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Un blog creato da CarloBajaGuarienti il 04/05/2008

Il Libro di Sabbia

Libri e dintorni...

 
 

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FRASI SPARSE.

«Per sopravvivere agli assalti degli atei come dei veri credenti mi sono tenuto nascosto nelle biblioteche, tra pile di volumi pieni di polvere, per nutrirmi di miti e cimiteriali leggende. Ho fatto festini di panico e terrore di cavalli imbizzarriti, di cani latranti, di gatti impazziti... briciole scosse da lapidi tombali. Col passare degli anni, i miei compatrioti del mondo invisibile svanirono uno a uno, mentre i castelli crollavano o i nobili affittavano i loro giardini visitati dagli spiriti a club femminili o a tenutari di tavole calde con alloggio. Privati delle nostre dimore, noi, spettrali errabondi dell'universo, siamo sprofondati nel catrame, nelle latrine, in sfere di incredulità, di dubbio, di mortificazione, o di assoluta derisione.»

Ray Bradbury, Sull'Orient, direzione nord.

 

FRASI SPARSE

«… nella carrozza entrò un uomo che cominciò a suonare un violino che sembrava fatto con una vecchia scatola di lucido da scarpe e, nonostante io non abbia proprio senso musicale, quei suoni mi colmarono delle più strane emozioni. Mi pareva di udire una voce di lamento provenire dall’Età dell’Oro. Mi diceva che noi siamo imperfetti, incompleti, non più simili ad una bella tela intessuta, ma piuttosto come un fascio di corde annodate insieme e gettate in un angolo. Diceva che il mondo era un tempo interamente perfetto e generoso e che quel mondo perfetto e generoso esisteva ancora, ma sepolto come un cumulo di rose sotto tante palate di terra. Gli esseri fatati e i più innocenti tra gli spiriti vi avevano dimora e si dolevano del nostro mondo caduto nel lamento delle canne mosse dal vento, nel canto degli uccelli, nel gemito delle onde e nel soave pianto del violino. Diceva che presso di noi i belli non hanno senno e gli assennati non sono belli e che i nostri momenti migliori sono offuscati da qualche volgarità, o dalla trafittura di un triste ricordo, e che il violino deve rinnovarne sempre il lamento. Diceva che soltanto se coloro che vivono nell’Età dell’Oro potessero morire per noi sarebbe possibile essere felici perché quelle voci tristi si acquieterebbero, ma loro debbono cantare e noi lacrimare finché le porte eterne non si spalancheranno.»

William Butler Yeats, Il crepuscolo celtico.

 

AREA PERSONALE

 

 

Il bandito e il governatore. Domenico d'Amorotto e Francesco Guicciardini nell'età delle guerre d'Italia (Viella 2014)

Foto di CarloBajaGuarienti

È finalmente uscito il mio nuovo libro, pubblicato dalla casa editrice romana Viella.

Si tratta dell'approdo di una fase di ricerca e scrittura lunga e complessa, il tentativo di dare risposta a una domanda nata dal dialogo con alcuni storici anglosassoni: è possibile oggi in Italia scrivere libri di storia per l'università ma con un'attenzione particolare al lettore non specialista?

Spero di essere riuscito, ricostruendo la vita (anzi, le vite, quella reale e quella leggendaria) del fuorilegge Domenico d'Amorotto, a scrivere un libro adatto ai dipartimenti di storia e al comodino dei lettori appassionati di storia.

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Dalla quarta di copertina:

Nel 1494, con la discesa di Carlo VIII di Francia, il mosaico politico dell’Italia va in pezzi e la penisola, percorsa dagli eserciti delle maggiori potenze europee, sprofonda in un conflitto che durerà oltre sessant’anni.

Quella che per le popolazioni civili è una tragedia, tuttavia, per i professionisti delle armi è un’opportunità.

Domenico d’Amorotto, figlio di un oste della montagna reggiana, ha saputo costruire sulle macerie una carriera folgorante: il carismatico montanaro si è fatto uomo d’armi, leader ghibellino e talvolta fuorilegge tenendo testa a un avversario d’eccezione, il governatore Francesco Guicciardini.

La prima parte del saggio ricostruisce lo scontro fra le due figure, il bandito e il governatore: uno scontro di culture politiche inconciliabili che, indagato nelle sue pieghe nascoste, getta luce sui meccanismi del potere in una fase cruciale della storia italiana.

La seconda parte rivela un corto circuito fra la vicenda storica e la sua narrazione. La morte di Domenico ha dato ai narratori l’opportunità di rimaneggiare la realtà facendola aderire a un modello: come altri fuorilegge, Domenico ha lasciato il proprio corpo storico per intraprendere il viaggio verso la mitizzazione.

L’indagine su un individuo diventa così l’occasione per una riflessione sull’archetipo del bandito fra storia e letteratura.


Carlo Baja Guarienti si è formato all’Università di Ferrara, alla Scuola Normale Superiore di Pisa e al Warburg Institute. Ha pubblicato saggi di storia politica e culturale del Rinascimento e ha curato l’edizione dell’opera di G. Bebbi Guerre civili della città di Reggio fra Bebii e Scaioli (Reggio Emilia, 2007).

http://www.viella.it/libro/856
 
 
 

Il Comune di Bologna e Re Enzo.

Francesca Roversi Monaco, Il Comune di Bologna e Re Enzo. Costruzione di un mito debole, Bologna, Bononia University Press 2012.

Carlo Baja Guarienti

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«Tempo vene che sale chi discende». In queste parole Enzo di Hohenstaufen condensa la parabola della propria esistenza: da re di Sardegna e vicario del padre Federico II a prigioniero esibito come un trofeo in carne e ossa.

La rovina di Re Enzo inizia a Parma nel 1247: nonostante la cacciata dei guelfi Rossi, infatti, la ribellione dei parmigiani si rivela un duro colpo al potere ghibellino nell'Italia settentrionale. Pochi mesi più tardi, nell'estate del 1249, Enzo è catturato sul campo di Fossalta e portato in quella che diventerà la sua ultima dimora, Bologna.

Il figlio di Federico II è giovane, biondo e «di gentile aspetto», come il fratellastro Manfredi cantato da Dante, e la città-carcere finisce per appassionarsi alla sua figura malinconica creando un mito che si evolve nei secoli: all'inizio è la storia della vittoria del Comune sull'imperatore, poi – con l'invenzione della discendenza dei Bentivoglio da Enzo – una favola di antica gloria per una città ormai passata in secondo piano.

A questo mito è dedicato Il Comune di Bologna e Re Enzo. Costruzione di un mito debole di Francesca Roversi Monaco, pubblicato da Bononia University Press. Un appassionante saggio in cui l'autrice, ricercatrice e docente universitaria, ricostruisce la storia di una leggenda «debole» perché destinata a essere soppiantata da quello che ancora oggi è il mito fondante dell'identità bolognese: l'Alma Mater, l'università più antica del mondo, nata dalla spontanea aggregazione di giuristi contro ogni potere estraneo.

L'Ottavo centenario dell'università, orchestrato da Giosuè Carducci nel 1888, cancella definitivamente la centralità di Re Enzo, ma vent'anni più tardi sarà proprio il più grande allievo di Carducci a dare nuova vita al malinconico sovrano prigioniero: il «Re Enzio» di Pascoli, protagonista delle Canzoni del 1908, è ormai solo un'ombra letteraria del personaggio storico, ma la sua sconfitta è quella di ogni uomo disperso nella tempesta violenta e insensata della storia.

(Gazzetta di Parma, 27 dicembre 2012)

 
 
 

"Il grande mosaico dell'abbazia di Westminster: un diagramma cosmologico medievale."

Foto di CarloBajaGuarienti

Domenica 12 novembre alle 16.00 ai Musei Civici di Reggio Emilia, all'interno del ciclo di incontri "Il tè delle Muse", parlerò di "Il grande mosaico dell'abbazia di Westminster: un diagramma cosmologico medievale".

Per informazioni: www.musei.re.it - musei@municipio.re.it - Tel. 0522/456477

 

La lista completa degli incontri è disponibile all'indirizzo http://www.musei.re.it/Museo/museire.nsf/4cde79c085bc5503c125684d0047d9a0/9574bed19377ffb5c1257a8500382df1/$FILE/web%20sett%20-%20nov%202012.pdf

 

 
 
 

Presentazione di "L'amore secondo Nula" di Giuseppe Pederiali a Reggio Emilia.

Foto di CarloBajaGuarienti

Martedì 6 novembre, alle ore 18, presso la Libreria all’Arco a Reggio Emilia, Giuseppe Pederiali presenta il suo ultimo romanzo "L'amore secondo Nula": la sedicenne Lula e la sua vispa Jack Russell Terrier di nome Nula partono alla ricerca di tre cagnolini rapiti, in un’avventura che le porterà a scontrarsi con l’indifferenza di molti e la malvagità di alcuni, in una Milano raccontata dal punto di vista degli animali.

 

Giuseppe Pederiali, emiliano di nascita e di cultura, opera nei suoi romanzi un felice impasto tra le fantastiche metamorfosi del reale e i terrestri incantesimi dell’immaginazione. La sua narrativa combina abilmente la semplicità dell’avventura e l’ambiguità della metafora. Prima di dedicarsi soltanto alla narrativa ha fatto molti mestieri, dal marinaio al programmatore di computer al giornalista. Saltuariamente scrive per il cinema e la televisione e i suoi romanzi sono tradotti in Germania, Inghilterra, Russia, Francia e Giappone.

La presentazione sarà condotta da Carlo Baja Guarienti.

 

Link:

http://www.libreriallarco.it/prossimi-eventi/l-amore-secondo-nula-di-giuseppe-pederiali/#more-5413

 

Evento facebook:

http://www.facebook.com/events/216982275099707/?fref=ts

 
 
 

Mo Yan, la raffinata arte del dolore.

Post n°101 pubblicato il 11 Ottobre 2012 da CarloBajaGuarienti
 

In occasione del conferimento del Nobel per la letteratura a Mo Yan (poteva andare meglio... ma anche molto peggio!) pubblico una vecchia recensione al romanzo Il supplizio del legno di sandalo.

 

La raffinata arte del dolore.

(Mo Yan, Il supplizio del legno di sandalo, Einaudi 2005)

Il Celeste Impero all’inizio del Novecento, terra di antichissime tradizioni erose dall’avanzata della modernità, fa da scenario ad un romanzo che è essenzialmente la storia di due grandi artisti al loro canto del cigno: da una parte Sun Bing, massimo interprete dell’Opera dei Gatti, che per vendetta e per dolore guida la rivolta contro la ferrovia tedesca che sta sconvolgendo il feng shui; dall’altra parte Zhao Jia, boia supremo della dinastia Qing, che nella rigida gerarchia sociale è meno di un cane ma sul patibolo è come un dio.

Alle vite dei due attori si intrecciano quelle di comprimari che, a turno, emergono narrando come in un assolo la tragedia come si compie attraverso i loro occhi. Xiaojia, figlio del boia e macellaio di cani, che per l’incantesimo di un baffo di tigre vede la vera natura degli uomini. Poi Quian Ding, magistrato diviso tra il dovere – incarnato dal boia – e la coscienza – il condannato. E infine, al centro di tutto, Meiniang, fanciulla cui la sorte ha imposto di essere il contrappeso di tanti destini: figlia del condannato, nuora del carnefice, amante del magistrato.

Sulla terra non sei riuscito a ribellarti e non potrai farlo nemmeno all’inferno. Non è permesso ribellarsi in nessun luogo.” In queste parole, rivolte dal carnefice ad una delle sue vittime, è racchiuso il significato di un mondo imprigionato in gerarchie invalicabili: nella Cina imperiale il magistrato è lontano dall’uomo comune quanto il drago dal cane.

E l’atroce esecuzione di Sun Bing, il supplizio che deve sconvolgere il mondo, è il peccato impossibile da espiare, la colpa destinata a trascinare nel baratro la dinastia Qing. Sul patibolo si celebra la morte del ribelle, ma anche quella dell’impero millenario giunto al suo epilogo: i diavoli stranieri, alieni dai capelli biondi e gli occhi verdi, tengono in pugno l’imperatore e persino l’imperatrice madre, il “Vecchio Buddha” che dall’ombra governa le sorti della Cina. Come la ferrovia, strada d’acciaio su cui viaggia il progresso, sconvolge il feng shui, così l’irruzione del Novecento e del mondo esterno rompe l’incantesimo in cui è imprigionato l’impero.

Mo Yan narra la sua storia con pazienza, senza la fretta di giungere ad un finale già annunciato nelle prime righe del libro; e la narra con minuzia, indugiando nella descrizione dei pensieri come nella rappresentazione della sofferenza. Il suo linguaggio è crudo, concreto, anatomico; talvolta sembra quasi compiaciuto nel soffermarsi sulla violenza inflitta ai corpi e sul loro sconvolgente disfacimento. Ogni orrore è mostrato nella sua nuda realtà senza pietà per il personaggio e per il lettore. Ma è proprio in questo orrore, rappresentato e quasi celebrato, che nasce la riflessione sul significato di vite sacrificate al nulla, di sofferenze fisiche intollerabili inflitte per obbedienza ad un codice ormai eroso dai secoli: per la Cina il tempo dei draghi è finito e solo un’ultima, atroce rappresentazione può immortalare il passato prima che cali il sipario.

(Gazzetta di Parma, 1 settembre 2005)

 
 
 

Libertà, necessità, colpa. Oreste e le Erinni.

Foto di CarloBajaGuarienti

Giovedì 12 luglio alle ore 19.00 presso il Portico dei Marmi dei Musei di Reggio Emilia avrò il piacere di introdurre la conferenza di Francesca Maltomini (Università di Firenze - Scuola Normale Superiore di Pisa) su "Libertà, necessità, colpa. Oreste e le Erinni".

La conferenza rientra nel ciclo "Oresthasion", dedicato a Oreste e alle Erinni, ideato dalla Compagnia Teatro del Cigno.

Oltre alla dott.ssa Maltomini interverranno i registi, i coreografi, i musicisti e gli scenografi degli eventi in rassegna.

Seguirà aperitivo con buffet.

Gli altri appuntamenti del ciclo Oresthasion:

Sabato 14 luglio ore 21.30
“Erinni”
Spettacolo di danza.
Con la Compagnia Eidos Danza, Coreografie di Elisa Davoli.
Voci fuori scena di Ilaria Carmeli, Erika Patroncini e Julia Rossi. 

Sabato 21 luglio (replica domenica 22 luglio) ore 21.30 
“Le Mosche” di Jean-Paul Sartre
Spettacolo teatrale della Compagnia Teatro del Cigno
Riscrittura sartriana delle “Coefore” (seconda parte della trilogia di Eschilo) alla luce della filosofia esistenzialista.
Regia di Ilaria Carmeli, Musiche originali degli Albireon, Coreografie di Elisa Davoli, 
Art design a cura di Claudia Torricelli e Martino Pompili.

Sabato 28 luglio ore 21.30
Proiezione del film “My Son, My Son, What Have Ye Done”
Un film di Werner Herzog, prodotto da David Lynch. Con Willem Dafoe, Michael Shannon e Chloë Sevigny. 

Il ciclo di eventi, realizzato grazie al bando “I reggiani per esempio”, si avvale del contributo del birrificio artigianale con cucina Giustospirito (Reggio Emilia: Via F.lli Cervi – 0522.301115 – 334.2391201; Rubiera: Via Togliatti, 5 - 0522.629564 – 348.7196421)

Per informazioni:

Compagnia Teatro del Cigno

teatrodelcigno@libero.it

http://www.facebook.com/teatrodelcigno

http://www.facebook.com/events/379359982127800/

 
 
 

Presentazione del romanzo di Elena Marmiroli "Lettera all'amato nel giorno del suo matrimonio" (Miraviglia editore)

Post n°99 pubblicato il 15 Maggio 2012 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Martedì 22 maggio alle 18.00 presso la Libreria all'Arco di Reggio Emilia presenterò il romanzo di Elena Marmiroli Lettera all'amato nel giorno del suo matrimonio (Miraviglia editore).

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Un gelido pomeriggio d’inverno, una donna uccisa, il corpo abbandonato con la faccia a terra in un campo accanto a una villa disabitata. La donna, poco più di quarant’anni, era morta da tre o quattro giorni. Niente rapporti sessuali, nessun segno di colluttazione, niente lividi. Un’unica coltellata dritta al cuore, probabilmente con un coltello da cucina. Tre figure femminili molto diverse, ma legate da un filo sottile. Tutte vicine alla vittima e fra loro un uomo, un giovane intellettuale con belle maniere, disinvolto e con qualche pretesa di eleganza nei modi, che tutte le circostanze sembrano indicare come il perfetto colpevole. Fra gli oggetti personali della vittima viene ritrovato un manoscritto incompleto apparentemente tradotto dal tedesco, la Lettera all’amato nel giorno del suo matrimonio, la cui trama – l’amore impossibile e inconfessato di una nobildonna per un giovane maestro di cappella – forse racchiude in un reticolo di analogie la soluzione per un enigma apparentemente troppo semplice.

Elena Marmiroli nasce a Reggio Emilia nel 1955. Frequenta il liceo classico cittadino e, dopo la maturità, si trasferisce in Germania (a Muenster, nell’allora Repubblica Federale) dove studia Germanistica, Romanistica e Filosofia. Si laurea con lode e lavora alcuni anni come assistente presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Muenster in Vestfalia. Al suo rientro in Italia insegna tedesco e francese in diversi licei linguistici. Ha pubblicato saggi critici sul Decadentismo francese, André Breton e Louise Labé.

Per info: www.libreriallarco.it

 
 
 

“La donna è mobile. Viaggio attraverso un topos letterario."

Foto di CarloBajaGuarienti

“La donna è mobile”.

Viaggio attraverso un topos letterario con Renzo Tosi

Reggio Emilia, 16 giugno 2011 ore 21.00.

 

Dopo il successo della serata inaugurale con lo storico Valerio Massimo Manfredi, dedicata a “Narrazione storica e narrazione letteraria”, e al secondo convegno con Marcello Colitti, l’Associazione Amici del Liceo Classico Ariosto - Accademia dei Furiosi propone un nuovo incontro con il grecista Renzo Tosi. L’appuntamento, dedicato al tema “La donna è mobile: viaggio attraverso un topos letterario”, è fissato per Giovedì 16 Giugno alle ore 21.00 presso l’Aula Magna dell’Istituto “G. Garibaldi”, Via Franchetti 7. Moderatore dell’incontro sarà il presidente dell’Associazione, il prof. Luciano Lanzi.

 

Renzo Tosi si è laureato in Letteratura Greca all'Università di Bologna, dove dal 2000 è professore ordinario di Lingua e letteratura greca. I suoi principali interessi riguardano l'esegesi antica e la tradizione indiretta dei classici: si è occupato dei meccanismi interni di lessicografia e scoliografia, delle loro relazioni con la letteratura bizantina, della loro funzione interpretativa nei confronti dei classici. È autore di numerose pubblicazioni su letteratura, lessicografia e filologia. Si è inoltre occupato della tradizione dei proverbi, pubblicando fra gli altri studi un Dizionario delle sentenze latine e greche. Ulteriori interessi sono rivolti a Eschilo, al mondo bizantino, a Tucidide e agli studi classici alla fine del diciottesimo secolo.

 

 

L’associazione culturale “Amici del liceo classico Ariosto – Accademia dei Furiosi” nasce nel 2011 per iniziativa di un gruppo di ex allievi e professori appartenenti a diverse generazioni e diverse esperienze professionali proponendosi – come afferma lo statuto – quattro obiettivi: mantenere viva la tradizione culturale di cui il Liceo Classico “L. Ariosto” è espressione, organizzare e promuovere - anche in collaborazione con altri enti - attività culturali rivolte alla comunità scolastica e alla cittadinanza, rinsaldare i rapporti di amicizia tra gli ex alunni dell'Istituto creando nuove occasioni di incontro fra le generazioni, promuovere forme di sostegno alla comunità scolastica.

 

 

Ingresso libero. Per informazioni: amicidellariosto@libero.it

 
 
 

Rinascimento, un'idea nata con Petrarca e morta con Guicciardini.

Post n°97 pubblicato il 15 Giugno 2011 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Rinascimento, un'idea nata con Petrarca e morta con Guicciardini.
Carlo Baja Guarienti
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Mentre dava alle stampe il suo capolavoro, «La civiltà del Rinascimento in Italia», lo studioso svizzero Jacob Burckhardt non poteva immaginare che quel nome, Rinascimento, sarebbe rimasto al centro del dibattito per un secolo e mezzo. Era il 1860 e il termine, già coniato da altri ma per la prima volta oggetto di una trattazione tanto sistematica ed evocativa, si apprestava a diventare la chiave di lettura di un intero mondo che aveva avuto come centro le corti italiane e come periferia coloro che fra Quattro e Cinquecento avevano guardato a quelle corti come a un modello per la rinascita della cultura classica. Ed è proprio dal mito della rinascita, rappresentato dalla morte e resurrezione dell’eroe greco Ippolito, che prende le mosse il nuovo saggio di Nicola Gardini pubblicato da Einaudi; uno studio che già dal titolo -  semplicemente «Rinascimento» - dichiara la propria volontà di prendere posizioni nette nel dibattito. «Il Rinascimento appare via via - scrive l’autore - secondo le mutevoli prospettive degli infiniti critici, realtà politica e culturale ben precisa o fantasma poetico di qualche interprete troppo innamorato dell’Italia; visione del mondo omogenea ed esaustiva o terreno di contraddizioni laceranti, giardino incantato di un popolo o aiuola ben curata di qualche principe». Ma nella lettura di Gardini, docente a Oxford dopo una sofferta odissea nell’accademia italiana, il Rinascimento è molto di più: è un’idea che, coltivata all’inizio da menti geniali, pervade la realtà lasciando i propri semi in ogni campo del sapere fino a cambiare la storia dell’umanità. La proposta di Gardini, che in diverse pagine dialoga con gli scritti di Eugenio Garin, è di cogliere la nascita di quest’idea nei versi di Petrarca - colui che per primo rompe consapevolmente con la visione medievale del mondo - e di individuarne la fine nell’opera storica e politica di Guicciardini: sono infatti le guerre d’Italia, immane incendio che consuma la penisola fra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento, a strappare i sapienti al sogno della rinascita. Il sacco di Roma del 1527, sembra dirci Gardini, ha ucciso il Rinascimento.

(La Gazzetta di Parma, 12 giugno 2011)

 
 
 

Il petrolio, Spinoza e la democrazia. Un incontro con Marcello Colitti.

Foto di CarloBajaGuarienti

Dopo il successo della serata inaugurale con lo storico Valerio Massimo Manfredi, dedicata a “Narrazione storica e narrazione letteraria”, l’Associazione Amici del Liceo Classico Ariosto - Accademia dei Furiosi propone una serie di incontri-conversazioni con ex allievi del Liceo Ginnasio di Reggio, che hanno raccolto l’invito a raccontare gli aspetti più significativi della loro esperienza professionale ed umana.

Si comincia lunedì 30 maggio alle ore 18.45 nell’atrio del Liceo Classico “L. Ariosto” (piazzetta Pignedoli 2) con Marcello Colitti, economista ed esperto di questioni petrolifere ed energetiche.

Colitti ha lavorato nel gruppo Eni dal 1956 al 2000, diventando prima vice presidente di Agip spa, poi presidente di Enichem e di Ecofuel. È stato chairman dell’International Advisory Board dell’Agenzia internazionale dell’energia e vicepresidente del Cefic, l’organizzazione della Chimica europea. Attualmente è vicepresidente della Camera di commercio italo araba, nonché socio fondatore dell’Oxford Energy Policy Club.

Molte le sue pubblicazioni, non solo di economia. Nel 2000 ha pubblicato La felicità è un’antenna parabolica; nel 2008 Eni. Cronache dall’interno di un’azienda. Appassionato di filosofia politica, nel 2010 con la casa editrice reggiana Aliberti ha pubblicato Etica e politica di Baruch Spinoza.

“Il petrolio, Spinoza e la democrazia” è appunto il titolo dell’incontro di lunedì prossimo, moderato da Alessandro Di Nuzzo. Una conversazione che si preannuncia vivace e fuori dagli schemi, com’è tipico del percorso intellettuale di Colitti. Si partirà dalla sua cinquantennale esperienza di “petroliere di Stato”, rievocando la storia dell’industria energetica e petrolifera italiana, della quale Colitti è stato protagonista sin dagli anni Sessanta a fianco di Enrico Mattei. Si arriverà ai giorni nostri, all’intricato rapporto, spesso incomprensibile al vasto pubblico e ai cittadini, fra mercato del petrolio, economia degli Stati, politica internazionale e conflitti di scala mondiale: non ultimo il caso Libia nella sua scottante attualità.

Il tutto, però, inquadrato in una prospettiva più ampia e di più largo respiro rispetto ai consueti tecnicismi dell’economia. Colitti, nel suo ultimo libro, riflette sulla figura di Baruch Spinoza, uno dei filosofi centrali per la formazione della civiltà moderna. Spinoza è quanto mai vivo, il suo pensiero e la sua etica quanto mai attuali, secondo Colitti: dalle pagine del filosofo seicentesco, forse il primo ad usare in senso compiutamente moderno la parola “democrazia”, puo’ nascere un nuovo catalogo di quelle “virtù civili” di cui abbiamo tanto bisogno, e che possono efficacemente aiutarci ad affrontare le sfide economiche, politiche e sociali che il mondo globalizzato – eppure ancora così disuguale nella distribuzione della richezza – ha davanti a sé.

L’incontro successivo vedrà protagonista il prof. Renzo Tosi, ordinario di Lingua e letteratura greca all’Università di Bologna, che sarà ospite del liceo giovedì 16 giugno.

 

L’associazione culturale “Amici del liceo classico Ariosto – Accademia dei Furiosi” nasce nel 2011 per iniziativa di un gruppo di ex allievi e professori appartenenti a diverse generazioni e diverse esperienze professionali proponendosi – come afferma lo statuto – quattro obiettivi: mantenere viva la tradizione culturale di cui il Liceo Classico “L. Ariosto” è espressione, organizzare e promuovere - anche in collaborazione con altri enti - attività culturali rivolte alla comunità scolastica e alla cittadinanza, rinsaldare i rapporti di amicizia tra gli ex alunni dell'Istituto creando nuove occasioni di incontro fra le generazioni, promuovere forme di sostegno alla comunità scolastica.

 

 

Ingresso libero. Per informazioni: amicidellariosto@libero.it 

 
 
 

"Il Gusto del Sapere" mercoledì 25 maggio 2011 all'agriturismo Cavazzone.

Mercoledì 25 maggio sarò ospite dell'agriturismo Cavazzone (via Cavazzone 4, Regnano di Viano - RE, telefono 0522-858100/986054) all'interno della rassegna di cultura ed enogastronomia "Il Gusto del Sapere".

L'argomento della chiacchierata sarà il Cinquecento a Reggio e nella montagna.

Il Menù:
Piccolo antipasto dei Salumi Gianferrari, Flan di Parmigiano Reggiano del Caseificio Tabiano di Viano con pancetta croccante e Aceto Corte Cavazzone, Risotto al radicchio, pancetta e Aceto Corte Cavazzone, Arrostino di magroncello in casseruola con aceto e ginepro accompagnato da verdure al forno, Panna cotta con Aceto Corte Cavazzone Grand Chef, Acqua, Caffè espresso, Abbinamento al calice dei Vini della Cantina Casali di Pratissolo di Scandiano.

Per ulteriori informazioni:

http://www.reggionline.com/it/2011/05/10/a-maggio-reggio-capitale-della-cucina-tradizionale-3667

 
 
 

Baccanti di Euripide, Compagnia Teatro del Cigno.

Post n°94 pubblicato il 09 Maggio 2011 da CarloBajaGuarienti
 

Pubblico, con la speranza di rivedere presto lo spettacolo in scena, il primo trailer delle "Baccanti" di Euripide dal canale youtube degli amici della Compagnia Teatro del Cigno.

Per informazioni: teatrodelcigno@libero.it
Location: Rassegna teatrale estiva, Chiostro dei Marmi Romani.
Luglio 2010

 
 
 

L'amore di Dino. Intervista ad Almerina Buzzati.

Foto di CarloBajaGuarienti

Mi è capitata fra le mani un'intervista di cinque anni fa ad Almerina Buzzati: la ripropongo perché mette in luce alcuni aspetti profondamente umani di questo grande narratore.

 

L'amore di Dino. Intervista ad Almerina Buzzati.

Carlo Baja Guarienti

«Non so se disperazione o paura, non sono le parole giuste. Piuttosto un sentirsi come abbandonato, solo come non era mai successo prima, e vedere in modo fortissimo la stupidità di tutte le cose che non siano un po’ di bene, un po’ di allegria e di amicizia.»

Parole scritte da Dino Buzzati nel dicembre del 1971, poche settimane prima di un’ultima partenza inaspettata, di una conclusione arrivata – come sempre capita a chi ama la vita - troppo presto. L’editrice Mondadori celebra il centenario della nascita del grande scrittore bellunese pubblicando un Album Buzzati a cura di Lorenzo Viganò, un viaggio coinvolgente e spesso commovente nella biografia di una figura fondamentale per la cultura del Novecento italiano. Fotografie, lettere, passi dai diari e stralci di interviste che rivelano la vita privata dello scrittore: gli affetti famigliari, sentiti con devozione fino alla fine, le amicizie intense e sincere, il lavoro, persino il complesso rapporto con Dio e con la morte. E gli ultimi anni, vissuti al fianco della moglie Almerina: anni sereni, finalmente al riparo dalle tempeste raccontate nel romanzo Un amore.

Il tempo, l’attesa, la morte. Quale peso avevano nella vita reale i temi della letteratura?

Dino ha conosciuto l’attesa della morte molto presto, probabilmente fin dalla scomparsa del padre nel 1920, e da allora ha iniziato a prepararsi per quel momento; ma il suo rielaborare questa angoscia in ciò che scriveva lo ha aiutato a non riversare mai il peso dei timori sulle persone cui voleva bene. Anche negli ultimi giorni, quando sapeva di essere così vicino al distacco dalla vita, ha accettato serenamente ciò che stava accadendo. Tutt’altro rapporto aveva con i tempi del lavoro al Corriere della Sera: dovendo scrivere tre elzeviri al mese, oltre alle altre opere narrative, temeva sempre di trovarsi a corto di idee. Allora, quando aveva un’intuizione, la elaborava nella mente fino a portarla a compimento e poi scriveva dovunque e in qualsiasi momento: anche a casa di amici, di sera, era capace di isolarsi e scrivere noncurante della confusione che gli stava intorno. Grazie alla grande facilità che aveva nello scrivere, da un’idea poteva creare rapidamente e senza sforzo un racconto compiuto e pronto per la stampa; però non ha mai smesso di invidiare i pittori, la cui arte svincolata da intrecci non ha bisogno di soggetti sempre diversi e imprevedibili.

L’ultimo viaggio che avete fatto insieme è stato un percorso di commiato ai luoghi dell’infanzia e alle montagne: quale importanza aveva per lui il paesaggio, che in romanzi come Bàrnabo delle montagne o Il Deserto dei Tartari sembra quasi protagonista quanto gli esseri umani?

Le montagne erano fondamentali nella sua vita: quando da Milano andavamo a Cortina, all’apparire delle Dolomiti, Dino si rasserenava e dimenticava subito ogni preoccupazione. I monti lo incantavano, avevano il potere di trasmettergli immediatamente sensazioni positive e di allontanare da lui quelle negative.

E Milano?
Anche a Milano riusciva a stare bene: Milano era il Corriere, là aveva il lavoro che amava e gli amici più stretti. Nella città, se anche sentiva la mancanza della montagna, trovava gli affetti e le soddisfazioni del suo essere scrittore e giornalista.

Buzzati, uomo profondo e capace di grandi affetti, non ha mai vissuto un amore pienamente ricambiato prima di incontrare lei. Come l’ha conquistata?

Prima di tutto con il suo modo di fare. Era un signore, possedeva una naturale eleganza ed era molto gentile con tutti. Poi con la sua sofferenza: quando l’ho conosciuto era sconvolto dal rapporto con Laide, il personaggio di Un amore, e sembrava un uomo gravemente malato. Una volta gli ho confessato i miei timori, avevo paura che fosse oppresso da una malattia; lui mi ha risposto che il vero amore è una malattia. Poi la stesura del romanzo, come sempre accadeva, lo ha guarito, gli ha consentito di allontanarsi dalla sua ossessione per rinascere; e quando ci siamo ritrovati, alcuni mesi dopo, era un uomo diverso e molto più sereno. Però temeva, alla sua età, che la storia con Laide potesse essere l’ultima possibilità di trovare l’amore; per fortuna non è stato così, c’era ancora tempo per vivere nuovi affetti, viaggi, esperienze culturali e umane. Mi diceva sempre che il mio «cinguettare» per casa lo metteva di buon umore: credo che siano stati per entrambi, al di là di ogni timore o aspettativa, anni felici.

(© Gazzetta di Parma, 15 ottobre 2006)

 
 
 

Valerio Massimo Manfredi a Reggio Emilia.

Foto di CarloBajaGuarienti

L’Associazione Amici del Liceo Classico Ariosto – Accademia dei Furiosi è lieta di presentare lo storico e scrittore Valerio Massimo Manfredi, che martedì 3 maggio 2011 alle ore 21.00 presso la Sala del Capitano del Popolo (hotel Posta) terrà una conferenza dal titolo «Narrazione storica e narrazione letteraria».

L’incontro sarà moderato dal prof. Luciano Lanzi, Presidente dell’Associazione.

Ingresso libero, per informazioni scrivere all’indirizzo amicidellariosto@libero.it

 

 

Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore italiano, dopo essersi laureato in lettere classiche all'Università di Bologna è subito entrato nel mondo dell'archeologia, specializzandosi in topografia del mondo antico all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Ha insegnato nella stessa università Cattolica, all'Università di Venezia, presso prestigiose università americane fino alla Loyola University of Chicago, all'Ecole Pratique des Hautes Etudes della Sorbona di Parigi e alla Bocconi.

Ha pubblicato numerosi articoli e saggi in sede accademica  e ha scritto romanzi di grande successo, tradotti in tutto il mondo (per un totale di circa otto milioni di copie vendute a livello internazionale). Moltissimi i riconoscimenti ricevuti, come nel 1999 “Man of the Year” American Biographical Institute, Raleigh, North Carolina; nel 2003 Nomina a Commendatore della Repubblica “motu proprio” del Presidente Carlo Azeglio Ciampi, Il premio Corrado Alvaro Rhegium Julii (2003) e premio Librai Città di Padova, nel 2004 il Premio Hemingway per la narrativa, e nel 2008 il premio Bancarella.

È autore anche di soggetti e sceneggiature per il cinema e la televisione.

Collabora come giornalista scientifico a “Panorama”, “Il Messaggero” e “Airone” (in precedenza a “Il Giornale” e “La Voce”). Ha collaborato  inoltre a “Archeo”, “Gente Viaggi”, “Traveller”, “Soprattutto”, “Primopiano”, “Grazia”, “Focus” (edizione italiana e spagnola). Inoltre  a “El Mundo” (Spagna).

Ha condotto il programma televisivo  “Stargate – linea di confine” su LA7 e, sulla stessa rete, “Impero”.

 

L’associazione culturale “Amici del liceo Ariosto – Accademia dei Furiosi” nasce nel 2011 per iniziativa di un gruppo di ex allievi e professori appartenenti a diverse generazioni e diverse esperienze professionali proponendosi – come afferma lo statuto – quattro obiettivi: mantenere viva la tradizione culturale di cui il Liceo Classico “L. Ariosto” è espressione, organizzare e promuovere - anche in collaborazione con altri enti - attività culturali rivolte alla comunità scolastica e alla cittadinanza, rinsaldare i rapporti di amicizia tra gli ex alunni dell'Istituto creando nuove occasioni di incontro fra le generazioni, promuovere forme di sostegno alla comunità scolastica.

 
 
 

"La verità della vittima" Due atti unici di Agota Kristof a Reggio Emilia.

Post n°91 pubblicato il 22 Marzo 2011 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Sabato 26 marzo 2011 ore 21.00 al Teatro Artigiano di Massenzatico (Reggio Emilia).

Due atti unici di Agota Kristof: "La chiave dell'ascensore" e "L'ora grigia (o l'ultimo cliente)" nella splendida traduzione di Elisabetta Rasy.

Spettacolo presentato all'interno del calendario degli eventi di PRIMAVERA DONNA 2011.
Compagnia Teatro del Cigno,
regia di Ilaria Carmeli.
Interpreti: Erika Patroncini, Julia Rossi, Ilaria Carmeli, Marco Sparano, Gabriele Montanari.
Musiche e violino dal vivo: Andrea Vezzoso

Scrive Elisabetta Rasy:
“Gran parte di ciò che accade in queste due pièces accade fuori, altrove : la scena di Agota Kristof è un luogo di reclusione dove agiscono, mascherati da piccole situazioni intimiste, ampi cerimoniali di tortura. Alle vittime non resta che una chance, nel claustrofobico spazio in cui sono condannate ad abitare: far sapere che c'è un'altra versione dei fatti. Non c'è virtù, né grandezza nel conflitto che oppone la Prostituta al suo Cliente ne L'Ora grigia, o la Moglie ne La chiave dell'ascensore al Marito, e la mano del cielo che s'incarna nel violinista fallito o nel compiacente medico di regime – del regime coniugale che vige nella stanza rotonda alla quale si può accedere solo con l'ascensore – sta all'abbietto gioco delle circostanze. Ciò che salva la scena delle relazioni in atto dal perdersi definitivamente in una musica funebre è, appunto, un unico possibile gesto di coraggio che coincide con un gesto di disperata resistenza:
la testimonianza di un'altra verità, la verità della vittima.”

AGOTA KRISTOF nasce in Ungheria nel 1935 in un villaggio “privo di stazione, di elettricità, di acqua corrente, di telefono”, da cui è costretta a fuggire insieme al marito in seguito all'intervento dell'Armata Rossa. Naturalizzata svizzera, la scrittrice impara il francese, lingua in cui scriverà tutte le sue opere, ma che non riuscirà mai a padroneggiare pienamente e senza errori. Questa circostanza la portò a definire sé stessa come un' «analfabeta».
Il trait d'union fra i due atti unici sarà l'interpretazione della terza verità della vittima: quella dell'autrice Agota Kristof, attraverso alcuni brani tratti dalla sua autobiografia: "L'analfabeta".

Ingresso: 8,00 €
Info: Circoscrizione Nordest 0522/516860
circoscrizione.nordest@municipio.re.it
teatrodelcigno@libero.it

 
 
 

L'Apocalisse al cinema: Andrea Tagliapietra, Icone della fine.

Foto di CarloBajaGuarienti

(Andrea Tagliapietra, Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti, Il Mulino 2010, 218 pp., 16 €)

Carlo Baja Guarienti

-

All’appressarsi della fine, dice l’Apocalisse di Giovanni, il Diavolo capirà di non avere più tempo e riverserà la propria furia sul mondo. Allo stesso modo tanti uomini, spaventati dalla brevità della vita, finiscono oggi per allearsi con il Nemico scegliendo mille scorciatoie per il successo e accelerando, inconsapevolmente, l’arrivo della temuta fine: un’Apocalisse di inquinamento, corruzione, ingiustizia.

Ogni epoca ha conosciuto la paura della fine del mondo: l’idea che l’avventura terrena dell’uomo sia destinata un giorno a concludersi non appartiene solamente al Cristianesimo, ma tormenta la nostra razza fin dagli albori, dai primi cicli mitologici attraverso i quali l’umanità cercò di comprendere la propria storia.

Ma se l’ossessione apocalittica dell’uomo medievale, con la sua immaginazione nutrita di mostri e visioni, non stupisce, altrettanto non si può dire di quella del nostro tempo. Il XX secolo ha visto il trionfo della scienza, le cui conquiste hanno eroso come mai era accaduto in precedenza lo spazio reclamato dalla religione, eppure l’uomo del duemila è ancora tormentato dalla paura della fine: una fine che ha cambiato volto - sostituendo alle bestie demoniache del veggente di Patmos spettri di gas inquinanti e tracolli economici mondiali – ma che ancora alimenta gli incubi dei mortali.

Di questi incubi e della loro rappresentazione nella forma d’arte più tipica del nostro tempo, il cinema, si occupa lo stimolante – intellettualmente e moralmente - saggio di Andrea Tagliapietra “Icone della fine” (il Mulino 2010, 218 pp., 16 €). L’autore, docente di Storia della filosofia all’Università San Raffaele di Milano, analizza attraverso una serie di immagini – dall’anticristo di Polanski ai cataclismi di Emmerich passando per gli angeli di Wenders – la paura che ci attanaglia alla vista dei molti volti della fine: la morte del corpo e la distruzione del mondo, ma anche il disgregarsi della società e il naufragio della speranza nel futuro.

Immagini, appunto: perché sull’orlo dell’abisso la parola sembra confondersi e l’immagine, grammatica essenziale del pensiero mitico, torna a essere l’unico linguaggio possibile, la sola via per raccontare – e quindi cercare di comprendere – l’angoscia della fine.

(Gazzetta di Parma, 10 marzo 2011)

 
 
 

"Il ponte delle sirenette" di Giuseppe Pederiali a Reggio Emilia

Foto di CarloBajaGuarienti

LUNEDÌ 28 FEBBRAIO

ore 18.00

Libreria all'Arco - Reggio Emilia

IN COLLABORAZIONE CON L’ASSOCIAZIONE

AMICI DEL LICEO CLASSICO ARIOSTO – ACCADEMIA DEI FURIOSI

 

 PRESENTAZIONE DEL LIBRO 

 

IL PONTE DELLE SIRENETTE

di

GIUSEPPE PEDERIALI

 Garzanti Editore

 

Coordina l’incontro con l’autore

CARLO BAJA GUARIENTI

Per informazioni: Libreria all’Arco, via Emilia Santo Stefano 3/d –Reggio Emilia

Tel 0522-440065 – mail: info@libreriallarco.it  -   www.libreriallarco.it

 

 
 
 

"Il principe e il consultore". Presentazione del libro a cura di Angelo Spaggiari.

Foto di CarloBajaGuarienti

Giovedì 3 febbraio 2011

ore 18.45

Circolo del Casino

via Gabbi 16, Reggio Emilia

 

Presentazione del libro

   Il principe e il consultore: l’Italia confederata e il Risorgimento nel pensiero dell’ultimo duca di Modena e Reggio

a cura di Angelo Spaggiari

 

  È un Risorgimento reggiano e modenese inedito quello che Angelo Spaggiari – Presidente della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi - propone nel volume Il Principe e il Consultore.

L’idea di Italia come stato confederato viene ipotizzata nientemeno che dal principe Francesco d’Austria-Este. Mentre l’emigrazione in altri continenti è intesa da Carlo Roncaglia come espediente per evitare che la popolazione della madre patria patisca per mancanza di sostentamento – in tempi in cui l’Italia contava più o meno 20 milioni di abitanti - il progetto che Francesco, non ancora quinto e ultimo duca di Modena e Reggio, illustra in una memoria autografa propone una Patria unita, naturalmente sotto protezione imperiale, con dogane, ferrovie, aspetti sociali ed economici comuni.

Scrive il duca:  

Trovasi la nostra Italia in tale posizione da vedersi rispettata, onorata ed al caso temuta all’estero?

 L’Italia non è infelice, ma che meraviglia che un popolo che grazie all’Austria che seppe domare le rivoluzioni, in quella insorte, dopo 30 anni di pace nel più bel clima del mondo ed abitante una terra fertilissima, trovasi in un certo benessere materiale che però di gran lunga non è quello che potrebbe essere secondo il nostro parere.

Sostengo poi essere l’Italia abbassata o per meglio dire tenersi volontariamente abbassata, avvilita e disprezzata moralmente dagli stranieri né avere essa influenza politica di sorta in Europa, né qui mi dilungherò in dimostrazioni che già feci a sufficienza tanto in questo scritto, che in quello che parla specialmente della Confederazione politica della nostra Penisola.

Altro particolare inedito, gli albori della colonizzazione africana, che anche nell’ex ducato muove i primi passi grazie all’opera di Carlo Roncaglia, consigliere del Sovrano, con particolare riferimento alla sponda mediterranea del continente.

Non solo le famiglie di coloni possono venire così stabilite da chi voglia ricevere in Algeria concessioni di terreni, ma siccome di presente avvi sempre difetto di braccia coltivatrici, ogni giorno si fa di esse una notabile ricerca e quindi qualunque famiglia sia diretta in Algeria ha sicuramente una buona e subita collocazione, cogli indicati vantaggi che non possono mancare perché accordati dalla legge.

 

Non bisogna pensare che Risorgimento ed emigrazione siano due aspetti della nostra storia lontani fra loro: spesso i patrioti e gli uomini illustri devono lasciare il suolo natio per problemi con la giustizia e cercano nei Paesi vicini rifugio in attesa di tempi migliori. Ne sono esempio Mazzini, Garibaldi, Meucci, Zucchi…

Questo volume studia i primi passi di un fenomeno destinato a divenire, nei decenni successivi, di sempre maggior importanza e lo fa proponendo una fonte inedita che nasce da un’esperienza diretta dello stesso Roncaglia.

 

Il volume, di 128 pagine in b/n e dal costo di 10 euro, sarà presentato giovedì 3 febbraio 2011 alle ore 18.30 presso il Circolo del Casino di via Gabbi 16 a Reggio Emilia nell’ambito degli incontri culturali coordinati da Carlo Baja Guarienti.

 

Info Antiche Porte editrice, 0522.43226, info@anticheporte.it 

 
 
 

Chiesa ed Europa da Martino V al Sacco di Roma.

Post n°87 pubblicato il 19 Gennaio 2011 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Marco Pellegrini, Il papato nel Rinascimento, il Mulino 2010.

Carlo Baja Guarienti

-

Nel maggio 1418, alla fine del Concilio di Costanza, papa Martino V lascia la Svizzera per fare ritorno a Roma. Il viaggio attraverso un’Italia ridotta a un mosaico di piccoli stati e lacerata dai conflitti si prospetta lungo e rischioso, ma il capo della Chiesa - nonostante le lusinghe del re di Francia e dell’imperatore, desiderosi di offrire una sede al nuovo pontefice per attrarre il papato nella propria area d’influenza – è determinato a riportare il vertice della Cristianità nella sua antica sede.

La storia della Chiesa nel Quattrocento è il racconto di una ricostruzione, quasi di una resurrezione dopo i traumi della Cattività avignonese e del Grande Scisma d’Occidente: il papato, constatata la crisi del proprio ruolo di guida universalmente riconosciuta del gregge cristiano, conduce abilmente la battaglia per la costruzione di un vero principato ecclesiastico sul suolo italico. Ed è grazie a personalità eccellenti – come il papa umanista Pio II o il battagliero Giulio II, al cui mecenatismo sono legati i capolavori di Michelangelo e Raffaello – che nel pieno Rinascimento e almeno fino al Sacco di Roma lo Stato della Chiesa può giocare la propria partita sullo scacchiere della politica e della cultura europee.

Questa partita, iniziata con l’elezione di Martino V (1417) e in qualche modo conclusa con il Sacco di Roma (1527) è al centro del saggio “Il papato nel Rinascimento” di Marco Pellegrini (il Mulino 2010, pp. 212, € 13,50). L’autore, docente di Storia Moderna all’Università di Bergamo e già autore di diversi volumi sulla convulsa stagione delle guerre d’Italia, dedica la prima parte del libro alla costruzione concettuale della “monarchia pontificia” e l’ultima agli strumenti del confronto con i poteri temporali e con i focolai di dissenso. Ma è soprattutto la parte centrale del saggio, un efficace affresco dell’azione dei papi fino a Clemente VII, a condurre il lettore (anche quello colto ma non specialista) fino alle prime avvisaglie del mutamento di prospettiva che porterà a un nuovo ed epocale punto di svolta per la Chiesa cattolica: il Concilio di Trento.

(Gazzetta di Parma, 19 gennaio 2011)

 

 
 
 

Presentazione de "La guerra dei montanari" a Reggio Emilia.

Foto di CarloBajaGuarienti

LA GUERRA DEI MONTANARI. GUELFI E GHIBELLINI FRA REGGIO, IL FRIGNANO E LA GARFAGNANA.

DI CARLO BAJA GUARIENTI

PRESENTAZIONE DEL VOLUME2 DICEMBRE 2010, ORE 18.30, PRESSO IL CIRCOLO DEL CASINO, VIA GABBI 16, REGGIO EMILIA

GIOVEDÌ 

All'inizio del XVI secolo, mentre gli eserciti di tutta l'Europa si riversano sul suolo italiano per contendersi il dominio sulla penisola, nelle valli reggiane e modenesi e nella Garfagnana governata da Ludovico Ariosto bande armate composte da uomini dell'Appennino si scontrano in una guerra senza tregua: sono i seguaci di Domenico d'Amorotto, ghibellini sostenitori dello Stato della Chiesa, e di Cato da Castagneto, guelfi fedeli al duca di Ferrara.

“Se nelle strade cittadine si scontrano quotidianamente compagnie di giovani legate alle principali famiglie nobiliari”, scrive l'autore, “fra i valichi montani si combatte una guerra fatta di rapide incursioni e saccheggi nei territori nemici”: è quella che sarà chiamata “Guerra dei montanari”, i cui protagonisti e capi carismatici – un po' condottieri e un po' banditi – transiteranno poi dalla storia alle leggende e al folklore della montagna.

Carlo Baja Guarienti (Università di Ferrara) ricostruisce sulle fonti originali i particolari – luoghi, personaggi, moventi politici e umani – di uno scontro che insanguina per anni i due versanti dell'Appennino: uno studio che intreccia le vicende del territorio reggiano e modenese a quelle dei grandi Stati europei mostrando il ruolo giocato da individui all'apparenza marginali sullo scacchiere della Storia.

L'autore presenterà il volume giovedì 2 dicembre alle ore 18.00 presso il salone Vellani del Circolo del Casino in via Gabbi 16 a Reggio Emilia in un dialogo con il dott. Matteo Al Kalak della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Il volume La guerra dei montanari. Guelfi e ghibellini fra Reggio, il Frignano e la Garfagnana, di 144 pagine illustrate in bianco e nero, costa 10 euro. Contiene un'introduzione di Cesarina Casanova, docente di Storia degli antichi stati italiani all'Università di Bologna, e un saggio di Albano Sorbelli.

Info:

Antiche Porte editrice, tel. 0522.433326, info@anticheporte.it

 

 

 
 
 
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