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Milioni di anziani se la cavano come possono e se non ce la fanno più finiscono all’ospizio o al cimitero prematuramente

Post n°7695 pubblicato il 30 Aprile 2013 da cile54

Crisi e universo della fragilità socio-sanitaria

La crisi economica che stringe in una morsa il nostro paese, aggravata com’è dalle concomitanti crisi politica, istituzionale e democratica incastrate a costituire un unicum pernicioso che ci distingue, in senso negativo, dalla maggior parte dei paesi europei, non colpisce evidentemente tutti allo stesso modo. Molto si è parlato, e giustamente, dei danni subiti dalle giovani generazioni che appaiono piegate sotto il peso della disoccupazione, del precariato, della frattura stessa di ogni prospettiva di futuro. Pochissimo si è parlato, invece, di come e di quanto la crisi colpisce quell’universo della fragilità che in larga misura coincide con la terza età. Quando parliamo di terza età fragile, evidentemente, non vogliamo indicare una realtà puramente generazionale ma piuttosto di una dimensione fortemente connotata in termini di classe. Se c’è una cosa che caratterizza il nostro tempo, infatti, è la divaricazione delle opportunità in relazione alla disponibilità economica e all’appartenenza sociale, senza escludere il ruolo decisivo svolto dalla funzione di supporto della famiglia.

Il progresso tecnoscientifico, medico e non solo, ha messo, infatti, a disposizione di coloro i quali abbiano disponibilità economiche e sostegno familiare mezzi estremamente efficaci per rallentare, minimizzare o addirittura annullare i danni abituali della vecchia. Oggi più che mai risulta falsificata la frase che Terenzio fa dire all’attore di una sua commedia:”Senectus ipsa morbus est” (la vecchiaia è essa stessa una malattia). Non è più così. Oggi può capitare che il presidente della Repubblica neoeletto abbia 88 anni (mettiamo da parte il giudizio politico sulla sua elezione) e pressoché nessuno balzi sulla sedia.

Ma a parte questi illustri casi pubblici è comune la constatazione dell’efficienza funzionale pressoché assoluta di persone che nonostante l’età avanzata continuano a godere di buona salute e di totale autonomia. La stessa cosa purtroppo non può dirsi per chi non abbia disponibilità economiche sufficienti e non goda del sostegno di una famiglia solidale. E allora può capitare che un sessantacinquenne malandato e solo possa versare in condizioni sociosanitarie paurosamente peggiori di un ottantacinquenne in grado di seguire uno stile di vita adeguato e di sottoporsi alle giuste cure. Insomma si è venuta configurando una discriminazione di classe che esibisce, oggi più che mai, un suo cotè biologico e fisiologico.

Sta meglio e vive di più chi ha più soldi. Gli altri se la cavano come possono e quando non ce la fanno più finiscono all’ospizio o al cimitero prematuramente, il tutto fra infinite e odiose sofferenze. Il nostro stato sociale avrebbe proprio lo scopo (sancito dalla Costituzione) di sfumare queste differenze assicurando cure, assistenza e sostegno a chi non può comprarsele. E qui subentra la crisi economica e l’insieme delle misure di macelleria sociale attivate utilizzandola come alibi. Il combinato disposto di questi due fattori produce quello a cui stiamo assistendo in questi anni e cioè lo sfascio del nostro Welfare e il viraggio verso forme di assistenza sempre più prossime alla privatizzazione. Tradotto: sempre più povertà e sempre meno assistenza pubblica.

Non c’è bisogno di molte cifre per supportare queste affermazioni. Basti pensare ai recentissimi dati Istat che denunciano come poco meno di un pensionato su due abbia una pensione inferiore ai mille euro (il 13,3 % inferiore a 500 euro). O a quelli del Censis che dichiarano che lo scorso anno le persone che sono state costrette a rinunciare alle cure a causa del loro costo superano i nove milioni e mezzo. E’ con la consapevolezza di questa situazione che, dopo aver passato la mia vita professionale calcando le corsie ospedaliere e facendo il direttore sanitario di una struttura complessa, ho deciso con l’aiuto prezioso di Vittorio Bonanni, di realizzare un libro di inchiesta, riflessione e denuncia sulla condizione di abbandono, emarginazione e morte che coinvolge milioni di vecchi.

Le conclusioni di questo lavoro in cui l’esperienza personale si è produttivamente mischiata alla raccolta di dati numerici inequivoci e alla testimonianza di qualificatissimi esperti del settore, sono raccapriccianti. E’ questo che mi ha indotto a intitolare il libro “La strage degli innocenti. Terza età: anatomia di un omicidio sociale” (Ediesse). La insopportabile contraddizione che esiste fra la pubblica indifferenza di fronte a questo scempio e la retorica dei tanti movimenti pro-life che si scatenano contro l’aborto, la contraccezione, la fecondazione artificiale, l’idea stessa di una morte assistita volontaria è uno degli aspetti sconcertanti e disgustosi di questa vicenda che ho voluto mettere in evidenza.

Mi sono chiesto come mai gli squadroni dei militanti per la vita non abbiano mai denunciato le condizioni per lo più miserrime in cui versano i 300.000 mila ricoverati in RSA (residenze sanitarie assistenziali) nel nostro paese. Naturalmente la situazione relativa a questo settore risente dell’estrema variabilità degli standard assistenziali nelle varie regioni del nostro paese ma in generale, posso assicurarvi che essa è gravissima, come documentiamo ampiamente nel libro. Basti citare i tristi primati negativi che abbiamo rispetto agli altri paesi europei per quanto concerne l’incidenza di piaghe da decubito, l’utilizzo dei mezzi di contenzione, la depressione ecc. Ebbene a fronte di queste nefandezze, come mai nessuno ha lanciato una campagna di denuncia capace di mettere in evidenza lo scandalo di questa situazione? Forse che un anziano fragile è meno portatore di vita di una cellula germinale o di un embrione? Evidentemente sì, se è vero come è vero che nessuno si occupa di questi temi, meno che meno i fondamentalisti pro-life.

Ho voluto quindi occuparmene io, mettendo a disposizione la mia competenza e la mia diretta esperienza ma incrociandola, con l’aiuto di un ottimo giornalista come Bonanni, anche con quella di figure di indubbia autorevolezza. Da Margherita Hack, a Umberto Galimberti, a Ignazio Marino, a Carla Cantone e a tanti altri ancora.

Il libro, nell’insieme, è uno strumento di informazione rivolto a tutti ma soprattutto, speriamo, di stimolo a coloro i quali (medici, infermieri, assistenti sociali ma anche amministratori locali) si trovano ad aver a che fare con problemi di natura socio-sanitaria che riguardano la terza età. Riteniamo che molto scarsa su questi temi sia la disponibilità di informazioni adeguate. A meno che non si abbia in famiglia un paziente anziano disabile, allora si potrà misurare di persona la portata di quello che veniamo dicendo. Anzi ci appare incomprensibile come la questione, visto il numero di persone coinvolte direttamente o indirettamente (non meno di quindici milioni di persone in Italia) non abbia assunto caratteri di bruciante attualità. Il libro tende, tra l’altro, proprio a scandagliare le ragioni di questo assordante silenzio.

Un silenzio tanto più incomprensibile se si pensa che è ormai acquisizione consolidata, nella società scientifica geriatrica e in chiunque abbia esperienza del settore, la convinzione che ritrova nell’ insieme delle cure domiciliari integrate (ADI) la soluzione più consona per le più gravi invalidità. A fronte di ciò appare stupefacente che si spendano ogni anno 18 miliardi per l’assistenza residenziale ad anziani fragili che vengono praticamente internati dopo essere stati strappati al proprio domicilio e alle proprie abitudini.

Non tutti, evidentemente, ma molti di essi potrebbero essere curati a domicilio con risultati molto migliori, una spesa inferiore di circa il 50% e un risparmio, quindi, di ben 9 miliardi l’anno per le casse dello Stato. Questo non accade e nessuno ne parla. Sono convinto che la ragione di ciò risiede nel monumentale business che ruota attorno alla loro istituzionalizzazione. Se volete saperne di più, leggete il libro. Vi assicuro che resterete di stucco.

Un’ultima notazione. La spesa sanitaria nazionale complessiva si aggira in Italia attorno ai 110 miliardi di euro. Potete quindi avere un’idea intuitiva dei miliardi che girano attorno al problema sanitario del nostro tempo, che è per l’appunto quello della cronicità, solo pensando che più del 15% di questa cifra si spende per il solo mantenimento delle Rsa. Ce n’è abbastanza non solo per scagliarsi contro la strage degli innocenti, che è una vergogna, ma anche contro una sanità aziendalizzata fatta apposta per non curare i deboli, sprecare i soldi e favorire la corruzione. Rifondarla e razionalizzarla nell’interesse generale è compito di tutti coloro che ritengono la salute pubblica il primo e più importante dei beni comuni.

Roberto Gramiccia

28/04/2013 www.liberazione.it

 
 
 
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Giorgiana Masi

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