Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Ottobre 2006

Malene

Post n°147 pubblicato il 28 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineAlcuni giorni fa, in numerosi blog è apparso un banner con la scritta: STAND UP. Seguendo il link che ho trovato in uno dei blog  sono arrivata al documento delle Nazioni Unite, chiamato Millenium Development Goal, in cui si legge, tra l’altro:

“Ci alziamo perché non chiediamo carità ma giustizia”. 

Nel blog di Liberante poi Lupopezzato commentava questa frase, sottolineando come "la povertà e la fame non si combattono con la 'solidarietà' ovvero con la 'carità' ovvero con la 'elemosina' ma soltanto con la giustizia. Ma sarebbe stato meglio se anziché giustizia avessero detto diritto. Perché ogni essere umano dovrebbe avere gli stessi diritti e pari dignità di ogni altro essere umano.”

Non posso che essere d’accordo con queste parole, perché la carità, l’elemosina, é mortificante per chi la riceve e ipocritamente assolutoria per chi la fa. Tuttavia,  finché il ‘pledge dello stand up’ resterà “solo un pezzo di carta bianco sul quale qualcuno ha scritto delle belle parole.” come si diceva nel post citato,non rimane altro che la solidarietà per porre un minimo di rimedio all’ingiustizia.

E di ingiustizia ce n’è tanta, talmente tanta che se si volesse dare anche solo un centesimo per ogni causa, non ci basterebbe lo stipendio. Per questo si fa fa finta di non vedere, di non sapere.

Poi, a volte, su qualcuna di queste ingiustizie ci capita di inciampare, ci andiamo a sbattere e ci accorgiamo che non ci vorrebbe poi neanche troppo per metterci almeno una pezza… come è successo a Magdalene57: Malene non vuole altro che potersi riprendere il figlio, ma da sola non ce la fa. Le serve una mano, e un po’ di solidarietà. E io penso che glie la possiamo dare, non come carità, ma come giustizia.

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Lavandare

Post n°146 pubblicato il 25 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineE cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene

…….

Osservo la foto che accompagna il bel post N.207 di Pelino55: il lavoro delle lavandaie, la Milano dei Navigli tra fine '800 e inizio '900 e alla mente si affacciano le parole della poesia di Pascoli, da tanti anni dimenticate tra le pieghe della memoria.

Seguendo il filo di Arianna dei ricordi, mi torna in mente anche il post che qualche tempo fa pubblicai nel blog Souvent Me Souvient. Diverso l’ambiente, diversa la luce,  ma sostanzialmente uguale il lavoro, in un tempo neanche tanto lontano in cui la diffusione capillare delle moderne macchine per il bucato era di là da venire.

E leggendo nel post di Pelino55  la frase  : << …un lavoro che mia cugina ha detto che da grande piuttosto scappa di casa, chissà perchè, quella è matta...>>  per chissà quale associazione di idee mi torna in mente la prima volta che un ragazzo mi fece capire di avere dell’interesse per me.

Ebbe l’infelice idea di chiamarmi al telefono una sera in cui,mentre  mamma era in ospedale,  io stavo litigando con una montagna di panni da lavare a mano, perché secondo le regole di mia mamma, la lavatrice si usava solo per il bucato bianco e assolutamente non per i colorati, che erano la maggior parte.

Quando gli dissi che in quel momento la scuola era la mia priorità e che non desideravo assumere impegni che  mi avrebbero distratto da quell’obiettivo mi rispose che stavo dicendo un mucchio di sciocchezze.

Io pensai al mucchio di panni in ammollo nel lavatoio che mi aspettavano, gli attaccai il telefono, e non lo rividi più.

Oggi, ripensandoci, mi chiedo se la mia vita sarebbe andate diversamente  se avessi avuto, all’epoca, quei foglietti cattura colore che vendono ora…

………..

quando partisti, come son rimasta
come l’aratro in mezzo alla maggese.

 

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Repetita iuvant

Post n°145 pubblicato il 22 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineLeggevo il post n.348 del blog 'Iperbole', e mi stupivo di come una notizia che in nulla interferisce con la vita di chiunque non decida, volontariamente, di aderire ad una certa iniziativa, possa scatenare reazioni tanto sarcastiche e aspre. Nella mia placida indifferenza, il fatto che qualcuno decida di pregare in latino mi fa lo stesso effetto che se decidesse di pregare in aramaico o in sanscrito: son fatti suoi, che non mi riguardano

Però devo ammettere che anche per me, come per SandaliAlSole  il latino è la lingua delle preghiere di quando ero bambina: non tanto la messa, che non ricordo di aver mai sentito in latino, ma le preghiere che venivano ripetute come un mantra, in modo meccanico e a due voci, durante le visite al cimitero, o alle veglie funebri: le ‘requiem aeternam', da ripetere per cento volte, o le cinquanta 'ave maria' del rosario.

Non era importante il significato delle parole, ma il suono ritmato della ripetizione. E il ritmo della frase latina non è lo stesso della frase in italiano, anche per chi il latino non lo sa: ancora oggi mi dà un senso di fastidio  sentire le litanie del rosario dette in italiano, come una stonatura, in qualche modo sbagliate. E questo nonostante che  il latino studiato a scuola sia ormai passato nel dimenticatoio, tranne che per qualche espressione proverbiale, come ‘Gutta cavat lapidem’, o “repetita iuvant’.

Di cinque anni di latino al liceo alla fine non mi è rimasto che il ricordo del dizionario: un tomo di migliaia di pagine con la copertina bianca e le scritte nere, che quando c’erano i compiti in classe  non ci stava in borsa e doveva essere portato sul braccio.

Devo dire però che non l’ho dovuto portare troppe volte: nel triennio, il professore che avevamo, un piccolo siciliano dal nome imponente, si accontentava di farci studiare una storia della letteratura latina scritta in italiano, neanche una antologia, solo una arida elencazione di opere e autori  e  stili, il ricordo dei quali il tempo ha fatto volar via dalla superficie della memoria come un soffio fa volare via la polvere che si è depositata sul dorso di un libro da troppo tempo non aperto. 

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Pagliuzze

Post n°144 pubblicato il 18 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineDevo ammettere con rammarico che non sono molto abile nel giudicare le persone: spesso mi accorgo di aver sottovalutato piccoli segnali che avrebbero dovuto mettermi sull’avviso che le cose non erano come mi si voleva far credere: dalle piccole pagliuzze si puo’ capire da che parte tira il vento, dice il proverbio, e a volte saperle cogliere può fare la differenza per gestire in modo ottimale certe situazioni.

Pensavo a questo leggendo il post n. 145 di Bluewillow, in cui osservando la fotografia si deve individuare quale sia il sorriso ‘vero’ da quello finto. In effetti molte volte quello che attribuiamo al nostro ‘intuito’ o che chiamiamo ‘sesto senso’ non è altro che una capacità inconscia di cogliere quei segni nella mimica o nella gestualità che ognuno di noi compie in modo per lo più involontario.

Un amico  che mi conosce da venticinque anni, per esempio, sostiene che quando mi arrabbio mi trema leggermente il labbro superiore; un movimento del tutto incontrollabile, di cui io stessa non ho la percezione, e che probabilmente lui nota in quanto spesso si trova a subire le conseguenze dei miei malumori: la lunga consuetudine l’ha addestrato a percepire i segnali premonitori, e a parare il colpo prima che arrivi. Io a mia volta so capire quando mi sta raccontando qualche frottola da un movimento appena percettibile delle palpebre, di cui lui non si accorge.

Avendo imparato a riconoscere questi segnali, lui si salva dalle mie ire, e io mi salvo dalle sue bugie.

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Esploratori

Post n°143 pubblicato il 15 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineQuando in passato gli esploratori arrivavano in un territorio fino ad allora sconosciuto,  si usava che ne prendessero possesso in nome del   sovrano che aveva finanziato la spedizione: cominciò Cristoforo Colombo, per conto della corona spagnola, e in seguito portoghesi, olandesi, francesi e inglesi fecero a gara per assicurarsi il possesso e il relativo sfruttamento dei territori che via via venivano scoperti (scoperti dagli europei, beninteso, ché gli indigeni ovviamente li conoscevano da tempo) .

Cambiano i tempi, oggi la gara non é più per l'esplorazione  di nuove terre ma l'ambito in cui si svolge la competizione  e la conquista é quello della ricerca scientifica: pensavo questo leggendo il post n. 35 di VegaLyrae, là dove dice che le società di ricerca cercano di ‘brevettare’ i geni che via via vengono decodificati e studiati, per assicurarsene lo sfruttamento economico.  

Chi come me non ha competenze specifiche su questi argomenti fa una certa fatica a capire tutte le implicazioni che un fatto del genere può comportare: se da un lato é evidente che chi finanzia una attività deve averne un ritorno economico, dall’altro risulta strano pensare che informazioni di carattere scientifico possano rimanere di proprietà esclusiva di una società: come se volessi tener segreta la composizione chimica del sangue, o la distanza della terra dal sole.  

D’altra parte, la storia ci insegna che le conoscenze scientifiche e tecnologiche sono state all’origine della supremazia di alcune popolazioni su altre: i popoli che conoscevano la tecnologia per lavorare il ferro, soppiantarono quelli che sapevano solo lavorare il bronzo, in tempi molto più recenti chi per primo ha  saputo produrre l’acciaio su larga scala,  ha acquisito vantaggi competitivi economici nei confronti degli altri paesi. 

Oggi più che mai é la competenza in campo scientifico a fare la differenza, ma come ogni medaglia anche questa ha il suo rovescio.  

Leggevo proprio nei giorni scorsi che in Italia é stato avviato l’iter per l’approvazione di una legge che consente, in determinati casi, il prelievo forzoso del Dna . Si parla di situazioni legate alla prova di attività criminose, ma non é così aleatorio il rischio che VegaLyrae sottolinea nel suo post di un utilizzo fraudolento dello strumento messo a disposizione dalla ricerca: le recenti violazioni della privacy del caso Telecom, con le centinaia di persone spiate e intercettate insegna, e l’ipotesi di un ‘grande fratello’ che controlla la notra esistenza é sempre meno remota.

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Critone, Socrate e le Leggi

Post n°142 pubblicato il 12 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineLeonardo da Vinci, Socrate e Florence Nightingale, sono stati i tre nomi che accomunai nella risposta che un giorno diedi alla professoressa di Inglese,  nel corso di una interrogazione in cui mi chiedeva, giusto per fare conversazione, quali fossero i miei ‘characters’ preferiti.

Di Socrate avevo letto in un libro che avevo a casa, in cui si presentavano sia l’uomo che il suo tempo. E tra le altre cose, nel raccontare della morte del filosofo, veniva riportato il dialogo ‘Delle leggi’ che Platone fa pronunciare a Socrate quando l’amico Critone gli propone di fuggire dal carcere dove sta aspettando che gli portino la cicuta, che  é stato condannato a bere a causa delle sue idee. 

Socrate,  ragionando come al suo solito con l’amico,  immagina che mentre cerca di fuggire gli si facciano  incontro le Leggi,  e che queste gli chiedano conto del suo comportamento. Nel dialogo che intercorre Socrate convince Critone che, benché possa ritenerle ingiuste, le leggi devono essere o cambiate, con il consenso dei cittadini, o rispettate, sia pure a prezzo della vita, perché violando le leggi  egli cancellerebbe in un momento tutto l’impegno e il senso stesso della sua vita. 

Il testo mi é tornato in mente leggendo in diversi blog le reazioni e  i commenti alla vicenda del ‘drug wipe’ eseguito ai danni di un gruppo di ignari parlamentari.

Qualcuno (ad esempio Magdalene57  ) ha espresso riserve circa il metodo con cui i dati sono stati ottenuti, qualcun altro (come Ossimora ) ha minimizzato il significato dell’episodio.  Ma é fuori dubbio che, anche se mimetizzati nel mucchio e protetti dall’anonimato, i 16 onorevoli trovati positivi al test  una bella figura non l’hanno fatta.  Il meno che si può dire é che predicano bene e razzolano male.

E se regalassimo loro una copia del dialogo di Socrate  sulle Leggi?

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Istinto materno

Post n°141 pubblicato il 08 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagine“Fai un figlio, finché sei in tempo. I mariti vanno e vengono, ma un figlio sarà per sempre’. Queste parole, che una amica mi ripeteva con insistenza qualche anno fa, mi riecheggiavano  nella mente leggendo quello che LadyOscar scrive nel suo post 153   e per associazione di idee mi é tornato in mente un articolo che Lilly Gruber, la nota giornalista televisiva,  ha  pubblicato su una rivista qualche settimana fa, e in cui sostiene che molti tedeschi non desiderano affatto avere bambini.

Sembra infatti che la Germania detenga il primato di Paese Europeo con il più basso tasso di natalità, mentre al contrario il numero dei single é particolarmente elevato, stando a rapporti e studi presentati sia dal Governo Tedesco che dall’Unione Europea. Da qui, sostiene la Gruber, una politica e una pressione mediatica volta a presentare la maternità come un dovere sociale.

Leggendo anche i commenti al post di LadyOscar mi é venuto da pensare che  le donne tedesche non siano le uniche a soffrire della sindrome da ‘assenza di istinto materno’. Mi ha colpito particolarmente il commento di quotidiana_mente al post citato,  in cui dice che all’origine del suo rifiuto della maternità ci sono le parole che ha sentito dire spesso dalla madre, la quale “potendo tornare indietro, non avrebbe mai fatto figli” .

Mi ha colpito perché la sua storia é tanto simile alla mia: anche io sono la maggiore di sei fratelli. Pero’, al contrario della sua, mia madre ha sempre difeso e sostenuto la sua scelta di maternità, e non avrebbe voluto essere altro se non la madre che é stata. E tuttavia anche io, come quotidiana_mente, figli non ne ho e non ne avrò mai.

Come scrivevo nei commenti al  post n.315 di Amoildeserto a volte dico che mia madre ne ha avuti abbastanza anche per me.Però so bene che questa é solo una battuta:se le circostanze della mia vita fossero state diverse credo che un figlio, e magari anche più di uno, ci sarebbe potuto stare. Ma al tempo stesso so che le circostanze della mia vita sono state anche frutto delle mie scelte, quindi, se un figlio fosse stato importante per me avrei potuto fare scelte diverse.

La verità é che la maternità per me non é stata mai una priorità.  A differenza di mia madre, che ha fatto della maternità lo scopo della sua vita, io ho messo la maternità in seconda, o terza posizione. Da qui a dire che la scelta di mia madre sia stata meno azzeccata della mia, però, ce ne corre, e a volte qualche dubbio mi viene.

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Il ricordo

Post n°140 pubblicato il 05 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineCliccare sul nick, memorizzato nei preferiti, e vedersi apparire il messaggio di Libero, che il blog cercato é stato cancellato. O entrare in un blog, e trovare che l’ultimo post é un messaggio di commiato, un ultimo saluto prima di congedarsi.

Negli ultimi tempi mi sta succedendo con alcuni dei blog che maggiormente apprezzavo.

Anche se capisco che é nell'ordine naturale delle cose che accada,come sostiene Soulplace nel suo post n. 744, uno dei cicli di cui la vita é fatta che arriva a compimento, vorrei che non fosse così, soprattutto quando chi chiude aveva una bella scrittura, e io non ho avuto il tempo, o l’accortezza, di salvare almeno in parte quello che hanno scritto. Qualcuno forse riaprirà. A volte succede. Più spesso però non si tratta di un arrivederci, ma di un addio.

Io non porto fuori dal blog la conoscenza, un po’ per scelta, un po’ per mancanza di tempo. Ma anche in questo modo ‘virtuale’ alcune persone é stato bello averle incontrate. 

“Tutti quelli che se ne vanno ti lasciano addosso un po’ di sé”, dice la protagonista del film 'La finestra di fronte'.  E' il ricordo, che conservo.

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La buona morte

Post n°139 pubblicato il 01 Ottobre 2006 da lilith_0404

immagineCredo di essere una persona fondamentalmente fortunata: fino ad oggi, mi é capitato solo una volta di veder morire una persona.

Non che siano mancati i lutti, nel corso degli anni, per parenti e amici che se ne sono andati. Ma li ho sempre visti morti, mai veduti morire. Perché veder morire una persona, é una cosa ben diversa dal vederla morta. Vederla morire é vederne la sofferenza dell’agonia.

Non ricordo chi sia stato a dire che non aveva paura della morte, perché quando ci fosse stata la morte non ci sarebbe più stato lui. Ed é proprio questo il punto: la morte é assenza di vita. Quando c’é la morte, non c’é più vita, non c’é più coscienza, non c’é più dolore.

Nel dibattito di questi giorni, sul blog di Ariel63, per esempio, o su quello di SandaliAlSole e di VegaLyrae,si parla di buona morte, ma a parer mio ciò di cui ci si deve preoccupare é di avere una buona vita, non una buona morte 

Fondamentalmente, non é tanto la morte, a spaventare, quanto il dolore e la sofferenza nel momento del passaggio dalla vita alla morte. Perciò credo insensato l’accanimento terapeutico, che tale sofferenza e dolore prolungano indefinitamente quando non ci sia più la possibilità di recupero da parte del paziente.

Di fronte a queste scelte, il problema non é per chi se ne va, credo,  ma per chi resta, che deve fare i conti con il dubbio di aver fatto davvero tutto quello che avrebbe potuto, di non aver lasciato nulla di intentato.

Dicevo che solo una volta mi é accaduto di veder morire una persona. Quella persona era mio padre.

Al momento in cui si é reso conto che non ce l’avrebbe fatta a uscirne, ha pregato il dottore che gli praticava l’ultima flebo che lo aiutasse a morire.

Io credo che quando dovesse toccare a me, vorrei poter scegliere. 

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