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Un golpe che ha trovato la complicità di gran parte del popolo democratico e di sinistra, preso in giro dal PD e soci

Post n°4470 pubblicato il 14 Marzo 2011 da cile54

"Maggioritario killer. Un golpe senza fucili"

Di recente Liberazione ha lanciato un dibattito sulla crisi della politica italiana, prendendo ispirazione da un numero della rivista "Democrazia e diritto" curata dal Centro per la riforma dello Stato. Le democrazie contemporanee si stanno organizzando attorno a due meccanismi: da un lato, il plebiscitarismo, la raccolta del consenso attraverso modalità populistiche e conformiste; dall'altro, la concentrazione oligarchica del potere e l'autonomia dei luoghi in cui si prendono le decisioni da ogni controllo collettivo. Il sociologo Colin Crouch, in un famoso saggio pubblicato in Italia da Laterza, l'ha definita sindrome da postdemocrazia. I canali della rappresentanza si atrofizzano, i parlamenti perdono centralità, il primato si sposta sugli esecutivi. Abbiamo chiesto un contributo al dibattito a Gianpasquale Santomassimo, docente di storia della storiografia contemporanea all'università di Siena.

Disaffezione alla politica, leaderismo, populismo. E' difficile non mettere in relazione la crisi della democrazia con lo smantellamento dei partiti di massa. Convince l'ipotesi?

Questo è quel che è accaduto in Italia. In Europa, invece, i partiti socialisti hanno mantenuto una struttura e un retroterra sociale. Se perdono, perdono rimanendo in piedi. In Italia non c'è stata solo una crisi avvenuta per motivi oggettivi, c'è stata una distruzione volontaria.

Ma perché i partiti sono morti? E' cambiata la società italiana? Non c'è stata la capacità di inventare nuove forme di organizzazione? Oppure per una scelta politica intenzionale?

Ci sono tutte le cose. Certamente i partiti andavano aggiornati e ristrutturati, erano residui di un mondo che non esisteva più. Negli anni ottanta prevale la "società degli individui" sul modello thatcheriano-reaganiano. Gli attori collettivi fatalmente vengono a perdere la centralità che avevano. Il che non vuol dire che scompaiono. Solo in Italia c'è il deserto organizzativo, ma abbiamo contribuito a crearlo con le nostre stesse mani nel corso della stagione referendaria e con grandi responsabilità della sinistra in generale. Nel '93 abbiamo avuto l'equivalente di un colpo di stato, senza carri armati e truppe in piazza certo, ma la forma della Repubblica è stata cambiata surrettiziamente attraverso un referendum che minava alla base la struttura della nostra democrazia parlamentare. Da allora è stato abolito il principio di uguaglianza, i voti dei cittadini non valgono tutti allo stesso modo. Il maggioritario ha scardinato il principio della rivoluzione francese "una testa, un voto". Nell'Ottocento i grandi maestri liberali temevano la dittatura della maggioranza. A partire da Tocqueville si è avviata una riflessione sui rischi insiti nella democrazia. Noi in Italia abbiamo inaugurato il sopruso della minoranza. Trovo sconcertante che persino i politici dell'opposizione riconoscano a Berlusconi di essere stato votato dalla maggioranza degli italiani, cosa assolutamente non vera. La verità è che con un terzo dei voti governa incontrastato sulla base del meccanismo elettorale del maggioritario. Il popolo è convinto di eleggere direttamente il presidente del consiglio, questa è la "costituzione reale", ma non è assolutamente così nella Costituzione scritta. E' una stupidaggine istituzionale che non esiste in nessun paese del mondo, però è una convinzione profondamente radicata. Il popolo si illude di poter scegliere un leader ogni cinque anni. Quel che fa impressione è l'ampiezza dello schieramento che ha portato a questa situazione di fatto. Un trust di "cervelli" - chiamiamolo così -, da Occhetto a Segni ad Abete, si è mosso con l'appoggio di tutta la grande stampa. I risultati li coglierà la destra, ma è soprattutto l'opinione pubblica di sinistra che si mobilita nella campagna referendaria del '93.

Del resto, la retorica occhettiana che ha accompagnato lo scioglimento del Pci ha insistito molto sull'esaurimento della forma-partito, considerato un arnese arrugginito da buttare via per poi affidarsi al rapporto diretto tra governanti e società civile. O no?

La spinta più forte nell'opinione pubblica viene da "Repubblica". C'è anche una vendetta da parte della cultura azionista che ha sempre nutrito una certa diffidenza nei riguardi della democrazia organizzata attorno ai partiti. L'azionismo ha sempre prediletto il rapporto diretto con la società civile attraverso strumenti che prescindessero dalla forma-partito. Per quel che riguarda il Pci ricordo il dibattito di quegli anni. La necessità proclamata era quella di sbloccare la situazione di stallo della politica italiana. Ma l'assurdo è che la situazione si era sbloccata da sé dopo la caduta del Muro di Berlino. Nel '92 il governo quasi supplicava il Pds di entrare a far parte della maggioranza. La pregiudiziale non esisteva più. L' intenzione di Occhetto era di costruire una sorta di partito radicale di massa che si muovesse sul riferimento diretto all'opinione pubblica, non più strutturato o, perlomeno, con una struttura molto diversa rispetto alla tradizione del movimento operaio. Ricordo la proposta dopo la Bolognina delle sezioni tematiche - che effettivamente furono realizzate per qualche anno dal Pds. In realtà era il ritorno a un corporativismo estraneo alla storia del movimento operaio. L'unico precedente erano stati i gruppi di competenza del partito nazionale fascista, ma questo Occhetto non poteva saperlo. Col tempo è prevalsa l'idea del partito leggero. Da Occhetto via via fino a Veltroni si assiste a una radicalità crescente nello smantellamento della forza organizzata.

Oggi al posto della democrazia dei partiti è subentrata una specie di iperdemocrazia che limita la partecipazione alla competizione elettorale, una volta ogni tanto, per la selezione del leader. Le primarie sono l'illusione di questa democrazia svuotata?

Le primarie sono una delle tante forme di antipolitica che stiamo sperimentando. Tra l'altro, non hanno niente a che fare con le primarie che si fanno negli Stati Uniti, dove votano solo i cittadini registrati come elettori di un determinato partito. La forma di partecipazione che avveniva tramite i partiti è possibile solo in un quadro di democrazia parlamentare, dalla quale non a caso siamo usciti. La legge elettorale è il cuore dell'ordinamento costituzionale. Oggi l'esistenza dei partiti è resa inutile da un meccanismo maggioritario che prevede solo comitati elettorali, aggravato dalla scelta del Pd di ricorrere alle primarie per la competizione su qualsiasi carica.

I canali della partecipazione alla politica si atrofizzano e i luoghi del potere, quelli in cui si prendono le decisioni, invece si autonomizzano. In questo scenario può esserci la tentazione di riscoprire la politica all'interno di comunità orizzontali che scelgano di recidere ogni legame con le istituzioni e il Potere, delegando di fatto l'azione nel Palazzo a un leader carismatico. Può funzionare il modello delle Fabbriche di Nichi?

Questa separazione tra i luoghi in cui è possibile stare assieme e i luoghi delle istituzioni mi sembra piena di problemi. Io non condivido il personalismo di Vendola ma l'esperienza che sta facendo è di grande interesse. Molti guardano a questo esperimento con fiducia, anche al di là dell'elettorato tradizionalmente riconducibile alla cosiddetta sinistra radicale. Le Fabbriche possono anche funzionare ma a condizione che siano soltanto un momento di passaggio. Il vero compito che anche Vendola dovrebbe porsi è quello di ricostruire una forte sinistra organizzata.

Vero, ma la costruzione di una forza organizzata di sinistra non stride con l'accento persistente di Vendola sulle primarie, sulla candidatura personale, su un tipo di democrazia maggioritaria?

Non è detto che il progetto rimanga quello delle primarie e della conquista della leadership del centrosinistra. Tutto dipende dalle scelte del Pd e dal tipo di alleanza che il Pd costruirà con il centro moderato. Se sarà un'alleanza forte per il governo dubito che Vendola e una parte dello stesso elettorato del Pd possa starci dentro. A quel punto potrebbe porsi il problema della costruzione di un serio partito di sinistra, un partito di tipo socialista all'interno del quale ci sarebbe, perché no?, lo spazio per uno schieramento ampio, sul modello dei laburisti inglesi, per intenderci, fra i quali si conta la presenza anche di organizzazioni molto radicali. L'esperienza inglese è interessante perché ha delle analogie con lo scenario italiano. Come in Inghilterra, anche qui c'è un sindacato forte senza rappresentanza politica che a un certo punto potrebbe trovarsi costretto a fondare un partito di propria iniziativa. Chissà…

Forse in questa fase la ricostruzione di una forma organizzata della sinistra è più importante, nell'immediato, degli stessi contenuti. Intanto bisogna ricostruire una forza efficace, in grado di incidere, poi il programma viene da sé nel vivo di un rapporto di radicamento e di contatto con i soggetti sociali, con le classi lavoratrici. Non è così?

L'esperienza del governo Prodi ha dimostrato che non serve avere programmi oceanici. Devi trovare però l'accordo su alcune idee di fondo: stai con gli operai o con Marchionne? La dignità del lavoro deve essere un valore fondamentale imprescindibile.

Tonino Bucci

13/03/2011

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Roma, 12 maggio 1977

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