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Spesso le donne medico sono mascolinizzate professionalmente facendo venir meno le loro prerogative innovative
Post n°8092 pubblicato il 08 Settembre 2013 da cile54
Sanità: sempre più donne medico, ma a qualicondizioni? In medicina e in sanità è accaduto un fatto che può essereforiero di cambiamenti oppure no. Ormai statisticamente le donne medicosono una ampia maggioranza rispetto agli uomini al punto che se calcoliamo le iscrizioni all’università, si può dire chenel breve medio periodo le donne medico saranno oltre i tre quarti dell’interouniverso di medici. Non è detto che questo dato, quindi questa evidenza statistica, sia di persé foriera di cambiamenti, nel senso che non basta una maggioranza, pergiunta statistica, in quanto tale, a determinare un cambiamento. Per far inmodo che una maggioranza si esprima come tale deve avere un proprio pensierooriginale. Tale maggioranza inizia lentamente a formarsi, fin dagli anni 70,rivelandosi comunque un processo lungo e progressivo, e, sino ad ora, essa si èdi fatto integrata nel paradigma dominante pur accumulando nel tempo una lungaserie di sempre più pesanti contraddizioni che prima o poi esploderanno. Per rendersene conto è sufficiente consultare “Quotidianosanità.it” che aquesto proposito, attraverso uno speciale aperto, sta ospitando un interessantedibattito che, è il caso di dirlo, è abbastanza unico nel suo “genere”. In questo speciale si possono leggere le storie di donne medicoe comprendere per certi versi la drammaticità della loro condizioneprofessionale, fatta da svantaggi, da soprusi, in certi casi anche da molestiesessuali, e che si appalesano soprattutto nella penalizzazione dellecarriere e nella preclusione ai ruoli di direzione e di responsabilità,ma non solo questo. I due problemi più grandi che si percepiscono sono:
Cioè in una parola le donne, che comunque sono nuovi ingressi nel mercatodel lavoro sanitario, rappresentassero un potenziale di cambiamento sevolessero affermarsi professionalmente sarebbero costrette a rinunciarvi oquanto meno a mettere un silenziatore. Questo stato di cose, in un modo o in un altro, crea come dicevo dellecontraddizioni anche pesanti. Ad esempio non si può pensare che le presidenzedegli ordini professionali continuino ad essere a stragrande maggioranzamaschile, stessa cosa vale per la maggioranza delle società scientifiche. Primao poi saranno necessari quanto meno dei riequilibri, delle armonizzazioni, deicompromessi nella condivisione dei tanti tipi di poteri che insistono inmedicina e in sanità. Ma non sono questi i problemi più importanti. Unamaggioranza pone sempre inevitabilmente un problema “politico”:
Le donne non solo sono più numerose degli uomini ma sono anche le intelligenzepiù fresche a disposizione del sistema, cioè sono il grosso delle nuove generazionial quale non si può continuare a proporre modelli di medicina omeostatici einvarianti. In questo senso le donne rappresentano, in quanto comunque nuoverisorse intellettuali, la parte “impermanente” del sistema, quindi ilbisogno di cambiamento, nei confronti della parte “permanente”, cioèdell’ortodossia, della conservazione e dell’invarianza. Alla questione “genere” si accompagna anche quella “generazionale”con tutto quello che comporta. Con questa chiave di lettura io leggo, semprenello speciale di QS, anche se ancora in nuce, un “riformismo potenziale”che orienta, soprattutto alcune donne, a ridiscutere le attuali forme di organizzazionedel lavoro, gli attuali approcci alla cura, oltre ché ad aprire un nuovocapitolo sui loro diritti. Tutto questo è come se avesse il sapore di unaorganizzazione e di una concezione della medicina al “femminile”, anchese, da parte mia, sono poco incline ad accettare equazioni automatiche tra“genere” e “medicina”. Conosco un mucchio di donne medico che sono perfettamentemascolinizzate professionalmente esattamente come la manodopera femminile inuna fabbrica tessile. Ma dallo speciale di QS viene fuori un “genere” nel“genere” che al contrario di quello mascolinizzato, mimetizzato e integrato, sibatte silenziosamente per cambiare lo stato delle cose. Da parte mia, la medicina dovrebbe essere di genere “neutro” nelsenso che la formazione del medico dovrebbe valere alla stessa manieratanto per gli uomini che per le donne, ma questo non vuol dire che “neutro”sia indifferente alle qualità anche antropologiche del genere (maschile ofemminile), ma solo che tali qualità debbono essere condivisibili masoprattutto spendibili nell’interesse del malato. In un convegno sulla medicina declinata al femminile del 2007organizzato dalla Fnomceo, nella relazione introduttiva, senon sbaglio, si distingueva una tipologia maschile di medico, razionale, e unatipologia femminile di medico, innatista e di indole passionale, unadistinzione che parafrasando Levi-Strauss, quello del “crudo” e del “cotto”,sarebbe tra “una medicina fredda” e “una medicina calda”, che, per tanteragioni, proprio in medicina lascia il tempo che trova. Ma supponiamo chefreddo e caldo abbiano un senso. In questo caso la questione nell’interessedella medicina non è se razionalità e indole sono in competizione ma sole seentrambe possono concorrere a definire una medicina migliore. Cioè se entrambesono un valore aggiunto per il malato e in quanto tali traducibili in unaformazione adeguata. In conclusione la maggioranza al femminile dei medici si trova davanti aduna scelta politica: medicina invariante o altra medicina. Do per scontatol’inevitabilità di una battaglia per i diritti delle donne, ma oggi lamedicina ha bisogno, per tanti motivi descritti a più riprese su questo blog,di cambiare, per cui sarà interessante capire come le donne medicoaffronteranno il cambiamento. Se esse, come io spero, saranno portatrici di unanuova qualità della medicina esse diventeranno un fenomeno degno di questo nomee non semplicemente un turn over di genere e gli uomini maschi vi si dovrannoadeguare. Ivan Cavicchi 3/9/2013 www.ilfattoquotidiano.it |
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