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Né il cibo né gli imperativi estetici sono le vere cause di quei disturbi che vanno dalla anoressia alla bulimia

Post n°6388 pubblicato il 19 Maggio 2012 da cile54

Tra la fame compulsiva e l'astinenza dal cibo, il dolore mentale proiettato sul corpo nemico

Quella che Alain Ehrenberg ha chiamato la fatica di essere se stessi conosce spesso derive patologiche i cui rapporti con la società sono al tempo stesso conseguenti e paradossali: non è in concomitanza con deprimenti difficoltà materiali, o spaventevoli esposizioni a violenze belliche, infatti, che la depressione conosce il suo «successo sociologico», bensì nel capitalismo avanzato, dove a fronte di un mercato opulento e esigente nei confronti della flessibilità dei singoli, la sofferenza psichica prende la forma di una malattia della responsabilità; e non è in tempi di miseria alimentare e di disinvestimento sul cibo che i disturbi della alimentazione si diffondono, bensì in questa golosa contingenza storica, che almeno nel mondo occidentale si contraddistingue per sovrabbondanti offerte di nutrimento.

 

Il primo caso di anoressia mentale testimoniato dalla letteratura medica risale al 1686, quando Richard Norton descrive dettagliatamente il rifiuto del cibo di una giovane donna, che finisce con il rasentare la morte per fame; prima e dopo che la malattia trovi una sua classificazione nosografica, varie manifestazioni isteriche la anticiperanno senza che la letteratura ne registri l'evidenza, tranne in casi sporadici tra i quali quello di Nadia, la donna descritta da Pierre Janet come ossessionata dalla vergogna del suo corpo. Ma a partire dagli ultimi decenni, sono diventate decine di milioni le persone che ogni anno nel mondo si ammalano di disturbi del comportamento alimentare: le stime parlano di una ragazza su dieci compresa in una età tra i dodici e i venticinque anni, mentre i maschi sono circa nove volte meno, anche loro sempre più frequentemente vittime degli imperativi distorti che lo specchio impone alla percezione di sé.

 

Certo, le patologie legate all'assunzione di cibo sono culture bounded, ossia legate alle specificità di determinate culture, eppure la loro diffusione è così alta da configurarle come la prima causa di morte per malattie psichiatriche. I sintomi si comportano, per di più, con la insidiosità tipica dei virus mutanti, esibendo una veloce capacità di adattamento alle esigenze psichiche che si alternano in una stessa persona, tanto che nel cinquanta per cento dei casi l'arco patologico di uno stesso individuo passa dalla anoressia alla bulimia, i due estremi di una sofferenza mentale ormai sventagliata in un continuum fenomenologico lungo il quale si manifestano un numero insospettabile di varianti del rapporto malato con il proprio corpo.

 

Mai come nell'epoca che stiamo vivendo, del resto, i nostri confini fisici sono al tempo stesso luoghi identari e spazi in cui perdersi, ma né il cibo né i dettami dell'estetica dominante sono i veri responsabili dei disturbi alimentari, le cui ragioni vanno ricercate in malesseri relazionali profondi e precocemente interiorizzati. Più volte Laura Dalla Ragione ha insistito su questa evidenza nei libri che riportano la sua passione conoscitiva, maturata a fronte delle patologie che investono il comportamento alimentare, una esperienza contenuta inizialmente nella cornice di Palazzo Francisci a Todi, quanto di più lontano da un ospedale si possa immaginare, e poi estesa in diversi lughi che hanno richiesto la sua consulenza, tra cui il Centro Dai di Città della Pieve. L'ultima tappa di questa militanza in favore di una indagine e di una cura amorevolmente indirizzate verso persone perlopiù giovanissime, afflitte da quall'ampia parabola di disturbi cha vanno dalla anoressia alla bulimia, Laura Dalla Ragione l'ha trascritta insieme a Sabrina Mencarelli in un libro titolato L'inganno dello specchio (con un contributo di Bruno de Franceschi e una prefazione di Gustavo Pietropolli Charmet, Franco Angeli, pp. 234 euro 31). Sono pagine informate, non a caso, dalla lezione di molti filosofi dediti all'indagine della mente, e idealmente poste sotto il segno di Foucault, il cui progetto dichiarato era costruire una genealogia del sé moderno e indagarne l'ermeneutica, avendo a cuore l'analisi delle tecniche che permettono di determinare la condotta degli individui. In sintonia con questa lezione, ma soprattutto guidate dalla ricerca del senso che si nasconde nella sofferenza mentale dei singoli, Laura Dalla Ragione e Sabrina Mencarelli hanno raccontato come nei luoghi di cura dove mettono a frutto la loro esperienza ciascuna persona riceva un ascolto mirato alla sua storia: una storia che per vie diverse arriva a approdi compresi tra l'estremo della fame compulsiva e quello della astinenza, ritagliandosi un percorso attraverso il quale rendere visibile, sebben mascherato, il proprio dolore nascosto. Se un minimo comune denominatore c'è, tra tante manifestazioni diverse di un comportamento alimentare disturbato, esso è individuabile nella interiorizzazione di una immagina corporea vissuta come nemica, registrata in modo impietoso, sempre distorta, sempre dolorosamente lontana da quanto lo specchio riflette sulla nostra retina: una immagine che vede rotondità inaccettabili dove ci sono solo sporgenze di ossa, che si ritrae come di fronte a un mostro in presenza di fattezze più che apprezzabili, e vede muscoli maschili gonfiati da esercizi estenuanti come sacchetti flosci e cadenti: sono immagini che hanno la potenza di una allucinazione delirante, con le quali la ragione non viene a patti, e che bisognerà imparare a guardare con altri occhi, occhi allenati a sospendere il giudizio prima, e finalmente a mediare con il dolore interno da cui la distorsione percettiva trae alimento. La scommessa alla quale lavorano Laura Dalla Ragione, Sabrina Mencarelli e tutta le équipe in forza a Todi e a Città della Pieve è quella di guidare le persone che hanno stretto con loro una alleanza terapeutica a ricalibrare la percezione della propria soggettività, vincendo le tentazioni autolesionistiche tramite la conquista di un senso della propria sofferenza più capace di concedersi al pensiero: prima che l'azione compulsiva sul corpo metta a tacere, soddisfandole in modo parossistico, tutte le proprie disperate necessità di trovare asilo in una identità riconoscibile. Una identità che spesso si fa coincidere con la malattia, come se definirsi una anoressica, o una bulimica fosse comunque più rassicurante e persino più appagante che non sapere cosa dire di sé.

 

Nicole Martina

18/4/2012 www.ilmanifesto.it

 

 

 
 
 
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