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A Roma sono arrivate 100mila persone che chiedono il rispetto dell'esito referendario e lanciano l'"obbedienza civile"

Post n°5589 pubblicato il 27 Novembre 2011 da cile54

Tanti, colorati e determinati: "Rispettate il voto del referendum""

  

Palloncini, striscioni, tanto entusiasmo. Nonostante il movimento per l'acqua pubblica sia tornato ad essere orfano di grandi sponsor, in piazza a Roma sono arrivate migliaia di persone. Che chiedono il rispetto dell'esito referendario e lanciano l'"obbedienza civile".

 

Palloncini che sono gocce di acqua, tantissimi striscioni, una scansione ordinata del corteo: prima di tutto i Comitati che si sono battuti per il refrendum del 12 e 13 giugno che ha visto stravincere i quesiti relativi allo stop dei privati nella gestione dell'acqua e al "profitto garantito" per i gestori, poi tutte le realtà che hanno sostenuto quella battaglia dalle associazioni come Arci, Legambiente, Wwf, i partiti da Rifondazione a Sel, i Cobas e a seguire quella che sarà la prossima emergenza, cioè i rifiuti. Il popolo dell'acqua è tornato a Roma per farsi vedere, di nuovo, in tutta la sua potenza. Una manifestazione che non ha avuto - come già accadde per i referendum - una grande eco mediatica. Ma che evidentemente non ne ha bisogno.

 

Se all'inizio, a piazza della Repubblica, i numeri non sembravano entusiasmanti, via via la manifestazione ha preso corpo fino a far dire agli organizzatori "Siamo in 100 mila". Lo striscione di apertura dà tutto il senso politico della manifestazione: "Per il rispetto dell'esito referendario, per un'uscita alternativa dalla crisi". Questo movimento, che è riuscito a costruire consenso sfidando tutti i luoghi comuni che infarciscono anche il "problema" della crisi economica - ovvero privatizzazioni/liberalizzazioni come unica ricetta, messa all'angolo della gestione pubblica considerata sempre e comunque sbagliata - non si fa spaventare: "Sapevamo che la battaglia sarebbe stata lunga", dicono in molti. La questione è chiara: il referendum di giugno ha portato alle urne più del 50% dei votanti, una cosa che non si vedeva da anni in Italia. Il giorno dopo tutti sono saliti sul carro dei vincitori. Il giorno seguente la questione era archiviata, e il problema più urgente sembrava essere: come fare ad aggirare l'ostacolo? 

 

Così non solo, ad eccezione del Comune di Napoli, nessun altro ente locale ha colto nell'immediato l'occasione per ripubblicizzare l'acqua trasformando anche le Spa a maggioranza pubblica (certo, il referendum non lo impone, ma tutto sta nel coraggio di cogliere il segno politico di un'espressione popolare). Ma dell'obbligo, sancito dal voto, di abbattere quel 7% di "reddito garantito" (la famosa, criptica espressione, del "capitale remunerato") per i gestori, non se ne parla proprio. Come se non bastasse, sull'onda della crisi e col fiato sul collo della Bce (che nella sua lettera all'Italia mette al primo posto le liberalizzazioni dei servizi pubblici) il governo Berlusconi ha varato un pacchetto di privatizzazioni.

 

E il governo Monti? Dalle premesse, è evidente, non è amico dei referendari. Nei fatti ancora non si è espresso, e continua a non esprimersi. Silenzio eloquente. Il Comitato italiano per l'acqua pubblica, però, non arretra e ha chiesto un incontro con il neo premier. Per ora non accordato.

 

La risposta del movimento comunque è già pronta: "contro la crisi e la speculazione, autoriduzione, autoriduzione", uno degli slogan più gettonati della giornata. Partirà infatti nei prossimi giorni la campagna "Obbedienza civile". L'obiettivo è autorganizzare i territori per una riduzione della tariffa pari al 7%, tanto quanto il capitale garantito. Torino partirà a giorni.

Cinzia Gubbini

26.11.2011

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