delle nostre azioni. E qui non occorre pensare che la parabola sia rivolta solo agli uomini di potere o a coloro che sono i privilegiati nella società , anche se chi in qualche modo sopravvive in questa società rispetto a chi non ha niente può apparire un privilegiato, no qui il Signore non fa una questione di avere o non avere, ma di modo d’essere rispetto a Dio e noi potremmo aggiungere, come una riflessione laterale ma importante, di fronte agli altri uomini.

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Il modo d’essere del fariseo è quello di affermare d’essere all’origine della sua perfezione e di ostentarla al mondo per farsi ammirare e perché la gente possa dire : “guarda com’è bravo! “. Davanti a Dio egli si permette di fare paragoni con gli altri uomini e di sentirsi ‘il meglio’. Non si tratta qui solo di possedere o no, d’essere un privilegiato da una condizione sociale che l’ha inserito in un determinato contesto di leggi al di là della sua volontà ( come ad esempio se la legge afferma che si va in pensione a 60 anni può succedere che uno non ci va perché per due mesi non entra in quella fascia mentre un altro per due mesi in più ci va) no qui si tratta  di capire che in questo mondo siamo tutti peccatori e che tutti abbiamo bisogno di chiedere perdono a Dio ed ai fratelli per quello che siamo stati, per le aperture che non abbiamo agito, per le ingiustizie che abbiamo accettato passivamente e per quelle che attivamente abbiamo attivato.

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Siamo tutti dentro ma se nessuno di noi è perfetto allora siamo costretti a prendere una mazza e a dare un colpo a questa gabbia di cristallo che ci suggerisce che in qualche modo siamo perfetti o più giusti o migliori nell’interpretazione di questo mondo.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che tutto hai ricevuto dal Padre e dal Figlio spezza in noi questa illusione d’essere perfetti in qualche campo della nostra mente e del  nostro cuore e dacci la tua luce per prenderne coscienza veramente.

 

Michele Sebregondio

www.montetabor.de

 
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EVITIAMO DI STARE IN MEZZO AL GUADO E SCEGLIAMO GESÙ' O UNA VIA DI VERITÀ'

Post n°774 pubblicato il 27 Marzo 2014 da sebregon

III SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ

 

 

 

 


Lc 11, 14-23

In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde». 

La frase finale di questo brano, famosissima, si è prestata nei secoli a molte interpretazioni.Anche io mi rendo conto di averla percepita e vissuta, in tempi diversi, con sentimenti diversi.Una parte di me la trovava a volte “troppo” dura, innescando un fastidio e un’irritazione simili a ciò che provo di fronte a posizione razziste, di chi vede nel diverso, nell’altro, un nemico da combattere.

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Un’altra parte invece – ed è quella che mi sento di mettere in luce oggi – sente nelle parole di Gesù un invito alla verità. A prendere posizione, a non evitare il conflitto per paura del giudizio altrui ma a mettersi in gioco, accettandone le conseguenze.Ci sono situazioni in cui non si può stare a metà… o è sì oppure è no.Chiarezza, determinazione, fermezza in alcune circostanze sono indispensabili. Difficili, certo, anche dolorose. Ma consentono di fare un salto di orbita. Non scegliere sperando di farla franca sottraendosi può essere letale.


Alessandra Callegari

 
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LE PROMESSE DI DIO, AVVERSATE SU QUESTE TERRA, SI REALIZZANO SEMPRE: TESTIMONE MARIA MADRE DELLA NOSTRA FEDE

Post n°773 pubblicato il 25 Marzo 2014 da sebregon

25 MARZO
ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE 


 

 




 

 

Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Come riportare la meraviglia di questo evento nella nostra vita in modo che non rimanga solo un racconto bello, misterioso ma che alla fine potrebbe solo sfiorarci per un momento e non lasciare alcun segno duraturo nel nostro cuore? Noi credenti di oggi siamo preceduti da un credere della Chiesa che affonda nei secoli e quindi non siamo i primi a metterci davanti a questo evento tuttavia se non ci tocca come se fosse la prima volta ne perderemmo tutta il senso e  la forza per noi e per l’umanità.

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La prima cosa che dobbiamo notare è che un ‘qualcosa di grande’ arriva da una sfera non propriamente quotidiana. Si apre uno spazio di luce, l’angelo Gabriele, che viene inviato ad una creatura umana, Maria. Così per noi, in modi diversi e non così luminosi, arriva direttamente da Dio una chiamata, un’idea, un qualcosa che ci fa capire che la nostra esperienza quotidiana non è solo racchiusa nei limiti di questo mondo.

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Dobbiamo essere certi che è così ma nello stesso tempo prudenti e sempre nel timor di Dio per non scambiare ciò che è nostro con ciò che è di Dio. Noi viviamo nel già e nel non ancora, gia salvati ma ancora in questo mondo, già nella luce ma nello stesso tempo nell’ombra perché in questa ombra il nostro cuore deve essere provato per ottenere una maggiore fedeltà e luce e per non insuperbirci facendo del nostro cristianesimo una questione di parole e non di vera carità. Noi siamo salvi ma nello stesso tempo come Maria dobbiamo dire al Signore: “come avverrà questo?”, ma non come dubbio sul fatto che  questa salvezza avverrà ma per la consapevolezza  dei nostri limiti per poi continuare a dirgli come ha fatto Maria : «Ecco sono il/la servo/a del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

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Solo così potremo far nascere il Signore in noi ed in quelli che ci circondano sempre però secondo il suo volere. I figli di Dio infatti non nascono per la costrizione di qualcuno o perché qualcuno pensa che impegnandosi potrà farli nascere ma per puro dono del Signore e questa cosa per noi è grande anche se difficile da accettare secondo il nostro modo umano di intendere perchè vorremmo sempre un ritorno. E’ ‘grande’ perché, liberandoci da qualsiasi ritorno, non ci distrae dall’amare il Signore: sarà lui a pensare ai ‘ritorni’ quando e come vuole. Come del resto  ci ha insegnato Gesù : [37] Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. “(Gv ,4,37) facendoci intendere che nel suo regno occorre essere disposti a non raccogliere perché sarà affidato ad altri questo compito.

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Ma tornando a Maria, e alle promesse incredibili e grandissime che le fa l’angelo, dobbiamo dislocarci con Lei  nei momenti vissuti con Gesù durante la sua vita pubblica. Maria portava sempre nel cuore le parole dell’angelo Gabriele ma giorno dopo giorno una spada le trafiggeva il cuore perché vedeva che Gesù  era continuamente osteggiato, ed in alcuni casi  minacciato di morte, e perché doveva superare, con la forza incrollabile del suo essersi affidata a Dio, le idee che si era fatta sul  Figlio dopo quell’annuncio così incredibile dell’angelo: “Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

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Sappiamo infatti che le cose sono andate apparentemente in modo diverso perchè Gesù su questa terra non ha vuto alcun trono anzi la morte ma Maria, nonostante tutto, ha continuato a credere alle parole dell’Angelo. Ecco perché Maria è a buon diritto madre della nostra fede, perché è stata la prima ad averla, non cieca, dal momento che “conservava tutte queste cose, interpretandole nel suo cuore (Lc 2,19). Maria allora ci aiuta così a capire  che è nel conservare e nell’interpretare, e dunque nel proprio apporto personale, che sta la chiave per essere illuminati dall’Alto.

La nostra vita e la Parola

Spirito Santo, che sei disceso nella vergine Maria per darci il Figlio di Dio Gesù, discendi anche su di noi perché possiamo essere sempre disponibili a dire di sì ad ogni proposta che ci viene dall’Alto sempre con l’aiuto della nostra madre  Maria. 

Michele Sebregondio

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IL NOSTRO PADRE DIO CI AMA DI'INFINITO AMORE ED ASPETTA SOLO UN NOSTRO SGUARDO

Post n°772 pubblicato il 21 Marzo 2014 da sebregon

II SETTIMANA DI QUARESIMA – SABATO


 

 


 

 

 

Lc 15, 1-3. 11-32

 
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». 

 

Perché il figlio più giovane vuole andare via di casa? Solo perché voleva viver una vita dissoluta? Forse, ma anche, perché no?, perché non trovava uno spazio vitale e significativo all’interno della famiglia. Il padre è vero se la cava dicendo che ciò che è suo è anche dei figli ma fatto sta che il lavoro doveva essere la cosa più importante da cui non si poteva scappare e gli amici non avevano una buona accoglienza se non si poteva far baldoria neppure con capretto del padre.

 

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Di fronte a questo tipo di vita il figlio dice no anche perché non vuole diventare come il fratello la cui personalità gretta conosceremo bene alla fine della parabola. Il giovane va fino in fondo alla sua pazzia sperperando le sue sostanze e solo quando non ne ha più è solo allora che si trova davanti a se stesso in un momento di verità. Egli dunque vive due momenti di verità la prima quando non vuole stare più in famiglia e la seconda quando non ha più niente.Egli sa dunque che cosa non va nella sua vita ma soprattutto quando si trova nella più nera disgrazia è qui che riesce a rinsavire e ritrovare il bandolo della sua vita.

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Sembrerebbe allora che sia meglio seguire i propri impulsi quando sono genuini perché, anche se possono portare a disastri, almeno aprono ad una verità sulla propria vita. No, non si può tirare mai una simile conseguenza perché il male è sempre male ed il bene risplende sempre e dunque da desiderare sempre .

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Si può solo dire che all’inizio il giovane è stato attirato da un bene positivo e cioè la sua libertà ed il suo voler cercare una vera soddisfazione per la sua vita ma che lungo la strada, essendo uscito dal campo protettivo della famiglia, non ha saputo reggere la situazione e si è perso. Troviamo allora in lui nello stesso tempo positività e negatività ed è dunque questo miscuglio di valori e non valori che gli ha permesso alla fine di trovare la strada del ritorno. La parabola però è finalizzata ad esaltare la figura del padre che rimane sempre tale anche quando il figlio prende una strada che lui non desidera e vuole pure dirci che il nostro Padre celeste non ha paura dei nostri peccati, né si offende per i torti dei suoi figli ma sempre li aspetta per abbraccialli.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, che sei perfetto conoscitore  del Padre, aiutaci ad avere più coscienza del suo infinito amore in modo da  non deluderlo mai con i nostri peccati ma se anche dovesse succedere di peccare spingici sulla via del la strada del ritorno come ha fatto il figliol prodigo.

 

Michele Sebregondio

www.montetabor.de

 
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TRA IL BENE ED IL MALE C'E' UN ABISSO INCOLMABILE NON SOLO IN CIELO MA ANCHE SULLA TERRA

Post n°771 pubblicato il 20 Marzo 2014 da sebregon

 II SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ

 


 


 

 

Lc 16, 19-31


 
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». 

 

Il ricco e il povero. Il ricco arrogante che finisce all’inferno e il povero umile che va in paradiso. Vecchia storia, che però oggi si aggiunge, curiosamente, a una riflessione che ho fatto su di me. A quasi sessant’anni mi ritrovo ancora in situazioni in cui, di fronte a qualcuno che si dimostra attaccato al denaro, io faccio la “signora” e lascio andare il denaro (ovvero, lo perdo), piuttosto che fare come lui.

 

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In altre parole, provo un profondo disprezzo (e quindi giudizio) verso chi è “avaro” e/o disonesto e trattiene per sé i soldi anziché darli, soprattutto se dovuti. Tale disprezzo fa sì che io poi tenda a consumare una mia personale, sottile vendetta nel tentare di far perdere la faccia a chi si comporta in questo modo, lasciandogli il denaro anche se mi spetta.

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Con il risultato, per lo più, che la persona in questione - lungi dal provare vergogna o senso di colpa – il denaro se lo tiene, ben felice di farlo, e per giunta mi ritiene un’idiota. Il disprezzo per il “pezzente” finisce dunque con il rivelarsi inefficace, se non dannoso, ritorcendosi contro di me. Ma, pervicace nell’errore, continuo a ripetere da decenni il vecchio copione.

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Che c’entra questo con la pagina odierna del Vangelo? C’entra, perché ho sentito che avrei mandato volentieri all’inferno, insieme al ricco, alcune persone che conosco personalmente, e un lungo stuolo di altre che non conosco se non di nome, per la loro presenza nelle pagine di cronaca…

 

Alessandra Callegari

 
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DIO AMA GLI UMILI PERCHE' LI PUO' RIEMPIRE DI DONI

Post n°770 pubblicato il 17 Marzo 2014 da sebregon

II SETTIMANA DI QUARESIMA - MARTEDÌ


 

 

 

 

 

 


 Mt 23, 1-12



In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

 

Queste parole di Gesù sono una ventata di verità che cala sulle nostre, più o meno grandi pretese, umane. Ci mettono davanti al modo come ci relazioniamo agli altri e diventano così uno spunto per far passare davanti ai nostri occhi le scene in cui esercitiamo un qualche incarico.

 

 

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E la domanda da farci  allora è: “Quando ci diamo da fare per ciò che ci è stato affidato cosa portiamo avanti: noi stessi o il servizio?” . Le parole di Gesù possono farci entrare nelle pieghe più profonde del nostro io per metterci a nudo e a se cerchiamo di dominare gli altri o se davvero ci prendiamo cura di loro.

 

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Ed a questa domanda non può esservi una risposta univoca come se aiutassimo sempre gli altri in modo disinteressato. Succede infatti che l'esaltazione possiamo agirla non in modo eclatante ma sottotraccia. Questo per dire che non siamo  ‘buoni’ di default perché la stabilità del bene si trova solo in Dio e che noi non siamo per niente alieni dal portare avanti noi stessi.

 

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Ora questo può capitare meno se siamo uomini di preghiera e cioè persone che amano mettersi davanti al loro Creatore nudi e crudi per farsi perdonare le proprie miserie. Il signore Gesù poi ci mette in guardia dall’accettare ciò che la gente facilmente elargisce quando vede che qualcuno ci sa fare e cioè quel tipo di lodi che spingono a credersi qualcuno.

 

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Se infatti non si è radicati nel ciclo divino del dono si è portati a credere d’essere gli inventori di chissà quale bene da dare agli altri. Il cristiano però sa che tutto ha ricevuto e che può dare veramente solo ciò che gli è stato donato tutto il resto è palta. Il riconoscimento umile di aver ricevuto lo aiuta a dare, e nello stesso tempo a dirottare, il grazie verso il vero autore del dono che sia un umano o Dio.


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La nostra vita e la Parola

 

Spirito di Dio che sei la testimonianza vivente del reciproco dono d’amore del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre aiutaci a permanere in questo giro di amore che nulla aggiudica a sé ma tutto agli altri.

 

Michele Sebregondio

 

www.montetabor.de : per coloro che soni interessati ad un cammino di meditazione e preghiera del cuore : Abbazia di Chiaravalle di Milano , ogni mercoledì ore 18.00.

 
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IL PADRE CI AMA E PRIMA O POI CE LO FARA' SENTIRE IN MODO INEQUIVOCABILE: NON PERDIAMO L'OCCASIONE

Post n°769 pubblicato il 14 Marzo 2014 da sebregon

I SETTIMANA DI QUARESIMA – SABATO

 



 


 

 

Mt 5, 43-48


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». 

 

Molte volte ci si perde dietro a questioni di teologia, certo importanti, ma che sulla bocca di molti diventano il dilemma dietro cui nascondersi per non affrontare il contenuto vero e toccante che Gesù porta su questa terra.

 

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Da questo punto di vista, e non credo di dire un’eresia  non è importante sapere se Gesù è un Dio incarnato o no ma lasciarsi sconvolgere dalle sue parole. Egli ci parla del Padre, ma se uno non ne vuol sentire parlare, egli ci dice di un’istanza in cui prevale l’infinito amore che guarda caso corrisponde alla stessa cosa che ognuno vorrebbe per se.

 

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Egli ci suggerisce di  allargare il cono di luce che destiniamo ad illuminare solo i nostri parenti o i nostri amici perché se non lo facciamo siamo destinati a finire la nostra vita al buio. Questo lo dice qui il maldestro commentatore quale io mi ritengo che facendo due operazioni mentali di tipo filosofico-psicologico arriva alla conclusione che chi ama coloro che gli corrispondono prima o poi non se li troverà più corrispondenti perché la vita cambia e così i comuni interessi.

 

 

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  Gesù invece dice ben altro e cioè egli motiva l’asserzione di amare i propri nemici invitandoci a guardare oltre e cioè ad un’altra istanza assoluta (il Padre) di un amore vero che grazie all’aiuto del tempo ci dà in continuazione l’opportunità di andare oltre il nostro piccolo ed egoistico amore. E che noi siamo creature limitate ed esposte a progressioni ed arretramenti ormai è evidente a chi guardi con realismo all’essere umano e dunque abbiamo sempre bisogno di crescere ed allargare i nostri orizzonti di vita e Gesù ribaltando il senso comune ce ne indica la via.

 

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Non è grandioso quando ci dice che il Padre fa piovere sui giusti e sugli ingiusti quando noi invece questi ultimi vorremo fulminarli? E credo che quanto più una civiltà è impregnata del genio cristiano tanto più l’ “ingiusto” trova un sistema pronto ad aiutarlo per favorire in lui una catarsi verso il bene.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che hai messo in bocca a Gesù il fuoco del tuo divino amore vinci in noi  tutti i sentimenti di cattiveria che vorrebbero portarci lontani dai nostri fratelli ed aiutaci a trovare delle forme non bigotte per rendere operanti le parole di Gesù.

 

Michele Sebregondio


www.montetabor.de

 
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SE CHIEDIAMO CI VERRA' APERTO

Post n°768 pubblicato il 12 Marzo 2014 da sebregon

I SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ

 

 

 

 

 

 

Mt 7, 7-12


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

 

Le parole di Gesù si scolpiscono nel cuore. Il principio etico “nucleare”, quello che basterebbe per una convivenza ben più che civile, è racchiuso in questa frase: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. Come a dire: se vi comportaste con gli altri partendo da un contatto vero con i vostri bisogni e desideri, ecco che le relazioni fluirebbero, rette da una reciproca volontà di “star bene”, pressoché naturalmente.

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Il paradosso è che gli esseri umani, in questa società, non sono più in contatto con sé. E questa mancanza crea la cecità e la sordità che li contraddistingue, l’incapacità di stare in contatto e in relazione.In fondo, ancor prima che per un principio spirituale, gli uomini potrebbero stare insieme “bene” basandosi sul buon senso, sulla efficacia della reciprocità e dello scambio, dandosi gli uni e gli altri, a vicenda, ciò che serve. Ma la nostra nevrosi ci impedisce di fidarci e nessuno vuole fare il primo passo per paura di perdere chissà che cosa…

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Questo fa sì che gli uomini abbiano paura di chiedere, temendo di ricevere un rifiuto. E abbiano paura di dare per primi, temendo di non essere contraccambiati.Gesù mostra come tutto ciò sia folle, tanto quanto negare a un figlio la possibilità di cibarsi e sopravvivere. Ma siamo, in effetti, circondati dalla follia…

Alessandra Callegari

 
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BISOGNA AVERE IL CORAGGIO DI CHIEDERE PER RICEVERE LA VISITA DEL SIGNORE

Post n°767 pubblicato il 12 Marzo 2014 da sebregon

I SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ
 

 

Mt 7, 7-12


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».


Le parole di Gesù si scolpiscono nel cuore. Il principio etico “nucleare”, quello che basterebbe per una convivenza ben più che civile, è racchiuso in questa frase: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. Come a dire: se vi comportaste con gli altri partendo da un contatto vero con i vostri bisogni e desideri, ecco che le relazioni fluirebbero, rette da una reciproca volontà di “star bene”, pressoché naturalmente. Il paradosso è che gli esseri umani, in questa società, non sono più in contatto con sé. E questa mancanza crea la cecità e la sordità che li contraddistingue, l’incapacità di stare in contatto e in relazione.In fondo, ancor prima che per un principio spirituale, gli uomini potrebbero stare insieme “bene” basandosi sul buon senso, sulla efficacia della reciprocità e dello scambio, dandosi gli uni e gli altri, a vicenda, ciò che serve. Ma la nostra nevrosi ci impedisce di fidarci e nessuno vuole fare il primo passo per paura di perdere chissà che cosa… Questo fa sì che gli uomini abbiano paura di chiedere, temendo di ricevere un rifiuto. E abbiano paura di dare per primi, temendo di non essere contraccambiati.Gesù mostra come tutto ciò sia folle, tanto quanto negare a un figlio la possibilità di cibarsi e sopravvivere. Ma siamo, in effetti, circondati dalla follia…


Alessandra Callegari

 
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ABBIAMO UN PADRE E NON E' GIUSTO VERSO NOI STESSI VIVERE COME ORFANI

Post n°766 pubblicato il 10 Marzo 2014 da sebregon

 

 

 I SETTIMANA DI QUARESIMA - MARTEDÌ


 


 

Mt, 6, 7-13

 

Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.

 

Nel terzo secolo, ma forse è più esatto dire dal terzo secolo in poi, la maggior parte degli autori cristiani si è confrontata con la preghiera del “Padre Nostro” scrivendo uno o più commentari a questa che fin da subito viene definita come “La preghiera del Signore” (Oratio Dominica).

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Agostino ne scrive addirittura sette, inserendoli in varie opere oppure a se stanti. La peculiarità di questa preghiera è che è l’unica preghiera formulata esplicitamente ed insegnata da Gesù. Nel vangelo ci sono per il resto esortazioni alla preghiera, rassicurazioni sulla sua efficacia, ma solo in questo passo e nel parallelo di Luca si trova una preghiera formulata esplicitamente ed insegnata come “formula”. Ma è davvero una formula? (le virgolette sono volute e provocatorie).

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Una formula da recitare magari un certo numero di volte per avere accesso a beni più o meno spirituali, in vista di un benessere che, anche se interiore indica comunque una certa apprensione e desiderio di tranquillità? O magari una chiave per vivere una felicità non ben definita in cui sostanzialmente essere liberi di fare, attribuendoli a Dio, i nostri comodi?

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Quello che chi non crede in Dio chiede ai cristiani è che la nostra vita sia coerente con il vangelo che proclamiamo, e che la preghiera non sia come le prediche di socrate nelle “Nuvole” di Aristofane, ma che sia una preghiera che porta la vita a Dio e sia frutto di una esperienza in cui ci facciamo promotori di una vera crescita dell’uomo. Guardando bene le proposizioni del Padre nostro mi sembra piuttosto di poter individuare un cammino.

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Un cammino che nasce ed è segnato non dalla verbosità ma da un rapporto alla cui base c’è la fiducia. Il Padre sa di cosa avete bisogno e il figlio si preoccupa di santificare il suo nome, di operare per la venuta del suo regno, di fare la sua volontà e chiede cose semplici, il pane, il perdono, la pace, il conforto della presenza nei momenti difficili, la libertà dal male. Un cammino che a ben considerare Gesù nel vangelo ha percorso per primo.

 

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Dunque questa è piuttosto il prototipo della preghiera che è un atteggiamento di vita. Nel contesto del capitolo 6 di Matteo infatti i suggerimenti sul digiuno e sull’elemosina sono introdotti da “Quando”, “Qualora” mentre per la preghiera si usa il participio presente che in greco indica una continuità nell’azione. Dunque non una cosa da fare ma un atteggiamento da avere, non una formula ma un cammino, non una verbosità, ma un rapporto di fiducia. Per questo oggi la tradizionale preghiera finale riporta direttamente la preghiera del Pater.

 

La nostra vita e la Parola

 

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci.

 

P. Elia Spezzano, Ocist.

 

 
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E' TEMPO QUESTO PER RIVEDERE SU QUALE FONDAMENTO STIAMO POGGIANDO LA NOSTRA VITA

Post n°765 pubblicato il 09 Marzo 2014 da sebregon

TEMPO DI QUARESIMA
SABATO DOPO LE CENERI
 

 


 

 

 

 

 

In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

 

La presunzione d’essere a posto e di non dover  rimproverarsi niente è quella che spesso ci accompagna nella vita. Oggi lavoravo un’aiuola e non mi sarei mai immaginato che andando di poco sotto la superficie del terreno fosse  pieno di sassi e più ne toglievo e più ne venivano fuori di piccoli e di grandi.

 

 

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Solo quando ci guardiamo dall’esterno appaiamo belli ai nostri occhi e senza ombre ma se un poco cominciamo a guardarci dentro ecco che scopriamo un mondo di durezze che tanto hanno di simile ai sassi di cui sopra. Insomma ci immaginiamo buoni, ma come ha detto Gesù di buono c’è solo Dio e dunque noi siamo sempre esposti al peccato ed abbiamo sempre bisogno di convertirci e chiedere al Signore un aiuto per non cedere alle tentazioni.

 

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Gesù poi ci aiuta a guardare agli altri senza pregiudizi e cioè senza quel peso che viene dal passato e che accolla agli altri i loro errori come macigni di cui non si possono liberare. Ed è il momento del tempo presente che è sempre l’occasione a portata di mano per cambiare tutto e per dare ad ogni uomo una buona occasione per essere diverso grazie al nostro andargli incontro proprio come ha fatto Gesù.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo che sei una piena d’amore nell’oceano infinito dove dimora il Padre ed il suo Figlio Gesù donaci una scintilla di questo tuo trasporto per amare coloro che noi ed il mondo giudicheremmo indegni d’essere amati.

 

Michele Sebregondio

(www.montetabor.de)

 
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RINNEGARE LA PARTE EGOISTICA DI NOI STESSI SIGNIFICA RENDERSI DISPONIBILE PER UN INCONTRO CHE CI SALVERA'

Post n°764 pubblicato il 06 Marzo 2014 da sebregon


 
TEMPO DI QUARESIMA
GIOVEDÌ
DOPO LE CENERI

 


 

 

 

Lc 9, 22-25


 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».


Sento che per capire e vivere queste parole di Gesù, bisogna superare e abbandonare la grossolana interpretazione che arriva dalla parte meno fine del mio spirito che mi fa possedere molte cose, molte interpretazioni sul significato della parole di questo vangelo.

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Queste parole sono invece comprensibili solo nello Spirito di Gesù. Lui, come me , è generato dalla bontà del Padre e mi ha fatto vedere che spogliarsi di se stessi, è togliere e deporre tutto ciò che è sofferenza e patimento. Vivere come Gesù nello Spirito del Padre è cambiare completamente le nostre intime convinzioni. 

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Gesù dice a me, con le parole di Meister Eckhart: diventa anche tu figlio, come io lo sono, nato da Dio, lo stesso Uno che io sono, che riposa nel seno del Padre, dove è la mia dimora.



Vanruis Groendal

@vanruis

 
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SEGUIRE GESU' ' SENZA FARGLI INDEBITE PULCI SUI SUOI INFEDELI SEGUACI SIGNIFICA APRIRSI UNA STRADA VERSO L'ETERNITA'

Post n°763 pubblicato il 03 Marzo 2014 da sebregon

VIII SETTIMANA DEL T.O.  - MARTEDÌ
 



 

 

 

 

 


Mc 10, 28-31


 
In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».

 

Pietro, che è tra i discepoli il più legato alle cose concrete, fa la domanda che magari gli altri non osavano fare a Gesù. E la sua domanda potrebbe essere la nostra e dunque possiamo non solo chiedere a Gesù come ha fatto Pietro ma cercare di capire noi stessi quando, insistendo sulla sua sequela, ci poniamo la stessa domanda che il discepolo ha posto a se stesso prima di riformularla verso il Maestro e cioè:  perché lo seguiamo, cosa ci aspettiamo da Lui e che cosa ne avremo?

 

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Davvero avremo cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi? Guardando in giro a coloro che davvero lo hanno seguito dobbiamo confermare che la loro vita è stata piena anche se, come dice Gesù, non sono mancate loro le persecuzioni.

 

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Tutte le vite dei grandi dell’umanità, e quindi non solo quelle dei santi cristiani, se sono state a servizio dell’uomo e della sua crescita fisica e spirituale sono state contrassegnate da una evidente grandezza.  Chi infatti in modo generoso mette in gioco se stesso nella grande danza della vita diventa un crocevia di contatti in cui non è l’avarizia a prevalere ma lo scambio ed  il dono assieme alle avversioni di coloro che la pensano all’opposto.

 

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Noi cristiani allora non non dobbiamo rapportarci alla realtà come dei poveracci che non vogliono sporcarsi le mani con le ricchezze perché queste di per sé sono neutrali (intendendo che non lo sono più quando sono frutto di azioni ingiuste e prevaricatorie).  La povertà come valore da testimoniare è frutto di scelta e non un dovere a cui si deve una obbedienza forzata.

 

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Detto questo il discepolo di Gesù  sa cosa farne delle ricchezze e cioè sa di sicuro immetterle in un circuito dove possono fruttificare per il bene comune.

 

 

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Di questi tempi però è dura comunque parlare di ricchezza perché, salvo i pochi e gettonati personaggi da televisione, non se ne vede molta in giro e comunque mi sto accorgendo che il discorso è scivolato troppo sul lato delle attese materiali di Pietro e sto glissando sul chiedere a me stesso perché seguo Gesù e che cosa mi aspetto da Lui. Seguo Gesù perché solo da Lui ricevo parole d’eternità, di luce, di bellezza, di amore fraterno, di sincerità, di saggezza, di vera compassione, di fedeltà al suo Padre celeste, di autorevolezza, di sacrificio non fine a se stesso ma funzionale all’essere fedeli fino alla morte al suo messaggio e a coloo che amava. Poi sarà Lui stesso a donarsi a me completamente come sperimento già in questa vita e di più sarà nell’altra.  

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, fa che seguiamo il Signore Gesù solo perché per noi rappresenta la vera occasione della nostra vita per avvicinarci al Padre e mai per guadagnare qui sulla terra delle poltrone o dei favori.

 

Michele Sebregondio

www.montetabor.de

 

 

 

 
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AVERE GLI OCCHI LIMPIDI ED ACCOGLIENTI DI UN BAMBINO E' LUNICO MODO CHE ABBIAMO PER STARE AL MONDO BENE

Post n°762 pubblicato il 01 Marzo 2014 da sebregon

VII SETTIMANA DEL T.O. - SABATO

 

 

 

 



Mc 10, 13-16

In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le  mani sopra di loro li benediceva.

 
Gesù ci pone sempre davanti al modo distorto del nostro vivere per aiutarci a cambiarlo e goderne la bellezza. Non è un costruttore di mostri o di quella letteratura dell’orrore che, con la scusa di mettere a nudo le nostre malefatte, spreca tutta le sue energie per farci vedere quanto è brutto il male e in questo modo ce ne fa subire il fascino.

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E sì perché è molto più facile descriverlo e porvi contro la macchietta del bene che alla fine arriva e risolve tutto piuttosto che partire da una realtà in crescita verso la sua pienezza avversata da ogni genere di difficoltà  tra cui anche la ferocia del male.

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Inoltre il Signore Gesù ci dice chiaro chiaro che il regno di Dio arriva davvero in questo mondo e cioè non vi è assente se lo accogliamo. Nessuno, in questo mondo di luci sfreccianti e presto volte al tramonto, ci dice una cosa così rassicurante, e cioè che il regno di Dio non dipende da ciò che è esterno e quindi estraneo alle nostre possibilità, ma solo dal nostro sì aperto ed accogliente come quello di un bambino.

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Chi invece ci vuole convincere che esso dipenda dall’essere stati irreprensibili coloro che dovrebbero testimoniarcelo, dalle sfere ecclesiatiche a coloro che si dichiarano cattolici, si illudono o offrono a se stessi una scusa a buon mercato per declinare l’invito del Signore Gesù che è venuto a portare la luce in questo mondo.

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E l’ha portata nonostante l’avversione di coloro che avrebbero dovuto accoglierlo come il Benedetto atteso dai secoli. Anche noi allora più che misurarci con la sociologia del cattivo cristianesimo dovremmo metterci davanti a Lui e decidere se vogliamo in questo nostro tempo aggiungerci ai suoi carnefici di un tempo oppure accoglierlo per la bellezza di ciò che ha detto, fatto e patito per noi. E non solo anche per il mondo di speranza che ci apre in questo mondo e, perché no, anche nell’altro.

 

Michele Sebregondio                                                 Comunità del Monte Tabor

(Gabriele Patmos)                                             https://sites.google.com/site/sultabor/

 
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