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« just like new | Messaggio #159 » |
antichi sapori
Passato molto tempo. Dall'ultima volta. Che sono stati felici. Insieme.
Avevano un appuntamento, ostinata ripetizione. Gli ultimi eventi avevano portato la situazione agli sgoccioli: lei lo aveva tradito, rea confessa. Lui stava provando a perdonare. E questo era il primo appuntamento, dalla confessione, dopo giorni di silenzio, assenza, rancore, dopo un incontro voluto da lui in cui avrebbero dovuto esserci spiegazioni e rabbia. Ma lei è serena, perchè è come una piccola irsuta fenice, che cerca il fuoco per purificarsi e per rinascere dopo ogni spavento. La piccola fenice aveva spiegato a lui la necessità di quel dolore, che come un embrione avevano covato entrambi in mesi e mesi di quotidianità insensata. Il dolore era nato dalla loro stupidità, dalla loro piccolezza, dalla loro viltà. E ora bisognava smettere di mettere pezze dove non c'era più sostanza: bisognava lasciar morire tutto per poi rinascere. Questo gli aveva detto.
E dopo c'era stato questo appuntamento. Appuntamento. Come qualcosa di nuovo, ma conosciuto, come qualcosa da sperimentare, ma già saputo.
Volevano stare soli. Invece c'erano gli amici.
Va a finire che si trovano in questa osteria, una vera e propria bettola che a vederla da fuori faceva scappare. Ma l'amica garantiva, è buona e poi è divertente, vedrai, vedrai.
Tutto colorato. I muri pieni di poster e foto e quadri vecchia Milano, anzi vecchia e basta. Sembrava di aver fatto un salto nel tempo, indietro di almeno cinquant'anni. Esistono ancora posti del genere. Luigi, l'oste, ha una gentilezza servile e amichevole al tempo stesso. Il cibo è ottimo, senza meraviglie, semplice ma sapientemente curato.
E poi a un certo punto quel tizio prende in mano la chitarra. E comincia a cantare. Lentamente tutti alzano lo sguardo dal microcosmo del proprio tavolo e si voltano. A guardarlo. Ad ascoltarlo. A ridere, quando canta di un'improbabile sbornia sulla melodia di California dreaming. A piangere, quando canta del barista dell'albergo a ore, che vede morire una giovane coppia nella stanza numero 3. Gli amici si spostano, vanno a sedersi al tavolo che si è liberato accanto al cantante, assieme ad un altro cliente che è lì da solo e conosce il chitarrista, è venuto a posta. E offrendosi reciprocamente vino e rosolio fino a tarda notte, imparano e ricordano un pezzo di storia della loro città e del loro Paese che un giorno andrà smarrito inesorabilmente, quando crollerà l'ultimo mattone dell'Osteria Tajoli.
La compagna del cantante lo incita: canta quella degli occhi grandi, quella è bella. Sono ubriaco non mi ricordo le parole. Ma sì, se cominci poi ti vengono.
E lui comincia. Parla di una coppia. Lei lo tradisce in continuazione e lui la perdona in continuazione, stregato e affascinato dai suoi occhi grandi. La piccola fenice vorrebbe sprofondare, ce li ha pure lei gli occhi grandi. Lui ascolta, sorride e guarda fisso davanti a sè. Alla fine della canzone lui non la perdona più e le spara. Tutti ridono. Anche la fenice. Anche lui.
Questa storia non ha un finale.
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Inviato da: cassetta2
il 13/12/2020 alle 14:30
Inviato da: Randle.P.McMurphy
il 26/04/2011 alle 22:42
Inviato da: MaryRead
il 16/11/2009 alle 13:01
Inviato da: a.
il 13/07/2009 alle 04:20
Inviato da: vegetableman
il 13/05/2009 alle 08:23