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Laicità, pre-requisito della democrazia di Alessandro Litta Modignani

Post n°48 pubblicato il 11 Marzo 2009 da leonardo_donofrio
 

 

Sul Magazine del Corriere della Sera, Angelo Panebianco cambia ancora una volta le carte in tavola e non rende un buon servizio alla verità. In tema di etica e politica, sostiene il politologo, “ci sono troppi lupi travestiti da agnelli”. Chiamando “giacobini” i laici e “cattolici” gli integralisti, tuttavia, Panebianco dimostra che il primo a non sapere distinguere i lupi dagli agnelli, è proprio lui.

Facciamo un passo indietro. La laicità dello Stato è un pre-requisito indispensabile di ogni democrazia. Su questo tutti dovremmo essere d’accordo. L’Italia nacque dal Risorgimento mettendo fine al potere temporale dei Papi, con il concorso determinante dei cattolici liberali. Dopo il fascismo, i cattolici democratici hanno svolto un ruolo decisivo alla guida del paese, consentendo quel processo di secolarizzazione che ha prodotto, fra le altre cose, il divorzio, l’aborto e la liberalizzazione dei costumi.

Contro tutto ciò, oggi, è in corso un’offensiva politica neo-temporalista, guidata dalla Cei e dal Papa Benedetto XVI in persona. Lo dimostrano la legge 40 con i suoi oltre cinquanta divieti, la perdurante assenza di qualunque regolamentazione delle unioni civili, l’opposizione al divorzio breve, l’ostruzionismo contro la “pillola del giorno dopo” e la Ru 486: tutte cose acquisite dalla maggior parte dei paesi occidentali. In nessuna democrazia al mondo i religiosi sono in grado di condizionare la vita pubblica come in Italia. Lo dimostra, da ultimo, il tentativo ideologico e politico di mettere sotto sequestro il corpo di Eluana Englaro.

Se Panebianco non è d’accordo con questa analisi, lo dica. Ma egli stesso si trova a scrivere, in riferimento alle tesi degli integralisti, che essi “si arrampicano penosamente sugli specchi alla ricerca affannosa di argomentazioni pseudo-razionali”, nel tentativo di nascondere che, “dal loro punto di vista, la disponibilità della vita umana resta esclusivamente nelle mani di Dio”.

Proprio questo è il problema, caro Panebianco: il loro “punto di vista”, cioè il tentativo di sottomettere le leggi alla morale religiosa, trasformando lo Stato da laico-liberale in etico-confessionale. E’ giusto definire questa visione “cattolica” ? Non proprio, poiché anche molti credenti – autenticamente religiosi - vi si oppongono, in nome del libero arbitrio e dell’autonomia della coscienza. E’ semmai una visione teocratica o teocentrica, comunque illiberale, propugnata grazie anche all’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione. Questi sono i “lupi”, coloro cioè che fanno un uso politico spudorato della religione, come strumento di conquista e di occupazione del potere, contro lo Stato di diritto.

E’ corretto definire chi si oppone a questo disegno un “giacobino”? Difendere la laicità è un dovere di tutti gli autentici liberali, quale che sia la loro collocazione politica. Si tratta di un valore che a nessun titolo può essere considerato “di sinistra”; al contrario, la sinistra italiana ne ha spesso fatto a meno, come dimostra la storia dei Radicali di Marco Pannella, che Panebianco vorrebbe stroncare con espressioni liquidatorie. Il referendum che si sta idealmente svolgendo nel paese non è dunque “su Dio”, come sostiene l’editorialista del Corriere, bensì pro o contro la laicità dello Stato, un tema che non dovrebbe lasciarlo indifferente. Panebianco invece altera i termini della discussione, si chiama fuori e pretende di assegnare a suo piacimento le parti in commedia. Ne risulta che l’unico vero liberale sarebbe lui che si astiene. Eh no, caro amico: troppo facile, troppo comodo.

 
 
 
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