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Cliccando http://www.box404.net/nick/index.php?b  si procede ad una originalissima elaborazione del nickname ANCESTRALE di una url. "La Voce di Megaride" ha ottenuto una certificazione ancestrale  a dir poco sconcertante poichè perfettamente in linea con lo spirito della Sirena fondatrice di Napoli che, oggidì, non è più nostalgicamente avvezza alle melodie di un canto ma alla rivendicazione urlata della propria Dignità. "Furious Beauty", Bellezza Furiosa, è il senso animico de La Voce di Megaride, prorompente femminilità di una bellissima entità marina, non umana ma umanizzante, fiera e appassionata come quella divinità delle nostre origini, del nostro mondo sùdico  elementale; il nostro Deva progenitore, figlio della Verità e delle mille benedizioni del Cielo, che noi napoletani abbiamo offeso.
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Rimembranze di bucolica monnezza

Post n°369 pubblicato il 21 Giugno 2007 da vocedimegaride
 

di Marina Salvadore

Via FilangIERI…IERI! A passeggio come un’estranea, una turista, per le antiche vie "chic" del centro. Un’accozzaglia di gioventù in democratica assise: motori, motorini, gagà dal culo basso in bermuda, panze gelatinose e tremule di ragazze, natiche e fianchi abbondanti appena recisi da un filo interdentale visibile oltre la cintura di jeans “a pelo” di pulzelle locali con la “puzza al naso”, molte delle“solite facce” extraurbane, rapite all’archivio di foto segnaletiche della DIA, tecnologicamente provviste di ogni gadget superfluo. Cartolina sporcata della Napoli-bene di una città finto-multietnica ma irriducibilmente razzista, da quartiere a quartiere. Boutiques preziose di merci pregiate a fare da cornice al quadro surreale della “emergenza sociale” che si sposa al sussiego di un'agiatezza di nuovi ricchi che non comunicano ma cliccano e digitano! Comitive non troppo allegre di giovani, dagli occhi spenti. Ritrovi, pubs, friggitorie, bar affollati da greggi di insaccati semoventi e, sovrano su tutto, il miasma irresistibile della monnezza marcescente e apocalittica. Un flash! Mi torna alla mente “don Mario”. Nel mio presepe vivente di bambina napoletana, popolato da “don Ciro il pittore” ovvero l’imbianchino addetto all’annuale refresh primaverile della dimora vomerese, “don Gennaro” il salumiere che vendeva la Nutella sfusa, a peso, impacchettata nella carta oleata, “donna Amalia” prosperosa madonna bruna, dispensatrice di pasta di Gragnano nella carta blu e fiordilatte di Agerola, “don Antonio” il custode severo del condominio, sequestratore di palloni e di gavettoni, “Buttiglione” anche detto “Centobottoni” l’unico meritevole ma deprivato del prefisso “don”, in quanto gigantesco ma inespressivo parroco di insolita stazza. “don Mario” era giovane, forte e scattante. Di pelle olivastra, con riccioli scuri, occhi grandi, vestito color fango. Della sua fisionomia intinta nell’inchiostro blu notte spiccava, bianco quasi cangiante, il sorriso di una bocca larga e carnosa ripiena di chissà quanti candidi denti! Ricordo solo quei denti bianchi e quel sacco color fango che dalle spalle, a tracolla, gli pioveva lungo il profilo ad accarezzare i calcagni. Era una specie di Babbo Natale al contrario: non portava doni a colmare gli esigui spazi delle nostre superaccessoriate dimore, piene di figli, nonni, zii, cani e gatti, piatti, cuccume e bicchieri; lui, portava via da quegli spazi la “fetenzia” dalla quale volevamo prendere celermente le distanze, come da una inqualificabile vergogna, termometro dei nostri sprechi e porcilità domestiche. Don Mario, ogni sera dopo le 22,00, saltava giù dal camion tritatutto della Nettezza Urbana. Sacco in spalla, saliva a piedi per cinque piani più l’ammezzato, olezzante di umidità e spazzatura, per almeno 48 delle scale dei condomini confinanti con il mio. Un atleta! Dall’ultimo piano, per ogni pianerottolo, riversava dai secchi di moderno moplen dell’immondizia posti fuori delle abitazioni dopo le ore 22,00 canoniche, le nostre vergogne dentro il suo sacco. Un secchio per volta. Due secchi per piano. Silenziosamente, anonimo. Bussava il campanello di casa solo in due occasioni: a Pasqua ed a Natale, per fare gli auguri. Mio padre lo invitava a bere un caffè o un bicchierino, gli dava la meritata “regalìa” ed un panettone o una colomba o una bottiglia di spumante. Lui, ringraziava, sorrideva con i suoi tanti denti e, contento, rientrava nel suo anonimato notturno, come un principe dell’aldilà, un fantasma buono. Mi pento di non avergli mai chiesto dove finisse tutta quella “vergogna” della quale veniva a depurare, ogni notte – come un angelo custode – le nostre case, ora che ho preso cognizione e “visione” di emergenze rifiuti e sanitarie. Da bambina, ve lo giuro, non ho mai visto montagne di rifiuti in strada per cui non sono mai stata messa in grado di pormi il problema che, oggi, è un’eccellenza tribale. Meno che mai ho visto, allora, un cassonetto, una “sosta monnezza” accanto ad un palo della luce o ad un angolo sul marciapiedi. Esisteva il problema anche allora, o no? E dove finiva tutta la nostra spazzatura? C’erano già le discariche camorriste?…ed i camion tritatutto da chi erano gestiti, se gli “spazzini” cosiddetti vi lavoravano a bordo come i soldati sul carrarmato dell’esercito? Non v’era festa comandata, rituale, religiosa o civile, che desse a “don Mario” la possibilità di scansarsi il lavoro per una sola notte! Forse, i nostri rifiuti solidi urbani erano diversi, praticamente biodegradabili e convertibili, secondo il ciclo naturale, in fertilizzante per la Campania Felix. Allora, le mucche brucavano l’erba grassa e non facevano indigestione di mangimi secchi a base carnivora. Non c’era la mucca pazza… come non c’erano tutti questi “igienici” packaging di petrolio e plastica, di polistirolo e solventi. Alla frutta, alla verdura, al pesce comprati dall’ambulante bastava un foglio di giornale per sopravvivere fresca fino a casa e... ti tenevi pure informata: i sacchetti di plastica con lo sponsor del supermercato, che paghiamo a peso d’oro per fare la pubblicità alla catena commerciale, non esistevano; infatti, i delfini ed altri cetacei, le tartarughe a mare non morivano in così gran numero per soffocamento. I sacchetti, dove c’erano, erano di carta. Non esistevano in commercio neppure tutti questi detersivi, vere bombe chimiche, con i loro aerospaziali ed ingombranti dispensatori. L’alcool era adatto a tutti gli usi: per la pulizia del corpo e degli ambienti. La pomice altrettanto, come i saponi vegetali di “Marsiglia” che igienizzavano il bucato e rispettavano il ph della pelle. Il sale, l’olio e la cenere avevano mille utilizzi domestici e personali. Il tifo, ogni tanto, se lo beccava solo chi aveva l’insana abitudine di mangiare crudi i frutti di mare raccolti in prossimità delle cloache o dei bacini di raddobbo per barche. A pesca, ovviamente, non si andava nei porti…e neppure al lido “Mappatella”! Di ratti ne ho visti, allora, di blatte anche…ma non in colonie così vaste, come oggi. Allora, vedere un topo era un evento: ti sentivi quasi un eroe, a raccontare dell’incontro. Succedeva quando le “saettelle” delle fogne, solitamente poste come griglie al bordo dei marciapiedi, si riempivano di foglie secche ed altri sedimenti, impedendo alle piogge di defluire. Spesso, si allagavano strade e cortili. Prontamente, però, arrivavano dal Comune gli “specialisti”: sembravano cavalieri senza macchia, muniti di lance lunghe e scintillanti armate di lunghi e spessi spilloni che, infilati a stantuffo nell’ingorgo sedimentario, magicamente liberavano i condotti dalle ostruzioni…e l’acqua riprendeva a defluire ed a sparire nel sottosuolo. Le cantine delle case e certi locali pubblici seminterrati erano imbiancati e igienizzati a calce viva. Nei bar, le tazzine del caffè ed i bicchieri erano pre-lavati con le scorze di limone eppoi detersi. Io, ricordo tutto questo. L’ho visto fare. Non l’ho sognato. Ricordo le mitiche secchiate di acqua e sapone che braccia robuste di popolane lanciavano in strada sulla pietra lavica, per mantenere il decoro del “basso” in quei vicoli che anche d’estate olezzavano solo di ragù, di aglio e olio e di canfora. Il progresso e l’eccesso di “sanità” ci regalarano, poi, un’overdose di imballaggi, di solventi, di detergenti, di cartoni e stoffe sintetiche, di plastica e di lattine…quando ancora noi si raccoglieva, per scopi benefici – in una sorta di preistorica raccolta differenziata – le cartine di stagnola delle tavolette di cioccolato e dei pacchetti di sigarette, a chili…. Quando la lattina della bibita gasata ci serviva, al mare, solo per riporre le telline scovate sotto la sabbia per il sughetto della sera, tenute a bagno nell’acqua di mare, fino a destinazione… quando l’anguria e il bottiglione di vino bianco lo tenevamo in fresco sulla battigia, tra le onde della risacca; a casa, sotto un filo d’acqua ed un blocco di ghiaccio nel lavatoio e non nei frigoriferi. Le batterie-stilo, servivano solo alle radioline, le prime FM, da ascoltare in spiaggia, in giardino, sul balcone, quando gli spazzolini da denti ancora si usavano “a mano” e non come trivelle a motore. Il consumismo, la pigrizia, poi, hanno fatto il resto. Cucina precotta, cibi industriali, conservanti e fertilizzanti chimici, colline di monnezza ad arricchire l’orografia della cartolina di Napoli, dove il Vesuvio era l’unico sovrano delle altitudini oleografiche, immerso nel turchino di un immemore cielo ora grigio, inquinato ed in pieno clima amazzonico, supporto ideale all’opera di putrefazione e marciscenza delle nostre porcilaie. Possibile che, oggi, ci risulti nostalgica la quasi bucolica mondezza di ieri? Eppure, era appena ieri. Non sono ancora una cariatide. Eppure c’ero, ho toccato il progresso. In questo arrogante regresso non ne trovo più tracce. “don Mario” ed i suoi tanti denti bianchi appartengono, forse, alla mitologia? Perché non gli ho chiesto, allora, dove andava a finire quella “vergogna” che ogni notte veniva a raccattare… dove spariva?…Piego il capo, sconfitta, dinanzi a tanta desolazione ed a quello che rimarrà, eterno, il più grande mistero irrisolto della mia napolitudine!

 
 
 
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PREMIO MASANIELLO 2009
Napoletani Protagonisti 
a Marina Salvadore

Motivazione: “Pregate Dio di trovarvi dove si vince, perché chi si trova dove si perde è imputato di infinite cose di cui è inculpabilissimo”… La storia nascosta, ignorata, adulterata, passata sotto silenzio. Quella storia, narrata con competenza, efficienza, la trovate su “La Voce di Megaride” di Marina Salvadore… Marina Salvadore: una voce contro, contro i deboli di pensiero, i mistificatori, i defecatori. Una voce contro l’assenza di valori, la decomposizione, la dissoluzione, la sudditanza, il servilismo. Una voce a favore della Napoli che vale.”…

 

PREMIO INARS CIOCIARIA 2006

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A www.vocedimegaride.it è stato conferito il prestigioso riconoscimento INARS 2006:
a) per la Comunicazione in tema di meridionalismo, a Marina Salvadore;
b) per il documentario "Napoli Capitale" , a Mauro Caiano
immagine                                                   www.inarsciociaria.it 

 

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E' dedicato agli amici del nostro foglio meridionalista questo video, tratto da QUARK - RAI 1, condotto da Piero ed Alberto Angela, che documenta le origini della Nostra Città ed il nome del nostro blog.

 

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I consigli di bellezza
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RITENZIONE IDRICA? - Nella pentola più grande di cui disponete, riempita d'acqua fredda, ponete due grosse cipolle spaccate in quattro ed un bel tralcio d'edera. Ponete sul fuoco e lasciate bollire per 20 minuti. Lasciate intiepidire e riversate l'acqua in un catino capiente per procedere - a piacere - ad un maniluvio o ad un pediluvio per circa 10 minuti. Chi è ipotesa provveda alla sera, prima di coricarsi, al "bagno"; chi soffre di ipertensione potrà trovare ulteriore beneficio nel sottoporsi alla cura, al mattino. E' un rimedio davvero efficace!


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