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Siria e dintorni. L'aggressione alla Siria è un'altro tassello di un disegno criminale iniziato con la guerra nei balcani

Post n°8069 pubblicato il 31 Agosto 2013 da cile54

Il debutto in società.

La Jugoslavia, quando è stata aggredita , non aveva un ruolo strategicamenteimportante né con riferimento ai criteri del passato, cioè vantaggi militari, accessoal mare o ad un fiume navigabile,stretti, canali, alture……né a quelli odierni, cioè controllo di particolari ricchezze , petrolio, gas,carbone, ferro, acqua….

Per gli Stati Uniti, il Kosovo, che è stato il pretesto/occasione, nonpresentava e non presenta un interesse strategico nel senso passato e presentedel termine.

Allora perché?

Per tre buoni motivi.

Il primo è la nuova legittimazione della Nato. Quest’ultima, concepita in funzione anti patto di Varsavia, una voltasciolto questo, non avrebbe avuto più motivo di esistere. L’aggressione allaJugoslavia ha fornito agli Stati Uniti l’occasione per avviare il nuovoconcetto strategico della Nato, e lo haapplicato alla nuora, la Jugoslavia, perché suocera intenda e cioè l’Europa,perché gli USA vogliono conservare ed accentuare la loro egemonia nel vecchiocontinente e non c’è spazio per un’organizzazione militare specificadell’Europa occidentale.

Da qui, anche, la cooptazione nella Nato di paesi dell’Est europeo.

 “ La Nato deve esistere in quantoblocca lo sviluppo di un sistema strategico europeo rivale a quello degli StatiUniti.”( William Pfaf -International Herald Tribune-maggio 1999)

Ed ancora.

 “ Gli Stati Uniti sono il solo paeseche abbia interessi globali e, quindi, il leader naturale della comunitàinternazionale”.

Questa dichiarazione, così sfrontata, di chi poteva essere se non delsegretario alla Difesa del presidente Clinton, William G. Perry?

Il secondo motivo è la balcanizzazione di tutti quegli Stati che, perdensità demografica ed ampiezza del territorio, possono essere di un qualcheostacolo, soprattutto quelli nonallineati alla politica statunitense e asimmetrici agli interessi dellemultinazionali anglo-americane. Ce lo ricorda Ignacio Ramonet nel maggio 1999 “…la Serbia rifiuta di adottare il modello neoliberista imposto dallaglobalizzazione. Perciò costituisce, a un tempo, un bersaglio ideale per laNato e un pessimo esempio per alcuni dei suoi vicini dell’Europa dell’Est, suiquali pure grava pesantemente la crisi economica e politica.

Questa, in fondo, è la vera ragione dell’intransigenza della Natomentre,sotto i nostri occhi, si sta instaurando un nuovo ordine mondiale.”

Si creano, così, piccoli Stati dove gli USA possono collocare enormi basimilitari, Stati che sono il crocevia di tutti i traffici illeciti possibili,guidati da corrotte mafie locali e trasformati in “case chiuse” e in sentinadei capricci dei soldati della Nato.

Infatti, la più estesa concentrazione di prostituzione, non certovolontaria, si trova in Kosovo.

Il terzo è la trasformazione della Nato in polizia internazionale cheinterviene là dove i governi e i popoli hanno l’ardire di sottrarsi, o almenodi tentare, al dominio imperiale.

Ma, per fare ciò, era necessaria una costruzione semiotico-simbolica, cioèideologica, che nobilitasse questo suo nuovo ruolo.

E,qui, è stata essenziale la socialdemocrazia che, trasformandosi in destramoderna e reazionaria, si è scoperta filo atlantica e ha debuttato insocietà mostrando la propria affidabilitàall’impero proprio in occasione dell’aggressione alla Jugoslavia.

A Belgrado sono nati i giornalisti “embedded” e, contemporaneamente, lecampagne di demonizzazione nei confronti di quelli non allineati come RegisDebray in Francia , Ennio Remondino in Italia, John Simpson in Inghilterra.

La Nato ha messo  punto un dispositivo teso a rendere la guerra invisibilee a porre la sua informazione come fonte principale per i giornalisti.

E i media, salvo alcune lodevoli eccezioni, si sono resi complici nel commentare un’immagine nella quale eranocompletamente assenti l’aggressione e le conseguenze sulla popolazione civile.

Con un’operazione di marketing, a Belgrado come a Damasco, si personalizzal’avversario mettendo in pessima luce familiari e rapporti personali: la mogliedi Milosevic era un’anima nera, quella di Assad spende e spande in pienaguerra.

La semplificazione delegittimante che riguardava a Belgrado il comunismo eil nazionalismo, a Damasco diventa il regime e il totalitarismo .

La macchina mediatica riporta una sfilza di parole-prova. Si autocita unapseudo fonte iniziale che si perde nei successivi rimandi, accompagnata daqualche condizionale che, domani, di fronte ad eventuali smentite, servirà dapolizza assicurativa. La smentita diventa parte integrante della conferma.

I media rimuovono l’informazione, di cui si dicono paladini, e sposano lacausa della comunicazione al servizio dell’impero.

Questa comunicazione non è un’idea innocente, non funziona senzadisinformazione e senza l’uccisione simbolica dei giornalisti indipendentiattraverso la caricatura, l’epiteto infamante e l’insinuazione.

La gerarchizzazione e la selezione delle fonti, effetto perverso deldominio unilaterale dell’informazione, produce una comunicazione autointossicata.

Oggi non si utilizza più la vecchia censura. E’, invece, un fiorire diimmagini e scene cariche di forte emotività. Peccato che siano manichee e siometta di dire chi le ha promosse e perchè.

Una radio francese:”…centinaia di ragazzi sarebbero utilizzati come banchedel sangue viventi, migliaia di altri sarebbero obbligati a scavare fosse etrincee e le donne sarebbero sistematicamente stuprate…”

Una televisione statunitense: “..secondo un responsabile degli Stati Unitidecine di migliaia di persone sarebbero state giustiziate…”

Una televisione francese:”….tra cento e cinquecentomila sarebbero statiuccisi….”

Nessuno saprebbe dire a chi e a cosa siano riferite queste dichiarazioni,se alla Jugoslavia, se alla Siria, se alla Libia o all’Iraq.

Il rapporto di forze sul piano militare tra la Nato e la Jugoslavia eratalmente impari che, di fatto, è improprio parlare di guerra.

In realtà, è stata una “punizione”. Anche questa una novità che saràripetuta successivamente.

Belgrado è stato il primo passo verso Bagdad, Tripoli e, ora, Damasco.

A Belgrado come a Damasco si insiste a parlare di “comunità internazionale”per designare le potenze occidentali. La Cina, la Russia, l’India, l’Africa ,l’America Latina… non ne fanno parte. In Jugoslavia come in Siria, si è fatto esi fa un grande uso della parola genocidio con la conseguente banalizzazionedell’olocausto ridotto alla stregua di un marchio itinerante con cui bollaresistematicamente il nemico del momento. I primi segni delle conseguenzenegative dell’uso strumentale di questeparole sono lo straniamento della violenza a distanza.

Grazie a questo mutato rapporto geopolitico, a questa dittatura ideologicavissuta in regime di monopolio, finalmente potrà realizzarsi il progettostatunitense, raccontato nel settembre del 2005 dal The Guardian:

 “Al fine di agevolare l’azione delleforze di liberazione, ridurre la capacità del regime siriano di organizzareoperazioni militari, contenere al minimo le perdite e le distruzioni e ottenerei risultati perseguiti nel più breve tempo possibile, si rende necessariaun’azione speciale per eliminare un certo numero di dirigenti chiave. La lororimozione dovrà essere portata a termine fin dall’inizio della sollevazionedell’intervento. Dovrà apparire che sia Damasco a sponsorizzare i complotti, isabotaggi e gli atti di violenza contro i governi vicini. La Cia e la suaomologa britannica utilizzeranno tutte le loro capacità, sia nel campopsicologico che in quello dell’azione, per accrescere la tensione.”

Ed ancora, Alain Gresh, su “Le monde diplomatique” del dicembre 2005:

 “Il rovesciamento del regime passa,inoltre, per il finanziamento di un comitato per una Siria libera e per lafornitura di armi a varie fazioni politiche con capacità paramilitari.”

Occuparsi di quello che è successo a Belgrado e, oggi, a Damasco, non èsecondario, non è marginale, ma fa tutt’uno con le vicende europee e di casanostra.

Tanto è vero tutto questo che ieri si aggredivano a voce e per iscrittoRegis Debray , Ennio Remondino, John Simpson e, oggi, Marinella Correggia,Manlio Dinucci e Fulvio Grimaldi.

Allora il silenzio su queste vicende è ingiustificato e sconcertante.

Se,poi, alla base, c’è paura, questa è lecita ,perchè c’è da avere paura. E’ stato impostato unapparato repressivo violento, vendicativo e privo di scrupoli.

Ma dalla solidarietà,almeno da quella, non dovremmo sottrarci.

Sempre che non si debba e, purtroppo è il caso, sottoscrivere le parole diAntonio Savino “…..perchè questo è l’epilogo della lunga quaresima dellasinistra, da tempo senza storia e senza memoria.

Delle colpe vanno date anche all’”intellighenzia di sinistra” ancellare,tutta orientata a fare mercato, a vincere premi letterari, ai passaggi in TV ea raccontare il re.”

Il fatto che Savino si riferisca alle vicende dell’ILVA di Taranto e chiudail suo discorso dicendo “…e si è totalmente dimenticata di questa Italiaprofonda, di questa vandea operaia, dei sudditi del sud”, non toglie niente alfatto che le sue riflessioni possano essere applicate anche fuori dal campo delsuo intervento.

In politica non ci sono compartimenti stagni.

Elisabetta Teghil

Contributo da “Coscienza illusoria di sé”

21/09/2012 http://coordinamenta.noblogs.org

 
 
 
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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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