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Indagini nei luoghi di lavoro per identificare i fattori di rischio che causano danni alle persone, e le responsabilità penali

Post n°8062 pubblicato il 28 Agosto 2013 da cile54

Sempre dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici che chiedono di essere tutelati sul luogo di lavoro

Alcuni contenuti del Piano Nazionale della Prevenzione (PNP), per la parte riguardante gli infortuni e le malattie professionali, e la recente conversione in legge del DL 69/2013 ("decreto del fare") e di altri decreti legge permettono di porre all'attenzione alcuni aspetti importanti sulla tutela dei lavoratori e delle lavoratrici sui luoghi di lavoro.

Nel PNP si afferma che per l'anno 2011 si è verificata una riduzione degli infortuni, anche mortali. Tale tendenza si è verificata anche l'anno 2012 ma il dato risulta carente ove ci si limiti al solo dato assoluto (numero di infortuni, ore di inabilità) e non lo si correli con le ore lavorate (indici di frequenza) i cui dati, per gli anni considerati, non sono disponibili.

Il caso degli infortuni mortali (secondo il PNP in calo) e delle malattie professionali (in crescita) fa emergere ulteriori aspetti.

Dai 920 casi di denuncia di infortunio mortale indicati dal PNP per il  2011 (dato basato ancora su stime previsionali, in realtà - "a consuntivo" - sono stati 1.367) si è passati ai 1.296 casi di infortuni mortali trattati dall'INAIL nel 2012 (v. rapporti annuali INAIL; 2011 e 2012).

Inoltre, nel 2012, ben 481 casi hanno avuto un esito "amministrativo" negativo ovvero senza alcuna erogazione di un riconoscimento assicurativo da parte dell'INAIL.

Tale situazione è ancora più evidente per le malattie professionali ove il 60 % delle denuncie (anno 2012) ha un esito negativo da parte dell'INAIL che si comporta come qualunque altro "assicuratore". In particolare per quello che riguarda le malattie asbesto correlate l'INAIL riconosce a fatica i mesoteliomi pleurici, che sono solo una parte di esse. Significativo è il fatto che il Piano Nazionale Amianto non abbia trovato applicazione per mancanza di finanziamenti. Finanziamenti che potrebbero essere trovati, per la prevenzione di tutte le malattie professionali e degli infortuni sul lavoro denunciando d'ufficio le aziende responsabili, imputando loro i danni delle morti e delle cure sanitarie e sociali. Appare improcrastinabile la necessità di revisionare la tabella delle malattie professionali (ultima revisione luglio 2008) che esclude sia alcuni tumori professionali sia tutte le patologie psichiche da stress occupazionale, in costante aumento negli ultimi anni; inoltre è necessaria anche la revisione della tabella del 21 luglio 2000, collegata all'art. 13 del DLgs 38/2000, che quantifica in maniera irrisoria patologie professionali che provocano spesso inidoneità al lavoro

Ciò nonostante il PNP è generico e si occupa esclusivamente di promuovere "l'emersione e riconoscimento delle malattie professionali attraverso l'adozione di protocolli medico-legali riguardanti i medici competenti, i medici di medicina generale, i medici ospedalieri ed INAIL", dimenticando e disconoscendo il ruolo delle ASL che spesso fanno emergere casi che tutti gli altri soggetti "non vedono". Nello specifico ciò richiederebbe che i riconoscimenti degli infortuni e delle malattie professionali siano seguiti direttamente dalle ASL, lasciando all'INAIL l'incombenza dei risarcimenti dovuti.

La modifica dell'art. 56 del TU degli infortuni e delle malattie professionali va nella direzione opposta, riducendo, di fatto, le informazioni sugli infortuni che arrivano alle ASL, limitando, di fatto, lo svolgimento di propria iniziativa di indagini nei luoghi di lavoro ove sono avvenuti infortuni, mantenendo e rafforzando un sistema basato sulla "inchiesta amministrativa" da parte delle direzioni provinciali di lavoro. Un sistema che, nel mettere sullo stesso piano lavoratore infortunato e datore di lavoro è palesemente sbilanciato a favore del più forte.

Il PNP, inoltre, e ciò non è casuale, cade nella retorica della richiesta di una vigilanza che privilegi "aspetti sostanziali e riducano al minimo gli appesantimenti documentali" come pure un approccio dei servizi delle ASL per "una politica di servizio pubblico di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo ".

Che cosa si intenda con tale "approccio" sembra suggerito dal "decreto del fare" ove, anziché semplificare aspetti secondari (come per esempio l'obbligo delle imprese di comunicare all'INAIL i nominativi degli RLS) si è occupato di aumentare i casi di "semplificazione" nella redazione dei documenti di valutazione (piano operativo di sicurezza e piano di sicurezza e coordinamento per i cantieri, documento di valutazione dei rischi per tutte le aziende, fino alla sparizione, in molti casi, del documento unico di valutazione dei rischi interferenti nel caso degli appalti) che stanno alla base degli obblighi di tutela dei datori di lavoro e su cui, di norma, le ASL pongono attenzione per comprendere l'atteggiamento aziendale sul tema della sicurezza e dell'igiene del lavoro.

Che dire poi della assurda previsione, contestualmente all'incremento del 9,6 % delle sanzioni, di versare la metà dell'incremento alle direzioni territoriali del lavoro per l'attività di vigilanza in materia di sicurezza che viene invece, come dovrebbe essere noto ma abitualmente disconosciuto, svolta principalmente dalle ASL ?

L'approccio che Medicina Democratica ritiene invece necessario è in una direzione diversa, per una estensione e rafforzamento (incluso l'incremento degli operatori) dei servizi tecnici di vigilanza delle ASL, lo spostamento sui dipartimenti di prevenzione della funzione di accertamento e riconoscimento delle malattie professionali - anche per svincolarle da una mera questione assicurativa - per promuovere indagini nei luoghi di lavoro atte a identificare i fattori di rischio che hanno determinato danni alle persone come pure le responsabilità penali.

Il Direttivo Nazionale di Medicina Democratica

26/08/2013

 
 
 
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