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Era il timore di Primo Levi, “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo”- Intervista ad Alberto Burgio

Post n°4505 pubblicato il 24 Marzo 2011 da cile54

IL RITORNO DEL RAZZISMO IN EUROPA

In occasione della Giornata mondiale contro il razzismo, che si celebra oggi, proponiamo una intervista con Alberto Burgio, docente di Storia della filosofia alla Università di Bologna, approfittando dell’uscita del suo ultimo libro “Nonostante Auschwitz. Il ritorno del razzismo in Europa” (Derive Approdi).

 

- Perché oggi fa un suo “brutale” ritorno il razzismo in Europa? I Paesi della democrazia liberale, che hanno vissuto l’esperienza della tragedia della Shoah, non erano ormai considerati“immuni”?

 

Non lo siamo. Come ha dimostrato il Novecento con la partecipazione, il coinvolgimento e il “diffuso consenso” di intere parti delle popolazioni nei crimini fascio-nazisti europei. Il razzismo coinvolge persone “comuni”: non occorre essere “mostri” o “criminali” per prendere parte ad azioni mostruose. In questa prospettiva di lunga durata, il razzismo non è una “patologia” rara, ma diffusissima e, anche se patologico, è drammaticamente “normale”: la nostra quotidianità ne è invasa.

 

- La genealogia culturale del razzismo, come dimostra la Sua tesi, ha geneticamente e paradossalmente sede nella “modernità”?

 

Sì, la “modernità” è di per sé contraddittoria, fatta sia da spinte progressiste che da processi regressivi. Da un lato ci sono grandi idee progressiste come libertà, uguaglianza e universalismo, dall’altro la subordinazione capitalista al lavoro – quando non “schiavitù” e “imperialismo”, come nella prima fase del capitalismo stesso. La modernità è la sede di una misconosciuta “guerra civile”, una tensione tra idee moderne e negazione di esse; il razzismo si può allora interpretare come un tentativo di risolvere questo “conflitto”. Ha inoltre ereditato l’antica funzione della teologia che, sotto un altro regime di “verità”, giustificava l’esclusione dei “non cristiani”. Nella modernità, questa esclusione si farà con la scienza. Con un razzismo “scientifico”.

 

- Eppure, il razzismo non sarebbe in primis una negazione dell’altro e dunque una patologia dell’inconscio, una psicopatologia sociale?

 

Certo, il razzismo è ambiguo: da un lato è costruito razionalmente dalle pseudo-scienze della natura (antropologia, scienze biometriche e del corpo), ma dialoga anche con l’inconscio, la rimozione e la famosa “psicologia di massa”. In proposito c’è un colpevole ritardo della riflessione politica, che stenta a fare una sintesi tra vari saperi e discipline, su questi nessi tra antropologia culturale e psicopatologia. E’ urgente guardare alla fabbrica del senso comune, subalterno, “al sottosuolo”, per dirla con Dostoevskij.

 

- La parola razzismo è utilizzata per dire tutto e il suo contrario, dunque. Ce ne dia Lei una definizione semplice, in poche parole, a uso “pedagogico”.

 

Il razzismo è un dispositivo ideologico che, con l’uso del linguaggio, fabbrica categorie, orienta sguardi, in modo da determinare giudizi; interpreta delle differenze o addirittura costruisce delle “gerarchie antropologiche”. Esse servono poi per giustificare e mobilitare masse a sostegno di politiche e pratiche della discriminazione, dell’esclusione, della persecuzione e persino dello sterminio o per governare le società che hanno nel proprio seno questo germe.

 

- Nel suo libro dedica un interessante capitolo, che potrebbe suscitare non poche polemiche, a“Negri e donne”. Quali analogie vede tra sessismo e razzismo?

 

Premettendo che uso “negri” nella lingua razzista per fare risvegliare e rendere consapevoli della sua orribile violenza, sì, esistono profonde analogie tra lo sguardo razzista sul “nero” e lo sguardo sulla donna, considerati entrambi “esseri inferiori”. Sulla base di pseudo identità “naturali”, stereotipi “psico-fisici”, costruiti sul corpo. Il corpo della donna sarebbe specchio di una mente “inferiore”, proprio come faceva in Africa una pseudoscientifica antropologia.

 

- Quale ruolo ha avuto la storia coloniale italiana sulla forma e le caratteristiche del razzismo italiano?

 

L’esperienza coloniale italiana, 60 anni di dominio feroce, non a caso a tutt’oggi completamente “rimossi”, ha inferto un segno profondo, sia come “esperienza della violenza”, che diventa un “precedente”, sia nella nostra “sottocultura”. Sotto sotto, è ancora oggi profondamente radicata in noi europei la presunzione dell’europeo erede di una grande “civiltà”, con uno sguardo agli altri popoli come componenti “inferiori” del mondo vivente.

 

- Proprio come accade nei confronti dei “migranti” di oggi?

 

Sì, e benché ci riteniamo estranei alle pratiche di violenta discriminazione in corso, in realtà siamo coinvolti dalla nostra indifferenza. Lo Stato italiano legifera politiche discriminatorie: non solo il centrodestra, ma anche la sinistra che ha aperto la prima breccia. Abbiamo fallito nel non considerare l’immigrazione come fenomeno di civiltà e occasione di libertà, ma esclusivamente guardandola come “problema”, fonte di “conflitti”, in chiave difensiva e persino aggressiva, senza nemmeno pretendere che quel diritto venisse riconosciuto in sede europea. Accettiamo che i migranti contribuiscano alla nostra vita, non solo economica ma relazionale, tuttavia vogliamo tenerli fuori dalla nostra società. E’ ingiusto.

 

- Perché ha scelto questo titolo per il suo libro:“Nonostante Auschwitz. Il ritorno del razzismo in Europa”? Lei pensa che un evento simile ai campi di sterminio nazisti potrebbe ripetersi oggi?

 

Era il fondato timore di Primo Levi, che riguardo ai lager formulò il famoso assunto “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo”- un monito che noi dobbiamo capire in tutta la sua drammatica portata. Non possiamo consolarci che quella storia specifica della Shoah, appaia del tutto improbabile oggi. Tali eventi possono ripresentarsi sotto forme diverse; sta a noi di cogliere, dietro le differenze, le analogie. Invece oggi viviamo una grave sordità morale: una consapevolezza del tutto insufficiente. Credo, come dice Hans Jonas, che “viviamo sull’orlo dell’abisso”.

Flore Murard-Yovanovitch

22/03/2011

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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