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Messaggi di Aprile 2015

 

COME GESU' TROVIAMO SEMPRE IL MODO DI RICONOSCERE LA FONTE DEI DONI CHE RICEVIAMO.

Post n°916 pubblicato il 29 Aprile 2015 da sebregon

IV SETTIMANA DI PASQUA - GIOVEDÌ

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Gv 13, 16-20




[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché,quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

 

Un servo non è più grande del suo padrone: frase densa e importante. In questo brano – parte della lunga conversazione di Gesù con i discepoli durante l’Ultima Cena (Giovanni, dal capitolo 13 al 17), la sera del suo arresto e morte – Gesù parla del “servizio” come della caratteristica principale dei suoi discepoli, annuncia il tradimento di Giuda e ribadisce la propria identità (“Io sono”, riprendendo le parole di Yahvè a Mosè).

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Dopo aver appena terminato di lavare i piedi dei suoi discepoli, infatti, a Pietro che non vuole che Gesù gli lavi i piedi il maestro ribadisce il valore simbolico del gesto: è importante accettare Gesù come messia che si dona per gli altri, e che insegna ai suoi a fare altrettanto. Questo dono di sé è alla base della felicità: “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica". Ma non tutti accettavano  (e accettano oggi) questo invito al “servizio”. Invito che trovo invece bellissimo.

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Essere al servizio è il massimo della possibilità che un essere umano si dà di “fare” qualcosa per gli altri. Svolgere una professione “di servizio” è sì un onere, ma anche un grande onore. E direi, parafrasando Gesù, “essere al servizio non significa essere da meno di coloro che serviamo”…

 

Alessandra Callegari

 
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ESSERE TOCCATI DALLE AZIONI E DALLE PAROLE DI GESU' E' UNA GRAZIA CHE NON HA PREZZO NELLA NOSTRA VITA

Post n°915 pubblicato il 27 Aprile 2015 da sebregon

IV SETTIMANA DI PASQUA - MARTEDÌ


 

 

 

 

Gv 10, 22-30


Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

 

La domanda posta dai Giudei non è di poco conto. Cosa succederebbe se qualcuno presente nel nostro contesto sociale e mediatico dicesse d'essere il diretto inviato da Dio per risolvere tutti i nostri problemi umani? Certamente gli indicheremmo la strada dei servizi psichiatrici. Cosa c'è allora di diverso in Gesù ed in che cosa sbagliavano questi Giudei che all'apparenza sembrano così razionali? Una cosa anzitutto colpisce nella risposta di Gesù e cioè che egli non porta avanti se stesso dicendo che le opere che compie sono sue, ma indirizza l'attenzione dei suoi interlocutori sul fatto che egli compie sì le opere che essi vedono ma che esse sono compiute non nel suo nome ma in quello del suo Padre celeste.Ed i cosiddetti 'fuori di testa al centro di tutti mettono il proprio 'io'.

 

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In un mondo come il nostro in cui l'essere riconosciuti come autori delle proprie opere diventa la certificazione più grande per vedersi ritagliato un posto in questo mondo fa strano, e nello stesso tempo spinge la nostra curiosità, vedere come Gesù non accampa questo diritto, ma si serve dell'incontestabile bontà delle sue opere per affermare l'incredibile verità che tra Lui e Dio vi è una unità assoluta. I grandi artisti di questo mondo, se lo sono davvero, riconoscono che ciò che hanno creato ha sempre una fonte diversa dal loro ‘io' e che essi si vedono più come assemblatori, certamente creativi, ma di un qualcosa che viene loro donato.

 

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Ora però le opere di Gesù non sono quelle di un inventore, ma scaturiscono dalla sua persona e dalla sua parola che ha il potere di ricreare la realtà umana secondo uno scambio in cui la sua disponibilità all'aiuto è poggiata sulla fede di chi gli chiedeva aiuto. Gesù chiama coloro che lo ascoltano ‘pecore' per via di quel loro docile seguire il pastore che li conduce ma che nel nostro mondo consideriamo come persone che non hanno personalità e che si affidano a qualsiasi imbonitore mostri loro del cibo. Nei riguardi di Gesù invece essere ‘pecore' significa affidarsi completamente una volta che, tramite l'accettazione del dono del Padre (che significa scelta della via del bene che abbiamo installata nel cuore), riconosciamo la bontà e verità che muove tutte le azioni e le parole di Gesù.

 

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Allora come adesso Gesù chiede d'essere riconosciuto per le credenziali delle sue opere e se oggi molti non possono vederlo direttamente tuttavia egli ha lasciato coloro che nella Chiesa sono santi in quanto, nonostante i loro limiti, cercano con tutto il cuore di testimoniarlo. Ed infine il suo dirci che nessuno può strapparci dalle sue mani ci rincuora ed oltrepassa ogni nostro possibile peccare perché, anche nel caso ci allontanassimo da Lui per la debolezza del nostro spirito e della nostra carne, non smetteremmo mai d'essere suoi. Dall'altra parte cioè non troveremo mai un Dio offeso che non ci perdona perché l'abbiamo tradito ma un volto sempre accogliente solo che guardiamo verso di Lui come successe che nell'Antico Testamento quando furono coloro che alzavano lo sguardo verso il serpente:

 

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Allora il popolo venne a Mosè e disse: "Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti". Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita". Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita. (Es 21, 7-9).

 


La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, illumina il nostro cuore e quello di ogni uomo perché possa discernere che il Signore Gesù è la risposta vera ad ogni male di questo mondo perché ci porta in dono la salvezza del Padre.

 

 

 

.............

Per chi è interessato a Milano presso l'Abbazia di Chiaravalle (MM3 - Corvetto e poi la 77) ogni mercoledì alle ore 18 si riunisce un piccolo gruppo che ha come spiritualità di riferimento la trasfigurazione di Gesù, la preghiera del cuore e  l'ascolto della Parola nel silenzio della meditazione.

 

Michele Sebregondio

 

 

 
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IL REGNO DI DIO PREME E NOI DISCEPOLI DI GESU' NE SIAMO PORTATORI: NON DELUDIAMOLO!

Post n°914 pubblicato il 24 Aprile 2015 da sebregon

25 APRILE S. MARCO Evangelista (I sec.)

 

 

 

 

Mc 16, 15-20

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano. Dopo aver letto queste parole di Gesù ci si potrebbe chiedere come mai lungo la storia coloro che sono inviati dalla Chiesa a predicare il Suo nome hanno patito ogni sorta di martirio e poi non sono stati sempre accompagnati dai segni promessi da Gesù.

 

La domanda sorge spontanea ma a ben vedere è anche frutto di un’intelligenza povera di memoria che crede di saperla più lunga delle stesse parole di Gesù. Quanto alle sofferenze Gesù afferma nel vangelo che un discepolo non può essere più grande del Maestro e che se hanno perseguitato Lui perseguiteranno anche chi lo segue. E così è stato per i suoi discepoli.

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Per quanto riguarda poi i segni di sicuro tutti coloro che sono stati proclamati santi dalla Chiesa ne sono stati accompagnati. Gesù fa queste promesse perché il regno di Dio portato su questa terra non è un fatto letterario, ma una ripresa della freschezza creativa dei primordi reimmessa di nuovo nella storia dell’umanità. I segni sono un’anticipazione di quel che sarà alla fine dei tempi attingendo anche a ciò che è stato all’inizio. Il corpo che guarisce e riprende tutte le sue funzionalità è come se uscisse fresco fresco dalle mani di Dio come fu per Adamo.

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Il morso del serpente che non causa la morte è una ripresa di quell’alleanza iniziale siglata da Adamo con gli animali quando dette loro il nome e nello stesso tempo è una anticipazione dei tempi escatologici quando tra il regno umano e quello animale non vi sarà altro che pace. Anche noi oggi possiamo dare al mondo questi segni perché se annunziamo veramente il vangelo di Gesù ed il suo Regno di sicuro, anche se ci sentiamo indegni, ne siamo i portatori.

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Dobbiamo entrare nella consapevolezza che cose grandi possono avvenire tramite la nostra persona, e non per farci importanti o sentirci investiti di chissà quale potere, ma solo per dare la possibilità a Gesù di fare i suoi miracoli grazie a noi che siamo canali. Gesù in via ordinaria non li vuole fare i suoi interventi magicamente ma attraverso i suoi amici che confidano in Lui.

 

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo toglici d’addosso quella patina di falsa umiltà e di vivere impotente e rendici dei canali docili per far passare ciò che rende felice il nostro Gesù.

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Per chi è interessato a Milano presso l'Abbazia di Chiaravalle (MM3 e poi la 77)ogni mercoledì alle ore 18 si riunisce un piccolo gruppo che ha come spiritualità di riferimento la trasfigurazione di Gesù, la preghiera del cuore e  l'ascolto della Parola nel silenzio della meditazione.

Michele Sebregondio

 
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L'ASCOLTO DEL PADRE CI PREPARA ASD AVVICINARCI A GESU'

Post n°913 pubblicato il 23 Aprile 2015 da sebregon

II SETTIMANA DI PASQUA - GIOVEDÌ

 

Gv 6, 44-51



In quel tempo, disse Gesù alla folla:«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

Gesù è consapevole del suo martirio e cioè dell’offerta che avrebbe fatto di sé al Padre per ottenere a noi la vita. Questo suo avvicinarsi alla morte è un libero atto di accettazione di un evento non cercato nè voluto per una qualche obbedienza sbagliata al Padre, quasi che il Padre volesse la sua morte come riscatto per i nostri peccati. Il Padre come poteva volere la morte di suo Figlio? Quasi che senza questa morte non avesse potuto perdonarci. Il Padre invece ci ha già perdonato con l’incarnazione di suo Figlio venuto a rimettere i nostri peccati. Il vivere stesso di Gesù tra di noi  era stato pensato dalla misericordia divina per far capire all’uomo quanto si era allontanato dal Padre celeste e quanto poteva avvicinarglisi grazie alle opere e alle parole di suo Figlio. La sua accettazione della morte e la sua offerta al Padre occorre intenderli non come soddisfazione da offrirgli per i peccati umani, ma come atto d’amore che suggella fino in fondo la sua fedeltà a quanto aveva detto e fatto durante la sua vita.  Il sacrificio della croce non è dunque da intendere come quello di un animale da offrire a Dio ma come l’offrirgli la propria vita nel rifiuto di assecondare in sé il seme dell’inimicizia per dare a noi la possibilità di vedere e credere che ciò è possibile in virtù di quella grazia che ha agito in Lui . E così se noi crediamo in Lui nella pienezza della sua vita, passione, morte e resurrezione ereditiamo la sua stessa vita e cioè una vita eterna, sempre alla presenza di Dio che ci ha sempre amati. Se è così allora come cristiani possiamo aspettarci di tutto, come sta avvenendo soprattutto in questi tempi atroci, in cui essi vengono uccisi solo perché credenti in Gesù. E come la morte non ha potuto vincere Gesù così è di quanti muoiono oggi da martiri perché subito vengono accolti nella patria celeste.

 

La nostra vita e la Preghiera

 

Spirito Santo, istruiscici tu perché possiamo nutrirci sempre del pane che ci dà la vita e cioè di Gesù.

 

Michele Sebregondio

 
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IL VERO PANE CHE CI NUTRE E' DISCESO IN QUESTO MONDO: CIBIAMOCENE!

Post n°912 pubblicato il 21 Aprile 2015 da sebregon

III SETTIMANA DI PASQUA - MARTEDÌ





Gv 6, 30-35



In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

 

 

“Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo” : questa bella precisazione di Gesù possiamo estenderla anche alla nostra vita e potremmo trascriverla nel modo minimo anche così: “lo stipendio, per chi ha la fortuna di prenderlo, alla fine non ce lo  dà il datore di lavoro né il nostro stesso lavoro, la pensione non ce la dà lo Stato, la salute non ce la dà solo il nostro corpo e così via”. Questo modo di intendere l’atteggiarsi verso la vita ha il grande merito di non credere che ciò che abbiamo ce lo siamo meritati di necessità cosicché nel caso venisse meno ci evita di entrare in quel tunnel pauroso del sentirsi diseredati di ciò che sentiamo nostro e quindi dovuto a tutti gli effetti.  Siamo umani e quindi se ci tolgono qualcosa ci restiamo male e riteniamo giusto combattere per riaverlo, nel caso fossimo dalla parte della ragione, ma se seguiamo questo primo passaggio delle parole di Gesù faremo tutto con un altro animo. Il secondo passaggio delle sue parole ci dice che il pane, inteso come cibo, non è la cosa più importante perché ve n’è un altro che lo supera infinitamente nel suo valore e cioè il cibo che si prende dalle mani del Padre: il suo Figlio Gesù offertoci come per vero pane e vera sorgente d’acqua viva che può nutrire veramente il nostro spirito.  Il suo pane, e cioè Gesù, non nutre solo noi umani ma ha una dimensione di nutrimento all’altezza della nostra attuale preoccupazione di dare cibo al mondo (EXPO) in quanto da vita al nostro universo mantenendolo nell’esistenza.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo procuraci sempre di questo pane perché mangiandone ebevendone noi siamo incorporati alla vita di Gesù nostro fratello per la gloria del nostro Padre celeste.

 

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Per chi è interessato a Milano presso l'Abbazia di Chiravalle (MM3 e poi la 77)ogni mercoledì alle ore 18, ( domani 22 Aprile no ma tutti gli altri mercoledì sì)  si riunisce un piccolo gruppo che ha come spiritualità di riferimento la trasfigurazione di Gesù, la preghiera del cuore e  l'ascolto della Parola nel silenzio della meditazione.

 

 

Michele Sebregondio

 

 

 
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VIVERE NELL'INTIMITA' DELLA PRESENZA DIVINA NON SIGNIFICA DOMINARE IL MONDO MA SERVIRLO

Post n°911 pubblicato il 18 Aprile 2015 da sebregon

II SETTIMANA DI PASQUA  - SABATO

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Gv 6, 16-21



Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao.Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento.Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!».Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.

 

I discepoli qui non hanno paura tanto del mare e del forte vento quanto di Gesù che cammina sulle acque. Noi nella vita siamo abituati ad inquadrare il nostro prossimo in un certo modo e cioè secondo i nostri parametri di accettabile prossimità e così quando i veli si squarciano, e le occasioni possono essere le più diverse, allora ci mettiamo paura e vorremmo fuggire.

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Gesù era stato vissuto fino a quel momento nella quotidianità di un rapporto tra  simili anche se avevano assistito alla moltiplicazione dei pani, alla guarigione di un lebbroso e dell’infermo alla piscina di Betsaida. Adesso invece Gesù fa qualcosa che ha del magico e  non si può iscrivere tra i comportamenti riconoscibili tra quelli umani. Tuttavia essi non vedono qualcosa di indefinito ma proprio Gesù e nonostante che la sua figura coincidesse con quella che essi conoscevano essi percepiscono qualcosa che li impaurisce.

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Gesù legge la loro paura e li conforta invitandoli a non averne. E i discepoli acquisita la certezza che fosse proprio lui finalmente lo accolgono in barca. Ora cerchiamo di applicare la dinamica di questo incontro al livello del nostro vissuto quando ci troviamo a dover affrontare qualcosa di drammatico in cui ne va in gioco la nostra pelle. Anzitutto cerchiamo con tutte le nostre forze di combattere per averla vinta su ciò che ci contrasta ma c’è un momento in cui vediamo che, nonostante i nostri sforzi, tutto si rivela inutile e se per volontarismo estremo insistiamo ancora e le cose non cambiano ecco che si apre davanti a noi la tentazione di gettare via la spugna.

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Questo è quasi sempre il nostro modo di affrontare le difficoltà quando viviamo fino in fondo la nostra immaginazione d’essere soli a combattere in questo mondo. Gesù invece con la sua presenza ci avverte che quella che riteniamo essere la realtà vera è solo frutto della nostra fantasia e del nostro aver voluto chiudere il rubinetto della speranza. Non ci rimane che credergli e condividere con lui la certezza che mai potremo essere separati dalla sua presenza dal momento che in qualsiasi momento  possiamo prenderlo in barca con noi anche se quel prenderlo potrebbe significare l’abbandono stesso di questa vita e cioè la morte.

 

La nostra vita e la Parola

 

Spirito Santo, ottieni per noi dal Padre la grazia di saper vedere oltre le apparenze e riconoscere Gesù che non chiede altro che unirsi alla nostra vita per portarla sana e salva in porto.

Per chi è interessato a Milano presso l'Abbazia di Chiravalle (MM3 e poi la 77)ogni mercoledì alle ore 18 si riunisce un piccolo gruppo che ha come spiritualità di riferimento la trasfigurazione di Gesù, la preghiera del cuore e  l'ascolto della Parola nel silenzio della meditazione.

Michele Sebregondio

 
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L'IRA RIMANE SU CHI NON OBBEDISCE MA PER LA SALVEZZA PERCHE' PATENDO SI CONVERTA

Post n°910 pubblicato il 17 Aprile 2015 da sebregon

II SETTIMANA DI PASQUA  - Giovedì

 

Gv 3, 31-36



Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra,appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo èal di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppurenessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza,conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.Il Padre ama il Figlio e gli ha
dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.


Credere in Gesù perché tutto passa attraverso di Lui. Appartenere a Lui per vivere la vita che ha vissuto Lui e passare attraverso le sofferenze e l'abbandono fino al punto in cui la voce del Signore non parla più. Eppure il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. E' un mistero difficile da penetrare. Cristo è uomo e Figlio del Padre e per questo partecipare alla sua vita vuol dire partecipare alla vita divina e umana.

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Agli occhi della nostra ragione può apparirec ome una perversione, ma nella luce del mistero della redenzione appare come la cosa più altamente ragionevole. Gesù ha vissuto un'autentica esistenza di uomo terreno, si è interamente sottoposto alla volontà del Padre fino ad attraversare la notte oscura della lontananza da Dio. Per questo anche noi dobbiamo dire come Lui <<Sia fatta la tua volontà>> quando attraversiamo la nostra notte oscura.



Livio Cailotto
 

 
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L'ALTO QUI E' GESU' FIGLIO DEL PADRE DA CUI PROVIENE LUCE E SALVEZZA'

Post n°909 pubblicato il 13 Aprile 2015 da sebregon

 

II SETTIMANA DI PASQUA  - MARTEDÌ

 

 

Gv 3,7b-15


In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

 

 

Gesù sottolinea la difficoltà di dare fiducia e di credere a ciò di cui non abbiamo esperienza. Anzi, fa notare che spesso non crediamo nemmeno a ciò che vediamo o ascoltiamo da fonti dirette e certe. La nostra capacità di affidarci è così limitata, il nostro bisogno di rassicurazione così forte, la nostra insicurezza così elevata, che dare fiducia è davvero un impegno faticoso e difficile, se non doloroso.

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Doloroso perché ci mette in contatto, appunto, con il nostro limite, con la nostra finitudine, con la nostra ignoranza. In realtà ci viene detto che potremmo fare un salto e andare oltre. In qualche modo, cambiare orbita. Tra l’alto, l’immagine di “nascere dall’alto” mi fa venire in mente la “caduta ontica” di cui parla Claudio Naranjo a proposito del fatto che, individui incarnati e separati come siamo, abbiamo perso contatto con l’Essere da cui proveniamo.E il racconto della “caduta” e della uscita dall’Eden ne è una specifica e plastica rappresentazione.

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Nello stesso tempo, le parole di Gesù mi rimandano all’immagine della nascita così come verosimilmente avveniva all’inizio: la madre si accucciava da qualche parte e lasciava che il figlio cadesse giù, verso terra - dall’alto appunto - facilitato dalla forza di gravità, per poi distendersi e prenderselo tra le braccia. Ora che, nella nostra presunta civiltà, il parto avviene in una asettica sala d’ospedale, non viene nemmeno più usata una posa “naturale” e la spinta della madre è molto più faticosa, perché il bimbo nasce spesso dovendo uscire dal basso verso l’alto…

 

Alessandra Callegari

 
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GESU! GRAZIE!

Post n°907 pubblicato il 08 Aprile 2015 da sebregon

OTTAVA DI PASQUA - SABATO

 Mc 16, 9-15


Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch'essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».
La durezza di cuore meriterebbe una bella riflessione ma in questo momento mi urge commentare l'invito del Signore ad andare in tutto il mondo a proclamare il vangelo ad ogni creatura. Questa vocazione missionaria la chiesa l'ha sempre avuta ma nei tempi vicini ai nostri, da più parti, si andava criticando i cristiani per questo loro voler indottrinare altri popoli ed altre culture. Ora la ferocia dell'Isis sia sui cristiani che sugli stessi musulmani ci iuta a capire meglio questo invito di Gesù.
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Egli proprio nel momento della sua dolorosa passione consegna a tutti e non solo ai cristiani il suo insegnamento. E qual è? Per capirlo visualizziamo il momento in cui con lance e bastoni vengono a prenderlo e quando Pietro tira fuori la spada per difenderlo. Gesù lo invita a rimettere nel fodero la spada dicendo che chi di spada colpisce di spada perisce. E perché il messaggio sia più chiaro egli mostra ai suoi nemici di averla davvero la forza per difendersi: "Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: "Chi cercate?". Gli risposero: "Gesù, il Nazareno". Disse loro Gesù: "Sono io!". Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse "Sono io", indietreggiarono e caddero a terra. (Gv 18, 5-6).
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Gesù li fa cadere per terra e questa è una dimostrazione di forza, ma nello stesso tempo non continua ad usarla. Non vuole che qui sulla terra le forze divine siano messe a servizio della ferocia umana. Proprio qui abbiamo la nascita di una civiltà basata non sulla forza ma sul diritto anche se malamente gestito come nel caso di Gesù. Egli mette in campo una forza morale che dà alla nascente chiesa e a tutti coloro che lo seguiranno veramente la forza di non usare la religione per fini politici o di dominio dell'uomo sull'uomo. Ciò che voglio mettere in luce è questo messaggio ricco di significato anche per l'uomo di oggi e cioè che la soluzione dei problemi non sta nell'uso delle armi anche se in caso di legittima difesa non se ne può fare a meno. Da parte cristiana non può esistere oggi qualcuno che in nome di Gesù possa fare una guerra santa contro coloro che non sono suoi discepoli. E non la può fare perché il suo fondatore non l'ha voluta. Questa buona novella, così importante per la convivenza tra i popoli, è assolutamente da portare in giro perché l'uomo non può più sopportare le tragedie che vediamo oggi nei nostri telegiornali in cui i cristiani e gli stessi musulmani vengono uccisi in odio alle loro credenze. Questa parte della buona novella è da testimoniare a tutti gli uomini del mondo ed il raccontarla non è un indottrinare ma un affermare qualcosa che da vita e respiro a tutti e non morte.

La nostra vita e la Parola

Spirito Santo dacci sempre la forza di testimoniare la buona novella ed aiutaci ad essere tanto creativi da far capire con le parole ed i vissuti di oggi quanto sia rivoluzionario il messaggio di Gesù.

Michele Sebregondio

 
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GRAZIE!

Post n°906 pubblicato il 06 Aprile 2015 da sebregon

OTTAVA DI PASQUA  -  MARTEDÌ

 

 

 

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Gv 20, 11-18



In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto. 

 

 

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Gesù è passato da questa vita al Padre: un salto vertiginoso che lo ha sradicato da questo mondo per renderlo di nuovo presente a tutta la creazione come una calamita che attira a sè ogni vivente dandogli, se la vuole, la forza di affrontare la morte e quella di legare nel bene e nella gioia ogni essere nella Sua direzione d’amore: il Padre.

 

 

Michele Sebregondio

 


 
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NEL DOLORE DELLE ATTUALI FERITE ASPETTIAMO DI ATTRAVERSARLE COME HA FATTO GESU'

Post n°905 pubblicato il 03 Aprile 2015 da sebregon

VEGLIA PASQUALE
NELLA NOTTE SANTA



 Mc 16,1-7


 

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.tEntrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».

 

Il sepolcro vuoto, luogo di un assenza che inquieta,  rende il cristianesimo una religione difficile e impopolare. Questo sepolcro vuoto è nella mia mente la chiesa cristiano-siriaca bombardata e distrutta, sfregiata e offesa nei suoi simboli senza il tetto apparsa nei notiziari  di questi giorni. Io come quei giovani siriani sono seduto in mezzo alle macerie della chiesa distrutta e passerò qui la mia pasqua. Sono in questo luogo di assenza perchè hanno distrutto il mio villaggio, hanno deportato le donne e gli indifesi e vivo con loro la sconfitta e il fallimento. Seduto tra le macerie della mia chiesa mi domando da dove vengo e perchè lamia fede possa suscitare tanta ostilità. Mi  chiedo come si compirà per me la trasformazione della morte in vita? Tremo, come arriverà questa svolta? L'assenza del corpo di Gesù nel sepolcro è tragica e inspiegabile come la chiesa siriana distrutta. Ho anch'io un fucile per difendere la mia gente, ma la mia Pasqua vera sarà nella ricostruzione della mia chiesa interiore ed esteriore. La risurrezione non sara per me un risultato ma la ricerca di nuove tracce di vita. Questo passaggio della pasqua morte-vita-risurrezione ci accompagnerà lungo tutta la vita.

 

 

 Livio Cailotto

 

 

 

GIOVEDÌ  DELLA SETTIMANA SANTA  

 Lc 4,16-21

 
In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:“Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzionee mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,a proclamare ai prigionieri la liberazionee ai ciechi la vista;a rimettere in libertà gli oppressie proclamare l’anno di grazia del Signore”.Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

 

Questo brano mi mette in contatto con l’importanza di assecondare, nella nostra vita, la propria “missione”.

In realtà tutti siamo chiamati a “compiere” qualcosa, a manifestare la nostra umanità nell’universo valorizzando i nostri talenti e le nostre risorse. E penso che maturare come essere umani significhi proprio questo: individuare il proprio posto e “diventare quel che siamo già”.Così facendo, la vita professionale - e non solo quella privata - diventa piacevole perché testimonia di noi, perché esprime noi, manifesta chi siamo.Mi rendo conto che non tutti hanno la possibilità di vivere in un contesto che faciliti questo processo e che sono stata molto fortunata nel poter esercitare una professione (anzi due) che ho sempre sentito “mia”, nelle mie corde.  Ma credo anche che sia nostra responsabilità fare di tutto per lavorare su noi stessi e coltivarci, anche in questo senso, compatibilmente con la realtà che ci circonda.

 

 Alessandra Callegari

 

 
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IN ATTESA DELLA TUA VITTORIA SULLA MORTE

Post n°904 pubblicato il 01 Aprile 2015 da sebregon

IN ATTESA DELLA TUA VITTORIA SULLA MORTE

 
 Anche quest’anno ci avviciniamo al tuo dolore
Ma è come riprendere quello continuo
Che ci devasta l’anima
Per le morti assurde di vittime innocenti.
C’è nell’aria la sfida
Per cancellare l’umano dalla storia
Accendendo micce micidiali
Per far deflagare d’un sol colpo
Quanto creduto impuro e senzadio.
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La tua venuta, Signore, non fu per castigarci
Ma per donarci  il tuo perdono
E dirci pure le tue parole  dure
come  ‘razza di vipere’,e ‘sepolcri imbiancati’
ma sempre v’era nei tuoi gesti
la volontà d’allontanare l’ascia dal tronco
per dare tempo al cambiamento
e vedere se l’anno dopo i frutti sarebbero tornati.
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Ora ci troviamo in un mondo crudo
Dove le brutte notizie arrivano senza tregua
Come se fossero frane di massi
Per cancellare alfine ogni speranza.
Chi sta dietro a tanto odio
Vuole spezzare il gusto buono della vita
Mettendoci sull’angolo come dannati schiavi
Da calpestare e gettare in una fossa.
Ci vuole davvero un’infinita demenza
Per credere di cambiare il mondo col tritolo.
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Ora tu, Gesù, vero Signore della storia,
insegnaci a non affidarci solo alle armi
ma ad avere uno sguardo buono verso questa povera gente,
disperata anch’essa e tradita di sicuro,
per cercare di capire come mai preferiscono morire e far morire.
O forse il gioco è diventato per tutti così grande
Che alla fine a niente serve portare avanti il bene quotidiano?
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Forse anche tu ti ponesti il dilemma
se valesse cioè la pena di  esporti a così grande tormento
od abbandonare il mondo al destino dell’assurdo.  
Per te non vi furono parole di conforto
ma scena muta in quel monte degli ulivi.
E non prendesti le armi, né usasti i tuoi poteri,
Chè li avevi perché quando vennero
Ai soldati facesti mordere la polvere
Non per dispregio ma come un segnale per noi
Che dopo  avremmo capito il senso del tuo gesto.
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E così non ti sei sottratto a chi ti voleva morto
Ed hai obbedito fino in fondo al delirio
Di chi credeva d’averti messo a tacere.
Tu però dall’alto della croce,
Legato ai dolori d’ogni tempo,
Ci dici che ciò per cui lottiamo,
Anche se siamo in pochi e quasi inesistenti,
Ha la stessa forza che ti fece risorgere
Perché, grazie a Te, la morte non può vincere
Come le tenebre non possono restare
Quando il sole s’alza all’orizzonte.


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E così sentiamo il bisogno della tua luce
E ci doliamo d’averti messo da parte,
D’aver errato cercando facili supplenze
Che sprofondano in insaziabili vuoti
Dove alberga l’avverso che divora.
Verrà il tempo in cui ci volgeremo a Te
Battendoci il petto per averti tradito come Giuda
Vogliosi più di credere a noi stessi
Che alla tua santa vita, ai profeti, ai santi e saggi d’ogni tempo.

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Verrà il momento in cui non sapendo più dover sbattere la testa
Ci torneranno in mente le tue parole:

 

 "Non mi rivedrete finchè non direte
benedetto colui che viene nel nome del Signore".
 

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Ed allora sarà festa e nuovi cieli e nuova terra. 


 
Michele Sebregondio

 

 
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