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Il part time, da strumento per incentivare l'occupazione femminile, diventa terreno di una guerra tra povere

Post n°8183 pubblicato il 15 Ottobre 2013 da cile54

Italia, il lavoro part time ai tempi della crisi

Nel 2012, su un totale di 9 milioni 362 mila donne occupate in Italia, circa un terzo lavora a tempo parziale, con un’incidenza poco distante dalla media dell’UE27 (31% e 32,1%, rispettivamente). Questa forma contrattuale ha iniziato a diffondersi in Italia con un significativo ritardo rispetto alla maggioranza dei paesi europei, interessando quasi esclusivamente la componente femminile. Nell’ultimo decennio, soprattutto dopo le modifiche introdotte dalla cosiddetta legge Biagi approvata nel 2003, questa forma contrattuale ha registrato una accelerazione che si è tradotta, negli anni della crisi, in una crescita del part time involontario.

Nel 1993, il lavoro part time interessava circa il 21% dell’occupazione femminile in Italia, con un differenziale di circa 10 punti rispetto alla media europea (UE15). Nel 2004 l’incidenza era salita al 25% circa, riducendo a 5,1 punti la differenza con il dato medio (UE27). Questa tendenza è proseguita successivamente, con una accelerazione negli anni recenti, riducendo ulteriormente la differenza con il dato medio per l’UE27, pari a solo un punto percentuale nel 2012.

Negli anni della crisi, si è osservato una contrazione dell’occupazione totale, ma come risultato di dinamiche contrastanti sia in base al sesso (con una marcata flessione per la componente maschile e una moderata espansione per la componente femminile) sia in base al regime d’orario (con una netta caduta dei lavori a tempo pieno e un aumento dei lavori a tempo parziale). Il confronto tra il 2007 e il 2012 evidenzia pertanto un aumento dell’occupazione part time tra le donne, sia in valore assoluto sia in termini di incidenza, ma molto più marcato in Italia rispetto alla media europea (UE27).

La crescita della quota di donne occupate a tempo parziale in Italia negli anni della crisi è il risultato di una contrazione del numero di posti di lavoro a tempo pieno (-188 mila) e di un incremento di quelli a tempo parziale (+466 mila). Tuttavia, questo aumento è associato ad una crescita del part time “involontario”, identificato con quanti dichiarano di svolgere un lavoro a tempo parziale in mancanza di occasioni lavorative a tempo pieno. Già prima della crisi, nel 2007, la quota di part-time involontario tra le donne era relativamente elevato in Italia, pari al 35,7% (oltre 15 punti al di sopra del dato medio per l’UE27), ed è andato aumentando raggiungendo il 54,5% nel 2012. Dopo Grecia, Bulgaria e Spagna, l’Italia è attualmente il paese con la più elevata incidenza di part time involontario tra le donne (si veda la figura 1).

Vale la pena osservare che anche per l’insieme dei paesi europei (UE27) la riduzione complessiva dell’occupazione osservata nel quinquennio 2007-2012 è il risultato di una generale contrazione dell’occupazione a tempo pieno (molto marcata per la componente maschile) e di una espansione dell’occupazione a tempo parziale (maggiore per la componente femminile, sia in valore assoluto che relativo). Inoltre, nella maggioranza dei paesi (ad eccezione di Bulgaria, Francia, Germania, Malta, Austria e Belgio) si osserva per la componente femminile un aumento del part time involontario. In questo quadro, l’Italia si contraddistingue sia per il notevole aumento del part time femminile involontario (+19 punti tra il 2007 e il 2012, rispetto a +4 punti per la media UE27), sia per l’elevata incidenza raggiunta nel 2012 (54,5%, rispetto a 24,4% per la media UE27).

L’incremento del part time registrato in Italia dal 2007 ad oggi, in particolare la crescente ed elevata incidenza del part time involontario, suggerisce la presenza di un elevato numero di donne che accetta di lavorare part time in mancanza di opportunità di lavoro a tempo pieno (E’ plausibile ipotizzare che in questi lunghi anni di crisi economica un numero crescente di donne abbia modificato la propria disponibilità a lavorare – preferendo il tempo pieno – per compensare una eventuale caduta del reddito familiare associata alla perdita di lavoro degli altri membri della famiglia).  Nel dibattito viene spesso argomentato, non sempre in modo convincente, che la scarsa diffusione del part time è uno dei principali fattori di freno alla partecipazione femminile. Implicitamente si ipotizza che una maggiore diffusione di questa forma contrattuale porterebbe ad un incremento del tasso di occupazione femminile in quanto entrerebbe nella vita attiva un numero consistente di donne non disponibili a lavorare a tempo pieno. Tuttavia, non sempre l’incentivazione del part time si traduce in un aumento del tasso di occupazione femminile; è infatti possibile un aumento dell’incidenza del part time (sul totale dell’occupazione femminile), senza significativi aumenti del tasso di occupazione femminile. Ciò è quanto si è osservato nel Mezzogiorno nel decennio prima della crisi, laddove la debolezza della domanda di lavoro spingeva molte giovani donne ad accettare, involontariamente, il part time in mancanza di lavori a tempo pieno, spiazzando così altre donne (con figli) disponibili a lavorare, ma solo a tempo parziale. In breve, in condizioni di opportunità di lavoro scarse, la competizione nel mercato del lavoro porta le donne con un più forte attaccamento al mercato del lavoro ad accettare ciò che il mercato offre, pur di lavorare. In questa competizione, dove i posti disponibili sono pochi e le donne in competizione sono molte, finiscono per rimanere escluse le donne che vorrebbero lavorare part time, presumibilmente quelle con maggiori vincoli famigliari.

In conclusione, il crescente ricorso al part time da parte delle imprese si sta traducendo in un effetto sostitutivo rispetto ai lavoro a tempo pieno, anziché aggiuntivo, senza effetti significativi sul tasso di occupazione femminile. L’evoluzione del lavoro a tempo parziale in Italia negli anni della crisi solleva nuovi interrogativi nel dibattito sul ruolo del part time come strumento per favorire l’occupazione femminile. In particolare, l’elevata e crescente incidenza del part time involontario va a sostegno dell’ipotesi che l’utilizzo di questa forma contrattuale in Italia risponde soprattutto alle esigenze delle imprese, e solo parzialmente alla necessità delle lavoratrici di conciliare vita lavorativa e familiare.

Paola Villa

011/10/2013 www.ingenere.it

 
 
 
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