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Arpie nelle corsie. Un ciuccio per confessare un omicidio: la terapia post aborto del Movimento per la Vita

Post n°4189 pubblicato il 31 Dicembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Piemonte: Cota all'attacco della legge 194

Lo scorso ottobre in Piemonte è stata approvata una delibera regionale scritta dall'Assessore alla sanità Caterina Ferrero, che permette e promuove l'ingresso del Movimento per la Vita, un'associazione cattolica antiabortista, nei consultori piemontesi. Nato nel 1975 con lo scopo di impedire l'introduzione nella legislazione italiana di qualsiasi normativa volta a regolamentare l'aborto, ancora oggi il Movimento per la Vita ha tra le finalità del suo statuto, l'opposizione alla legge 194.

Molti sono i dubbi e le contrarietà espressi non solo da donne, collettivi, gruppi, associazioni, ma anche dagli stessi ordini professionali rispetto ai contenuti del Protocollo Ferrero. Il problema della privacy, trattandosi infatti di volontari non saranno tenuti a rispettare il segreto professionale; potranno effettuare la prima accoglienza nei consultori anche senza la presenza del personale medico; e in ultimo la formazione stessa, erogata, secondo quanto dichiarato dal Presidente Roberto Cota, a spese della Regione, agli attivisti del Movimento e in generale del volontariato/privato sociale interessato.

Con altre donne di Me-DeA, un gruppo che da anni si occupa di politica di genere, abbiamo immediatamente espresso la nostra preoccupazione per quanto stava accadendo.

Abbiamo così deciso di andare a conoscere più da vicino e a indagare direttamente, in particolare per quanto riguarda la formazione, seguendo due dei corsi formativi per aspiranti volontari organizzati dal Movimento per la vita di Torino con la collaborazione di docenti universitari, consulenti famigliari, neuropsichiatri. Incontri destinati ad un pubblico evidentemente senza competenza o preparazione o esperienza medica, psicologica o sanitaria ma ben inquadrato nei Centri di Aiuto alla Vita presenti sul territorio provinciale.

L'intero iter formativo è stato punteggiato da espressioni fortemente lesive nei confronti del personale dei consultori e degli ospedali, più volte accusato dai relatori di estrema leggerezza e libertà nel "consigliare" l'interruzione volontaria di gravidanza.

Le donne che hanno scelto di interrompere una gravidanza sono state presentate o come malate da curare o come immature incapaci di assumersi responsabilità o come creature disperate dalla vita irrimediabilmente distrutta. Senza alcun rispetto per la privacy delle donne che hanno legittimamente deciso di rivolgersi, dopo l'aborto, alla consulente familiare che ha presieduto l'ultimo incontro, sono state lette le lettere scritte dalle pazienti ai "figli" non nati e facenti parte del loro personale e delicato percorso terapeutico.

Se pensiamo che secondo la delibera Ferrero, si tratterebbe della formazione di operatori che andranno ad affiancare l'equipe consultoriale o addirittura a svolgere attività di accoglienza delle donne in gravidanza presso le proprie sedi, il quadro è ancor più preoccupante. Sono stati presentati i diversi passaggi di una terapia post aborto a dir poco choccante che non è ammissibile possa essere svolta da personale non in possesso di titoli e requisiti: utilizzare un ciuccio, una tutina o un peluche per concretizzare il figlio morto nella costruzione di una relazione che porti la "mamma" ad ammetterne l'omicidio è quantomeno raccapricciante.

Siamo state catapultate in un'altra dimensione, in un tempo e in uno spazio in cui embrioni e feti sono bambini, le donne non sono donne ma mamme, sempre e comunque, la coppia è famiglia occidentale e cattolica, e il partner, rigorosamente maschio, è sostegno, protezione, aiuto economico e strenuo baluardo contro l'aborto.

Tutti i discorsi gravitavano ossessivamente intorno ad alcuni concetti cardine: un bambino, anche entro la dodicesima settimana, sente e capisce tutto, e naturalmente, pur senza menzionarlo, in questo modo l'uguaglianza tra aborto e omicidio è evidente; qualsiasi atteggiamento non ponga al centro il bambino, fin dai primissimi giorni di gravidanza, rappresenta una forma di egoismo e la mamma deve imparare ad acquisire una sensibilità etero centrata che ha nell'attesa della nascita la sua compiuta realizzazione.

Le donne che decidono di abortire ingannano se stesse dicendosi di aver fatto la scelta giusta ma in realtà la loro vita è finita e la cosiddetta scelta è solo una delega in bianco dettata da solitudine e immaturità, che non potrà che segnarle anche a distanza di anni.

Questi secondo loro i sintomi che una donna avrebbe dopo l'aborto: senso di colpa, incubi notturni spaventosi, dolore lancinante, ruminazione mentale, perdita di forza fisica, abuso di sostanze, disturbi alimentari, perdita della gioia di vivere, perdita del lavoro, angoscia, depressione, nevrosi, bassa autostima, incapacità a uscire di casa, insofferenza verso le donne incinte e, per finire, ritrazione sessuale.

Nessun riferimento accademico, teorico o scientifico, solo vaghi cenni a studi statunitensi, irlandesi e finlandesi degli anni 80, da cui, tra l'altro, emergerebbe che le minori che hanno abortito si suicidano sei volte di più delle coetanee.

Intercettate prima, prese in carico durante, terrorizzate psicologicamente dopo: è questo il destino che attende le donne nei consultori? Le donne saranno costrette ad avere a che fare, nei consultori, in un momento così delicato della loro vita, con persone assolutamente incompetenti e inadeguate come sono, evidentemente, quelle che hanno seguito l'incontro accanto a noi?

L'insistenza sulla estrema libertà dei medici nel convincere all'aborto è stato il leit motiv di tutto il percorso formativo. Mi vengono in mente le ginecologhe, le infermiere e le ostetriche che abbiamo avuto al fianco in questi anni o che ci hanno accolto nei consultori: disponibili, attente, sensibili, impegnate a far funzionare un servizio che è delle donne e per le donne... secondo il Movimento per la Vita, libere, troppo libere di scegliere e far scegliere.

Energico è stato il richiamo finale a ciò che interessa loro davvero: l'ingresso nei consultori e negli ospedali, con l'obiettivo di portarvi misericordia cristiana in generale e spazi di intervento nel particolare, in cui salvare bambini.

Medici, psicologi e ginecologi, che sappiamo sensibili e attenti e competenti nella grande maggioranza dei casi, hanno intenzione di rendersi complici di questo abominio e di lavorare fianco a fianco di volontari la cui formazione è quella cui abbiamo assistito?

E' in questo modo che si pensa di rispettare lo spirito della legge 194/1978 che tanto strumentalmente l'assessore Ferrero continua a citare?

Abbiamo visto ancora una volta i nostri corpi fatti scempio per un voto, per una promessa elettorale, per sconfiggere finalmente, a trentadue anni dall'approvazione della pur imperfetta legge 194, il nemico che fa loro più paura: la nostra autodeterminazione. La risposta delle donne non cambia: «sul nostro corpo, sulle nostre vite, sulla maternità, decidiamo solo noi».

Ed è questa una risposta di vita.

Chiara Cerruti

da nuovasocieta.it (29 dicembre 2010)

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

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