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A Roma, LIBERiamoci, rassegna editoria indipendente. La sala di un ospedale raccontata dallo sguardo di un desaparecido

Post n°7535 pubblicato il 21 Marzo 2013 da cile54

Sala 8

sabato 23 marzo ore 18.45  presso LIBERiamoci - Rassegna dell'editoria indipendente

La sala di un ospedale è vista e raccontata attraverso lo sguardo sconcertato di un desaparecido, che è stato nella Sala 8 prima di venire trasportato via e fatto sparire. I personaggi che giacciono sui letti sono creature distrutte ma non vinte, tratteggiate con commovente tenerezza. Sala 8 è una storia dove la morte è una presenza costante ma non viene mai nominata. Il dialogo con il passato, la ricerca disperata della verità e l’umanità sconsolata di chi non ha voluto arrendersi agli orrori della dittatura militare vengono raccontati dall’autore con ironia e affetto. Sala 8 è stato presentato al Museo della Memoria Haroldo Conti di Buenos Aires.

“Sala 8 è un delicato omaggio ai desaparecidos, reso nella consapevolezza dell’orrore inarrivabile a cui furono sottoposte centinaia di migliaia di persone sotto le dittature latinoamericane degli anni ’70 e ’80 e un ricordo dei compagni di sventura con cui Rosencof ha condiviso la sua permanenza nell’ospedale militare di Montevideo.”

l'incipit

Da quando non sono più lì ho l’abitudine di gironzolare nella Sala 8. Rivedo vecchie conoscenze, timorose per la loro salute perché, terminato questo trattamento, torneremo a quell’altro e tutto comincerà di nuovo. Altre nubi sono sospese con altri inquilini. Che cosa ne è stato di coloro che fino a ieri occupavano la Sala?

Poi scivolo via, esco. Ritorno nella penombra. La penombra è quasi riposante. Non raggiunge mai la pienezza dell’oscurità assoluta. È rilassante, perché lì non si attende l’alba che timidamente illumina il mondo dei vivi.

In questo mondo non ci sono suoni. Solo il lieve sussurro di voci non udibili.

Che mondo è questo?

Per i greci era un dovere ineludibile seppellire i defunti perché le anime di coloro che non avevano avuto sepoltura né altro rito funebre erano condannate a vagare per l’eternità. Chissà, forse i greci avevano ragione!

Eccoci, dunque, nell’Ade. Un luogo profondo, sconfinato, tenebroso e senza sole. Da un momento all’altro m’imbatterò in un fiume: neppure gli uccelli morti, nemmeno loro, potevano raggiungere l’altra sponda volando. E quel traghettatore del Volga, come si chiamava? Ah, Caronte! Ti trasportava in barca e dovevi pagare anche il biglietto. Ne hai fatti di soldi, Caronte! E così arrivavi dall’altra parte. Quand’è il mio turno?

Se ti eri comportato bene, andavi a finire nei Campi Elisi dove ti attendeva – mi attende – una vita felice. Ma non è chiaro che cosa si deve fare per essere felici. Se, invece, avevi avuto una vita balorda, eri condannato a vagare senza meta, senza corpo, trasformato in un’ombra che si disperde come fumo al minimo contatto. Poche ciance, quindi. In guardia!

***

Cominciai a rendermi conto di dove mi trovavo quando mi tolsero il cappuccio. Qualcuno chiese: “Dove lo depositiamo?”

Era una voce dura, disciplinata, tagliente.

Chiedeva dando ordini.

Un’altra voce, più neutra, oserei dire quasi affettuosa, rispose: “Questo va al 17”, facendo un gesto esplicativo per indicare la direzione.

Si recarono fin lì con il sacco e lo svuotarono.

I miei occhi furono abbacinati da tanto biancore. Tutto era soave. Le nuvole piatte, sospese: qualcuna senza occupanti, altre, molte, con penitenti (presumo che lo fossero), adagiati su quel terso candore alieno al mondo terrestre. In realtà, niente apparteneva o sembrava appartenere a questa terra.

L’entità che aveva pronunciato la frase “questo va al 17” poteva essere un arcangelo, perché comandava, dava ordini, maneggiava oggetti brillanti. Chiese a coloro che mi trasportavano: “Che cos’ha?”

E una voce dura, disciplinata, tagliente rispose con tono distaccato: “Questo Pan di Dio è ridotto in briciole.”

Non sembrava una diagnosi favorevole. Aveva usato l’espressione “Pan di Dio” come sinonimo di poveraccio: “Questo poveraccio è ridotto in briciole.”

L’arcangelo della frase “questo va al 17” annotò sulla cartella clinica “in osservazione”, consegnando la biro alla voce che mi guardava dall’alto in basso e che sussurrò: “A me sembra proprio da buttar via”, mentre firmava e, voltando le spalle, si allontanava in direzione dell’inferriata bianca (qui tutto è bianco), dove un terzo personaggio faceva scorrere la spranga e dava due o tre mandate con una chiave grossa, massiccia, che sembrava provenire dal Medio Evo.

Da lì uscirono, diretti sicuramente verso la Terra.

Questo Paradiso non era per loro. Qui c’era persino un angelo o, forse, un’angela vestita di bianco e con una cuffietta inamidata che si muoveva, quasi galleggiando, su zoccoli bianchi che non facevano rumore.

Quando l’inferriata si chiuse, gli esseri tranquilli che abitavano quelle nubi terse, compatte, sospese, cominciarono a dare qualche piccolo segno di vita. Ogni movimento avveniva in silenzio, finché una voce flebile sussurrò: “acquaaa”.

***

Qui. Sono stato qui, ma non ci sono più. Sissignore. Qui.

Voglio dire – Lei mi capisce? – che sono stato qui. E ora mi ascolti bene: sono stato qui, e sono qui. Mi ha capito? Sono qui, ma non mi si vede. E io, di qui, so tutto. Vedo tutto. Mi annoio persino. Da molto tempo vedo e osservo. Conosco tutti, quelli che arrivano e vengono portati via, e quelli che arrivano e ci rimangono secchi. Tutti.

Mia madre viene in continuazione a chiedere di me ma non le danno notizie. Le dicono che non sono qui, che non ci sono mai stato. Si rende conto? So che alcune madri hanno avuto indietro i corpi dei loro figli. Con me non funziona. Non so perché.

Sala 8, di Mauricio Rosencof

Pagine:128  Prezzo: Euro 12,00

Isabella Borghese

20/3/2013 www.controlacrisi.org

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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