Creato da zengi1955 il 16/02/2015

Spiritualità

Meditazione,religione,spiritualità

 

 

La Meditazione deve essere di tipo orientale?

Post n°7 pubblicato il 03 Aprile 2015 da zengi1955
 
Foto di zengi1955

      La meditazione non deve essere necessariamente di tipo orientale. Ma in questo momento và di moda. E’ da domandarsi il perché. La differenza non è tanto tra due modi di intendere la spiritualità o la religione ma dipende dal modo di intendere la vita.

La persona orientale è principalmente di tipo spirituale, mentre la persona occidentale è di tipo religioso. L’occidentale è di tipo intellettuale, razionale.

Ricordiamo come ad un certo momento della storia occidentale il pensiero ha un cambiamento di rotta. Ad esempio mentre prima per s. Agostino il pensiero è complementare alla fede perché solo comprendendo si può credere e si può credere solo comprendendo, tanto che anche il dubbio diveniva una espressione della verità in quanto il dubbio ci allontana dalla verità stessa.

In sintesi è Dio stesso che preme sull’uomo per farsi conoscere, e per s. Tommaso questa espressione di spinta di Dio è data dall’amore.

Nell’era moderna Cartesio iniziò a fare una sintesi del pensiero lontano da spunti teologici e trascendenti. Per lui il proprio motto era “Cogito, ergo sum”, “Penso, quindi esisto”. E’ il cogito, il pensiero il simbolo della realtà esistenziale. Il pensiero prevale sull’essere.

Il pensiero occidentale ritiene di essere maturo, adulto lasciando ai bambini ed alle persone anziane il pensiero religioso. I bambini perché vivono la vita ancora nell’idea del fantasioso, nell’idea di un qualcuno che come un supereroe arriva a soddisfare le nostre fantasie. Le persone anziane perché sentono arrivare la fine del loro percorso e sentono il desiderio di appoggiarsi ad una possibile vita in un’altra vita. Il pensiero occidentale pensa più al fare, all’agire e la persona non è più colui che è, che tende all’essere, ma è colui che agisce, colui che accumula tesori terreni, colui che vuole apparire.

La persona orientale vive come un bambino non nel senso di vivere in modo fantasioso ma nel senso di sapersi entusiasmarsi sempre anche per le cose che si ripetono. Tende ad essere e non a fare. La persona è colui che è.

Ad esempio, una metodica che usano fare, un esercizio fisico-meditativo è “il Saluto al sole” che non è solo per risvegliare il fisico dopo una nottata passata a dormire quanto un ringraziare il sole visto come datore di vita.

Ho visto feste di compleanno dove una signorina induista offriva caramelle come dolce e mi chiese come regalo una penna che portavo nel taschino. Ho visto una maestra bellissima con un sari splendido spazzare un pezzo di strada e poi una decina di ragazzine sedersi in terra perché quel pezzo di strada era la loro classe. Ho visto madri che andavano a prendere i ragazzi a scuola e mangiare con loro un pezzo di riso. Ho visto personalmente tanta spiritualità anche nei maestri di Arte Marziale. Ho visto il mio maestro essere ricordato come “il cardinale e la sua Chiesa”. Ho visto come mi consideravano per quello che dimostravo sul campo e non per quello che potevo dimostrare con dei pezzi di carta (diplomi,ecc.). Ho visto come si muovono in posti considerati sacri come la tomba di Gandhi o la Mother House, la casa di Madre Teresa di Calcutta.

Nella mia tesi di laurea ho sviluppato un confronto tra Oriente ed Occidente attraverso il confronto tra due poesie, una di Basho, poeta giapponese, ed una di Tennyson, poeta inglese. Ambedue le poesie parlano del modo di rapportarsi con la visione di un fiore. Per Basho non si tratta solo di vedere questo fiore ma di meditarci nella visione; vuole guardarlo con gli occhi dell’artista, vuole osservarlo dal di dentro. Desidera quasi divenire il fiore, vuole entrare in sintonia con la natura. Tennyson lo osserva con gli occhi dello scienziato e lo coglie senza considerare che così lo ha ucciso.

La persona occidentale vive come se fosse uno scienziato che intende capire la realtà con la ragione.

E’ un attore che vive nella vita che un altro regista ha scritto per noi; è un fotografo che vede la realtà attraverso una macchina, un obiettivo.

La persona orientale è un artista che si crea la propria realtà; desidera vivere la realtà come è ma agli occhi dell’artista. Per questo motivo la realtà orientale è piena di musica e colori. La realtà diviene un prodotto dell’artista.

Come esempio classico della meditazione orientale è il buddhismo. Il buddhismo non parla mai di un dio personale anche se qualche scuola afferma che il Buddha umano è si una persona, ma ha ricevuto la sua “buddhità” da un Buddha supremo.

Secondo il buddhismo il problema è il liberarsi dalla sofferenza. Questa è data dall’ignoranza, quella che vive in noi e non negli altri; a sua volta questa è divisa in tre radici che costituiscono gli atteggiamenti fondamentali che ci legano all’esistenza: la concupiscenza, la ripugnanza, l’apatia. Allontanandosi da queste radici Buddha ha sperimentato la liberazione dalla sofferenza raggiungendo lo stato del Nirvana in questa vita.

Il nucleo del Buddhismo è conosciuto come il Triplice Gemma: Buddha, Dharma (dottrina), Sangha (comunità).

Tuttavia il credo buddhista manca del concetto di rivelazione come trasmissione di una verità ma desidera trasmettere le parole, le azioni di Buddha. Non ha mai un carattere filosofico ma esistenziale e normativo. Non desidera tanto pensare quanto a liberarsi dalle illusioni e dalle passioni.

Buddha vedendo che gli uomini vivevano (e vivono) una condizione esistenziale carica di sofferenza, considerò come suo compito quello di essere d’aiuto alla umanità sofferente e per questo non serve il pensiero filosofico.

L’uomo può liberarsi dalla sofferenza raggiungendo l’illuminazione in questa vita saltando così il ciclo delle reincarnazioni dell’induismo. La regola di vita è semplificata dai monaci considerati i capi morali e rispettata dai laici:la risposta all’umanità è da considerarsi nella carità attiva e per questo motivo istituirono molti ospedali, esercizi di carità, ecc. Questa carità esterna comporta anche virtù individuali come la generosità, la moralità, la tolleranza, la saggezza, la meditazione.

Dopo avere conseguito l’Illuminazione, Buddha pronunciò a Benares (oggi Varenasi) il famoso discorso di Benares dove manifestò il suo pensiero. Già solo a sentire questo discorso quattro dei suoi amici divennero arhat, cioè distruttori di nemici, cioè persone che hanno abbattuto dentro di loro ogni ostacolo all’illuminazione.

Egli intende vivere la vita avendo chiaro in sé l’idea della morte e così armonizzarsi al ritmo della vita che è nascere, vivere, morire. Intendeva così uccidere quell’”io” relativo che provoca un grande ostacolo alla liberazione ed alla cessazione della sofferenza. Voleva raggiungere l’illuminazione senza passare per il ciclo del samsara, il ciclo delle rinascite. Per raggiungere il suo scopo insegnò le Quattro Nobili Verità: - esiste la sofferenza (il dolore è universale); - la sofferenza ha una origine (il dolore esiste perché l’uomo ha nel suo intimo desideri egoistici); - eliminazione della causa della sofferenza (eliminando questi desideri si può arrivare alla guarigione); - via che conduce alla cessazione della sofferenza (adottando questa via si giunge al Nirvana).

E’ importante il fatto che per raggiungere il Nirvana, Buddha non richiede di fare una vita ascetica o una vita godereccia ma di vivere una vita normale, media, appunto la via Media.

Molte persone si interessano del buddhismo perché questo non segue una via religiosa, di fede e ritiene che per la liberazione sia sufficiente muoversi su una linea orizzontale, terrena. Se Dio esiste noi non possiamo accorgercene ed allora è meglio vivere basandoci sulle nostre forze. L’uomo buddhista vede nelle varie fasi della vita la sofferenza e si chiede il perché della sofferenza. Questa sofferenza è di tipo esistenziale ed è detta Dukka. Tutto è sofferenza. Un saggio romano potrebbe usare questa espressione: l’omo ha da soffrì.

Anche l’uomo occidentale comprende che la vita è sofferenza; agli inizi del 900 l’uomo che soffriva non poteva andare a lavoro mentre da quel momento in poi l’uomo che è malato potrebbe svolgere una attività. Questo perché il grande male del secolo è la depressione, lo stress, indicata da un termine letterario con il termine spleen. L’uomo non si riconosce per quello che è; non è più l’uomo che sa di avere Dio al suo fianco, che riconosce di essere una creatura. Non sa più a chi rivolgersi. Vuole vivere la vita ma è costretto a vivere nella vita. Degli scrittori francesi (Rimbaud, Mallarmè, Verlaine) parlavano della vita come un albatros: bellissimo uccello quando vola in alto, ma goffo quando è costretto a camminare sulle navi. Allora volevano volare in alto e ricorsero alluso di una sostanza che fece la sua apparizione in quel periodo, di origine orientale, l’oppio. Spesso c’è questo andare in Oriente per soddisfare la propria voglia di vivere. Pensiamo agli anni 60 quando furono i Beatles a portare in Occidente l’Hashish e l’induismo in quanto all’apice del loro successo furono travolti da questo e fuggirono in India per trovare un po’ di pace nella loro vita. Portarono anche il sitar, uno strumento difficile da suonare, e l’usanza di avere un guru personale. Poi abbiamo anche il momento della New age con il libro del nulla, la Profezia di Celestino e l’uso di pietre, amuleti, varie sostanze allucinogeni utili per raggiungere una pseudo illuminazione e di cui il film cult è Hair. Vi è un paese vicino a Viterbo dove i suoi abitanti sono tutti ex sessantottini, persone pieni di tatuaggi, con i capelli lunghi, con un’aria trasognata dovuta anche all’uso di erbe. Anche in India ho visto delle persone occidentali di circa 60 anni che si muovono con un’aria trasognata, sempre dovuta all’uso frequente di sostanze allucinogene.

Questo concetto del Dukka piace molto perché da una spiegazione del senso della sofferenza. Questo specialmente per chi non crede ad un Essere Superiore cui rendere conto.

 

 

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Meditazione Zen Do Ishi

Post n°6 pubblicato il 06 Marzo 2015 da zengi1955
 
Foto di zengi1955

Prima di iniziare a parlare della Meditazione orientale è necessario prendere in considerazione due aspetti. Il primo riguarda l’impossibilità della lingua occidentale di tradurre con un termine specifico un ideogramma orientale. Infatti, un ideogramma ha più di un significato, mentre la lingua occidentale ha più termini per uno stesso significato, da qui la difficoltà di cui sopra.

   

Prendiamo come esempio il termine Kara-te. "Kara" significa "vuoto", mentre "Te" significa "mano". Karate avrebbe, allora, il significato di "mano vuota"; ma nel Karate si usano anche colpi di gamba, proiezioni, ecc. per cui non sarebbe esatta la traduzione corrente. Se si intende Karate come "mente vuota", cioè "mente libera da ogni condizionamento esterno" ci avviciniamo molto al vero significato dell’ideogramma.

 

    Il secondo riguarda il termine Zen.  Questa è la forma giapponese del termine cinese Ch’an, a sua volta derivazione del termine sanscrito Dhayna, che costituisce una paramitas (carattere particolare dell dottrina buddhista) ed avente il significato di meditazione.

    Tutto nasce nell’India, la culla delle religioni, circa 500 anni prima della nascita di Cristo. Nacque nell’attuale stato del Nepal Gotama Siddharta, principe della dinastia dei Sakya, il fondatore del buddhismo. Siddharta, il Buddha, trovò che si poteva saltare il ciclo delle rinascite per giungere all’Illuminazione eliminando i desideri.

La sua dottrina si proponeva proprio questo: la via Media che tutti possono seguire per giungere all’Illuminazione nella vita corrente.

    Alcuni secoli dopo un monaco buddhista Duruma (nome giapponese) o Boddhidarma (nome indiano) andò dall’India in Cina dove fu accolto dall’imperatore. Venuto a dissapori con questi, Boddhidarma andò nel Nord della Cina, presso i monasteri Shao-Lin; insegnò in questi monasteri una sua dottrina personale, una variante del Buddhismo classico, dando maggiore importanza alla Meditazione Illuminatrice, piuttosto che alla fede ed alle opere.

    Duruma insegnò ai monaci delle tecniche fisiche, degli esercizi per risvegliare le membra intorpidite dalle lunghe ore di meditazione, ponendo i primi rudimenti di un Arte Marziale chiamato Shorjin Kempo.

    Secoli più tardi questi monasteri Shao Lin furono distrutti ed i monaci si riversarono per tutta la Cina portando con loro ciò che Duruma aveva insegnato. Per lunghi periodi la Cina fu invasa da popolazioni ostili e subì un lungo travaglio interiore, dato anche da guerre interne.

I monaci Shao Lin iniziarono a diffondere la loro Arte Marziale per difendere le popolazioni inermi dalle orde di briganti che imperversarono in tutta la nazione. L’avvento della meditazione Ch’an nella cultura cinese e nei vari  conventi porta inevitabilmente con sé il propagarsi di un particolare metodo d’ascesi: il Chuan Fa che rende i monaci validi guerrieri.

    Quando il credo di Boddhidarma arrivò nel sud della Cina venne a contatto con i mercanti del Giappone e di Okinawa; questi portarono sia il Kempo, sia il Ch’an in Giappone dove si sposò con influenze locali.

    Il Kempo divenne Okinawa-te, ad Okinawa, e, agli inizi del secolo, Karate in Giappone.

    Il Ch’an arriva in Giappone dove diviene nel tempo lo Zen odierno. Una corrente dello Zen si unisce al Do In per formare lo Zen Do Ishi.

    Lo Zen Do Ishi può essere espresso nella massima latina "Mens sana in corpore sano". Permette attraverso uno studio introspettivo di sé di arrivare a comprendere il proprio Io; permette di gestire al massimo la propria energia, e attraverso movimenti mirati, posture adatte, idonee respirazioni, il corpo si libera dalle tensioni date dalle negatività (stress, pensieri funesti, ira, invidia, ecc.) per ciò il proprio organismo diviene recettivo al massimo per ricevere la grande energia che permea l’universo.

Questa grande energia fa si che l’uomo saggio riesca a padroneggiare la propria energia e ad usarla quando se ne sente l’utilità.

   

Lo Zen Do Ishi in comune con lo Zen classico la ricerca del Satori,anche se parlare di ricerca è sbagliato.

Lo Zen Do Ishi si propone come un mezzo per  ortare l’idea dell’uomo nella giusta dimensione. Con il conseguimento del Samadhi (stato di estrema concentrazione dove tutto il proprio essere si concentra su una data realtà) si raggiunge la piena consapevolezza del proprio essere, che non termina con l’uscire dallo stato del samadhi, riuscendo, così, ad arrivare alla consapevolezza della realtà esterna.

 

Questa concezione è importante perché alcuni scambiano il samadhi con lo stesso stato che si riscontra dopo avere assunto uno stato di droga. E’ vero che alcune sostanze psicotrope sembra che portino ad un innalzamento della coscienza ma è altrettanto vero che questi stati di coscienza alterati, questi stati di euforia non durano molto tempo e subito si ha una fase di regressione. Al contrario, una volta raggiunto lo stato del samadhi questo non sarà più abbandonato. E’ come se si fosse raggiunto uno stato elevato, come se si vivesse in uno posto elevato.

 

Riuscire a porre se stesso ed il mondo esterno nel contesto della pura esistenza è Kensho, una condizione che si avvicina al satori, la suprema illuminazione.

Per arrivare a questo dobbiamo sconfiggere l’Io relativo, il quale varia continuamente.

Quando ci poniamo nell’atteggiamento mentale proprio per raggiungere il samadhi, spesso un pensiero negativo (negativo in quanto ci nega la possibilità di entrare nel samadhi) attraversa la nostra mente; liberandoci da questo pensiero negativo, un altro pensiero negativo viene ad ossessionare la nostra mente, e così via. Tuttavia, dobbiamo sempre allontanare il pensiero negativo. Possiamo pensare quando vogliamo fare un vuoto mentale, non ricordare nulla, allontanare ogni pensiero, allora la nostra vita ci scorre dinanzi.

Perché accade questo pensiero relativo? Come conseguenza del peccato di superbia. Nel pensiero orientale si vive in questo stato perché l’uomo è caduto nello stato del Maya, lo stato di ignoranza per cui l’uomo crede di vivere la vita mentre vive nella vita, ma come indossando una maschera, degli occhiali scuri che gli fanno vedere la realtà di un colore non autentico. Per questo motivo si parla di illuminazione per uscire da questo stato di non coscienza, di buio per cui si scambia la realtà per quella che non è.

Nel cristianesimo si parla di peccato in quanto dopo il peccato originale l’uomo vive sempre preda del peccato e continuamente viene tentato dal male che lo tenta falsandogli la realtà.

 

Nella meditazione è importante allontanare i pensieri negativi, inutili, quelli che ci allontanano dall’illuminazione. Se il fine ultimo della nostra esperienza è Dio, le tensioni mentali negative sono dette tentazioni. Un pensiero cristiano dice: "non è peccato la tentazione, ma l’assenso alla tentazione". Una massima Zen dice: "il prodursi di un pensiero malvagio è la malattia; non persistere in esso è il rimedio".

 

Chi pratica Zen Do Ishi non compie nulla di trascendentale, ma al contrario compie tutto molto normalmente. Ciò lo differenzia dagli altri è che egli compie le azioni per quello che sono; quindi, quando mangia il suo pensiero è rivolto solo al mangiare, quando dorme pensa solo al dormire, quando è in compagnia di una persona pensa solo a questa persona e non ai vantaggi che gli possono derivare dalla compagnia di questa persona.

Questo, è in sintesi, anche la raccomandazione che io faccio sempre ai miei atleti di Karate: quando venite ad allenarvi, fate in modo da lasciare fuori la palestra le vostre preoccupazioni in modo che la vostra menta sia assorbita solo dal Karate.

Questo è ciò che io chiamo vivere in uno stato perenne di samadhi attivo.

Al contrario, una persona media vive in un mondo che fa in modo che tale persona viva nella vita; quindi, questa persona vivrà secondo i canoni impressi dal mondo, pieno di fantasie, insicurezze, per cui quando mangia non pensa che sta interagendo con la natura, con ciò che la natura gli sta offrendo, ma pensa ad altre cose; quando dorme non pensa di fare riposare il suo fisico, la sua mente, ma, al contrario, è talmente pieno di paure che non riesce a dormire; quando è in compagnia di una persona pensa ai vantaggi che può ricavare da questa persona.

Per cui l’uomo non sà vivere la vita, ma vive nella vita.

Lo Zen Do Ishi si propone di conoscere la vera realtà, la vera natura di ogni particolare dell’Universo che cade sotto i suoi sensi, quindi anche noi stessi.

E’ la naturale risposta al detto greco "Gnoti te auton" - Conosci te stesso.

 

Il vedere la natura, nello Zen Do Ishi, è un approccio di tipo "vissuto" in quanto non si cerca di intenderla intellettualmente; è un pensiero che può rimanere ostico agli occidentali specialmente per chi crede sia il pensiero, l’intelletto la risposta al problema dell’esistenza. Ma il discorso intellettuale risulta positivo sino a che si trattano argomenti che possono avere riscontri nella realtà oggettiva; perde, però, il suo valore quando si cerca di trattare in maniera intellettuale problemi che riguardano la natura intima dell’uomo. Quindi, non si può credere di potere risolvere i veri problemi dell’uomo, legati ai bisogni intimi, con il solo pensiero. Proprio per questo motivo l’esperienza del satori non può essere spiegata, ne compresa da chi non l’abbia già sperimentata.

 
 
 

MEDITAZIONE parte seconda

Post n°5 pubblicato il 01 Marzo 2015 da zengi1955
 

Meditazione b

 

Prima di iniziare a parlare della Meditazione orientale è necessario prendere in considerazione due aspetti. Il primo riguarda l’impossibilità della lingua occidentale di tradurre con un termine specifico un ideogramma orientale. Infatti, un ideogramma ha più di un significato, mentre la lingua occidentale ha più termini per uno stesso significato, da qui la difficoltà di cui sopra.

   

Prendiamo come esempio il termine Kara-te. "Kara" significa "vuoto", mentre "Te" significa "mano". Karate avrebbe, allora, il significato di "mano vuota"; ma nel Karate si usano anche colpi di gamba, proiezioni, ecc. per cui non sarebbe esatta la traduzione corrente. Se si intende Karate come "mente vuota", cioè "mente libera da ogni condizionamento esterno" ci avviciniamo molto al vero significato dell’ideogramma.

 

    Il secondo riguarda il termine Zen.  Questa è la forma giapponese del termine cinese Ch’an, a sua volta derivazione del termine sanscrito Dhayna, che costituisce una paramitas (carattere particolare dell dottrina buddhista) ed avente il significato di meditazione.

    Tutto nasce nell’India, la culla delle religioni, circa 500 anni prima della nascita di Cristo. Nacque nell’attuale stato del Nepal Gotama Siddharta, principe della dinastia dei Sakya, il fondatore del buddhismo. Siddharta, il Buddha, trovò che si poteva saltare il ciclo delle rinascite per giungere all’Illuminazione eliminando i desideri.

La sua dottrina si proponeva proprio questo: la via Media che tutti possono seguire per giungere all’Illuminazione nella vita corrente.

    Alcuni secoli dopo un monaco buddhista Duruma (nome giapponese) o Boddhidarma (nome indiano) andò dall’India in Cina dove fu accolto dall’imperatore. Venuto a dissapori con questi, Boddhidarma andò nel Nord della Cina, presso i monasteri Shao-Lin; insegnò in questi monasteri una sua dottrina personale, una variante del Buddhismo classico, dando maggiore importanza alla Meditazione Illuminatrice, piuttosto che alla fede ed alle opere.

    Duruma insegnò ai monaci delle tecniche fisiche, degli esercizi per risvegliare le membra intorpidite dalle lunghe ore di meditazione, ponendo i primi rudimenti di un Arte Marziale chiamato Shorjin Kempo.

    Secoli più tardi questi monasteri Shao Lin furono distrutti ed i monaci si riversarono per tutta la Cina portando con loro ciò che Duruma aveva insegnato. Per lunghi periodi la Cina fu invasa da popolazioni ostili e subì un lungo travaglio interiore, dato anche da guerre interne.

I monaci Shao Lin iniziarono a diffondere la loro Arte Marziale per difendere le popolazioni inermi dalle orde di briganti che imperversarono in tutta la nazione. L’avvento della meditazione Ch’an nella cultura cinese e nei vari  conventi porta inevitabilmente con sé il propagarsi di un particolare metodo d’ascesi: il Chuan Fa che rende i monaci validi guerrieri.

    Quando il credo di Boddhidarma arrivò nel sud della Cina venne a contatto con i mercanti del Giappone e di Okinawa; questi portarono sia il Kempo, sia il Ch’an in Giappone dove si sposò con influenze locali.

    Il Kempo divenne Okinawa-te, ad Okinawa, e, agli inizi del secolo, Karate in Giappone.

    Il Ch’an arriva in Giappone dove diviene nel tempo lo Zen odierno. Una corrente dello Zen si unisce al Do In per formare lo Zen Do Ishi.

    Lo Zen Do Ishi può essere espresso nella massima latina "Mens sana in corpore sano". Permette attraverso uno studio introspettivo di sé di arrivare a comprendere il proprio Io; permette di gestire al massimo la propria energia, e attraverso movimenti mirati, posture adatte, idonee respirazioni, il corpo si libera dalle tensioni date dalle negatività (stress, pensieri funesti, ira, invidia, ecc.) per ciò il proprio organismo diviene recettivo al massimo per ricevere la grande energia che permea l’universo.

Questa grande energia fa si che l’uomo saggio riesca a padroneggiare la propria energia e ad usarla quando se ne sente l’utilità.

   

Lo Zen Do Ishi in comune con lo Zen classico la ricerca del Satori,anche se parlare di ricerca è sbagliato.

Lo Zen Do Ishi si propone come un mezzo per  ortare l’idea dell’uomo nella giusta dimensione. Con il conseguimento del Samadhi (stato di estrema concentrazione dove tutto il proprio essere si concentra su una data realtà) si raggiunge la piena consapevolezza del proprio essere, che non termina con l’uscire dallo stato del samadhi, riuscendo, così, ad arrivare alla consapevolezza della realtà esterna.

 

Questa concezione è importante perché alcuni scambiano il samadhi con lo stesso stato che si riscontra dopo avere assunto uno stato di droga. E’ vero che alcune sostanze psicotrope sembra che portino ad un innalzamento della coscienza ma è altrettanto vero che questi stati di coscienza alterati, questi stati di euforia non durano molto tempo e subito si ha una fase di regressione. Al contrario, una volta raggiunto lo stato del samadhi questo non sarà più abbandonato. E’ come se si fosse raggiunto uno stato elevato, come se si vivesse in uno posto elevato.

 

Riuscire a porre se stesso ed il mondo esterno nel contesto della pura esistenza è Kensho, una condizione che si avvicina al satori, la suprema illuminazione.

Per arrivare a questo dobbiamo sconfiggere l’Io relativo, il quale varia continuamente.

Quando ci poniamo nell’atteggiamento mentale proprio per raggiungere il samadhi, spesso un pensiero negativo (negativo in quanto ci nega la possibilità di entrare nel samadhi) attraversa la nostra mente; liberandoci da questo pensiero negativo, un altro pensiero negativo viene ad ossessionare la nostra mente, e così via. Tuttavia, dobbiamo sempre allontanare il pensiero negativo. Possiamo pensare quando vogliamo fare un vuoto mentale, non ricordare nulla, allontanare ogni pensiero, allora la nostra vita ci scorre dinanzi.

Perché accade questo pensiero relativo? Come conseguenza del peccato di superbia. Nel pensiero orientale si vive in questo stato perché l’uomo è caduto nello stato del Maya, lo stato di ignoranza per cui l’uomo crede di vivere la vita mentre vive nella vita, ma come indossando una maschera, degli occhiali scuri che gli fanno vedere la realtà di un colore non autentico. Per questo motivo si parla di illuminazione per uscire da questo stato di non coscienza, di buio per cui si scambia la realtà per quella che non è.

Nel cristianesimo si parla di peccato in quanto dopo il peccato originale l’uomo vive sempre preda del peccato e continuamente viene tentato dal male che lo tenta falsandogli la realtà.

 

Nella meditazione è importante allontanare i pensieri negativi, inutili, quelli che ci allontanano dall’illuminazione. Se il fine ultimo della nostra esperienza è Dio, le tensioni mentali negative sono dette tentazioni. Un pensiero cristiano dice: "non è peccato la tentazione, ma l’assenso alla tentazione". Una massima Zen dice: "il prodursi di un pensiero malvagio è la malattia; non persistere in esso è il rimedio".

 

Chi pratica Zen Do Ishi non compie nulla di trascendentale, ma al contrario compie tutto molto normalmente. Ciò lo differenzia dagli altri è che egli compie le azioni per quello che sono; quindi, quando mangia il suo pensiero è rivolto solo al mangiare, quando dorme pensa solo al dormire, quando è in compagnia di una persona pensa solo a questa persona e non ai vantaggi che gli possono derivare dalla compagnia di questa persona.

Questo, è in sintesi, anche la raccomandazione che io faccio sempre ai miei atleti di Karate: quando venite ad allenarvi, fate in modo da lasciare fuori la palestra le vostre preoccupazioni in modo che la vostra menta sia assorbita solo dal Karate.

Questo è ciò che io chiamo vivere in uno stato perenne di samadhi attivo.

Al contrario, una persona media vive in un mondo che fa in modo che tale persona viva nella vita; quindi, questa persona vivrà secondo i canoni impressi dal mondo, pieno di fantasie, insicurezze, per cui quando mangia non pensa che sta interagendo con la natura, con ciò che la natura gli sta offrendo, ma pensa ad altre cose; quando dorme non pensa di fare riposare il suo fisico, la sua mente, ma, al contrario, è talmente pieno di paure che non riesce a dormire; quando è in compagnia di una persona pensa ai vantaggi che può ricavare da questa persona.

Per cui l’uomo non sà vivere la vita, ma vive nella vita.

Lo Zen Do Ishi si propone di conoscere la vera realtà, la vera natura di ogni particolare dell’Universo che cade sotto i suoi sensi, quindi anche noi stessi.

E’ la naturale risposta al detto greco "Gnoti te auton" - Conosci te stesso.

 

Il vedere la natura, nello Zen Do Ishi, è un approccio di tipo "vissuto" in quanto non si cerca di intenderla intellettualmente; è un pensiero che può rimanere ostico agli occidentali specialmente per chi crede sia il pensiero, l’intelletto la risposta al problema dell’esistenza. Ma il discorso intellettuale risulta positivo sino a che si trattano argomenti che possono avere riscontri nella realtà oggettiva; perde, però, il suo valore quando si cerca di trattare in maniera intellettuale problemi che riguardano la natura intima dell’uomo. Quindi, non si può credere di potere risolvere i veri problemi dell’uomo, legati ai bisogni intimi, con il solo pensiero. Proprio per questo motivo l’esperienza del satori non può essere spiegata, ne compresa da chi non l’abbia già sperimentata.

M

 
 
 

MEDITAZIONE parte prima

Post n°4 pubblicato il 01 Marzo 2015 da zengi1955
 

 

 

La meditazione (dal latino meditatio, riflessione) è una pratica che tende ad una maggiore padronanza delle attività della mente e permette alla mente stessa di raggiungere uno stato di quiete mentale.
Questa quiete mentale si raggiunge concentrandosi sul momento presente, cercando di ottenere quello che è chiamato “vuoto mentale” nella meditazione zen.
Solo per un intento personale si può lavorare sulla meditazione per potere in seguito accostarsi a pratiche filosofiche, religiosi, spirituali.
Tale pratica, in forme differenti, è riconosciuta da molti secoli come parte integrante di tutte le principali tradizioni religiose.
Nelle Upaniṣad, le scritture sacre induiste è presente il primo riferimento esplicito alla meditazione che sia giunto fino a noi, indicata con il termine sanscrito dhyāna.
In genere si accosta la meditazione alla pratica orientale, ma non è così. La meditazione è praticata nei secoli da tutte le popolazioni mondiali. Ogni cultura, ogni tipo di filosofia ha avvertito che la meditazione portando ad una maggiore padronanza del pensiero poteva aiutare l’uomo ad entrare in sintonia con se stesso e, di conseguenza, con un altro.
La meditazione può aiutare nelle battaglie, nelle guerre, negli esami, nelle decisioni importanti, ecc.
Esistono molte vie personali che non devono necessariamente trovarsi all'interno di una religione o una filosofia. Molte forme di meditazioni hanno bisogno di un maestro che permetta loro di fare un cammino per giungere verso una maggiore consapevolezza di se stessi e della realtà interiori.
Ma la meditazione non serve solamente per acquietare la coscienza, i sensi, ma anche per essere più attivi mentalmente e spiritualmente.
Si ha l’idea di accomunare l’idea della meditazione con l’idea della quiete: niente di più sbagliato. Si può pensare che i samurai giapponesi che praticavano meditazione, la facevano per stare calmi? Certamente si, ma calmo non significa rilassato; può significare uno stato in cui si acquieta la coscienza, ci si allontana dalle preoccupazioni e si è pronti per la lotta, anche se si tratta di un combattimento interiore.
Quando si parla di meditazione si deve sempre menzionare l’ambiente in cui si medita in quanto un ambiente sempre preordina il tipo di meditazione. Un samurai giapponese mediterà in modo diverso rispetto ad un buddhista: il primo cercherà il vuoto mentale, il secondo la pace interiore.

La meditazione è il soffermarsi del pensiero su una data realtà. A quanti anni si può meditare? E’ come chiedere a quanti anni si può pensare. Non vi è una età precisa al di sotto o al di sopra della quale si può iniziare a meditare. Quando un bambino si sofferma ad osservare un qualsiasi fenomeno che cade sotto i suoi sensi la prima volta, sta meditando perché porta il pensiero su una data realtà. La meditazione è allora il pensiero che si sofferma su una realtà per comprenderne tutte le possibilità. A livelli elevati di meditazione si entra sia nella realtà esterna sia nell’interno della nostra coscienza per fare si che le due realtà entrino in contatto.

Ora porteremo alcuni esempi di varie manifestazioni meditative.

Esempio di un bambino che viene a contatto per la prima volta con una manifestazione esterna, ad esempio vede per la prima volta la pioggia. Forse ha visto altre volte la pioggia, ma ora per qualche motivo entra in contatto con la pioggia; la pioggia lo sta interessando, egli la vede con occhi nuovi, la desidera e vede che la pioggia non solo lo sta interessando ma gli provoca emozioni. Si possono avere manifestazioni originali nel senso che sono manifestazioni che avvengono per la prima volta. Non vi sono sovrastrutture nel senso che non abbina a queste sensazioni delle sensazioni avvenute in altre occasioni.

Un altro esempio può riguardare il caso di una atleta, ed io ho in mente un personaggio sportivo famoso, Roberto Baggio, in occasione di una partita particolare. Siamo nella finale contro il Brasile, siamo giunti ai calci di rigori. Ora è il turno di Baggio. Lo osservo, ha lo sguardo perso nel vuoto, non guarda il pallone, non guarda il portiere, vede al di là di tutto. Lo sguardo indica che ha paura. Forse immagina che tutta la nazione lo sta guardando e questo sarà un momento che forse non gli si ripresenterà più. Guarda a destra e a sinistra, aspetta il fischio dell’arbitro, ecco che arriva, si muove, le sue gambe sono pesanti. Ne ha tirati di rigore, è uno dei giocatori più forti del mondo, ha una classe eccelsa nelle gambe, ma in questo momento non si ricorda di nulla. Parte, colpisce il pallone in un modo che non gli compete. Il risultato è qualcosa che non ti aspetti. Il pallone sorvola altissimo la porta. Abbiamo perso. Passano degli anni ed arriviamo a Monaco, finale di un altro Campionato del mondo; di fronte sono due squadre rivali da sempre: la Francia e l’Italia. Siamo ai calci di rigore.

Nel tempo normale è successo qualcosa di grave.

 

Zidane è stato espulso perché ha colpito con una testata Materazzi che a sua volta lo aveva insultato. Ora siamo ai calci di rigore; tutti i nostri rigoristi hanno segnato, ma anche i francesi hanno segnato: Ora è il turno di un giovane ragazzo che gioca per la prima volta in Nazionale ed ha avuto da Lippi l’onore di tirare l’ultimo rigore. Potrebbe succedere come con Baggio. Questi era un campione, esperto, sicuro delle proprie possibilità; Grosso è giovane ed ha una grossa responsabilità sulle spalle. Si avvicina al pallone.

Vedo il suo sguardo, è sicuro, quanta differenza con lo sguardo di Baggio.

Vede diritto il portiere, lo sfida quasi.

Mette il pallone in terra, si allontana con un passo sicuro; parte e segna. Il mondiale è nostro.

Quanta differenza tra le due situazioni. Quello che è cambiato è l’atteggiamento della persona. Non possiamo qui giudicare i diversi stati d’animo dei due atleti, ma vorrei solo dire che l’impatto è stato diverso e diverso è il risultato finale. Anche con l’impatto emotivo enorme, lo stress provocato dal fatto di essere osservato da milioni di telespettatori, la reazione emotiva è stata diversa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

LE RELIGIONI SONO TUTTE UGUALI?

Post n°3 pubblicato il 22 Febbraio 2015 da zengi1955
 
Foto di zengi1955

Si e no.

Per venire incontro alle nuove esigenze della comunità mondiale diviene impellente vedere cosa hanno gli uomini in comune piuttosto che le loro differenze.

Tutte le comunità, religiose, culturali, tentano di rispondere alle domande che da sempre attanagliano il cuore dell'uomo. Perché viviamo in questa terra, il perché della nostra esistenza, il perché del male e del dolore, ecc. Le religioni si propongono di rispondere a queste domande e da questo punto di vista possiamo affermare che tutte le religioni hanno lo stesso scopo.

Più le religioni sono divenute elaborate per la loro antichità, più le risposte diventano complesse. Queste religioni tentano di rispondere a questi quesiti elaborando dottrine, vie liturgiche, riti, ecc.

Rispetto a tempi passati ora la Chiesa cerca di considerare con rispetto ed amicizia quanto di vero può esserci in tutte le religioni.

Dio ha parlato in tutti i tempi ed in tutte le culture con la lingua del popolo cui si è rivelato. Per questo motivo ogni religione ha un qualcosa di vero, di sincero nella loro dottrina.

Se l'uomo chiede Dio non rimane in silenzio e risponde all'uomo.

Per questo motivo ogni cultura ha un proprio iter nei Comandamenti: in ogni cultura, anche in quelle atee, si rispettano il senso dei Comandamenti. Dove si può uccidere, testimoniare il falso, non rispettare i genitori?

Questo non significa che tutte le religioni siano uguali. Significa che tutte le religioni hanno in comune la volontà di rispondere ai quesiti che l’uomo si pone dall’inizio dei tempi.

Tutte le religioni hanno in sé una verità, più o meno completa.

La nostra religione è la più completa (anche i mussulmani, gli ebrei, gli induisti affermano la stessa verità), perché? Perché per noi il cristianesimo non è una dottrina scritta nella pietra, in una dottrina cristallizzata nei tempi antichi. E’ l’incontro con una Persona, il Cristo che ha dato la propria vita per noi. E’ vero che anche altri uomini hanno dato la loro vita per altri uomini, ma solo Cristo ha scelto volontariamente di morire per l’uomo caricandosi le colpe dell’umanità intera.

 

 

 

 
 
 
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