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« Mio papà causa della su...Cossiga non c'è più, An... »

L''entropia informativa della Rete è percepita dai poteri come un insopportabile rumore di fondo

Post n°5300 pubblicato il 04 Ottobre 2011 da cile54

L'autocensura imposta per decreto

 

Nel decreto sulle intercettazioni c'è un articolo che l'attuale compagine governativa considera rilevante tanto quegli altri presentati per limitare il diritto di cronaca. Si tratta del vincolo imposto ai blog di pubblicare una replica ogni volta che una persona citata ne faccia richiesta. Poco interessa se il personaggio in questione si senta denigrato o omaggiato, basta solo che non condivida fino all'ultima lettera e potrà avere tutto lo spazio e la visibilità che il decreto, se passerà, gli garantisce.

 

La pulsione censoria del Cavaliere nero è direttamente proporzionale al numero delle performance, lautamente retribuite alle ospiti, che caratterizzano le serate e le notti nella sua alcova. In fondo si sente un sultano al di sopra della legge e dunque non ha mai tollerato nessun accenno critico rispetto ai suoi comportamenti pubblici e privati, se questi violano appunto la legge. Le intercettazione possono alimentare sentimenti di indignazione o indifferenza; per chi scrive costituiscono un inusuale compendio di una vera e propria autobiografia della nazione scandita in tempo reale in questi anni di declino.

 

Occorre, tuttavia, tornare a quel codice destinato a normalizzare la comunicazione on-line, perché esemplificazione della concezione che l'attuale governo ha della discussione pubblica. Il confronto deve essere scandito secondo le regole televisive del talk show. La possibilità di un diritto di replica è scandito non dalla pertinenza o meno della replica, ma di un contraddittorio che alimenta l'entropia dell'informazione, sempre più trasformata in un rumore di fondo che distoglie l'attenzione dell'utente. Dunque la Rete deve, per decreto, perdere la sua capacità di prevedere una comunicazione da molti a molti e funzionare come i media analogici - radio e televisione - che stabiliscono una produzione e circolazione dell'informazione da uno ai molti in posizione passiva. Infine, verrebbe meno quella dimensione ludica, senza mediazioni che caratterizza la Rete. Il cavaliere nero non ha mai nascosto il fastidio, l'ostilità verso la libertà di espressione. Non può certo negarla, ma sono anni che cerca di limitarla, lavorando, prima come imprenditore, poi come politico-imprenditore, a trasformare la comunicazione in intrattenimento. Da qui la necessità di evitare l'approvazione del decreto.

 

E tuttavia il nodo che la strategia del centrodestra mette a nudo è che l'entropia informativa della Rete già adesso è percepito come un insopportabile rumore di fondo che provoca spesso un rigetto simile a quello provocato dai talk-show televisivi. Rigetto che è diventato inoltre la molla per molte imprese a produrre software che selezionano preventivamente l'informazione secondo le consuetudini e i gusti del singolo utente. In altri termini, il decreto interviene laddove le major di Internet stanno operando per riportare la tranquillità nel ciberspazio. Strategie dettate da motivazioni diverse, ma convergenti nel voler normalizzare la Rete. La libertà di espressione significa che non tutto ciò che viene detto ha valore e che possa essere gradito. E tuttavia libertà di espressione vuol dire una libertà di critica che non può certo seguire regole di un asfittico bon ton, cioè di quel «conversare paludato» che interviene quando sono stati introiettati i limiti imposti proprio all'esercizio della critica.

 

BenOld

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