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« SmileIl lampione della felicità »

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Post n°19 pubblicato il 17 Giugno 2015 da mappe_riflesse

Per il ponte del 2 giugno sono andato al paesino a trovare i miei. Era passato il tramonto, e io ero fuori in giardino a fumare uno dei sigarini che mi concedo di tanto in tanto. Mentre la luce svaniva sempre più ho avuto un pensiero ovvio ma un po' insolito: se tutte le luci elettriche (lampioni ecc.) si spegnessero improvvisamente, la mia reazione immediata sarebbe tornare in casa e chiedere cos'è successo.

Non so perché mi sia venuta in mente questa cosa, ma tant'è, mi è venuta in mente. E subito dopo ho pensato che la mia reazione sarebbe quella di tutti, o quasi tutti: una reazione istintiva, “biologica” per così dire.

Chissà perché mi torna alla memoria questo minuscolo episodio, in questa sera un po' fredda di giugno. Una di quelle sere in cui senza un motivo apparente hai nel petto una sensazione imparentata in qualche modo con la tristezza, ma non brutta, anzi piacevole, confortante. Vi è mai capitato?

In autobus, tornando a casa, c'era questo signore di fronte a me. Un tipo simpatico, un po' paffuto, con uno sguardo un po' infantile, tutto assorto nel librone che stava leggendo. Accanto a lui una ragazza, una di quelle milanesi un po' trendy, con un abito a fiori lungo e lo sguardo perso nel finestrino. Chissà cosa pensano, mi chiedevo; chissà cosa li rende tristi, chissà cosa li rende felici. Chissà cosa amano, cosa odiano, di cosa hanno paura. Chissà cosa sognano, chissà cosa sperano. E io con questa sensazione in petto, che mi fa desiderare un contatto umano, vorrei quasi che quei due e tutte le altre persone del mondo mi raccontassero queste cose, vorrei immedesimarmi nei loro racconti e condividere le loro emozioni.

Immedesimarmi, condividere. Il fatto è che amo tutto ciò che ci unisce, in quanto esseri umani. E non parlo del fatto che se ognuno di noi cade accelera a 9,81 m/s2, o che se viene infettato dal virus dell'influenza intestinale si ritrova a passare dei brutti quarti d'ora. Amo l'idea che chiunque nel mondo fosse fuori e vedesse spegnersi tutte le luci, per prima cosa avrebbe l'istinto di tornare a casa. Amo tutto ciò che nel profondo ci accomuna. 

Albert Einstein una volta disse: «La cosa più incomprensibile dell'universo è che è comprensibile». Sono d'accordo, e aggiungo: la cosa più incomprensibile degli esseri umani è che sono comprensibili. Quando sei un bambino cominci a capire che ogni persona è un universo, ma tutti questi universi ti sembrano troppo distanti e diversi per poterli capire. Poi cresci e, come l'universo di Einstein, anche quello delle altre persone diventa man mano comprensibile. E questo è meraviglioso.

Pensateci: avete di fronte una persona, che ha la sua storia, la sua esperienza, la sua visione del mondo, i suoi particolarissimi processi mentali, e tutto questo materiale potrebbe benissimo rimanere inconoscibile, mentre noi vagheremmo per il mondo da soli. Invece abbiamo tutti qualcosa in comune, e questo ci rende l'un l'altro comprensibili. Ci permette di raccontarci, perché possiamo sviluppare un linguaggio comune; ci permette di inventare storie, perché possiamo immaginare come si comporterebbe il protagonista nella situazione che gli abbiamo creato. 

Amo tutto questo perché mi fa sentire di essere parte di qualcosa. E dentro di me sento una felicità sommessa, una sorta di orgoglio, per questo. Sono orgolioso, e felice, di aver fatto parte di questa cosa. Di avere dei bei ricordi sparsi qua e là. Di essere stato importante per qualcuno. Di avere avuto persone che sono state importanti per me. Di essere riuscito a realizzare qualcuno dei miei obiettivi. Di essere stato bravo almeno in una minima parte delle cose che ho fatto. Di avere imparato tanto, tantissimo, dagli altri. Di aver incontrato lungo la mia strada qualche persona, libro, film e canzone che mi ha emozionato e riempito e fatto cambiare. Di essere riuscito a esprimere qualcosa a mia volta. Di avere voglia di crescere ancora.

E quest'ultima – fidatevi – suona come una specie di conquista.

 
 
 
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