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Da San Pietro a Berlusconi Il nuovo libro di Giordano Bruno Guerri

Post n°5291 pubblicato il 03 Ottobre 2011 da cile54

Fatti e misfatti del Vaticano. Ecco l'Italia sotto la Chiesa

 

Una Chiesa iradiddio. La storia d'Italia ripercorsa attraverso la sola chiave della politica vaticanesca dà più di qualche sobbalzo, anche a posteriori. Ma no, non occorre essere anticlericali. Basta andare a vedere i fatti, scorrerli e leggerli così, sic et simpliciter, come sono avvenuti.

E' ciò che appunto fa questo libro di Giordano Bruno Guerri appena in libreria - "Gli italiani sotto la Chiesa", Bompiani, pag. 539, euro 21,50 - : una summa che prende in carico due millenni e che come incipit mette due punti fermi: «Questo saggio non vuole toccare problemi di fede: nessun dogma, nessuna fiducia nel divino verranno messi in discussione». Inoltre, «con "Chiesa" si intende la gerarchia ecclesiastica come si è istituzionalizzata e estrinsecata nei secoli». Insomma, tutta roba che ci riguarda, qui in terra e non in cielo, molto concretamente e non in virtù dello Spirito Santo.

Tutta roba che ci riguarda. Saltiamo tutto il resto, facciamo omaggio ai celebrati 150 anni oggi sulla bocca di tutti e ci fermiamo qui: e la Santa Madre Chiesa - cioè la Chiesa di cui sopra, in forma di gerarchia ecclesiastica - dove stava?

Il primo dato sicuro è che - siamo già nella prima metà dell'Ottocento - lo Stato Pontificio era un postaccio tremendo. Una amministrazione infima («per un intero decennio non venne steso nemmeno il bilancio finanziario»); i moti liberali, 1831, giudicati in blocco «le più dense tenebre dell'orrore»; la ferrovia bollata come strumento diabolico. E al popolo che chiede la Costituzione, 1848, il papa del tempo, Pio IX, risponde col famoso «Non posso, non debbo, non voglio». Né perde tempo nel '49 - quando la Repubblica Romana è caduta e Garibaldi sconfitto, - ad abrogare la Costituzione appena approvata: essa, dice quel Pontefice, «è inconciliabile con la Chiesa, in quanto la libertà di stampa e di associazione sono portatrici di male». Per non parlare del comunismo che è appena nato ma già è bersaglio di violentissimi attacchi, descritto come «un demonio che fa l'apoteosi della prostituzione e dell'assassinio, predica l'abolizione della famiglia e persino l'emancipazione della donna».

I celebrati 150. «Nello stesso giorno in cui il parlamento dava a Vittorio Emanuele II titolo di re d'Italia, il 17 marzo 1861, Pio IX tenne un'allocuzione ai cardinali. Dichiarò una guerra morale allo Stato italiano e a tutta la civiltà moderna, che accoglie nei pubblici uffici gli infedeli, apre ai loro figli le pubbliche scuole e dà libero varco alla miscredenza.

La Chiesa fu «la maggiore forza di opposizione, sul piano internazionale e interno, dello Stato italiano». Una opposizione distruttiva. «La strategia vaticana consisteva nel dimostrare che non poteva funzionare, in Italia, uno Stato sgradito alla Chiesa, e il clero, al grido «né eletti né elettori», nelle prime elezioni unitarie, convinse i fedeli a disertare le urne».

Il papa medesimo diede l'ordine di ripulsa col famoso "Non expedit" (Non conviene): valeva dire "non partecipate" in nessunissima forma allo Stato sacrilego. Secondo Bruno Guerri, «se questo ordine, che durò mezzo secolo, danneggiava la vita civile del paese, fu una vera autocastrazione per i cattolici».

L'enciclica successiva, siamo nel 1864, se la prende con il concetto stesso di democrazia, che «distrugge la giustizia e la ragione»; ragion per cui ad essa viene accluso l'elenco dei «principali errori del nostro tempo», ovverossia il Sillabo, giustamente passato alla storia. Tali principali errori sono ottanta né uno più né uno meno. Per citare: il razionalismo, il naturalismo, il socialismo, il comunismo, le società bibliche, l'antitemporalismo, il separatismo tra Stato e Chiesa, la libertà di stampa, la libertà di opinione, la libertà di coscienza, l'indifferentismo religioso.

Il Sillabo, frutto di tre anni di lavoro di un'apposita commissione di cardinali e teologi supportata da 255 vescovi, «era il tentativo di riportare la Chiesa e l'umanità indietro di due secoli, prima dell'Illuminismo e della Rivoluzione Francese. Il tentativo ovviamente fallì, ma la matrice reazionaria che lo originava continuò a vivere nella Chiesa, come proveranno la violenta lotta contro il modernismo e l'adesione al fascismo» (e non è male ricordare che il Sillabo - ancorché ridicolizzato, anche al tempo, in tutta Europa - è tuttora in vigore, dal momento che la Chiesa non abroga mai niente... ). Comunque, non bastava; e cinque anni dopo, 1869, ecco quel Concilio Vaticano che inventò su due piedi il dogma dell'infallibilità del papa in materia religiosa e morale.

Quel brutto posto della Roma papalina. «I pontefici non furono mai accomodanti con la cittadinanza». Se con una mano porgevano il pane, con l'altra «tenevano la forca, e disponevano di un sistema di polizia feroce e di una censura spietata». Disinteressati ad ogni tipo di sviluppo, con latifondo e campagna praticamente allo sfascio, nobili e curia traevano enormi somme dal pascolo, giovandosi di lavoro in gran parte non retribuito e di una massa contadina abbrutita; e su poco più di duecentomila abitanti, 50 mila sono disoccupti e altrettanti mendicanti. E' un disastro anche l'apparato pubblico. «La nuova capitale non aveva spirito nazionale, tradizione amministrativa e, soprattutto, classe dirigente»: perché tale non si poteva certo definire «la pigra nobiltà papalina, una delle poche aristocrazie europee che da secoli non si batteva per la conquista o la difesa di uno Stato».

Nepotismo a parte (una delle caratteristiche più corruttrici del papato), anche «l'ipertrofia e le abitudini della burocrazia statale affondano le loro radici nella Roma papallina». Già, l'amministrazione pontificia aveva una quantità enorme di impiegati; per forza, «ogni nuovo pontefice doveva sistemare parenti, amici e clienti, senza inimicarsi quelli dei predecessori». Fu chiamato - e continua a chiamarsi - "il generone". Vi ricorda qualcosa? «Nel generone ha avuto origine anche Giulio Andreotti»...

 

Maria R. Calderoni 

02/10/2011

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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