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Il ricorso al modello animale per la sperimentazione ha, in alcuni casi, ritardato l’applicazione del vaccino per più di 30 anni

Post n°5444 pubblicato il 31 Ottobre 2011 da cile54

Virus e vaccini, ecco cosa c’è da sapere

 

Sperimentazione animale, sulla base del falso presupposto che i vaccini abbiano rappresentato, e rappresentino tuttora, un vantaggio per la salute umana. In realtà, in natura la malattia è un evento raro e storicamente diverse epidemie come ad esempio quella della peste bubbonica sono scomparse senza l’intervento di alcuna vaccinazione, ma grazie al miglioramento di norme igienico-sanitarie o addirittura spontaneamente a seguito del naturale evolversi del rapporto agente patogeno/ospite. Inoltre lo stereotipo della necessità del ricorso al modello animale nasce da false convinzioni storiche come nel caso del vaccino anti-polio il cui merito viene ampiamente attribuito alla sperimentazione animale, mentre esperimenti fuorvianti fatti sulle scimmie ritardarono, in realtà, l’applicazione del vaccino per più di 30 anni. Simon Flexner, che portò avanti gli esperimenti sui primati nel 1911, era a capo dell’Istituto Rockefeller per la Ricerca Medica, e quindi la sua opinione aveva grande peso. Flexner aveva insufflato il virus della polio nei nasi delle scimmie e su questa base aveva concluso che la polio è essenzialmente una malattia del cervello e del midollo spinale.

Ma la via di introduzione per naso condizionava la veicolazione del virus che era diretto prima al cervello, in questo modo quindi lo sperimentatore aveva condizionato, forzandole, le risposte fisiologiche nel senso da lui desiderato. In realtà, da studi su bambini poliomielitici, si scoprì che la polio è essenzialmente una malattia della zona intestinale e che generalmente non tocca il midollo spinale causando paralisi. Una volta che gli scienziati realizzarono che il virus della polio si sviluppava nell’intestino degli esseri umani, conclusero che poteva svilupparsi anche in un tessuto intestinale in provetta. Questa scoperta permise la coltura di un numero di virus sufficiente per la produzione di un vaccino di massa rendendo gli studi per la polio fa ti sulle scimmie del tutto obsoleti. Ma questi studi avevano intanto rinviato di 30 anni il vaccino antipolio.

Per quanto riguarda lo sviluppo, in passato era diffuso l’impiego di animali come “terreni di coltura” per l’ottenimento di vaccini attenuati; oggi questo passaggio viene effettuato in vitro, cosa che garantisce che il vaccino non sia contaminato da eventuali virus o altri agenti dell’animale in cui è stato coltivato e che potrebbero infettare chi riceve il vaccino. Ma gli animali vengono ancora utilizzati nei test preliminari all’immissione in commercio dei vaccini e precisamente nei test di efficacia (potency test), per valutare che il vaccino produca l’effetto voluto e di sicurezza (safety test), questi ultimi del tutto analoghi ai test di tossicità eseguiti su sostanze chimiche. Per eseguire i test di efficacia viene prodotto un “modello animale” della malattia per poter poi verificare la validità del vaccino: questo significa trovare una specie animale in cui è possibile riprodurre la malattia inoculando nel suo organismo l’agente patogeno.

Nel momento in cui l’animale manifesta dei sintomi “simili” alla malattia naturale viene testata l’efficacia del vaccino, inoculando l’agente patogeno dopo la somministrazione del vaccino: se gli animali trattati non manifestano la malattia, il vaccino funziona. La modalità appena descritta presenta diversi punti deboli da un punto di vista scientifico poiché si procede a scatola chiusa, senza conoscere i reali meccanismi della malattia di cui si tenta di riprodurne i sintomi in una specie differente da quella in cui normalmente si manifesta: riprodurre dei sintomi simili non significa affatto aver riprodotto la malattia, la quale può presentare dei meccanismi assai complessi. In definitiva si cerca di curare un fenomeno simile a quello desiderato, per di più su un soggetto appartenente ad una specie differente da quella di interesse; questa bassa predittività dei test animali che costituiscono la fase preclinica, rende il vaccino un potenziale pericolo per l’uomo.

Inoltre, gli effetti collaterali dei vaccini sono riconducibili essenzialmente a due fattori: l’essenza del vaccino stesso, un po’ come il principio attivo di un farmaco, e quelli che potremmo definire i suoi eccipienti. Per quanto riguarda il primo fattore, va ricordato che il vaccino è comunque costituito da un agente patogeno; rispetto al secondo fattore, gli agenti impiegati per ottenere i vaccini sono spesso altamente tossici, a volte potenti cancerogeni, come formaldeide o composti a base di mercurio. Un esempio, il caso del vaccino per il papilloma virus, legato all’insorgenza del tumore all’utero, la cui sperimentazione su animali risultò sicura e che venne commercializzato e somministrato a ragazze soprattutto nella fascia di età adolescenziale. I dati, però, del Sistema di Farmacovigilanza spagnola, hanno evidenziato almeno 120 casi di adolescenti con possibili reazioni avverse al vaccino, dei quali 45 considerate gravi. Sette delle giovani in questione sono state ricoverate, cinque con convulsioni, mentre un terzo del totale ha riportato problemi neurologici come nausea, sincopi o perdita di conoscenza.

Negli Usa, il Washington Time, riporta 20 Stati nei quali si sono verificate reazioni avverse che vanno dalla perdita di coscienza al collasso e il National Vaccine Information Center segnala 5 casi di morte, 51 di invalidità e 1358 ricoveri d’urgenza. L’Emea (European Medicines Agency) ha comunicato che due giovani donne sono morte improvvisamente dopo aver ricevuto la vaccinazione contro il papilloma virus. Una delle morti è avvenuta in Austria e l’altra in Germania. La causa dei decessi non è stata identificata, ma queste due morti fanno seguito al decesso di altre tre ragazze di 12, 19 e 22 anni, avvenute negli Stati Uniti, alcuni giorni dopo la somministrazione del vaccino.

Per questo motivo è stato lanciato nel mondo un appello da parte di oltre 4mila ricercatori spagnoli, di cui il primo firmatario è Alvarez-Dardet, direttore del Journal of Epidemiology and Community Health, per una moratoria delle vaccinazioni contro il papilloma virus, sicurissime negli animali, ma evidentemente non negli esseri umani . Il caso H1N1 Gli ecosistemi alterati e gli allevamenti intensivi diventati gironi infernali straripanti di escrementi in cui soffocano decine di migliaia di animali con sistemi immunitari provati dal caldo e dal letame: sono l’ambiente ideale per la veicolazione, a velocità vertiginosa, di patogeni. Infatti, le condizioni tipiche delle CAFO (Confined animal feeding operations) prevedono il sovraffollamento, soventemente il riutilizzo dell’acqua proveniente dai liquami e la totale assenza di biosicurezza degli impianti; a questo si aggiunge l’uso incondizionato di antibiotici e farmaci stimolanti della crescita che aumentano la possibilità di diffusione di patogeni farmaco-resistenti.

Il 70% degli antibiotici impiegati negli Stati Uniti viene somministrato ad animali sani per contrastare gli effetti della scarsità di igiene e dello stress da stabulazione. I virus convivono con la nostra specie da sempre ma diventano pericolosi nella misura in cui cambiano profilo antigenetico e non vengono riconosciuti dal sistema immunitario, ma soprattutto se acquistano la capacità di innescare una risposta infiammatoria sistemica come nel caso dei virus della spagnola e dell’aviaria. La mortalità del virus H1N1, trasmesso all’uomo da maiali, si è da subito rivelata bassa, intorno all’1 per mille e la sua diffusione del 5% (percentuali più basse rispetto alle normali influenze invernali), dati, oltretutto, sovrastimati vista la sintomatologia con comuni segnali influenzali da non addurre a questo virus.

Nonostante questi dati poco allarmanti, l’Italia ne acquistò 24 milioni di dosi per un contratto con la Novartis da 184,8 milioni di euro, dove l’azienda produttrice declinava ogni responsabilità per eventuali danni da vaccino, fatto messo nero su bianco nel contratto siglato tra il Ministero della Salute e la multinazionale svizzera. Coerente, in merito, la linea scelta dai medici, di cui solo l’8% ha scelto di sottoporsi al vaccino e che ha sollevato il problema della mancanza di dati sull’incidenza di eventuali complicazioni e mortalità. Sulla vicenda grava l’ombra di un pesante conflitto di interessi, infatti, le principali case farmaceutiche (la Roche, la Baxter, Novartis) hanno fatto affari d’oro con questa presunta emergenza.

Michela Kuan

Biologa. Responsabile Lav Vivisezione

28/10/2011

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