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...fini la comédie

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Messaggi del 06/11/2014

Il giovane favoloso

Post n°724 pubblicato il 06 Novembre 2014 da picciro

“Non vivono fino alla morte
se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita”


(uno splendido Elio Germano nei panni di Giacomo Leopardi)

 

Era da tanto che non andavo al cinema..

E così, non appena ho sentito una mia collega parlare del film che sarebbe andata a vedere il pomeriggio successivo..si  è accesa in me una lampadina! Il mio amato Leopardi! Ne avevo visto il promo in tv ripromettendomi che non me lo sarei perso!

  Nel pomeriggio eravamo, io e altre colleghe, nella hall del multisala a fare i biglietti ed essendo un mercoledì, abbiamo usufruito dello sconto!
Prendiamo posto nella sala dove va in proiezione “Il giovane favoloso”


 e l’emozione mi prende;  quel ricordo del passato, vivido e pregnante si affaccia alla porta della mia memoria..e mi rivedo  giovinetta, appassionata, nei confronti di  quel giovane, grande nel cuore e nello spirito,  esplicandolo  nei suoi soavi e profondi versi e pensieri..eppur beffato da una natura ingrata…e sono pronta a ritener in me quell’anima grande, condividendone il sentire, ancora una volta..a distanza di moltissimi anni.

La scena iniziale del film, si apre con tre bambini, Giacomo, Carlo e Paolina Leopardi, intenti a giocare in giardino; i tre ragazzini  giocano sereni tra loro,  mentre alle loro spalle si staglia la casa paterna, immensa, aristocratica, abitata nell’agiatezza del titolo nobiliare posseduto dal padre, il conte Monaldo. Giacomo, il primogenito, vittima di un amore filiale possessivo da parte  del coltissimo, autoritario e dispotico padre, è il più incline agli studi, ma quella casa è una specie di tomba, nella quale rimane seduto a lungo a quel tavolino sotto la finestra , da dove vede Silvia affacciarsi alla sua e da dove esalerà il triste respiro della di lei.. morte.

Tra i libri dell’immensa e pregiata biblioteca paterna, Giacomo passa i famosi anni di studio matto e disperatissimo, un aggravante che  mina ancor di più, la sua già cagionevole salute. Siamo in un ambiente ottocentesco, che risente degli sconvolgimenti avvenuti  oltralpe, essendo Giacomo nato  nove anni dopo la rivoluzione francese e , lui anima ardimentosa, come spugna assorbe e ingloba l’aria del cambiamento che, come strascico ne deriva. Se ne nutre, si esalta, e ciò cozza contro la pedante monotonia  dell’aria che respira nell’ambiente circostante, dilaniato anche dai conflitti interiori che è costretto a soffocare, nei confronti del padre, un bigotto reazionario, che protegge e ama suo figlio e che vuol vedere trasformato in uno dei tetri abati letterati nerovestiti, cultori di una letteratura morta, scritta d autori decrepiti; vuole che il figlio rispetti la chiesa, la tradizione, la visione antiliberale.


Giacomo invece si sente oppresso in quell' ambiente gretto e claustrofobico,  quale considera anche la sua terra natìa, Recanati, tanto lontana dagli ideali suoi. Vuole andar via , innalzarsi su quella realtà che gli sta stretta..e che lo inchioda al suolo, unitamente alla sua malattia. Tenta anche ma invano.. la fuga! Scoperto, mestamente è costretto a tornare tra le mura domestiche ed è emblematica la scena: lui seduto al centro di una stanza, come sottoposto ad un processo, alla presenza del padre e dello zio zoticone che lo accusano, e lui che sbotta, s’alza, rovesciando la sedia ed urla parole molto dure. Ma è solo frutto della sua fantasia. E’ quello che in realtà vorrebbe fare: sputare il suo veleno contro quel perbenismo sterile della sua famiglia, della società e della morale cattolica. E questo, al di là degli aspetti onirici e fantastici della scena, che inquadra immediatamente dopo, un Leopardi seduto, a testa bassa, che parla a labbra quasi serrate, mettendo in luce il contrasto tra il suo animo tempestoso ed eroico e il suo aplomb impassibile; un’imposizione derivante dalla rigida disciplina nobiliare e dalla debolezza del corpo. Giacomo non è un ribelle, nemmeno un rivoluzionario ma avvita su se stesso un dolore infinito, quell'iquetudine derivante dal suo misero destino e si rifugia nella sua solitudine, anticipando forse il corso della sua malattia. Miseramente fallito dunque,  il sogno di raggiungere Milano, per riunirsi a quello che considera il suo maestro, colui il quale gli dona il balsamo dell’amicizia epistolare..lui Pietro Giordani, il letterato che subito ne colse la genialità! Si, lui gli regalava gli strumenti, i suoi tanti complimenti e incitamenti, per  poter sognare e volare.  E infatti lui vola e, nel filo cronologico del film, Giacomo si vede, dieci anni dopo stabilito a Firenze. Finalmente ce l'ha fatta a fuggire, a lasciare la tomba natìa!

In quella città è accanto ad Antonio Ranieri, patriota napoletano esule, che diviene il suo fraterno amico. Antonio, insieme a sua sorella Paolina,  prende sotto la sua ala protettiva Giacomo, lo accudisce, lo difende da tutto e tutti..ma mentre il Ranieri è un giovane pieno di salute, che passa da una nobildonna all'altra, Giacomo diviene sempre più ammalato e sta a gurdare. Ma nel frattempo, Antonio lo introduce nei salotti dei circoli politici e  letterari  dei ben pensanti, che però non risultano essere congeniali  al poeta, anzi lo emarginano e.. “Di lui nel ‘900 non resterà che la gobba”, così lo apostrofa un bellimbusto (quanto si sbagliava quel fesso..ndr) seduto in una di quelle biblioteche. “Sono un uomo infelice” dice Leopardi, quando fronteggia i critici “democratici” e liberali che gli hanno appena negato un premio letterario importante. Troppa malinconia, troppa infelicità, gli rimproverano. Si deve parlare di felicità delle masse, di cose positive! E lui ribatte: Come possono essere le masse felici se sono composte da individui infelici?

  La terza e ultima tappa filmica, vede Leopardi che accanto al Ranieri si trasferisce a Napoli, in un tempo in cui la città è piegata dal colera. Una città quasi surreale, con le strade deserte, i locali devastati, e colonne di fumo nero e grigio che si innalzano al cielo.  La città bella e terribile (dove poi il Leopardi morirà) ma per sfuggire al colera con Antonio e Paolina, si rifugiano in una villa a Torre del Greco


dove, una bellissima scena mostra il Vesuvio che erutta, infuoca il cielo e brucia la terra..Qui Giacomo, in questa rarefatta atmosfera tra il buio e i colori di quella, tra le luci e le ombre, tra gli innumerevoli contrasti, tra i bassifondi sede del bordello, dove Antonio lo introduce per iniziarlo alla vita amatoria carnale.. ma con scarso successo..si rende conto dell’insignificanza umana.  Lui vorrebbe una vita vera..ma non può..o non vuole? E' la condanna che lo perseguita, ora è totalmente invalido eppure..riesce a strapparsi di dosso le pene della sua invalidità, cammina tra le strade di quella città martoriata (azzeccata credo la giacca che indossa, di un colore appariscente..verde petrolio, con la quale spicca in tutta la sua deformità, tra la gente) quasi libero da una parte di sofferenza, quella del rimpianto, del senso dell'esclusione. In lui avanza prepotentemente la poesia, unica e assoluta ragione di vita. E poi giunge la scena sul magnifico finale, che si dipana nella declamazione de "La ginestra" , in cui mondo fisico e mondo interiore si sommano e si confondono, in un messaggio che ci riconduce alla nullità dell’uomo che contro le forze della natura nulla può fare..se non rifugiarsi in una condotta solidale!

                                                   The End!


Qualche attimo rimango in silenzio a riflettere sulla visione che Martone regista ha dato di questo Grande dell' 800. Di certo non un modo scolastico di presentare il personaggio..pochissime le incursioni sulle sue poesie, il pensier suo si ascolta quando Giacomo parla coi letterati,  ma non ho saputo tacere però quando Leopardi declama "L'infinito"
..e io..sottovoce, insieme a lui..Meravigliosi momenti! Comunque, credo che il regista abbia volutamente accendere  un dubbio e aprire  la strada a  possibili altre alternative rispetto al solito verdetto  ma invece, un pessimismo cosmico che non rinviene dalla sua cagionevole salute, anzi dei suoi malanni non deve importare a nessuno!

Essi non possono adombrare la genialità e l’avanguardia di un uomo che ha scritto memorabili opere che hanno arricchito la cultura del suo secolo ma che a torto, non è stato preso in considerazione circa il suo pensiero filosofico. “Non imputate al corpo quanto si deve solo al mio intelletto”, tuona, in una pasticceria di Napoli, Leopardi, contro dei letterati che volevano ravvisare nelle sue condizioni di salute la causa prima del suo pessimismo; “cercate di confutare le mie parole, invece di parlare di me”.

Il concetto del dubbio..mettere in dubbio la verità è il primo passo per scoprirla! Non c’è che dire..un Grande.. anche come filosofo!

Voglio suscitare in voi il gusto e la curiosità..
lasciatevi permeare..ed abbracciare!

rosa


 
 
 

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