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Operatori di Medici senza Frontiere: Rosana, medico MSF, racconta la sua esperienza dal campo di Doro in Sud Sudan

Post n°8265 pubblicato il 11 Novembre 2013 da cile54

Vi scrivo da... Doro

Nemmeno avendo l’immaginazione più fervida del mondo sarei stata capace di prevedere la vita nel campo di Doro. Solo chi arriva qui e la sperimenta può capirla. E dopo che sei immerso in questo mondo, ti dimentichi di tutto il resto. Sembra di essere in un libro, dove l’inizio sono la partenza e la fase di adattamento, il mezzo è il periodo di miglioramenti e la fine è la fase di consolidamento, quando si vedono i risultati del nostro lavoro e si è pronti per tornare a casa. Conoscere lo sconosciuto è affascinante e MSF ci da l’opportunità di farlo unendo la nostra esperienza professionale con il senso di umanità e coraggio.

Quando ho ricevuto la proposta della missione nel Sud Sudan non ho titubato ad accettarla. Il dolore di lasciare famiglia, amici, beni materiali e zona di conforto si mescola con l’emozione di aver una missione da intraprendere.

Nell’aeroplano MSF, sorvolando il Sud Sudan, dalla capitale Giuba fino al campo di rifugiati di Doro, ho realizzato che per sei mesi quella sarebbe stata la mia casa. Viviamo in tukuls, costruzioni artigianali locali, e questo è il primo cambiamento a cui adattarsi. Dopo viene la convivenza con i piccoli animali, la doccia con l’acqua fredda (tante volte piacevole, soprattutto al mattino), le latrine, il cibo meno variegato e la vita in gruppo.

Tra tanti limiti, un ospedale efficiente

A Doro la mia prima visita all’ospedale MSF mi ha stupita. Tra le cose inimmaginabili della missione, questa di sicuro è quella che mi ha fatto più impressione: come si riesce ad avere tale struttura in una regione tanto limitata e dove nella maggior parte dei casi l’unico mezzo di trasporto è l’aereo? È davvero un esempio concreto per chi non crede che si può fare tanto quando non si ha quasi nulla.

A Doro, i pazienti ricevono terapie che sono paragonabili a quelle degli ospedali delle nostre città. Quando sei supportato da buoni farmaci, il lavoro si svolge liscio e si riesce pure ad affrontare la mancanza di alcuni test diagnostici. Abbiamo a disposizione test rapidi che ci aiutano nella diagnosi di malaria, leishmaniasi, sifilide, epatite E.

Un bambino che arriva per convulsioni, a cui viene diagnosticata la malaria, riceve rapidamente la terapia di cui ha bisogno. Il progetto Doro, infatti, è già riuscito a ridurre in maniera impressionante la mortalità intraospedaliera. Se un paziente non sopravvive, si soffre parecchio ma allo stesso tempo c’è sempre la soddisfazione di averne dimessi tanti altri, dando loro la possibilità di resistere e la speranza di futuri cambiamenti.

La generosità di chi non ha nulla

Uno dei miei primi pazienti è stato un bambino di 10 mesi che è arrivato in clinica in coma e con segni di meningite. Abbiamo cominciato subito con l’antibiotico endovena e, giorno dopo giorno, presentava già segni di miglioramento. Era sveglio e capace di essere allattato. Dopo il completamento della terapia lo abbiamo dimesso e la madre era talmente contenta che non sapeva come ringraziarci e così ci ha regalato un sacchetto di succo granulato…penso l’unica cosa che avesse in quel momento.

Gesti di solidarietà e condivisione come questo se ne vedono spesso qui a Doro, soprattutto tra la popolazione di rifugiati. È una riflessione continua tra le proprie esigenze e i veri bisogni. Non hai tempo per le futilità e, anche se lo avessi, hai sempre davanti a te gente che non ha nulla ma è generosa abbastanza per pensare al prossimo. Forse si fidano di MSF perché si rispecchiano in MSF… nel modo di pensare e agire.

22/10/2013 www.medicisenzafrontiere.it

 
 
 
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Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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