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Messaggi del 15/04/2014

 
 

Malati SLA: "Staremo in presidio permanente, giorno e notte, in sciopero della fame totale, non ricaricheremo i respiratori"

Post n°8783 pubblicato il 15 Aprile 2014 da cile54

Malati Sla attaccano Renzi: il 6 maggio sotto il palazzo in sciopero della fame!

 

Con una lettera durissima, il Comitato 16 Novembre, costituito da Salvatore Usala e altre persone colpite dalla Sla, comunica ai rappresentanti del Governo, compreso il presidente del Consiglio Renzi, che il 6 maggio inizierà un nuovo presidio con sciopero della fame sotto il ministero dell'Economia. Una risposta all' "assordante silenzio e la Vostra irresponsabile ipocrisia, ci costringete ad una ulteriore lotta estrema. Sapete benissimo che rischiamo la vita, ma non abbiamo paura della morte, noi lottiamo per la dignità, la speranza e la passione" si legge nella lettera. Vediamo se nei prossimi giorni il Governo mostrerà un minimo di responsabilità per evitare altre tragedie come quella accaduta l'anno scorso, quando Raffaele Pennacchio, malato Sla anche lui, trovò la morte proprio durante i giorni di protesta del Comitato 16 Novembre. Anche allora il silenzio fu assordante e le risposte arrivarono troppo tardi.

 

Riportiamo integralmente la lettera:

 

Preg.mo Dott. Matteo Renzi Presidente Consiglio dei Ministri

Piazza Colonna,370

00187 -- ROMA – FAX 06 67793543

Preg .mo On.le Beatrice Lorenzin Ministro della Salute

Via Lungotevere Ripa 1

00153 – ROMA – FAX 06 59945609

Preg.mo Prof. Pier Carlo Padoan Ministro Economia e Finanza

Via XX Settembre 97

00187 – ROMA – FAX 06 47434493

Preg.mo Giuliano Poletti Ministro Lavoro e Politiche Sociali

Via Veneto 56

00187 – ROMA – FAX 06 4821207

epc

Preg.mi Viceministri e Sottosegretari

 

Egregio Presidente del Consiglio, egregi Ministri, egregi Viceministri, egregi Sottosegretari,

Vi abbiamo chiesto un incontro il 26.3.2014, non vi sono bastati più di 20 giorni per mettervi d'accordo. Questo Governo, come tutti gli altri, lavora a compartimenti stagni, nulla è cambiato, si continua a coltivare il proprio orticello. Che dire del Presidente Renzi? Non si è degnato di nominare MAI I DISABILI, sta forse meditando qualche ulteriore taglio alla Tremonti? Matteo Renzi ha detto: mandatemi una mail con i vostri problemi, vi risponderò, l'abbiamo notato, sei di parola! Abbiamo presentato il progetto "RESTARE A CASA" che consente risparmi di 2.250 milioni in tre anni e pone i disabili davanti ad un'assistenza umana, libera da lacci e balzelli, in mezzo alla famiglia. Con i risparmi si possono finanziare i Nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), per 800 milioni, portare a 1.000 milioni il Fondo Nazionale della non Autosufficienza (FNA), istituire un contributo CAREGIVER per almeno 700 milioni.

Vi riproponiamo i nostri tre punti chiari e logici, studiateli per darci risposte concrete. Chiediamo al Governo e alla maggioranza che lo sostiene tre cose, semplici e chiare:

1) Convocazione del tavolo interministeriale (sanità, politiche sociali, economia), allargato a regioni ed associazioni, per la predisposizione di un Piano Nazionale per le Non Autosufficienze (PNNA), principalmente finalizzato al potenziamento della domiciliarità indiretta, alla garanzia ed esigibilità del diritto di scelta tra restare a casa o entrare in RSA, al riconoscimento del lavoro di cura del caregiver.

2) Immediato sblocco del Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza (FNNA) 2014 con ripartizione alle regioni mediante decreto di attuazione, rispettando criteri ed impegni assunti dal Governo: destinazione del 30% più l'aumento di 75 milioni per i disabili gravi e gravissimi.

3) Rivedere urgentemente la riforma dell’Isee, che rischia di penalizzare fortemente persone con disabilità e loro familiari. In particolare chiediamo che non vengano considerate nel calcolo reddituale anche tutte le prestazioni monetarie erogate dallo Stato o da Enti pubblici con finalità assistenziale, anche se esenti da tassazione. Se la riforma venisse applicata così com’è ridurrebbe la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali. Infatti, quelle persone che ad oggi beneficiano di prestazioni assistenziali (pensioni, indennità e assegni) rischiano di non potervi accedere più perché paradossalmente il reddito computato risulterà più alto proprio a causa delle suddette prestazioni assistenziali.

Visto il Vostro assordante silenzio e la Vostra irresponsabile ipocrisia, ci costringete ad una ulteriore lotta estrema. Sapete benissimo che rischiamo la vita, ma non abbiamo paura della morte, noi lottiamo per la dignità, la speranza e la passione.

DALLE ORE 10,30 DEL 6 MAGGIO 2014 SAREMO DAVANTI AL MINISTERO DELL'ECONOMIA IN VIA XX SETTEMBRE 97

Staremo in presidio permanente, giorno e notte, in sciopero della fame totale, non ricaricheremo i respiratori: SARA' UNA BELLA PROPAGANDA PER LE ELEZIONI EUROPEE. COMPLIMENTI!!!

Antonio Ferraro

15/04/2014 www.controlacrisi.org

 
 
 

Avanza la nuova Italia, da Berlusconi a Renzi. I nuovi analfabeti: usano Facebook, ma non sanno interpretare la realtà

Post n°8782 pubblicato il 15 Aprile 2014 da cile54

Analfabeti del terzo millennio In evidenza

Ci siamo occupati più volte delle conseguenze – anche politiche – della inarrestabile “prevalenza del cretino” (dal titolo devastante di un articolo che vaevamo ripreso). Torniamo sul tema grazie a questo eccellente e stimolante pezzo apparso su Wired, che dà conto della nozione di “analfabeta” ai nostri giorni.

Non si può infatti restare ancorati al complesso di “segni caratteristici” che ne delineavano il contorno oltre un secolo fa (non saper leggere né scrivere, letteralmente). Quel tipo di analfabeta, in ogni caso, era una figura complessa assai più di quanto non connotasse la definizione lessicale. L'essere umano “analfabeta” era colui che non disponeva della padronanza “tecnica” della scrittura, il che certamente ne limitava moltissimo l'interazione con quella parte del mondo (d'allora) che invece ne richiedeva il controllo. Ma questa esclusione non significava di per sé incapacità di comprendere il mondo, interagire con esso, assumere decisioni sensate anche di grande complessità.

Essere analfabeti dell'800 o del primo '900, insomma, non era affatto sinonimo di essere “cretino”.

La storia del proletariato e del movimento operaio è stata fatta da analfabeti che hanno imparato a leggere e scrivere dopo aver cominciato a partecipare alle lotte, a scontrarsi con la polizia o l'esercito, a organizzare i propri compagni di sventura, a fare “classe per sé”. Analfabeti che hanno deciso di esserlo più per capire il mondo ancor meglio, per sapere quel che non stava scritto nelle regole della normale battaglia di strada, di fabbrica o di campo coltivato; ma che determinava le ragioni e anche l'esito di quelle battaglie. “Innalzarsi” di livello culturale era insomma non solo possibile, ma anche riconosciuto come un “dovere militante” e al tempo stesso un “vantaggio personale”. Crescere di livello culturale, fra l'altro, comportava la perfetta comprensione delle differenze esistenti tra i livelli culturali di chi ci stava intorno, il riconoscimento delle competenze altrui, la capacità di commisurarle alle proprie; e quindi la capacità di “metterle in comune” per liberarci tutti, anziché giocarle “in competizione reciproca” per restare tutti schiavi.

L'analfabeta del Terzo Millennio non è più semplicemente un essere umano privo di una tecnica specifica. Anzi, è il frutto di una sovraesposizione alle tecniche più complesse, che ha imparato ad utilizzare ma di cui gli sfugge quasi completamente il senso. Questo analfabetismo riguarda le “capacità funzionali”, non il mancato possesso di una particolare tecnica.

La definizione data da Vanessa Niri, a conclusione di una serie di “segni caratteristici” dell'analfabeta del terzo millennio, è quasi lapidaria:

Un analfabeta funzionale, quindi, traduce il mondo paragonandolo esclusivamente alle sue esperienze dirette (la crisi economica è soltanto la diminuzione del suo potere d’acquisto, la guerra in Ucraina è un problema solo se aumenta il prezzo del gas, il taglio delle tasse è giusto anche se corrisponde ad un taglio dei servizi pubblici…) e non è capace di costruire un’analisi che tenga conto anche delle conseguenze indirette, collettive, a lungo termine, lontane per spazio o per tempo.

Definizione che recepisce e supera quella puramente descrittiva proposta da un rapporto dell'Ocse:

una persona che sa scrivere il suo nome e che magari aggiorna il suo status su Facebook, ma che non è capace “di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

Quanti post su Facebook potete leggere caratterizzati appunto da questa incapacità funzionale? Quante volte vi è capitato di scrivere 20 o 30 righe per argomentare il vostro pensiero su un singolo argomento – il minimo per non restare alla battuta o all'emoticon – e sentirvi rispondere “non venire a farci la lezione”, “non farla lunga”, o “cosa ti fa credere di saperne di più”? Quante volte vi hanno “commentato” senza aver capito assolutamente nulla di quel che avevate provato a dire? E fuori da Facebook, nella vita reale?

Vanessa Niri, da insegnante, mette giustamente in relazione questo status raccapicciante della cultura “tipo” da socil network con l'intenzionale progetto di distruzione della scuola pubblica come luogo di formazione di “coscienze critiche”. Ovvero di persone capaci non solo o non tanto di apprendere “nozioni”, ma di ricostruire i meccanismi di fabbricazione della nozione stessa; persone, insomma, capaci di trovare soluzioni per problemi nuovi, non applicare procedure già note per problemi già risolti.

Perché diciamo che questo tipo di nuovo analfabetismo ha pesanti conseguenze “politiche”? Beh, provate a vedere quanti problemi nuovi esistono davanti a noi e poi datevi anche una risposta. Facciamo conto che sia un test...

Per esempio: cosa è “la politica” nell'epoca in cui le competenze dello Stato – il cuore pulsante di ogni questione politica – finiscono in un altro strumento decisione “non contendibile” per le normali vie politiche (elezioni, rivolte, insurrezioni, ecc)?

Dante Barontini

14/4/2014 www.contropiano.org

*****

I nuovi analfabeti: usano Facebook, ma non sanno interpretare la realtà

Se chiudo gli occhi e immagino un analfabeta, penso ad una persona che firma con una X al posto del nome.

Ma sbaglio.

Un analfabeta, ci ha ricordato l’OCSE pochi giorni fa, è anche una persona che sa scrivere il suo nome e che magari aggiorna il suo status su Facebook, ma che non è capace “di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.

Certo, sono due analfabetismi diversi: quello di secondo tipo si chiama analfabetismo funzionale e riguarda quasi 3 italiani su 10, il dato più alto in Europa.

Un analfabeta funzionale, apparentemente, non deve chiedere aiuto a nessuno, come invece succedeva una volta, quando esisteva una vera e propria professione – lo scrivano – per indicare le persone che, a pagamento, leggevano e scrivevano le lettere per i parenti lontani.

Un analfabeta funzionale, però, anche se apparentemente autonomo, non capisce i termini di una polizza assicurativa, non comprende il senso di un articolo pubblicato su un quotidiano, non è capace di riassumere e di appassionarsi ad un testo scritto, non è in grado di interpretare un grafico.

Non è capace, quindi, di leggere e comprendere la società complessa nella quale si trova a vivere.

Tre italiani su 10, ci dice l‘OCSE, si informano (o non si informano), votano (o non votano), lavorano (o non lavorano), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge la complessità, ma che anche davanti ad un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale, lo spread) è capace di trarre solo una comprensione basilare.

Un analfabeta funzionale, quindi, traduce il mondo paragonandolo esclusivamente alle sue esperienze dirette (la crisi economica è soltanto la diminuzione del suo potere d’acquisto, la guerra in Ucraina è un problema solo se aumenta il prezzo del gas, il taglio delle tasse è giusto anche se corrisponde ad un taglio dei servizi pubblici…) e non è capace di costruire un’analisi che tenga conto anche delle conseguenze indirette, collettive, a lungo termine, lontane per spazio o per tempo.

Sarà che forse sono un po’ analfabeta funzionale anche io, ma leggendo i dati dell’OCSE ho subito pensato ad un dialogo di qualche anno fa, tra me e una collega.

All’epoca ero una maestra della scuola primaria. Era una bella giornata di sole: io e la mia collega di italiano avevamo portato le classi in terrazza per la ricreazione e parlavamo del più e del meno. Ad un certo punto mi è venuto in mente di consigliare alla collega di italiano la lettura di un libro che avevo appena terminato e lei mi rispose, candidamente: Grazie, ma io non leggo libri.

Mai? chiesi.

Mai – rispose la collega – l’ultimo libro l’ho letto quando ho preso la maturità, perché dovevo portarlo all’esame. Non ho mica tempo, per leggere, e poi mi annoio.

Davanti ai dati dell’OCSE l’ex Ministro Carrozza si è affrettata a sottolinearne la drammaticità chiedendo una forte inversione di tendenza.

Ma, anche se all’allarme corrispondesse un reale investimento dell’attuale Governo – e, purtroppo, la storia recente ci porta a dubitarne – quale diga fermerà il crollo verticale della cultura degli italiani, se a chi ci deve rappresentare e a chi ci deve insegnare non si impone di essere più preparato, e non meno preparato, del proprio popolo, dei propri impiegati, o della propria classe?

Non esiste cura, se i primi a rifiutare la complessità e l’approfondimento sono i nostri insegnanti, i nostri manager, i nostri politici.

La scuola italiana, da sempre fondata sul dogmatismo, ha visto annullate le proprie spinte verso un insegnamento diverso, riducendosi alla trasmissione di competenze inutili, perché si dimenticano il giorno dopo l’interrogazione, e che non insegnano a capire, ad analizzare, a criticare, a soppesare, a riassumere.

Era il 1974, quando Sergio Endrigo, ispirandosi a Gianni Rodari, incise su un disco questo prologo illuminante: Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio il 15 agosto del 1769. Il 22 ottobre del 1784 lasciò la scuola militare di Briennes con il grado di cadetto. Nel settembre del 1785 fu promosso sottotenente. Nel 1793 fu promosso generale, nel 1799 promosso primo console, nel 1804 si promosse imperatore. Nel 1805 si promosse re d’Italia. E chi non ricorderà tutte queste date, sarà bocciato!

Dal 1974 le cose, se possibile, sono generalmente peggiorate.

I parametri Invalsi – lo strumento Europeo per la valutazione delle competenze – sono diventati in fretta praticamente l’unica cosa che la scuola si preoccupa di insegnare, riducendo la lungimiranza dell’insegnamento alla verifica in programma, all’esame di fine anno.

Ma cosa rimane fuori da una scuola sdraiata sui parametri Invalsi (per i quali, in ogni caso, non brilliamo, come competenza, in particolar modo nel Sud Italia)?

Rimangono fuori proprio le competenze che fanno di una persona un cittadino attivo, e non un analfabeta funzionale: la capacità di scegliere un libro interessante, e di immergersi nella lettura, la scelta di comprare un quotidiano, la capacità di valutare le proposte economiche e politiche nella loro (grandissima) complessità.

Per rispondere all’allarme dell’OCSE questo paese deve ribaltare il concetto stesso di competenza.

Una scuola dogmatica è una scuola che respinge, e che insegna senza insegnare.

Una scuola che costruisce e valorizza le competenze, invece, è una scuola capace di accogliere, e di insegnare gli strumenti di comprensione del mondo.

Un analfabeta può anche imparare a memoria che Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio il 15 agosto del 1769, e che nel 1805 si promosse re d’Italia, ma non per questo avrà gli strumenti per accogliere ed analizzare la complessità della società in cui vive.

E anche lui, come i ragazzi che spesso la nostra scuola respinge – quelli che non vengono messi in grado neanche imparare le date a memoria – rischia di entrare a far parte di quel folto gruppo per i quali la guerra in Ucraina è un problema solo se aumenta la bolletta del gas.

Vanessa Niri

Coordinatrice pedagogica

da wired.it

 
 
 

Torino oscurantista. Lo sciacallaggio degli antiabortisti e lo scoop dei media, sulla morte di una donna in ospedale. Laidi!

Post n°8781 pubblicato il 15 Aprile 2014 da cile54

Anna siamo tutte noi

Pubblichiamo il comunicato con cui i compagni e le compagne del Csoa Gabrio hanno preso parola sul vergognoso sciacallaggio con cui i giornali locali hanno trattato la vicenda di Anna, compagna del centro sociale mancata pochi giorni fa.

“Torino, donna muore dopo l’aborto con la pillola”, La Stampa, 11 aprile 2014

 “Aborto, muore in ospedale dopo aver usato la RU486”, Repubblica, 11 aprile 2014“Morta dopo l’aborto farmacologico, anche il ministero apre un’inchiesta”, La Stampa, 12 aprile 2014Torino, una donna di 36 anni muore in ospedale dopo aver effettuato un’interruzione di gravidanza.  I quotidiani hanno le idee chiare. C’è aria di scoop, inizia la giostra.Eh già, perché non solo è morta di aborto (dato ancora da verificare, dal momento non ci sono gli esiti dell’autopsia), ma di aborto farmacologico e si tratterebbe del primo caso in Italia, uno dei pochi nel mondo.

Non importa che quella donna si chiami Anna (il grande pubblico conoscerà il suo nome appena qualche ora dopo il decesso) e nemmeno importa davvero chi sia stata e se avrebbe voluto diventare la prima pagina di un quotidiano. Quel che conta è che fa notizia: la sua morte spalanca le porte alla mai sopita polemica sull’interruzione di gravidanza col metodo farmacologico, da pochi anni entrata anche in Italia nei protocolli ufficiali per l’IVG. E, per gli antiabortisti, rappresenta una ghiotta occasione per tentare il colpo e sferrare nuovi attacchi alla legge 194, che dal 1978 consente alle donne di scegliere se portare avanti o meno una gravidanza.

Oggi leggiamo sui giornali articoli che raccontano, saccheggiando i commenti degli amici su facebook e i ricordi delle persone che hanno avuto la fortuna di incrociare la propria strada con la sua, chi sarebbe stata Anna.

Anna E’ una nostra sorella, di più: Anna siamo tutte noi.

Donne che ogni giorno si reinventano per non arrendersi alla precarietà che il sistema economico e politico ci impone, donne che studiano nella speranza di aprirsi nuove strade per un futuro meno disarmante, donne che lavorano per conquistare o mantenere la propria indipendenza economica, per dare gambe ai propri sogni. Donne che si autoorganizzano e promuovono nuove forme di solidarietà e socialità per non cedere a chi ci vorrebbe arrese a un sistema dove chi non compra non vale. Donne che occupano case, perché senza un tetto non ci vogliono stare, donne che scendono in piazza per rivendicare nel quotidiano diritti che non possono diventare optional: reddito, dignità, istruzione, salute. Per tutte e per tutti, non importa il colore della pelle o un documento di identità. Donne che non hanno paura di scendere in piazza per dire no ai veleni della TAV, donne che coltivano la terra orgogliose dei propri frutti.

Donne che sono mamme per scelta, non per dovere. Donne che non sono mamme, perché non esserlo non significa essere meno donne. Donne che amano uomini e donne che amano donne. Donne che non ci stanno a interpretare ruoli precostituiti, che non accettano definizioni imposte da altri.

Siamo donne che credono fermamente nell’autodeterminazione delle nostre scelte, del nostro agire e dei nostri corpi, contro ogni forma di violenza e di manipolazione delle nostre identità. Che agiscono quotidianamente in nome di ciò, assumendocene il rischio, imparando a stare nella contraddizione, mai nel compromesso. Siamo donne che rivendicano, che pretendono il diritto ad una sessualità libera, consapevole, sicura.

Siamo donne che hanno lottato, ed Anna era con noi, affinchè anche in Italia ci fosse la possibilità di scegliere l’Ivg farmacologica, in un contesto in cui decidere sul proprio corpo è sempre più difficile e la nostra libertà è limitata dall’obiettore di turno. Siamo donne consapevoli che ancora molto ci sarà da lottare: a partire dalla pretesa di capire perchè una di noi è morta mentre faceva quello che dovrebbe essere un intervento di routine; e a partire dal difendere fino in fondo il suo e il nostro diritto, la sua e la nostra libertà di scelta. E questo con la consapevolezza che solo se sapremo tenere alta la nostra capacità d’inchiesta e di ricerca, solo se sfuggiremo agli slogan “ru486 si-ru486 no”, ai giochetti di potere sui nostri corpi, alla medicina maschile che dedica al corpo delle donne poca attenzione e poca ricerca, agli interessi delle industrie farmaceutiche, solo allora avrà un senso lo slogan che tanto amiamo: SUL MIO CORPO DECIDO IO!.

Anna siamo noi e, per questo, morendo con lei, gridiamo la nostra rabbia: non cercate di usarci per i vostri sudici scopi. Non saremo vostre complici: di aborto non si deve morire. Né in una sala operatoria, né con una pastiglia. Vogliamo rispetto per il nostro dolore, verità per Anna.

Le compagne e i compagni del C.S.O.A. Gabrio

14/4/2014 da www.infoaut.it

 
 
 
 

L'informazione dipendente, dai fatti

Nel Paese della bugia la verità è una malattia

(Gianni Rodari)

 

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G8 GENOVA 2011/ UN LIBRO ILLUSTRATO, MAURO BIANI

Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

omicidio di Stato

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