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Civiltà vs razzismo. Questa sentenza apre un varco allo sterile dibattito politico fermo a norme rigide, vecchie, innaturali.

Post n°7793 pubblicato il 24 Maggio 2013 da cile54

Ius soli, una sentenza del tribunale di Lecce ribalta il dibattito

Borghezio ora vuole invitarla a cena. Non si sa come replicherà il ministro Kyenge ma, nel pieno delle polemiche, arriva una notizia da Lecce che rovescia le carte sul tavolo. Si tratta di una sentenza pronunciata dal tribunale e che si esprime su un principio tanto naturale quanto controverso (solo per l'attuale politica italiana, ndr): lo ius soli e il diritto di cittadinanza.

Da Lecce i giudici parlano chiaro: è cittadino italiano non solo lo straniero che, al momento della nascita, è stato iscritto all’anagrafe e possedeva il permesso di soggiorno, ma anche chi, semplicemente, aveva i requisiti di fatto per ottenere sia iscrizione che titolo, sebbene nessuno si sia attivato per richiederli.

Una sintesi efficace che ribalta ogni discussione su una legge fortemente appoggiata da Kyenge e che ha sollevato i più rabbiosi istinti razzisti di destra. La decisione assunta dalla Seconda sezione civile del Tribunale, provvedimento depositato l’11 marzo scorso, ma reso noto solo ora, porta in calce la firma del giudice relatore Adele Ferraro. Il principio che esprime è lapalissiano: “Se gli affidatari del minore non hanno effettuato le dovute richieste, l’interessato non ha, per motivi legati all’età, alcuna responsabilità per fatti od omissioni altrui”.

Dunque, secondo i magistrati pugliesi, hanno il pieno diritto di essere riconosciuti come cittadini italiani tutti coloro che sono nati in Italia e che abbiano soggiornato sul territorio nazionale fino al raggiungimento della maggiore età. Anche se non sono stati iscritti all'anagrafe. Anche se sono sprovvisti di titolo di soggiorno sin dalla nascita. Ed il motivo è semplice, essendo minori non possono essere penalizzati per sbagli - appunto - ed omissioni altrui.

Il primo a darne notizia è il Fatto quotidiano, a cui va il merito di aver raccontato anche l'origine della storia di questa dirimente decisione giudiziaria.

Tutto nasce da un dibattimento giudiziario tra A.M., difeso dall’avvocato Monica Colella, e il Comune di Lecce. Questo intendeva rifiutare ad A.M. la cittadinanza. Il ragazzo è nato nel 1993 in un paesino del Salento. E’ figlio naturale di una cittadina delle Filippine e di padre non noto.Quando è nato, la madre era ancora irregolare in Italia. Nonostante questo, ha dichiarato la nascita del bambino, che, dopo appena due mesi, viste le gravi condizioni di indigenza, è stato affidato ad un istituto. Nel ’94, A.M. è stato adottato da una famiglia italiana, ha frequentato le scuole dell’obbligo fino al diploma, si è sottoposto alle vaccinazioni obbligatorie e ha conseguito un permesso di soggiorno autonomo, la tessera sanitaria e la carta di identità rilasciata dal Comune di Lecce.

Nel 2005, la madre naturale è riuscita a regolarizzare la propria posizione ottenendo un permesso di soggiorno, sul quale è stato annotato pure il figlio.

Nel 2011, al compimento del diciottesimo anno di età, lo spartiacque per ogni straniero nato in Italia, A.M. ha chiesto il riconoscimento della cittadinanza.

Si è trovato subito contro il rifiuto dell’Ufficiale dello Stato Civile del Comune, “in quanto, al momento della sua nascita, nessuno dei suoi genitori era residente sul territorio della Repubblica, requisito essenziale previsto dalla Circolare del Ministero dell’Interno n. 22 del 7 novembre 2007 Prot. K 64.2/13″. Insomma questa dichiarazione dimostra tutto il razzismo di un Paese che, nonostante debba essere il luogo dell'accoglienza, si dimostra semplicemente incivile su alcuni punti nodali decisivi e su alcuni diritti che dovrebbero essere universalmente riconosciuti. Insomma, pur essendo A.M. nato e cresciuto in Salento, di lingua italiana, con parenti ed amici italiani, gli era negato il permesso di essere riconosciuto cittadino italiano. Avrebbe dovuto richiedere un permesso altrimenti, in soldoni, sarebbe stato dichiarato irregolare e avrebbe anche potuto correre il rischio di essere espatriato nelle Filippine. Il paradosso qui descritto è lo stesso che riguarda la situazione di almeno 600 mila bimbi nati in Italia e registrati all'anagrafe come stranieri. Che, in pratica, vengono tutelati, è vero, ma solo fino alla maggiore età. Dopo sopraggiunge la legge - incivile - che fa automaticamente decadere ogni diritto e si diventa improvvisamente irregolari nel proprio Paese. E' questo il destino che sarebbe toccato anche ad A.M. se non fosse sopraggiunta questa sentenza, quasi storica, che apre un varco allo sterile dibattito politico fermo a norme rigide, vecchie, innaturali. Di fatto, lo si dica, profondamente ed intimamente razziste su cui è ormai giunto il momento di intervenire.

Castalda Musacchio

23/05/2013 www.liberazione.it

 
 
 
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