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Dal 1 Luglio non sarà più possibile abortire all’ospedale San Donato, ritenuto fiore all’occhiello della sanità Toscana

Post n°4944 pubblicato il 13 Luglio 2011 da cile54
Foto di cile54

Urgente un’indagine sui medici obiettori nel servizio pubblico

 

“Il Ministero della Salute deve rendere noto qual è il numero esatto di medici obiettori di coscienza nelle Asl e negli ospedali pubblici e chiarire perché non è ancora stata inviata in Parlamento la relazione annuale sull’applicazione della legge 194”. La richiesta arriva dalla senatrice Radicale-Pd Donatella Poretti, che fa riferimento alla vicenda dell’ospedale di Arezzo, dove tutti i medici si sono dichiarati obiettori, con pregiudizio per le donne che devono ricorrere a un’interruzione volontaria di gravidanza.

“Con il collega Marco Perduca – afferma Poretti – abbiamo rivolto un’interrogazione al ministro della Salute segnalando che in alcuni ospedali, come quello di Arezzo, tutti i medici specialisti del reparto ginecologia ostetricia si dichiarano obiettori di coscienza rispetto alla legge 194 sull’interruzione anticipata di gravidanza, rendendo in questo modo indisponibile tale servizio nel Comune. Oltre a questo, per l’anno 2011 risulta ancora da prodursi la relazione annuale al Parlamento sull’applicazione della legge 194, la cui presentazione è secondo i termini di legge effettuata dal Ministro della Salute entro il mese di febbraio. Secondo l’ultima relazione presentata (anno 2010) il tasso di obiettori di coscienza tra i ginecologi italiani impegnati nelle strutture pubbliche è di circa sette ogni dieci. In un tale quadro, se si vuole garantire il servizio prescritto dalla legge 194, le Asl sono costrette a sobbarcare di lavoro i pochi medici ginecologi che non si avvalgono dell’obiezione di coscienza”.

Da qui la richiesta di sapere perché non è ancora stata depositata al Parlamento la relazione annuale sull’applicazione della legge 194, la richiesta di conoscere “il numero per ogni Asl e struttura ospedaliera pubblica dei ginecologi disponibili con la specificazione di quanti di questi si dichiarino obiettori di coscienza” e la richiesta di sapere come si intende garantire la disponibilità di medici non obiettori nei reparti di ginecologia e ostetricia di ogni ospedale.

Erica Rampini,  Presidente U.D.I. Arezzo, aveva dichiarato nei giorni scorsi che “è  inaccettabile e ingiustificabile negare un diritto alle donne aretine. Soprattutto se questo diritto è giunto dopo anni di lotte e di battaglie per l’autodeterminazione femminile. Dal 1 Luglio non sarà più possibile abortire all’ospedale San Donato, da anni ormai ritenuto fiore all’occhiello della sanità Toscana. Questo perché anche l’ultima dottoressa non obiettrice ha dovuto dichiararsi tale, probabilmente per il peso e l’incombenza del lavoro che ormai gravavano solo su di lei. La Legge 194 prevede scelte individuali e responsabilità pubbliche. L’obiezione di coscienza “astensione facoltativa da prestazioni di lavoro” è un diritto della persona ma non della struttura. Al singolo, sia esso un medico, un infermiere, un ausiliario è garantito potersi avvalere della “astensione facoltativa da prestazioni di lavoro” denominata obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha anzi l’obbligo di garantire la erogazione delle prestazioni sanitarie. Credo infatti che la scelta di rinunciare a eseguire questo tipo di intervento debba essere presa all’inizio del proprio percorso professionale e non in itinere. Accolgo positivamente le decisioni prese dall’azienda sanitaria locale, ma credo che sia un primo segnale ma non ancora sufficiente perché difficilmente i ginecologi di San Giovanni Valdarno o del Casentino si sposteranno frequentemente per ricoprire l’assenza di dottori non obiettori al San Donato di Arezzo. Auspichiamo per questo la assunzione di personale non obiettore, e che tale rimanga, al fine di garantire il servizio e il ritorno ad una situazione di normalità per le donne. Non è infatti accettabile che chi deve subire un IVG sia costretta a spostamenti, considerando il momento di grave difficoltà, anche psicologica, che investe queste donne; senza dimenticare, inoltre, che l’operazione deve essere fatta entro 90 giorni e che quindi una diminuzione di sedute operatorie comporta un allungamento delle liste e conseguentemente una dilatazione dei tempi di attesa”.

 

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Roma, 12 maggio 1977

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