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« Stato e politica, lavoro...Il "nuovo" governo di tu... »

La storia, le scelte e emozioni di un uomo straordinario, da raccontare come una favola, per respirare speranze concrete

Post n°5595 pubblicato il 28 Novembre 2011 da cile54

Mauricio Rosencof, le leggende di un nonno fuori dal comune

 

Ebreo, comunista, scrittore. Tre sostantivi che il secolo scorso indicavano una figura di intellettuale spesso in fuga da un’Europa antisemita, impegnato politicamente e culturalmente e con una grandissima apertura mentale. Vengono subito in mente nomi come quello di Primo Levi, Elias Canetti, Walter Benjamin, Claude Lanzmann, Leone Ginzburg e tanti altri. Oggi vogliamo invece parlare di Mauricio Rosencof, uruguaiano, classe 1933, appunto letterato, comunista prima ed esponente del movimento guerrigliero Tupamaros poi, detenuto nelle carceri della dittatura (1973-1984) per lunghi tredici anni. E appunto di origine ebraica: il padre Isaac Rozenkof (cognome che poi è stato ispanizzato una volta arrivata la famiglia in Sudamerica) fuggì verso l’Uruguay dalla Polonia nel 1931. Due anni dopo nasceva a Florida, capoluogo del dipartimento omonimo del piccolo stato sudamericano, Mauricio, che in un primo momento si chiamò Marco per un errore di un funzionario anagrafico.

Questi giorni Roseconf, che recentemente ha ricoperto l’incarico di assessore alla cultura presso il comune di Montevideo, è a Roma per presentare una sua opera del 2004, Leyendes del abuelo de la tarde, ora tradotta in italiano dalla casa editrice Nova Delphi con il titolo Le leggende del nonno di tutte le cose (pp. 113, euro 14,00), illustrazioni di Elisabetta Rossini. Dell’autore in Italia sono state già pubblicate Le lettere mai arrivate, editore “Le lettere”, e Memorie dal calabozo, uscito con “Iacobelli”. Tradotta anche in francese, questa raccolta è un libro per bambini, per i più piccoli, un libro che «racconta che i pagliacci sono gli antenati degli hippies e l’origine del colore arancione. Un messaggio ironico  e potente sulla bellezza del mondo vista attraverso gli occhi di un uomo che ha passato 13 anni della sua vita rinchiuso in una cella di isolamento» si legge in una nota dell’editore. «I tre aspetti salienti delle mia vita – dice lo scrittore che incontriamo a Razmataz, un caffè letterario del quartiere Pigneto di Roma dove ha avuto luogo la presentazione del suo libro – l’origine ebraica, la militanza a sinistra e l’essere uno scrittore sono sempre stati molto legati e tenuti insieme da un’unica radice». Quello che è sorprendente è la genesi di questo lavoro che, come ricorda Rosencof, «tiene strettamente unita la militanza politica appunto con la letteratura». In tutti quei lunghi anni Mauricio, Leonel per i suoi compagni guerriglieri, ha vissuto una situazione da incubo. Chiuso come era in un calabozo, una cella di 1,80 metri per 1,20, sarebbe impazzito se non avesse escogitato, insieme ai suoi compagni di prigionia, un sistema per comunicare, «un alfabeto morse reinventado martellando il muro con le mani».

E se non avesse continuato a pensare ai bambini e a sua figlia in particolare. Lui in quel buco non poteva tenere niente, neanche un pezzo di carta e una penna. Una volta al mese veniva a trovarlo la sua piccola Alejandra. L’incontro, come succede spesso in questi casi, è frustrante e struggente nello stesso tempo. Stavano entrambi seduti alle due estremità di un tavolone, lui aveva le mani legate, un brutto impatto per una bambina, ma quest’uomo ingegnoso e dalle mille risorse inventò un espediente per distrarla: le raccontava delle storie, che distraevano così la piccola facendole dimenticare quello che stavano vivendo.

«Ad un certo punto Alejandra arrivò a credere che non avessi le mani e così si pensò di non farla più venire a trovare il padre in quelle condizioni – ricorda Rosencof – ma poi io risposi che con il tempo avrebbe potuto pensare di non avere più un padre. E così inventai un meccanismo grazie al quale la piccola non si sentiva come una figlia che va a trovare il padre in carcere, ma perché questo in realtà le doveva raccontare una storia». E così gli anni passarono in questo modo, raccontando e inventando delle storie che Mauricio riuscì a tenere ben salde nella sua memoria tanto da poterle trascrivere una volta uscito. «Il libro è dedicato alla nipotina – scrive nell’introduzione Diego Sìmini, docente di Letteratura spagnola presso l’Università del Salento – e a tutti i bambini a cui piacciono le favole. Sono storie in cui i piccoli, spesso soli, a volte in pericolo, sono sempre in grado di farcela, di cavarsela, senza i grandi, talvolta anche contro il convenzionalismo dei grandi». Dopo lo scritto di Sìmini ci sono quattordici storie, corredate da altrettante illustrazioni di Elisabetta Rossini, alle quali fa seguito una lunga ed interessante postfazione di Serena Ferraiolo, docente anch’essa di lingua e letterature ispanoamericane all’Università di Salerno, sulla vita di Mauricio Rosencof, o, per meglio dire, sulle sue vite, sui suoi diversi impegni e anche sui suoi differenti nomi. Come già detto, quando nacque l’errore di un impiegato lo trasformò in Marco e ci vollero anni prima che riacquistasse la propria identità. Iscritto in una scuola ebraica di sinistra, la Zhitlovsky, venne trasferito successivamente e dopo la morte dell’amato fratello Leibu nella più chiusa e costrittiva scuola di calle Durazno, dove per via del suo cognome venne chiamato il “Russo”. Poi Leonel, durante il periodo terribile della dittatura e dell’impegno da tupamaro. Furono gli anni della rivolta fallita, dell’arresto avvenuto il 19 maggio 1972, della prigionia, dei colpi delle nocche sulle pareti per comunicare, delle storie raccontate a sua figlia e infine dell’agognata liberazione, avvenuta il 15 marzo 1985, e il ritorno alle origini, a Mauricio appunto. E il momento del desexilio, che, come ricordava il grande scrittore uruguaiano Mario Benedetti, arriva dopo l’exilio, quando il prigioniero liberato si scontra con un mondo completamente cambiato dove tutti i parametri relazionali devono essere reinventati. Lo aiutano a fare questo le storie, quelle storie raccontate a sua figlia, «un ulteriore tramite con il mondo esterno – scrive Serena Ferraiolo – il mezzo attraverso il quale riuscire ad arrivare al proprio popolo». Un vero e proprio grido di libertà che Mauricio Rosencof ha voluto gridare dopo anni di speranze mai sopite.

 

Una favola… “La Barchetta di carta”

di Mauricio Rosencof

Questa è la Leggenda di una Barchetta di Carta. Non di una qualsiasi, ma della prima. Di quella che arrivò sulle coste della Terra nei Tempi dell’Antichità, da dove solitamente provengono le Cose di Prima. Molti credono che la prima barca sia stata fatta con un foglio di quaderno. Altri studiosi di storia navale sostengono che fu costruita con un foglio di diario. Ma nell’Antichità non esistevano librerie, né diari, né quaderni. C’era solo un Mare calmo e verde, prima che il Vento arrivasse, e fiumiciattoli di sabbia dove i piedi nudi dei bambini ridevano, allargando le dita per il solletico provocato dalla sabbia dorata che camminava dolcemente sul dorso dei piedi.

I Bambini allora giocavano con le foglie secche. Le facevano galleggiare pancia all’aria, perché potessero navigare con la pancia rivolta verso il Sole Celeste. Nel frattempo i Vecchi Saggi di Venere costruivano, nella loro Officina di Cristallo, navi d’esplorazione interplanetaria, studiavano le correnti dei Cieli, e lì, in questi fiumi d’aria, lanciarono le prime imbarcazioni di prova: Gusci di Noci, Scatolette di Sardine, Canoe colorate di Plastica (di quelle che si gonfiano) e altri modelli ancora.

Finché una mattina di Vertedì (ottavo giorno della settimana di Venere, la settimana sul pianeta Venere è composta da otto giorni), lanciarono in aria un curioso proiettile senza equipaggio.

Quella nave spaziale aveva la forma di un trapezio isoscele, con il lato più lungo in corrispondenza del ponte e quello più corto in corrispondenza della chiglia. Un triangolo, sormontato da una bandierina cremisi rivolta verso l’alto, completava la struttura. Nessuna nave spaziale ebbe mai costruzione più semplice e linee più armoniose.

Grazie alla sua leggerezza, le correnti interstellari non ebbero difficoltà a trasportarla ed era bello ammirare la sua andatura solenne, mentre schivava Stelle e circumnavigava Lune. Fece molta attenzione a non avvicinarsi troppo al Sole Giallo, questo sì, perché essendo fatta di carta, poteva bruciarsi con il calore della stella accesa.

Stelle, Pianeti, Nazioni e Nebulose videro passare con indifferenza la nave spaziale “Barchetta di Carta”, e ciò la intristì molto. Si ripiegò su se stessa, abbassò la bandiera e continuò ad andare con la prua bassa, solcando freddi Mari vuoti.

Finché una sera avvistò uno strano Pianeta Rosso intessuto di piccole arterie gialle. Le tornò alla mente che era fino a questo Pianeta che, un giorno, da Venere, la Barca del Vento aveva condotto un equipaggio di Soffioni dell’Aria. E si diresse verso i porti della Terra.

Fu così che arrivò a una di quelle arterie dorate, che risultarono essere i timidi torrenti di sabbia dorata: quando vide i Bambini giocare con le foglie secche, atterrò, dopo aver ricomposto la sua bandiera cremisi e alzato la prua.

I Bambini lasciarono le foglie e circondarono la Barchetta come fosse una piccola e fragile Divinità. E fu a partire da quel Giorno della Remota Antichità che gli esseri umani conobbero la Barchetta di Carta di Venere.

Da allora Bambini e Adulti costruiscono barchette a sua immagine e somiglianza, forgiando così quell’intrepido spirito d’avventura che ha sempre spinto l’Uomo a intraprendere importanti imprese a bordo di Sorrisi Galleggianti, Caravelle di Colombo, Navi Stellari, Tappeti Magici, Battiti di Cuore, Razzi Spaziali, Stelle Altezzose, Barchette di Carta.

 

Vittorio Bonanni

27/11/2011

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Roma, 12 maggio 1977

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