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Scene di quotidiano razzismo e idiozia italica in un tram di Torino, ex cittą operaia trasformata in palcoscenico di cartapesta

Post n°8572 pubblicato il 10 Febbraio 2014 da cile54

Immigrazione, scene di quotidiana intolleranza e l’invito di un grande rivoluzionario

 Torino. Mattina. Qualche giorno fa. Prendo il tram che dal quartiere Santa Rita conduce alla stazione Porta Susa. Pioggia leggera. Prendo posto verso la coda, pronto a leggere il mio quotidiano politico preferito. Davanti a me una famiglia di nomadi. Padre, madre, con tre bambini. Agitati come mille altri bambini della loro età. Non sono maleducati, non urlano, sorridono e giocano. La famiglia scende, e subito un anziano italiano si fa sentire e a voce alta: “Visto che roba?”. E un altro di rimando: “Questa è la Torino democratica. Vengono tutti qui a fare quello che vogliono. Basta!”. Decido di non intervenire. Diavolo, è ancora presto per farsi venire il sangue amaro!

 

A Porta Susa prendo il pullman direzione Barriera di Milano. Dove lavoro. Il pullman è fermo. Sale una signora africana col passeggino. Lo sistema nella parte indicata e si siede dalla parte opposta per mettere a posto qualcosa nella propria borsa.. Il conducente lascia il suo posto e si avvicina alla signora dicendo così, proprio così: “Qui essere in Italia, tu stare vicino a carrozzina…”. Sembrava di sentire gli indiani dei film americani in bianco e nero doppiati da noi negli Anni Trenta. La signora non fa una piega: “Parlo bene l’italiano, può farlo anche lei. Mi sto solo sistemando…”. “No, tu devi…”. A quel punto, sono sbottato. Perché c’è un limite a tutto: “Deve dare del lei alla signora, e comportarsi con rispetto…”. La signora, sempre con un sorriso luminoso: “Non importa, nessun problema. Ecco, mi metto vicino alla mia bambina”. Quello bofonchia, volta le spalle e torna al suo posto.

 

Si parte. Per fortuna. Ma non riesco più a concentrarmi sulla lettura. Da una vita non sopporto questa intolleranza. Perché, figlio nipote e pronipote di emigranti, so cosa vuol dire essere “straniero”, l’hanno provato sulla loro pelle i miei genitori (va detto, anche tra tanta solidarietà e tanta amicizia). Il delinquente non ha carta d’identità.

 

È un delinquente, e basta. E va punito secondo la legge. Poi, leggo di uno scippo nei vicoli di Napoli. Una signora aggredita da un giovane in motorino. Intorno, diversa gente. Chi interviene? Un mendicante nordafricano che, raccolta la borsa della donna, indica l’autore del furto, cerca di fermarlo. Verrà preso più tardi dalla polizia. Ecco: gli “altri” non sono soltanto brutti e cattivi, venuti qui per rubarci il pane, per farci del male. I cattivi, ripeto, non hanno nazionalità. È così difficile rispettarsi?

 

Un grande rivoluzionario disse più di duemila anni fa: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Non esiste invito più bello.

 

Darwin Pastorin

8/2/2014 www.huffingtonpost.it

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