La riscossa del Sud

Sono trascorsi 153 anni dal quel fatidico 1861, quando dopo un plebiscita falso e corrotto l'antico Regno delle Due Sicilie fu annesso alla nuova Italiella. Ferro e fuoco fu portato dagli invasori in tutto il nostro territorio, e la nostra gente depredata, spogliata, uccisa. Fummo pivati non solo della libertà, ma insieme della dignità, dell'onore e del benessere. Da quell'ora fatale la nostra terra e la nostra gente è diventata preda degli avvoltoi del potere politico, del potere massonico, del potere mafioso. Dopo 152 anni nulla è cambiato, anzi le cose peggiorano, e continuiamo ad essere la terra dei rapaci. Ancora oggi gli eredi di quei "piemontesi" e "garibaldeschi" che ci conquistarono, insieme agli eredi di quei traditori del Sud, i nuovi ascari del nord, continuano a toglierci dignità, onore, benessere e libertà. Donna e Uomo del Sud... Giovane e Ragazzo del Sud... Anziano del Sud... non abbatterti e non perdere il tuo coraggio, questo è il tempo della RISCOSSA. Non scegliere più il potere del nord, è tempo di scegliere la tua TERRA.

 

GARIBALDI UN MITO CHE CROLLA

           

Per conoscere la verità potete andare anche a leggere il saggio storico scritto dal prof. Gennaro  De Crescenzo, proprio sul crollo del mito di Garibaldi

 Gennaro De Crescenzo,

Contro Garibaldi. Il mito in frantumi

- Casa editrice Il Giglio

               

Sulla figura di Garibaldi e del suo ruolo nella vicenda risorgimentale sono state date interpretazioni non sempre omogenee che, pur riconoscendolo sempre come eroe dell’unificazione italiana, hanno proposto sfumature diverse del personaggio, illuminandone alcuni tratti piuttosto che altri. Chi fu, dunque Garibaldi? L’eroe che dedicò la vita a combattere per ideali di libertà e di giustizia? Oppure lo strumento inconsapevole di una trama di potere ordita da massoni e liberali per impossessarsi dell’intera Penisola? O ancora, il rivoluzionario che collaborò attivamente alla conquista del Regno delle Due Sicilie, condividendo pienamente gli scopi e i mezzi delle forze unitariste? La risposta a queste domande sarà la chiave per rileggere l’impresa risorgimentale e le sue conseguenze che giungono fino ai nostri giorni.

  

 

LA FAVOLA DELL'UNITÀ

ECCO COME CI LIBERARONO

TG DOSSIER VERITA'

SU RAI 2

Se hai voglia di conoscere la verità sulla spedizione dei mille e sull'occupazione del Regno delle Due Sicilie puoi andare a leggere i seguenti testi:

Il Regno delle Due Sicilie

Tutta la verità

Gustavo Rinaldi     Editore: ControCorrente

Il libro racconta la storia del Regno delle Due Sicilie stroncando tutti i luoghi comuni e le menzogne che si ripetono da duecento anni. È un viaggio della memoria con testimonianze al di sopra delle parti per le nuove generazioni di meridionali alla conquista del presente: il futuro del Sud ha un cuore antico.

Garibaldi, Fauchè e i predatori del Regno del Sud

La vera storia dei piroscafi "Piemonte" e "Lombardo" nella spedizione dei Mille

Luciano Salera           Editore: ControCorrente

La Storia Proibita.

Quando i piemontesi invasero il Sud.

Autori Vari   

 Editore: ControCorrente

 

INNO DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Alla Reale Casa dei  Borbone

del Regno delle Due Sicilie

onore nei secoli

 

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Borbone - Regno delle due Sicilie

com'era e come finì

Lotta per la Libertà

per tenere sempre nel cuore la nostra Patria, e rispolverare dalla polvere e dal fango, con il quale i vincitori hanno coperto la nostra antica gloria, la verità nascosta

 

 

LA LIBERTÀ

Post n°80 pubblicato il 01 Marzo 2014 da massimo.c58
 

                   

 

“A libbertà! Chesta Mmalora nera

ca nce ha arredutte senza pelle 'ncuolle!...

'A libbertà!... Sta fàuza puntunera

ca te fa tanta cìcere e nnammuolle!...

Po' quanno t'ha spugliato, bonasera!

Sempe 'a varca cammina e 'a fava volle,

e tu, spurpato comm'a n'uosso 'e cane,

rummane cu na vranca 'e mosche mmane!...”


            (traduzione) “La Libertà! Questa nera maledizione

                                Che ci  ha ridotti senza pelle addosso!

                                La liberrtà!... Una prostituta

                                Che ti fa tante moine!

                                Una volta che ti ha spogliato di tutto, buonasera!

                                Sempre la barca cammina e la fave cuoce,

                                e tu, sporpato come un osso di cane,

                                rimani solamente con le  mosche nelle mani!...”

 

                                  ( poesia del poeta napoletano Ferdinando Russo, 1866-1927)  


Dopo le prime ore di scuola, in un momento di spacco, ho dato qualche sguardo su internet alle diverse notizie di cronaca. Nulla di nuovo sotto il sole.  In questa società modernizzata e liberale, all’avanguardia ormai per la sua alta “democrazia”, erede delle eclatanti e tanto esaltate “conquiste” del passato, continuiamo a leggere eventi e fatti ormai saturi.

Quanti cambiamenti politici e governi si sono succeduti, e pensando alla storia passata, dall’invenzione dell’Italia ad oggi, non sono una novità questi cambiamenti.  Gli uomini passano e si succedono, l’un l’altro, a volte non lasciando neppure il ricordo, se non di personali interessi ed arroganti poteri.

Un comune filo solamente sembra ricollegare l’un l’altro questi passaggi di potere e di governo: il clientelismo, la corruzione, il malgoverno, l’interesse privato.

Così come leggiamo sovente di tafferugli e parolaccie nell’alto consesso parlamentare, anche questo non una novità. Si dice che anche nel parlamento piemontese del Savoia, come in quello inglese del nobile lord Palmerston, e non di meno nel liberale parlamento di Napoleone III, non mancavano queste “risse” colorite da epiteti e gesti molto suggestivi. Anche nel primo parlamento “italiano”, riunitosi in Torino capitale, i contrasti non mancavano. In qualche periodo storico si è persino ricorso alle mani, qualcuno ha fatto il  braccio forte per le sue alte amicizie “mafiose”, e tante volte non è mancato neppure il “morto”. Sono i rischi di questa “democrazia”.

Pagine intere e lunghe discussioni sulle riforme da fare, sui problemi da risolvere, sulla crisi. Anche queste una continua ripetizione, dove le promesse non mancano, le mille e più svariate proposte e programmazioni, più o meno sincere, per rimettere in equilibrio la nazione. Svolti e risvolti, dove in alto restano sempre “i forti della politica”, mentre la gente comune, gli operai, i piccoli imprenditori, le famiglie, sono sempre più “tartassate” da tasse,  balzelli e più svariati problemi.

Cosa mai è cambiato, ritornando indietro con la memoria? Già il Piemonte “savoiardo” era “burocraticamente” invaso da tasse di ogni genere, specialmente per le numerose avventure guerresche promosse dal proprio re. Una volta “conquistato”, grazie alle alleanze segrete e alle guerre oscure, l’intero “stivale”, in nome della “libertà”, quest’uso fu allargato anche alle “regioni” conquistate. Tra tutte, quella che ne ha pagato  maggiormente le spese è stato il Regno delle Due Sicilie, che in poco tempo ha visto svuotate le “pingue casse” del banco di Sicilia e del banco di Napoli. Non solo questo. Furono chiuse industrie che, poco prima, sotto “la tirannia borbonica”, funzionavano e davano lavoro a migliaia di famiglie, e poi sono risultate “fallimentari”, e quindi da “annullare”. Questi episodi sono accaduti  a volte anche in modo violento, come  “l’eccidio della ferriera di Pietrarsa”, il primo assassinio operaio perpetrato da un potere politico. 

Ma ironia della sorte, mentre prima le tasse erano molto lievi, e alcune addirittura inesistenti,  dopo l’annessione al Piemonte, il popolo “napoletano” e “siciliano” conobbero la mano pesante del fisco statale. È sempre esistita l’equitalia! 

Addirittura fu inventata una tassa sulla guerra del 1860-61, che il “buon popolo meridionale”, vittima di questa guerra non voluta, dovette versare al suo “colonizzatore”. Che bravi i meridionali, hanno contribuito anche  a pagare i proiettili e le bombe con le quali sono stati massacrati  (Come pagano la tassa sulla spazzatura, seppure poi rimane per settimane in mezzo alle strade, e  anche quella chimica, che viene a inquinare i nostri terreni). 

Avevo sempre pensato che fosse stata  un’invenzione dei “comunisti cinesi”, quella di far pagare alle famiglie i proiettili con le quali venivano fucilati gli “insurrezionisti”, ma invece è capitato nel nostro bel paese, e tanti anni prima, grazie alla “libertà italiana”. 

Non mancano notizie di disperazioni e risentimento di tanta gente che a fine mese non riesce a quadrare con il bilancio. Non è difficile sentire parlare di dimostrazioni e cortei, dove migliaia di persone manifestano il loro dissenso. Giovani che sono depressi di fronte a un futuro incerto, consapevoli che il tasso di disoccupazione è aumentato, e che nulla di buono può vedersi nel futuro immediato. Di promesse e “sogni”, senz’altro tanti, ma tra “il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.  Che tristezza, poi, quest’annuncio di “morti previsti”. I nuovi poveri, che di fronte al “nulla” ereditato da questa “falsa democrazia”, al fallimento di una vita di sacrifici e lavoro, preferiscono il suicidio. Questo hanno generato la libertà e l’unità 

Ma pure queste notizie non sono nuove. Le prime sommosse nacquero appena unita l’Italia, E non solo al Sud, paese di “banditi e briganti”, ma in tante altre città, anche del Nord. 

Altre notizie in evidenza, il moltiplicarsi della terra dei fuochi. Il Sud, dalla Campania alla Puglia, come in Basilicata o in Calabria, ma certamente anche in quella che una volta era “terra di lavoro” o in terra d’Abruzzo, non mancano terreni e mari inquinati dai veleni tossici regalataci dalla malavita,  in combutta alla politica e agli industriali del nord. Quanti innocenti, specialmente bambini, vittime di quest’atrocità, che “grida vendetta al cospetto di Dio”.

Ma non mancano altre zone, persino al Nord, invase da questo inquinamento.

Pure questo ha una ragione “antica”. La nuova politica, il nuovo modo di governare, ormai retaggio di questa “nuova società”,  ha altri interessi, che non sono più l’amore al proprio paese e alla propria gente, neppure ai propri figli, altrimenti non ci si fa complici nell’avvelenare la propria terra, ma ciò che conta di più è “fare soldi”, “avere potere”, pure sui cadaveri degli innocenti.

Poi, dulcis in fundo, ho letto di queste “bambine” di 14 o 15 anni, che si sono prostituite. Ormai non il primo caso, è da tempo che di tanto in tanto viene fuori questa “novità”. A volte anche di ragazzine più piccole. Realmente siamo alla frutta. Cosa possiamo più aspettarci in una società permissiva e priva di ideali e moralità? Da dove è nata questa società? 

Anche questo ha un retaggio antico, se pensiamo alla “guerra senza frontiere” fatta da certa politica alla Chiesa e a tutto ciò che sapeva di sacro, di religione, di moralità, di Dio. Come risuona quel “libera Chiesa in libero Stato”, ma che sa così tanto di truffa. Perché alla fine si pensava di dover “tappare la bocca”  alla Chiesa con una guerra, che tutt’ora persiste, contro la religione e contro la sacralità della famiglia, della vita, della purezza, della coscienza, dello Stato. L’ispirare nelle menti il veleno del tutto è lecito, tutto è possibile, la morte stessa di ogni autorità, e di Dio stesso. Una società che si costruisce sulle illusioni, e che rifiuta il sacrifico, l’impegno, la gratuità. “Tutto e subito”. Questo è il motto del nuovo mondo. Questa l’idea che ormai è entrata nel cuore di tanti giovani, che per un piccolo capriccio, per la ricarica del telefonino, per una falsa autonomia, vendono il proprio corpo e la propria dignità. Come diventa attuale il nobile e profetico “Sillabo” del Beato Pio IX, che ci metteva in guardia da queste “false libertà”.

E riflettevo un poco sulla situazione dei nostri giovanissimi, anche  a scuola io sono in contatto con tanti di loro, e cerco sempre di instaurare un dialogo, di lanciare un messaggio. Ma a volte tutto diventa difficile. Quanto vuoto e quante illusioni nel mondo degli adolescenti. Ed è la società moderna, “democratica”,  a creare un mondo di ambiguità. 

Nuovi valori, nuovi ideali, nuove mode, che tante volte sono falsi e calpestano la stessa dignità dell’uomo. Il forte, il bello, il ricco, il violento, il corrotto, è il vincitore. Certi modelli, che dovrebbero essere ritenuti “immondizia”, sono presi come “ideali”. Così diventano mete da raggiungere, non più il buono, il sano, il puro,  la santità, ma solamente il proprio piacere, la soddisfazione della propria volontà, il proprio egoismo.

Anche questo è retaggio di certe rivoluzioni, che hanno calpestato “la vera Luce”, per deviare dietro piccole luci, vane e illusorie. Si è ascoltato il canto delle sirene, così suadente e dolce, che portano poi ad infrangersi contro gli scogli che conducono alla morte. E non si ascolta più la voce di Dio, che ci parla di amore, di tenerezza, di misericordia, di vita eterna.

Tutte queste cose le rimembravo pensando ad una “vecchia” poesia, di un grande poeta napoletano. Proprio quella che ho inserito  iniziando questa mia riflessione.

Come aveva ragione, coraggioso e onesto Ferdinando Russo, a  descrivere, in quella bellissima e melodiosa lingua napoletana, la realistica visione di quella “falsa libertà” promossa da quei liberali “settari”, figli della massoneria. Una “libertà” che diventa maledizione, perché riduce l’uomo a perdere di vista il “bene” più grande, la propria dignità, il proprio onore.

Proprio simile ad una “vecchia prostituta”, così avvezza ad adulare e attirare nella sua rete molti clienti, fino a ridurli in povertà. Ci rendiamo conto che è proprio così, guardando a tutti questi avvenimenti e alle realtà negative che ci sono nella nostra società.  Ahimè! Quante volte anche uomini di Chiesa e di Governo si lasciano ingannare da questa “prostituta”, deviandosi per strade diverse da quelle della giustizia. Ci si ritrova alla fine vuoti, forse materialmente ricchi, ma senza veri affetti, senza onore, senza dignità. Con un pugno di mosche in mano. E poi c’è la morte, dinanzi alla quale, come ci ricorda Francesco di Assisi, “nessun uomo può scappare”.

 Che tristezza ritrovarsi nel viaggio della morte con le mosche in mano,                     invece  che opere buone,  belle, giuste, sante.

  Beati quelli che hanno  saputo camminare nella vera libertà, cioè che hanno             conservato una coscienza  limpida ed  onesta.


Forse riflettere su certe cose farà torcere il naso a qualche “liberale”. Spesso si diventa così superficiali e presuntuosi, bollando qualsiasi riflessione che ci voglia riportare indietro  come uno “sfogo legittimista”, cose da reazionari, sanfedisti, borbonici, controrivoluzionari. Ormai siamo così avvezzi al nuovo mondo, che ci piace essere innamorati della “prostituta”, anche se alla fine ci si ritrova nella fossa dei serpenti. Diventa piacevole succhiare al seno dell’ambizione, dell’iniquità e della corruzione, adulando il potere più che la giustizia, proprio come quei “pennaruli” e “paglietta”, così avversi al buon “Re Bomba”. (spero mi perdonino gli amici di questo buon Re se ho usato questa espressione, che diventa ironica verso quelli che ingiustamente e delittuosamente la coniarono, ma che io ho ripetuto con tutta la mia simpatia e il mio affetto verso il grande Re Ferdinando II).

Invece sarebbe così bene fare una inversione di marcia, e ritornare indietro per andare in avanti. Incominciare davvero a fare i conti con la storia, quella vera, quella che traumaticamente è stata spezzata dai disonesti, che seppure sono chiamati “padri della patria”, sono solamente padri dei propri interessi e delle proprie ambizioni. 

Forse dovremmo davvero ripensare su questi anni trascorsi, sulla cattiva unità, che è stata causa di guerre mai sopite, origine della mafia, della camorra, dei terrorismi, di una società corrotta e ambigua. Dovremmo forse realmente ripensare che la vera unità poteva essere fatta  proprio in quella Confederazione di Stati liberi, dove ognuno avrebbe conservato la propria identità e autonomia,  le proprie leggi e tradizioni,  dove davvero la libertà non sarebbe stata questa “fàuza puntunera” (falsa prostituta), che ci rende poveri idealmente, spiritualmente e socialmente, ma quell’autentica libertà che nasce dal rispetto reciproco, dalla Solidarietà, dall’Amore, dalla Giustizia, dalla Verità.

Ora da questa mia “riflessione a voce alta” mi aspetto di sentire qualche “ripercussione”. 

 

 
 
 

ACCANIMENTO

Post n°79 pubblicato il 27 Febbraio 2014 da massimo.c58
 

            

Papa Francesco, ancora da Cardinale, in un suo bellissimo libro: “ non lasciatevi rubare la speranza” fa una considerazione sull’accanimento, che indica come un atteggiamento crudele dell’uomo su un altro uomo, ma che possiamo ancor più considerare  crudele ed ingiusto, allorquando questo atteggiamento è preso dal vincitore sul vinto, dal forte sul debole.

Nell’introdurre a  questo argomento egli cita un detto popolare, probabilmente più conosciuto nella sua terra, e che credo si addica perfettamente all’argomento che voglio trattare.

<<  Dall’albero abbattuto tutti fanno legna  >>.

    Considerando la  figura di Francesco II di Borbone, ci accorgiamo che su di essa c’è        stato un accanimento crudele ed immotivato, una vera  “leggenda nera” che ancora,        tante volte, è impedimento ad una riflessione serena e reale su di lui.

    Tale accanimento trova la sua determinazione da avvenimenti e circostanze scaturite     da un percorso della storia, manovrato da una “parte politica” atta a voler franare sia      l’antica istituzione della Monarchia Tradizionale, che la stessa Istituzione Cattolica.

    Tutti conosciamo le vicende storiche che hanno portato al crollo del Regno delle Due      Sicilie, uno Stato indipendente e in pace con tutti.  Tra i tanti staterelli italiani è              stato senz’altro il più vasto sotto l’aspetto  territoriale, quello economicamente e civilmente più avanzato, con una cultura e uno sviluppo all’avanguardia, e storicamente esistente sin dal 1130, quando Ruggero II riunì tutto il territorio meridionale sotto l’unica corona siciliana,  rendendolo indipendente,  seppure tra vicende buone o cattive.  Con  la Dinastia dei Borbone delle Due Sicilie, questa indipendenza non solo divenne concreta, ma il Regno  visse  per 127 anni, governato con giustizia e saggezza   da questi sovrani lungimiranti e illuminati, in continuità della secolare storia passata, un tempo di grande prosperità economica, culturale, sociale, umanistica e religiosa.

Il crollo dell’antico Regno, governato da una Monarchia Tradizionale, ma allo stesso tempo illuminata e ispirata dai principi cristiani, portò anche al crollo di questa Dinastia, e a tutto un’accanimento verbale nei suoi confronti, che andò poi allargandosi fino a riferirsi a tutto ciò che era meridionale.  Tutto  questo  per giustificare azioni di guerriglia,  e l’occupazione arbitraria di Stati da sempre indipendenti.
È  facile sentirsi  ancora dire, falsamente,  con i soliti luoghi comuni, che tutto ciò che è negativo al sud,  abbia origini endemiche, o borboniche.
Nulla di più falso, andando a considerare l’intelligenza remota del popolo meridionale,  che ha fatto la storia sia nel campo filosofico, che militare, artistico, architettonico, giuridico, e sia considerando il buon governo dei Borbone delle Due Sicilie, veri “napoletani”, per nulla burocrati o disattenti o tiranni.

      Quest’accanimento nasce perché i  Borbone napoletani, sovrani cattolici e          profondamente legati da sentimenti di fedeltà al Papa, fuori da ogni logica          di settarismo antipapista e anticattolico, o di conquiste territoriali, e                  rispettosi degli equilibri territoriali venuti fuori dal Congresso di Vienna,            erano malvisti dal liberalismo massonico, che andava sempre più                        prendendo spazio in quel tempo.
       Infatti la stessa idea di unità della nazione italiana, considerata anche      
     positivamente sia dal Papa, che dai Sovrani italiani, e realizzabile attraverso
      una Confederazione di Stati, per questi liberali, manovrati dalla massoneria
    e dallo stesso protestantesimo,  nemici giurati del Papato, doveva realizzarsi
    per mezzo del  crollo dell’autorità papale e di ogni monarchia che ne  
    difendesse i diritti.
   Una volta considerato che il Re napoletano non avrebbe mai accondisceso         alle loro idee, volsero le loro bandiere altrove, proprio verso quel re sardo,       cresciuto ed imbevuto di dottrine giacobine e massoni, trovandovi anche l’appoggio di un ministro massone, Cavour,  nemico giurato del cattolicesimo, che pur di “allargare” il proprio potere e i personali interessi, hanno appoggiato quella “rivoluzione iniqua”, che avrebbe portato solo male all’Europa.

Si conoscono bene le amare vicende e l’accanimento  delle leggi di soppressioni, che a causa del governo Cavour, e con il bene placido del Savoia, dovette  subire la Chiesa piemontese, e le persecuzioni politiche che tanti religiosi, non escluso San Giovanni Bosco, dovettero subire. Le stesse che anni dopo furono applicate negli altri Stati conquistati e annessi con i falsi plebisciti al Piemonte, non esclusi il Regno delle Due Sicilie e lo stesso Stato Pontificio. 
Come si conoscono, ormai,  il depredamento economico, gli accanimenti militari e violenti, dei vincitori del nord  sui vinti del sud.  Accanimenti che,  dopo la conquista e il saccheggio del sud,  ha preso sempre più piede,  grazie anche  a tradimenti interni e a calunnie, che pochi meridionali, spinti dalle loro idee politiche e dai personali interessi, costruirono contro il Regno.

Dalla colonizzazione del Sud in poi, l’accanimento contro la verità  e la memoria storica del Regno delle Due Sicilie e dei Borbone,  divenne sempre più “un monumento”. Diventarono “eroi” i peggiori malfattori e traditori, mentre chi aveva governato il Sud, chi aveva lottato per difendere il proprio giuramento di fedeltà e l’indipendenza della propria Patria, chi era morto per lottare contro l’usurpazione, era tacciato brigante o sanfedista.
Francesco II, che doveva essere la “vittima immolata” a questo nuovo “Moloch” dei tempi moderni, dopo l’unità d’Italia, è stato il più colpito da questo accanimento, che voleva portarlo all’oblio o alla distruzione stessa della memoria. Da re inetto a povero ingenuo, da bigotto a ignorante, su di lui sono state inventate tante calunnie,  senza mai andare a verificare la verità sulla sua personalità di grande spessore morale, intellettivo, umano e spirituale. E tante volte anche tanti appassionati “meridionalisti”,  danno credito a queste dicerie da “manuale scolastico risorgimentalista”.

Davvero l’abbattimento del grande albero della libertà meridionale, costruito da Carlo di Borbone e dai suoi discendenti, dopo l’unità è diventato preda di tutti. Ed oggi si pagano a caro prezzo le conseguenze di quell’abbattimento e di quell’accanimento. 
Mafia, camorra, disoccupazione, immondizia, malasanità, terra dei fuochi, cattive bonifiche, malgoverno, ingiurie,  e tanto ancora, hanno fatto di quest’albero prolifero e verde, un tronco morto.

       Ma siamo certi che quel tronco morto, rigenerato dalla verità e dall’innesto di nuove        piante,  che della verità e giustizia fanno il proprio concime, riprenderà la sua                  vitalità e la sua  autonomia.    E ci spinge a questa certezza il desiderio stesso di              “non farci derubare ancora della speranza”, e di fare nostra la stessa speranza di
         Re Francesco II: non sono eterne le usurpazioni e le iniquità, e verrà presto l’ora
        della rinascita.
 Per questo dobbiamo farci ricercatori e  promotori della Verità, coscienti che solo essa ci renderà pienamente           liberi.
 
 
 

FRANCESCO II DI BORBONE DELLE DUE SICILIE UN VERO RE, UN GRANDE UOMO, UN VERO CRISTIANO, UN GRANDE SANTO

Foto di massimo.c58

Una delle motivazioni importanti per avviare il cammino di canonizzazione di un testimone della fede, è dato dalla fama di santità della persona candidata. Questo dunque ci mette nella condizione di fare uscire dall’oblio obbligato a cui è stato posto Francesco II di Borbone, Re del Regno delle Due Sicilie, un vero testimone di cattolicità. Ancor più bisogna anche sfatare e chiarire quei luoghi comuni e quelle “dicerie”, che certa storiografia prezzolata e di regime, hanno forzatamente e falsamente diramato sulla sua figura.

Sentire fortemente attuale e vera la sua testimonianza cristiana ci ha dato la motivazione per fare luce sulla verità storica, e ridare a Re Francesco II quella “Luminosità” della quale in vita è stato rivestito, e che ne fanno un vero testimone, non solo nella profondità della sua umanità è cultura, ma soprattutto nel cammino di cristiano.

Nel suo prologo l’evangelista Giovanni dice che chiunque accoglie la Luce ha il potere di diventare figlio di Dio. Accogliere la Luce significa avere fede in Gesù Cristo, la Luce che è venuta ad illuminare le tenebre. Ed è la fede in Gesù che ci rende figli di Dio, e come dice poi l’apostolo Paolo, eredi del suo Regno.

Proprio in questa dimensione io leggo l’esperienza terrena di Francesco II di Borbone delle Due Sicilie, l’ultimo Re di questo Regno che per secoli ha conosciuto l’autonomia e il buon goveno.

Francesco D'Assisi Maria Leopoldo di Borbone nasce a Napoli, il 16 gennaio 1836, dal grande Sovrano Ferdinando II e dalla Beata Maria Cristina di Savoia-Borbone, “la Reginella Santa”, che dopo anni di attesa lo scorso 25 gennaio è stata beatificata. Della sua “ napoletanità” si sentiva fiero e felice, come sentiva profondo amore e affetto per la sua terra e il suo popolo.

Egli è stato provato molto presto, quando appena pochi giorni dopo la sua nascita la sua mamma muore proprio per i postumi del parto. La memoria di questa donna stupenda e buona, della quale sempre su padre gli parlava, è ben impressa nel suo cuore e nella mente, e la fama di essere il figlio della “Regina Santa” accompagnò tutta la sua esistenza.
Dalla sua memoria imparò l’umiltà e la mansuetudine, e da vero cristiano seppe sempre guardare aldilà delle tenebre, fondando la sua vita sulla fede cristiana, nell’onestà dei costumi e di pensiero, consapevole di essere chiamato a servire il suo popolo.
 Come sua madre, e lo stesso suo padre, anche lui è stato devoto della Vergine Maria, e certamente tante volte fissò in Lei il suo sguardo, chiedendole di farle da Madre e di accompagnarlo nel suo dovere di Re.

La sua formazione umana, culturale, spirituale è stata affidata ai Gesuiti, che seppero ben imprimere in lui quelle virtù cristiane che faranno di lui un grande Re. Ma non gli mancarono neppure la formazione militare e del buon governo, che imparò direttamente da suo padre. È molto significativo un aneddoto della fanciullezza di Francesco, quando accompagnò suo padre in visita ai soldati che stavano facendo esercitazioni militari. Sia Re Ferdinando che il piccolo Principe mangiarono alla mensa dei soldati semplici, cosa abituale per il Re, e a tavola fu servito il pane raffermo. Francesco, ancora molto piccolo, ebbe un gesto di disgusto e di rifiuto dinanzi a quel pane. Suo padre, uomo di grande intelligenza e umanità, guardandolo con dolcezza e fermezza gli disse: “perché non vuoi mangiare questo pane?”. Egli rispose che era pane vecchio, e che non gli piaceva. Suo padre con dignità e autorità rispose: “se lo mangiano i soldati, che sono migliori di noi, perché non dovremmo mangiarlo noi?”. Il ragazzo comprese la lezione, che certamente ricordò per sempre, e mangiò quel pane con gusto, consapevole che la virtù dell’umiltà e la semplicità, valgono più di tutte le grandezze del mondo.

Proprio questa consapevolezza faranno di lui il Re che è stato, preoccupandosi sin dai primi momenti del suo regno, al benessere di tutta la sua gente. Si occupò per l’assistenza dei poveri, costruì e ampliò ospedali, fece bonifiche, organizzò la scuola di diritto internazionale e si occupò per l’istruzione della sua gente, fece nuovi progetti per la diffusione delle ferrovie, e altri decreti per la valorizzazione delle industrie e dell’economia.
Egli aveva dinanzi a sé un modello esemplare di regalità, quella che viene dal Vangelo, si sentiva, ed era effettivamente, “lo sposo” del suo popolo, che amò fino alla fine della sua vita, ben oltre la perdita del trono e la fine del Regno.

Infatti egli regnò per breve tempo, a causa di avvenimenti che non solo capovolsero le sorti del Regno delle Due Sicilie, ma l’Europa intera e la Chiesa, che avrebbero conosciuto l’amarezza di una rivoluzione, che avrebbe seminato nella società violenza, guerre, dispotismi, razzismo e morte.
Francesco II, con grande lucidità, seppe guardare lontano, e denunciò con chiarezza quel delitto che si stava commettendo, consapevole che la pirateria che aveva portato subbuglio e disordine nel suo regno, non era altro che l’anticipazione delle violenze e ingiustizie future. 

Egli aveva visto bene che dietro tutto quel movimento rivoluzionario si nascondevano i disegni della massoneria che impadronendosi oggi dei suoi Stati, ben presto avrebbero minacciato l’intera Europa. 

Infatti quella violazione delle norme più elementari del diritto internazionale, che ora stava danneggiando il suo Regno, avrebbe spianando la strada a regimi basati sulla forza , la corruzione e sulla violenza, anziché sul consenso dei popoli.

Fu profeta che aveva guardato ben lontano, rendendosi conto dei totalitarismi e massacri, che nel secolo successivo avrebbero trasformato l’Europa e il Mondo in un immenso teatro di violenza e di guerre, e di quelle nuove idee che avrebbero portato tanto male alla stessa Chiesa Cattolica. 

Nessuno in quel momento sembrava rendersene conto quanto lui. Solamente il Beatissimo Papa Pio IX si rese conto di questa grave ingiustizia, e cercò di intervenire per aiutare il giovane Re, ma egli stesso rimase inascoltato. Ormai i grandi dell’Europa erano per la maggiore soggiogati dalla massoneria, che ben presto avrebbe fatto sentire la sua mano pesante ad altri imperi e altri regni.

Alla fine visse questo evento, che aveva contrastato con tutte le sue forze per amore della verità e della giustizia, con serenità e pace. Uomo mite e semplice, non pensò mai ai suoi interessi personali o alle ambizioni, ma solamente al bene della sua gente. Certe scelte fatte, da taluni criticate, non furono frutto di paure o scrupoli, ma solamente per non portare sofferenza al suo popolo.

Quando quel popolo si oppose alla colonizzazione del proprio paese, egli non mancò di sostenerlo e difenderlo. Ma dinanzi alle disparità della forza e alla sofferenza della sua gente, preferì l’esilio e la povertà, ma non abdicò mai ai suoi doveri di Re e di Sposo del suo popolo.

Seppure era stato reso povero da quei malvagi che l’avevano ingiustamente detronizzato, seppe vivere sempre con dignità nel suo esilio, e all’occasione non mancava mai di soccorrere il suo popolo ridotto anch’esso in povertà. “Tutte le lacrime dei miei sudditi ricadono sopra il mio cuore… io sono Re, e come tale io debbo l’ultima goccia del sangue mio e l’ultimo scudo che mi resta ai popoli miei”. E questo programma lo realizzò fino alla fine. Proprio in occasione del terremoto che si abbatté nella città di Torre, poco lontano da Napoli, egli attraverso il Cardinale di Napoli, il venerabile Sisto Riario Sforza, che ha sempre avuto affetto e venerazione per il giovane Re,  fece giungere alle popolazioni colpite la sua carezza di padre, e il suo aiuto economico. 

E al popolo meridionale, ormai condannato da quella “falsa annessione al Regno d’Italia dei Savoia”, ad essere o brigante o emigrante, non mancò mai di rivolgere parole di speranza e di amore. Egli era accompagnato dalla consapevolezza che le usurpazioni non sono eterne, e che Dio avrebbe prima o poi fatto giustizia. E con la passione e l’amore di un vero Re, che aveva sposato il suo popolo nella buona e nella cattiva sorte, anche da lontano continuò a interessarsi della sua gente, particolarmente nei momenti di bisogno, e qualsiasi meridionale si presentava da lui veniva accolto con affetto, e non ripartiva mai a mani vuote.

Gli ultimi anni della sua vita li trascorse ad Arco di Trento, sempre sobrio ed umile, disponibile verso la sua gente e verso chiunque. Mai alcuna parola di biasimo o di rancore dalla sua bocca, ma sempre parole di pace e di incoraggiamento. Lontano da ogni vanità , mai si è lasciato vincere dalle illusioni. Aveva conservato il titolo di Duca di Castro, ma tutti ad Arco lo conoscevano come “il signor Fabiani”. E con serenità e umiltà, da vero gentiluomo, ogni mattina si recava alla Santa Messa e poi sedeva ad un bar per fare colazione e leggere i giornali. Ogni sera poi era sollecito a recarsi presso la Chiesa della Collegiata per la recita del Santo Rosario. Le sue giornate erano accompagnate dalla preghiera e dalla carità. 

Francesco II di Borbone delle Due Sicilie lascia alla storia un nome, che le iniquità e le calunnie non possono oscurare. È stato uomo di grande spessore, e ne è prova il suo ricco epistolario, il suo diario, e la memoria di chi gli è stato vicino fino alla fine. Ci troviamo realmente dinanzi alla figura di un vero Re e un vero cristiano, dal profilo morale, umano, spirituale, intellettuale , di altissimo rigore. E così come è vissuto, alla stessa maniera: “Con l’anima serena dell’uomo giusto, con gli occhi estaticamente rivolti alla visione di quel sereno cielo che lo vide nascere, è morto il Re adorato, l’ultimo vero Re”. Era il 27 dicembre 1894, festa di san Giovanni evangelista.

Matilde Serao, giornalista napoletana liberale e non certamente “borbonica”, nella sua onestà professionale così scrisse di lui:          «Don Francesco di Borbone è morto, cristianamente, in un piccolo paese alpino, rendendo a Dio l'anima tribolata ma serena. Giammai principe sopportò le avversità della fortuna con la fermezza silenziosa e la dignità di Francesco II. Colui che era stato o era parso debole sul trono, travolto dal destino, dalla ineluttabile fatalità, colui che era stato schernito come un incosciente, mentre egli subiva una catastrofe creata da mille cause incoscienti, questo povero re, questo povero giovane che non era stato felice un anno, ha lasciato che tutti i dolori umani penetrassero in lui, senza respingerli, senza lamentarsi; ed ha preso la via dell'esilio e vi è restato trentaquattro anni, senza che mai nulla si potesse dire contro di lui. Detronizzato, impoverito, restato senza patria, egli ha piegato la sua testa sotto la bufera e la sua rassegnazione ha assunto un carattere di muto eroismo... Galantuomo come uomo e gentiluomo come principe, ecco il ritratto di Don Francesco di Borbone».

Questa è la forza dei grandi, essere veri cristiani e santi, saper andare incontro a Dio con animo retto e serenità, dopo aver vissuto con dignità e onore, generosità e amore, ricco di misericordia. 

Questo è stato Francesco II di Borbone delle Due Sicilie, un vero Re, un grande uomo, un vero napoletano, un grande Santo.

Per questo lo ricorderemo sempre nella preghiera, e ci rivolgeremo a Lui, che dal cielo ci guarda e ci sorride.

                              

 
 
 

FRANCESCO II DI BORBONE E CARLO I D’ASBURGO DUE VITE PARALLELE

Post n°77 pubblicato il 05 Febbraio 2014 da massimo.c58
 

 

Ho letto in questi giorni una biografia del Beato Carlo d’Asburgo, legato da vincoli di sangue al nostro re Francesco. Infatti sua nonna, Maria Annunziata di Borbone delle Due Sicilie, è sorella di Francesco II.

Constatavo come la vita di questi due sovrani, ultimi di un tempo che ormai andava al tramonto, si somigliano, e camminano quasi all’unisono. Entrambi si ritrovano giovanissimi ad essere sovrani in un tempo molto difficile, circondati da pusillanimi e traditori, ormai “venduti” ad un potere che voleva prendere sempre più “possesso” della storia, del tempo, dei popoli. Il crollo del Regno delle Due Sicilie, decretato a quel “tavolo del potere”, che fu riunito subito dopo la guerra di Crimea, era ormai nella testa di “certi grandi”della storia, e avallato dalla massoneria, che con questa “conquista” avrebbe iniziato la sua ascesi e la sua supremazia sulla futura politica europea. Infatti i “re” e le “democrazie” o i “totalitarismi”, che dovevano poi venirsi a creare in Europa, altro non dovevano fare che asservire, a volte inconsapevoli, i progetti di questo “nuovo mondo sociale”.

Certamente l’isolamento del Regno delle Due Sicilie dai giochi di potere e la politica di Re Ferdinando, atta solamente al bene del suo popolo, avevano maggiormente aiutato le fazioni rivoluzionarie a concretizzare questi loro progetti. Ma la formazione umana e lo spirito cristiano di re Ferdinando, oltre al suo attaccamento al Regno, non potevano compromettersi con questa politica corrotta, che sarebbe stata prototipo della politica futura. Quindi lo stesso Francesco II, formato alla scuola dell’onestà politica, e fedele figlio della Chiesa Cattolica, cristiano convinto e coerente, non avrebbe mai potuto accettare questa nuova visione della vita, che calpestava non solo il diritto dei popoli, ma la stessa dignità dell’uomo. Di questo ne era consapevole il giovane re, e lo disse con tutte le sue forze ai “potenti” d’Europa, pronosticando che la caduta del suo Regno, cattolico e in pace con tutti, florido e rispettoso delle leggi umani e cristiane, sarebbe stato solamente l’inizio del crollo dei valori, degli ideali, dell’identità cristiana.

Parimenti anche l’Austria, impero cattolico e tradizionalista, non sarebbe caduto nel “laccio” di questa nuova massoneria, non più illuminata dalla “giusta ragione”, ma dallo spirito del personale interesse e del potere economico e totalitario.Il nuovo “mondo sociale” non può più dare spazio alle antiche e immutabili categorie, nessun Dio, nessun Padre, nessun Altare, niente Re Padre. Il potere assoluto è basato solamente sul “denaro”, demone che insinua la corruzione e la morte della coscienza. Ecco perché lo stesso Carlo d’Asburgo, quindi, non poteva accogliere quelle istanze lontane dalla morale cristiana. Anch’egli aveva pronosticato il crollo degli ideali.Entrambi non hanno tradito la loro posizione di re cristiani, uomini di pace, padri della loro gente, fedeli al loro giuramento di sovrani per grazia di Dio e rispettosi dell’onore.

A questi due sovrani fu proposto, in cambio dell’abdicazione, la ricchezza. Ma essi, “Re per grazia di Dio”, non sono venuti meno a quell’autorità che, come scrive lo stesso apostolo Paolo, viene solamente da Dio, e quindi “una vocazione”. La risposta fu la stessa: l’onore non è in vendita.Entrambi hanno perso il trono, ma conserveranno la dignità, l’onore, il rispetto, l’amore per la propria gente, la fedeltà alla verità, la purezza della loro fede. Furono entrambi perseguitati, calunniati, impoveriti, ma non persero mai la loro serenità e speranza. Entrambi vittime di una propaganda velenosa e falsa, che ancora oggi porta le sue conseguenze, ma seppero guardare “oltre il buio”, certi che iniquità e falsità non sono eterni.Questa propaganda, opera della massoneria, aveva lo scopo di alimentare l’odio contro la fede cattolica e tutti quei regni che ne incarnavano lo spirito.

Quante bugie storiche contro i Borbone e gli Asburgo, pur di alimentare quest’odio, ancora tante volte vivo in chi non conosce e non accoglie la verità. Per questo sembrava difficile e impossibile che potesse riconoscersi la santità di vita di Carlo d’Asburgo, come può sembrarlo oggi per Francesco II. Ma dinanzi a Dio ogni “ginocchio si piega”, e siamo certi che alla fine Dio solo avrà la meglio.La beatificazione di Carlo d’Asburgo, avvenuta il 3 ottobre 2004, e quella più recente della Regina Maria Cristina, mamma del nostro Re Francesco II, avvenuta lo scorso 25 gennaio, ci rendono ottimisti. Certamente la grande difficoltà sarà data da questi quasi 120 anni di attesa dalla sua morte. Ma essi sono giustificati appunto dalla “damnatio memoriae”, voluta da quei vincitori di una guerra ingiusta ed assurda, e la quale oggi non ha più motivo di esistere. Allo stesso tempo il tempo trascorso è anche motivo di serenità. Perché l’eventuale inizio di una causa di beatificazione e il raggiungimento della meta, non avrà alcuna aspirazione politica, ma semplicemente sarà a gloria di Dio, per ridare onore a quest’uomo di Dio e per il bene spirituale e morale della nostra gente.

 
 
 

BEATA MARIA CRISTINA REGINA DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Post n°76 pubblicato il 05 Febbraio 2014 da massimo.c58
 

 

Il 31 gennaio, si è celebrata per la prima volta la festa liturgica della Beata Maria Cristina, Regina del Regno delle Due Sicilie, beatificata lo scorso 25 gennaio. Festa grande in Napoli e in tutto il Sud, che certamente dal cielo la Reginella Santa proteggerà in maniera speciale.Donna e Regina di grande fede e carità, seppe offrire al popolo delle Due Sicilie, specialmente ai più bisognosi e deboli, tutta quell’attenzione di vera madre. Così la ricordava il Cardinale Sepe nella sua omelia: Maria Cristina, la “reginella santa” come era acclamata dalla corte e dal popolo napoletano, è dono prezioso per la Chiesa di Napoli e per la Chiesa universale. La sua vita e le sue opere di carità rimangono per tutti un tesoro da custodire e da imitare anche oggi.Da lei dobbiamo imparare la grande potenza della preghiera. Questa sua particolare predilezione, che ha portato fin da piccola, l’ha vissuta in maniera straordinaria nei suoi anni napoletani. Non era raro vedere lei e suo marito Ferdinando II di Borbone, in preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento. Insieme a tutta la corte partecipavano alla Santa Messa e ogni sera alla recita del Santo Rosario.Spesso, mentre si recavano lei e Re Ferdinando in qualche luogo, se lungo il tragitto incontravano un sacerdote che portava il Santo Viatico, essi facevano fermare la carrozza, e scendendo si inginocchiavano profondamente in adorazione. Questo anche se pioveva, dimostrando tutta la loro devozione e il loro amore verso l’Eucaristico Re. Mai Ferdinando iniziava una riunione importante senza pregare con lei, e se ne partiva solamente dopo che la nostra Beata lo segnava sulla fronte con un segno di croce e poggiava la sua mano sul cuore del Re.Veramente la Beata Maria Cristina aveva letto profondamente in quel cuore generoso e audace di Re Ferdinando, che considera il “suo buon Ferdinando”. Allo stesso tempo lui aveva appreso tutta la santità e la bontà della sua Reginella. Un amore veramente cristiano.Questo amore e questa fede hanno trasmesso geneticamente e spiritualmente a Francesco II, che seppe essere nella buona e nella cattiva sorte un vero Re cristiano.Le virtù di Francesco sia umanamente che spiritualmente non sono da meno ai suoi genitori, ma in particolare da sua madre ha saputo ereditare e vivere l’indole della santità.Per questo molti crediamo e speriamo di vedere anche questo buon Re, che amò l’Eucarestia e la Vergine Maria, e che seppe vivere atti eroici di fede, speranza e carità, elevato anche lui alla gloria degli altari.Affidiamo questo nostro intimo desiderio alla Invitta Immacolata, protettrice speciale del Regno delle Due Sicilie, al Beato Pio IX, che fu vero amico e sostenitore del giovane Francesco e che seppe sempre leggere in quell’anima devota e mistica, e alla Beata Maria Cristina, sua madre. Perché possano ottenerci da Dio questo speciale dono di grazia.E intanto invito tutti a pregare, invocando anche Re Francesco II, perché la sua fama di santità sia conosciuta ed egli possa intercedere insieme a sua madre per i bisogni spirituali e materiali di quanti li invocano.Già questa sera, che ho fatto l'adorazione eucaristica con delle suore, abbiamo invocato Dio per questa intenzione, e abbiamo celebrato i vespri in onore della Beata maria Cristina, invocandola perché ci ottenga da Dio questa grazia speciale. Certamente essi insieme, dal paradiso, faranno sentire la loro intercessione.Allo stesso tempo vi invito a iscrivervi alla pagina online Comitato Morale per la Beatificazione di Francesco II di Borbone su facebook.

 

https://www.facebook.com/pages/Comitato-Morale-per-la-Beatificazione-di-Francesco-II-di-Borbone/605766836162957?ref=hl 

 

 
 
 

Il Sud unito avrà la vittoria

Post n°75 pubblicato il 10 Dicembre 2013 da massimo.c58
 

       

Un popolo umiliato e calpestato, ritrovata la sua identità e la verità della sua storia, sa alzare la testa e riprendersi la sua dignità e libertà. Il riscatto di un popolo passa dalla propria volontà di farsi artefice del suo destino, dando un calcio ai nemici della sua libertà e della sua vita

Dal passato viene la memoria, essa ci fa vivere il nostro attimo presente, per costruire nella giustizia il futuro.

L'usurpazione e la corruzione hanno ferito la nostra terra e il nostro popolo, provocando ingiustizie sociali, disperazione, morte.... la nostra voce è il canto che permetterà la vittoria sull'iniquità e la liberazione della nostra gente.

Un fiume in piena, che andrà sempre più ad ingrossarsi, per capovolgere e distruggere ogni sistema di iniquità, questo il futuro del Sud, e noi, con la nostra partecipazione e il nostro impegno, siamo parte di questo futuro.

 

                    

 
 
 

'A Libbertà! La falsa Libertà dell'unità d'Italia!

Post n°74 pubblicato il 10 Dicembre 2013 da massimo.c58
 

153 anni di colonialismo toscopadano, questa è stata l'unità d'Italia a cui oggi tanti meridionali, forse svuotati di memoria, sembrano credere.

Non è difficile sentire parlare molti della nostra terra del risorgimento come di una cosa necessaria, la liberazione del Sud, l'anelito di molti perseguitati. A cosa ci ha portato questa "presunta liberazione"? Da cosa e da chi siamo stati liberati? Ma lo siamo stati realmente, o piuttosto siamo stati conquistati, derubati, stuprati?

Quanti meridionali continuano a votare il sistema italiano, chi a destra, chi a sinistra, contenti di lasciarsi calpestare ancora, derubare, defraudare della storia e della memoria. Felici di essere additati come terroni, africani, briganti, camorristi e mafiosi. Quanti meridionali tifosi di questa o quella squadra del nord, juventus, inter, milano, e si tappano le orecchie quanto negli stadi del nord si grida "Napoli colera", "terroni", "vesuvio erutta e copri il sud".

Ma quando ci si sveglierà da questo lungo letargo??? Non vi basta la spazzatura regalatavi da uno Stato mafioso, dai loro soci camorristi e dalle industrie del nord??? Non vi bastano i tumori e le catastrofi naturali?? Non vi bastano la malasanità, la cattiva politica e la disoccupazione???Non bastano ancora i nostri giovani costretti ad emigrare, o quelli che si uccidono perché hanno perso la speranza?

Certo ci diranno che ora siamo tutti italiani.... siamo tutti liberali??? Allora, a questa "sbafanteria",m  rispondo con il grande poeta Ferdinando Russo: << quanno figlieto tene famme e vo' magnà, miett a mana ind'à sacc' e dalle a libbertà! >>.

 
 
 

UN CANTO AI NOSTRI EROI

Post n°73 pubblicato il 10 Dicembre 2013 da massimo.c58
 

… Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!”. Per tanto tempo siamo stati costretti ad imparare a memoria questa patetica poesiola di un poeta del risorgimento, un certo Luigi Mercantini, che nulla ha di risonanza poetica, se non la fortuna di essere dalla parte dei vincitori. Si mette sulla bocca di un’umile donna, la spigolatrice di Sapri, l’elogio a questi “uomini eccezionali”, che capeggiati da Carlo Pisacane, tentarono con una piratesca azione, di sobillare il popolo contro la legittima istituzione. Chissà perché, poi, fu proprio il popolo, i semplici contadini cilentani, a opporsi a questa “rivoluzione”, e fermarono i “trecento” con mazze e forconi.

Certo la storiografia ufficiale del nuovo “Stato”, ha enfatizzato ed esaltato queste gesta di presunti “eroi”, e non sono mancati nelle celebrazioni centocinquantenarie la rappresentazione storica di queste piraterie risorgimentali.
Ma chi era Pisacane? E chi i suoi trecento “eroi”? Ormai la verità della storia viene fuori. E nonostante ancora ci sono i retorici “nostalgici” dell’epica risorgimentalista, tra cui alcuni che siedono anche sugli alti scanni della politica statale, che vogliono nascondere la verità esaltando i miti del risorgimento, la verità continua ad entrare nel cuore di molti, anche tra le nuove generazioni, e la storia si riscrive attraverso fatti concreti e studi reali.

Ormai è risaputo che il “famoso” Carlo Pisacane, a differenza del fratello Filippo, tenente degli Ussari, che restò fedele al suo Re fino all’ultimo, era un disertore, persona inquieta e adultera, ateo convinto e nemico della religione, fu traditore della sua Patria Napoletana. Conquistato dalle idee massoniche e anticlericali di Mazzini, fu “usato” da quest’ultimo (anch’egli annoverato tra i mitici padri di questa nuova Italia) per tentare questa “sortita” pseudo patriottica. Egli con 26 uomini partì da Genova con una nave a vapore: “all’isola di Ponza si è fermata, è stata un poco poi è ritornata”. Qui a Ponza il Pisacane e i suoi uomini, aiutati dalla sorpresa e dall’immediatezza della loro azione filabustiera, attraverso uno stratagemma, riuscirono ad entrare nel porto e a prendere in ostaggio gli ufficiali e alcuni soldati, e subito liberarono 323 galeotti comuni che si trovavano nella locale colonia penale. Erano assassini, ladri, violenti, che avevano vessato le popolazioni del Cilento. Alla sorpresa, che aveva messo nelle mani dei “pirati tricoloristi” l’isola e alcuni ostaggi, subito ci fu una reazione degli altri soldati, che fu repressa nel sangue e nella violenza, da quegli uomini avvezzi all’omicidio. Fu imprigionata l’intera guarnigione, oltre i tanti massacrati.

A Ponza il Pisacane, con il suo braccio destro, Giovanni Nicotera, si impossessarono della cassa comunale e di diverso oro, che fu poi trovato in loro possesso. Certo non furono da meno di Garibaldi e dei suoi “sgherri”, e del “re galantuomo”, che solo pochi anni dopo depredarono il banco di Sicilia e il banco di Napoli, e saccheggiarono l’intero Regno delle Due Sicilie. Il Nicotera, che fu poi ministro degli interni del nuovo stato unitario, possiamo ritenerlo precursore dei politici del futuro.
Non trovando aiuto da parte della popolazione Ponzese, furono poi liberati altri 1800 delinquenti comuni, i quali misero a ferro e fuoco parte dell’isola, con violenze, furti, omicidi. Fu anche bruciata, spinti da Nicotera e Falcone, l’antica biblioteca dei monaci cistercensi. ( Il metodo fu lo stesso di quei “patrioti” garibaldini e piemontesi, che vennero a “liberare” il Regno delle Due Sicilie qualche anno dopo, a suon di violenza, furti, stupri,depredazioni e omicidi).

Ma un coraggioso prete Ponzese, che la storia ha dimenticato, Don Giuseppe Vitiello, organizzò la resistenza degli isolani, creando una vera e propria linea difensiva a metà isola, raggruppando gendarmi e civili, impedendo così che il Pisacane ed i detenuti del bagno penale ormai liberi dilagassero su tutto il territorio isolano causando ben maggiori danni. Subito Don Giuseppe, organizzò un equipaggio che, con una lancia forte di 8 remi comandata da Ignazio Vitiello, partì alla volta di Gaeta per dare l’allarme e chiedere aiuto.

Fallita quindi la rivolta popolare sperata, il Pisacane si preoccupò di reclutare tra i relegati stessi quanta più gente possibile per lo scopo primario della sua missione: lo sbarco a Sapri. Ma anche questa volta la sua delusione fu tanta. Oltre alla diserzione dei Ponzesi, di quelle migliaia di detenuti solo pochi si fecero avanti, e nei volti di quei pochi si leggeva l’unico e vero obiettivo: raggiungere il continente per darsela a gambe.
Quindi questi “esemplari patrioti”, con circa 300 dei “banditi” liberati, partirono alla volta di Sapri, per iniziare la conquista del “Sud”. Ma proprio a Sapri e nei paesi vicini essi furono fermati dalla popolazione, che non aderì alla sommossa ribelle. Furono proprio le popolazioni civili che fermarono l’avanzarsi di questo gruppo di “pirati”. Pisacane e la maggior parte dei suoi uomini morirono, mentre Nicotera e qualche altro furono presi e incarcerati. Seppure condannati a morte, furono poi graziati da Ferdinando II. Certamente il re Savoia, amante della forca, non avrebbe usato tanta delicatezza nei loro confronti.

Il racconto di questi fatti in questa giornata particolare, 2 novembre, commemorazione dei defunti, non vuole essere motivo di recriminazioni o rimpianti, e neppure ricerca di rancore e vendetta, perché dinanzi alla morte c’è solo la compassione e il perdono. Motivazione è solamente la ricerca della verità e della giustizia. Non si può costruire nulla di buono sui falsi miti e sulle menzogne, perché la verità solamente ci rende liberi e ci fa crescere. Purtroppo questa verità per anni è stata nascosta, e tutt’ora nessun libro di scuola parla di questi “altri eroi”, che appartengono alla storia del Sud, che per un ideale e forti della loro fede hanno combattuto per la libertà della loro terra e della propria gente. Ho voluto raccontare per poter ricordare questa gente, che realmente dobbiamo considerare eroi, e che la storiografia ufficiale, volutamente, ha messo nel dimenticatoio. Sono i nostri eroi delle Due Sicilie, soldati, civili, preti, popolani, contadini, nobili, uomini e donne, che, dopo l’ingiusta occupazione, l’infame guerra e il falso plebiscita del 1860-1861, hanno voluto continuare a difendere l’onore e la libertà della propria Patria, la fedeltà al proprio Re, la dignità del proprio popolo, la sicurezza delle proprie famiglie, la loro fede e le loro tradizioni. Sarà un motivo di ringraziamento a questi “eroi sconosciuti”, una preghiera ed un fiore per loro, morti senza memoria e senza tomba. Allo stesso tempo la pietà cristiana non ci esimia di fare una preghiera anche per gli altri morti, seppure di parte avversa.

Un primo pensiero va realmente “ai trecento giovani e forti” soldati napoletani, che il 2 novembre 1860 si fecero letteralmente uccidere, incominciando dal capitano Domenico Bozzelli, eroe abruzzese di Castel di Sangro, fino all’ultimo tamburino, al ponte “Real Ferdinando” , per rallentare l’avanzata di Cialdini e delle forze piemontesi, e consentire alle truppe napoletane di raggiungere la fortezza di Gaeta e il loro Re, per l’estrema difesa della secolare autonomia dello Stato fondato da Ruggero d’Altavilla, a Palermo, nel 1130. Erano campani, siciliani, di terra di lavoro, calabresi, pugliesi, molisani, abruzzesi, lucani, figli della nostra terra, il nostro sangue, la nostra carne.

Insieme non possiamo dimenticare gli eroi che difesero la Patria in Sicilia, sul Garigliano, a Gaeta, a Civitella del Tronto, a Messina. I giovani allievi della “Nunziatella”, che si misero in viaggio, rifiutando ogni compromesso e ogni vantaggio, per raggiungere Re Francesco e lottare con lui e per lui contro l’usurpatore piemontese, fino alla morte, per non venir meno al loro giuramento di fedeltà. Le inaudite sofferenze e il silenzioso sacrificio di migliaia di soldati “napolitani” che, dopo la capitolazione di Gaeta, Civitella del Tronto e Messina, furono deportati nel Nord Italia, al campo San Maurizio o nella fortezza-lager di Fenestrelle. Furono sottoposti a sevizie, affamati e infreddoliti, morirono, e “gettati” nel silenzio della storia, furono bruciati nella calce viva. Un pensiero agli uccisi civili, donne e uomini, vecchi e bambini, giovani e preti, alle fanciulle stuprate, a Pontelandolfo, Casalduni, Auletta, e nei tanti paesi bruciati e distrutti dall’odio del conquistatore, agli operai di Pietrarsa massacrati. A quegli uomini e a quelle donne che furono chiamati “briganti”, e che con coraggio lottarono oltre dieci anni per la propria indipendenza. 

Mentre ai “falsi eroi” del risorgimento sono stati costruiti monumenti, sono state dedicate targhe e vie, questi nostri “fratelli meridionali” sono stati calpestati e dimenticati. Per quelli sono stati scritti libri, poesie, favole, per i nostri soldati e i nostri tamburini coraggiosi, nessuno ha scritto. Noi dobbiamo, con la nostra identità e il nostro impegno, dare loro un nome e costruire per essi un monumento.
Un pensiero va anche agli altri morti “meridionali”, di ieri e di oggi, morti senza un perché, uccisi da guerre che non gli appartenevano, uccisi dalla mafia e dalla camorra, uccisi dalle ingiustizie e dalla disoccupazione, uccisi da uno “stato tiranno”.

Qualcuno potrà dire che questo non è vero, alcuni lo dicono anche per i morti di Auschwitz. Dimostrate con i fatti che la storia non è andata così, perché i documenti ci sono e parlano chiaro. 
Qualcuno potrà dire che è inutile ricordare, perché il “passato è passato”, e non si può vivere sui rimpianti. La verità e la giustizia non sono rimpianti, perché i mali della nostra gente, le ingiustizie sociali, l’immondizia, la mafia e camorra, la disoccupazione, il divario economico, che ancora oggi affossano il Sud, trova la sua origine in questo passato. Senza la memoria non ci potrà essere il riscatto.

Si potrà dire che il “bene” dell’unità nazionale vale più dei morti e più delle ingiustizie ricevute. Ma chi può stabilire cosa è meglio per un popolo? Si controbatte che i morti non sono un milione, ma forse meno della metà. Ma se anche ci fossero stati solamente cento morti, nessuno ha diritto a togliere la vita ad un uomo per impossessarsi della sua terra. Ci potranno dire che eravamo poveri e che i nostri primati sono fantasie, anche se i fatti dicono il contrario. Ma se anche fosse così, a noi poteva anche stare bene di essere poveri, ma felici della propria identità e della propria autonomia. Il proverbio dice “pane e cipolla, ma cuore contento”. Intanto le casse del Sud nel 1860 erano piene di ducati, oggi sono piene di buchi.

La storiografia e la letteratura ufficiale è ricca di poesie e libri inneggianti ai vincitori, ma grazie alla tenacia e alla volontà di uomini e donne del Sud, liberi e forti, sta nascendo un’altra storia e letteratura, altre poesie e altri canti, che si propongono di “raccontare” la Verità e di dare onore ai vinti. Anche io, povero ed umile improvvisato poeta, ho scritto un canto per i nostri eroi, perché amo la mia terra e il mio popolo, e per essi non mi terrò in silenzio.

 

 
 
 

QUESTA VOLTA SCEGLIAMO LA NOSTRA TERRA

Post n°72 pubblicato il 21 Febbraio 2013 da massimo.c58

 

Eccoci ancora una volta alle nuove elezioni, per decidere non solo quelli da mandare a prendere il sole al parlamento, e ai quali passiamo una lauta ricompensa per il solo piacere di non far nulla, ma anche per scegliere il nuovo governo di questa Italiella.

Chissà quando i meridionali prenderanno coscienza che il loro voto non è solamente importante, ma essenziale, per il mantenimento di questo potere politico, che da ben 152 anni continua a sfruttare il Sud e a calpestare la dignità dei meridionali.

Ci hanno fatto sempre credere che noi abbiamo bisogno di loro, dopo che ci hanno depredati e sfruttati, nonchè venduti a mafia e camorra, e oggi continuano a chiederci il voto promettendoci paradisi che non vorranno mai darci.

Ci hanno fatto credere che l'assistenzialismo e il clientelismo, fosse una nostra identità... nulla di più falso. L'uomo e la donna del Sud si è fatto sempre valere, ovunque e dovunque, portando sempre alto il suo onore, la sua dignità, la sua forza, il suo coraggio, la sua determinatezza. Lo hanno fatto per calpestarci di più e pretendere il nostro voto, la nostra libertà, la nostra stessa vita. Ci hanno fatti schiavi e costretti a portare sulle nostre spalle "la carrozza" che toglieva a noi e arricchiva loro.

Ci hanno fatti credere che la delinquenza, il brigantaggio, la camorra e la mafia, fossero una nostra identità atavica, e che, purtroppo, ci portiamo dietro volente o dolente. Nulla di più falso. Noi abbiamo fatto la storia, e la nostra cultura, come il nostro vivere, è stato sempre contraddistinto dall'onestà, dalla generosità, dalla disponibilità, dalla giustizia. La mafia e la camorra, furono complici della loro conquista, e mentre prima erano semplicemente delle realtà delinquenziali molto represse, dopo l'unità sono diventate dei veri poteri di controllo, di comando e di ricchezza.

Ci hanno fatto credere che ignoranza e malessere fossero di casa nella nostra terra. Anche questa una bugia. Sin dall'antichità nel nostro territorio esistevano scuole e università. Arte, poesia, canto, musica, danza, erano una caratteristica di ogni meridionale. Mentre nel Piemonte savoiardo, i piccoli vivevano nella strada, scalzi e succubi della delinquenza, i nostri bambini vivevano felici nel grembo della loro famiglia, e, seppure con sacrificio, non mancava il pane quotidiano. Il lavoro c'era, così come l'istruzione, e c'era un dono ancora più straordinario, quella della propria indipendenza. Allora non eravamo colonia di nessuno.

Per quanto ancora vorranno raccontarci bugie?

E per quanto ancora noi siamo disposti ad ascoltarli e credergli?

Questa volta diciamo di NO... non sprechiamo il nostro voto.

QUESTA VOLTA SCEGLIAMO LA NOSTRA TERRA!

 
 
 

QUANTI PINOCCHI NELLA POLITICA

Post n°71 pubblicato il 26 Gennaio 2013 da massimo.c58

 

Questa Italietta, come veniva già cantata nei primi anni dopo l'unità, è nata dalla bugia e si mantiene sulla falsità.... quanti pinocchi nella nostra storia. Sono 152 anni di bugie, e non è ancora finita. La storia continua, e ne siamo testimoni giorno per giorno, mentre assistiamo a questa corsa alla poltrona. 

Ma forse solo la poltrona interessa a questi uomini di potere????

Non solo! Essi mirano ai propri personali interessi, e per raggiungerli calpestano e umiliano la dignità di ciascun cittadino.

E' stato fatto all'inizio, con quel falso plebiscita che, arbitrariamente, ha annesso al Piemonte tutti i territori conquistati con la violenza e una guerra ingiusta e non dichiarata. Con quella votazione fatta di brogli e minaccie, il reuccio piemontese e i suoi vassalli si spartirono la pagnotta italiana.

E' successo negli anni a venire... in 85 anni di regno sabaudo la nostra gente ha conosciuto la fame, la disoccupazione, l'emigrazione, la guerra, la dittatura e tanti altri mali... mentre chi governava e comandava aveva benessere, ricchezza, potere, divertimento e vigliaccheria.

Nulla è cambiato nella prima repubblica, dove i partiti e i loro uomini altro non hanno badato che ai propri interessi... e neppure tangentopoli è riuscito a dominare e distruggere questa piaga sociale.

La seconda  repubblica, poi, con tutti i nuovi e vecchi "pagliacci" della politica, ha continuato a manterere alta la corruzione, l'ingiustizia e l'interesse privati.

E non contenti di sbranare da soli questo popolo indifeso, si sono alleati alla massoneria, alle mafie e al potere delle banche... così il potere aveva più forza.

Questa loro avidità ci ha portati ad una povertà sempre più alta, dove disoccupazione e ingiustizia trovano ancora più posto... e tante ancora le vittime di un potere che non ha coscienza.

Fino a quanto vogliamo sopportare tutto questo????  E' tempo di dire basta!!!

    

 
 
 

Da 152 anni... Viva l'Italia che non c'è!

Post n°70 pubblicato il 26 Gennaio 2013 da massimo.c58

 
 
 

A Gaeta!

   

Quest'anno l'appuntamento a Gaeta è stato spostato ai prossimi 9, 10 e 11 marzo a causa del mal tempo. Quindi, seppure con un mese di ritardo, anche quest'anno ci ritroveremo nella città della nostra identità, nella fedelissima e bellissima Gaeta, simbolo indelebile della resistenza ai soprusi ed alle nefandezze, luogo di orgoglio, riscatto e speranza, città martire e rigorosa custode di un messaggio profondo affidatole dai nostri eroi. In particolare ricordiamo quei giovanissimi soldati della Nunziatella, che vollero morire per la Patria piuttosto che tradire.

Onore ai Martiri delle Due Sicilie, che ancora ci invitano di recarci a Gaeta!

  

 

        A GAETA!

A Gaeta, il grido unanime
di quel manipolo di giovani,
appena ragazzi, animati
dall'amore alla loro terra,
al loro Re.

A Gaeta, forte nel cuore
l'antico ideale appreso,
più che nell'intelletto
è nel cuore impresso
il motto degli avi:
un solo Dio, uno è il Re!

A Gaeta, e non persero la via
che li portò al porto sicuro,
all'asilo felice dei loro sogni
di bravi soldati.

A Gaeta, dove un Re, Francesco,
lottava per la sua gente ferita,
umiliata e oppressa
dal giogo di uno straniero.

A Gaeta, sogno di una libertà,
dove valeva la pena
anche morire, certi che
oltre l'oblio del tempo,
la loro vita donata sarebbe stata
fiaccola ardente di verità.

A Gaeta, ancora oggi è il grido,
appena un manipolo anche noi,
ma forti e vivi nello stesso Ideale.

A Gaeta, perché quella fiaccola
non si spenga mai, e
possa accendere nell'animo
del nostro popolo, un desiderio forte,
un sogno da tempo represso,
l'ideale che da cuore a cuore
si tramanda e si attua:
il sogno della Libertà!  (M.C.)
        

 
 
 

SUD SVEGLIATI E INSORGI COMPATTO CONTRO L'USURPAZIONE!

Post n°68 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da massimo.c58
 

           

 

Un miracolo davvero è successo lo scorso 4 febbraio a Napoli, dove più di dieci gruppi e movimenti identitari meridionalisti si sono ritrovati uniti, una sola voce, per difendere la nostra gente, questa nostra terra martoriata del Sud, il nostro futuro.

Non sembrava possibile, eppure il miracolo c'è stato, e ora bisogna continuare, ancora più decisi, chiamando a raccolta altri gruppi, perchè l'ora della riscossa è iniziata.

 

             

 

C'era il meridionalismo storico e quello nuovo... una sola voce contro i soprusi di una politica nemica del SUD.

 

 

         

 

Anche tu, fratello e sorella del SUD, sei invitato a venire con noi, per difendere la tua città, la tua terra, la tua dignità, il tuo FUTURO e quello dei nostri giovani.

                UNITI SI VINCE!

 

         

 

 

 
 
 

SUD DIFENDI IL TUO FUTURO

 

 

Uomo e Donna del SUD,

se sei stanco dei soprusi ai danni del tuo popolo,

se capisci che è tempo di fare qualcosa per il nostro Sud,

Il 4 febbraio 2012 a Napoli

scendi in piazza a difendere il tuo futuro,

raduno a piazza Matteotti (piazza della Posta Centrale) alle ore 10,30

e corteo fino a piazza Municipio

DIFENDI IL SUD, DIFENDI NAPOLI, DIFENDI IL TUO FUTURO

NON MANCARE!

 

 
 
 

Napoli 23 gennaio 2012 * LA RIVOLTA DEI TERRONI

Post n°66 pubblicato il 27 Gennaio 2012 da massimo.c58
 
Foto di massimo.c58

 

 

 

 

 

 

L’appuntamento preso per Napoli il giorno 23 gennaio è passato attraverso facebook, come un “tam tam”, ma consapevoli che non molti avrebbero risposto positivamente all’intesa  di ritrovarsi in questo momento particolare, che vede dappertutto segni di rivolte e resistenza a questo governo dei banchieri e ad una politica nazionale, che diventa sempre più qualunquista e lontana dal popolo.

Seppure ormai in molti siamo consapevoli della situazione nazionale, specialmente per il nostro Sud, che si ritroverà sempre più nella miseria, ancora non molti hanno preso consapevolezza  chiara del perché il sud è perdente di fronte al nord, e di chi sia la colpa del disfacimento della nostra economia meridionale.

Mentre ben presto all’alba, sono partito per recarmi a Napoli, guardandomi attorno sul treno, riflettevo proprio su questa inconsapevolezza generale, dovuta a svariati motivi, e pensavo che la nostra gente del sud, nonostante continui a subire umiliazioni e situazioni difficili, resta passiva di fronte ad ogni possibilità di reazione. A lamentarsi si va bene, ma poi a dover prendere la decisione di reagire si resta immobili, in quell’immobilismo che non mancò neppure in quegli anni neri della conquista del sud, dove tanti lottavano e morivano per la Patria delle Due Sicilie, ma tanti altri subivano silenziosamente. Tanto più  oggi, dopo 150 anni di colonialismo, sento a pelle che la nostra gente si è “italianizzata”, nel senso peggiorativo della parola, continuando passivamente a vivere la grigia giornata dello “schiavo”, costretto a fare gli interessi di uno stato-padrone.

Si è ormai convinti che così deve andare, e che nulla mai cambierà. Come cantava anche il maestro Battiato in una sua canzone. “Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos'è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene.

Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Non cambierà, non cambierà…. eppure alla fine, come una spinta positiva alla speranza, concludeva: sì che cambierà, vedrai che cambierà.

Uno slogan dice, se tu credi che mai nulla cambierà, allora realmente nulla cambierà. Penso quindi che bisogna mettere a fondamento dei nostri propositi questa certezza del cambiamento, seppure la “Primavera del Sud tarda ad arrivare”.

Riflettevo anche alla liberazione da parte dell’India del colonialismo inglese. Non sono serviti i terroristi e le guerre a produrre quella vittoria. Anzi terrorismo e guerra portarono solamente maggiori dispiaceri e povertà al popolo indiano, sconvolto e abbattuto dallo strapotere della forte Inghilterra. (La nostra terra e la nostra gente ha già fatto i conti con il potere di uno stato straniero, che volendo ad ogni costo mantenere la sua potestà sul popolo vinto, ha usato ogni mezzo per reprimere e distruggere l’ansia di libertà e indipendenza, e per spogliarci ancora maggiormente di ogni ricchezza, della dignità e persino della memoria) Solamente  la saggezza e la perseveranza di un solo uomo, che divenne l’anima dell’intera India, realizzò quella liberazione. La sua idea era semplice e potente allo stesso tempo. Probabilmente è di quella idea che dobbiamo impadronirci se vogliamo liberare il sud dalle sue catene e ridare dignità e benessere alla nostra gente, lavoro e futuro ai nostri giovani, serenità ai nostri bambini.

Ultimamente a più riprese anche tra i nostri movimenti meridionalisti sta venendo fuori questa idea, che sarà forse la sola carte vincente: collaborazione comune, maggiore unità, anche conservando e sviluppando le personali diversità, rispetto di ciascuno, eliminando il ciarlare e il pettegolare, che sono l’arma della disgregazione.

 

 

Con queste idee sono giunto a Napoli. La prima impressione, una piazza semideserta. C’erano già gli amici di Insorgenza Civile e di Rinascita per il Sud. Poi sono arrivati altri dei Comitati Due Sicilie e gli amici di Napoletania, e altri ancora  dell’aria borbonica. Piano piano si sono aggiunti singoli e gruppi, specialmente molti giovani.

Un giornale locale, volendo fare dell’ironia, ormai di casa per i giornalisti prezzolati del sistema, che devono difendere questa “fatale” unità d’Italia, si è soffermato ironizzando la presenza di bandiere gigliate, senza neppure sapere, nella totale ignoranza della verità, che quella bandiera racchiude 800 anni di storia del Sud, e non appartiene  a nessuna dinastia o blasone araldico, ma è stata e resta la bandiera dell’identità e del popolo meridionale, ne più  e ne meno che come la bandiera della serenissima repubblica di Venezia del leone di San Marco. Eppure quella bandiera sventola su Venezia e in tanti comuni del Veneto, e nessuno se ne risente che è sta la bandiera dei dogi. Quello stesso giornale, volendo ancor più ridicolizzare la manifestazione, ha ridotto la presenza a circa 100 persone, e ha parlato anche di arrendevole retromarcia dinanzi alle minacce di una eventuale carica da parte della polizia. Le opinioni restano tali, i fatti sono altri. Certo non si era in molti, ma credo che il numero fosse più considerevole di quello espresso dal giornalista in questione. Sostanzialmente questo  momento è stato importante, seppure è necessario che non resti isolato. Certo dinanzi alla possibilità di un intervento violento della polizia non valeva la pena insistere più della semplice manifestazione. Sappiamo bene che le forze dell’ordine sono costrette a fare la volontà di uno stato  tiranno, retto da quei politici, che mai saranno così coraggiosi da venire essi stessi a dialogare con il popolo, ma lo fanno attraverso la forza e il potere, obbligando polizia e carabinieri,  o militari, essi stessi a loro volta sfruttati e mortificati dallo stato-padrone, a osteggiare e opprimere la volontà del popolo. Chi “regna” dall’alto, il potere politico, i massoni padroni, usano da sempre la tattica degli imperatori romani, “divida et impera”. E mentre essi regnano indisturbati e si appropriano di tutto ciò che vogliono, camminando a braccetto con le mafie e i poteri oscuri per conservare il loro trono, obbligano i “poveri” a farsi la guerra tra loro. Un giorno, forse, questi uomini della forza pubblica, si renderanno conto che essi appartengono al popolo, che essi stessi sono il popolo… e tanti di loro sono meridionali, e quindi, chissà, come già per alcuni è successo, apriranno le loro menti alla verità della storia, e si renderanno conto che stanno servendo la parte sbagliata, e aiuteranno la nostra vera Patria a ritrovare la sua libertà.

Intanto credo che questa giornata sia stata positiva, aldilà del numero e del risultato. Bisogna continuare, sapendo anche che Napoli è una piazza difficile. Bisogna lavorare molto nei paesi limitrofi, nelle scuole, tra la gente del popolo. Scendere spesso sulle piazze, cose che da tempo si sta facendo, incontrando la gente, parlando loro, distribuendo volantini e libri. Bisogna rispondere a tono a certi politici e a certi giornalisti che ridicolizzano il revisionismo storico, invitandoli a consultare i documenti. Ma bisogna che anche noi facciamo realmente storia e cultura, e non le barzellette, andando sempre a verificare  e studiare i documenti ufficiali nella loro integrità. Bisogna alimentare lo spirito di dialogo e collaborazione tra tutti, sapendo mettere da parte rancori e livori personali, sapendo guardare in alto, all’ideale e all’identità comune, che è quello di riprenderci la patria, la dignità e la libertà.

Mi auguro che al più presto,  ancora,  sappiamo scendere “insieme” sulle nostre piazze, alzando le nostre bandiere, gridando la nostra verità, consapevoli che solamente così possiamo abbattere il sistema che da 150 anni ci umilia e ci opprime. Il simbolo del forcone è stato ideale, quella stessa arma, così fragile, alzarono i nostri contadini contro l’usurpazione piemontese. Oggi il forcone che dobbiamo rialzare con forza è la nostra intelligenza, la nostra capacità di perseverare nella lotta e nella verità, la nostra ricerca del bene comune e collettivo, il nostro desiderio di riscatto e di unità, la nostra voglia di non arrenderci, il coraggio di sopportare e andare avanti… la vittoria non è una corona che si conquista con una semplice battaglia, ma è la meta di tante battaglie, alcune vinte, altre perse, alla fine la meglio non l’avrà il “più forte”, ma il perseverante. Allora avanti, in salita, e non perdiamoci d’animo. La Verità ci renderà liberi!

 

         

 
 
 
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Un blog di: massimo.c58
Data di creazione: 09/12/2007
 

UN AVVISO PER I VISITATORI DEL BLOG

Per avere un quadro più completo delle tematiche affrontate in questo blog vi consiglio di leggere i diversi post, i vari box  e di vedere i video inseriti, dove tratto sulla storia e le vicende del Regno delle Due Sicilie, della sua arbitraria occupazione e sulle vicende nere del risorgimento italiano.

Inoltre chi desidera saperne di più può visitare i seguenti siti web

Reale Casa dei Borbone delle Due Sicilie

 Associazione dei neoborbonici

Casa editrice Il Giglio

http://www.comintatiduesicilie.it/ 

 

o ad  altri link che ho inserito nella lista apposita

e raccomando l'iscrizione alla Rete di Informazione delle Due Sicilie, diretta da Alessandro Romano, per farlo basta inviare una mail a 

 alessandro.romano19@tin.it  

 

UNA PROPOSTA PER TE

Se ami questa nostra terra e ti senti figlio di questa Nazione e vuoi veramente riprendere la tua identità storica, allora è necessario che tu ti informa.... vengo a proporti, oltre i libri che di tanto in tanto inserisco, di abbonarti alle seguenti riviste:

L'Alfiere, Pubblicazione Napoletana Tradizionalista, fondata nel 1960 da Silvio Vitale. Esce ogni quattro mesi, 24 pagine. Per sottoscrivere l'abbonamento o per richiedere gli arretrati disponibili, scrivete ad Edoardo Vitale: edoardo.vitale@tele2.it

visitate il sito:   http://www.lalfiere.it/ 

Per sottoscrivere un abbonamento annuo alla rivista Nazione Napoletana, tiratura quadrimestrale, basta versare 10 € sul CCP N° 31972805, intestato a Gabriele Marzocco, corso Chiaiano 28 - 80145 Napoli - Na.

  http://www.nazionenapulitana.org

        

Due Sicilie, periodico per l'indipendenza dei Popoli delle Due Sicilie, diretto da Antonio Pagano.

Si pubblica ogni due mesi, quaranta pagine a colori. 

Per informazioni: anpagano@alice.it oppure due.sicilie@alice.it

    

Riscossa Meridionale, organo del Movimento Politico "Terra e Libertà"

www.terraelibertasud.it

  

 mensile “Il Nuovo Sud” periodico  di opinione  ilnuovosud@libero.it

 

ANDIAMO A LEGGERE CHI SONO I SAVOIA

 

Lo stato italiano (leggasi piemontese) è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'italia meridionale e le isole uccidendo, crocifiggendo, squartando vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti (Antonio Gramsci)

Antonio Ciano: 

I SAVOIA E IL MASSACRO DEL SUD Editore Grandmelò( Prefazione di Lucio Barone )

Davanti alla perseverante politica antimeridionale  l'autore, senza peli sulla lingua, stila un atto d'accusa forte e determinato nei confronti delle classi dirigenti passate e presenti.

Il fraseggio è volutamente pesante  come a significare che la pazienza è finita e che non è più tempo di plagi, di arrotondamenti, di bugie artatamente costruite ai fini della mistificazione più becera della verità che è e resta sacra in quanto tale.

Il lettore potrà in un primo momento risentirsi per gli epiteti indirizzati alla volta degli "assassini" del Sud, ma proseguendo nella lettura si accorgerà che essi sono utili ad esternare lo stato d'animo dell'autore che desidera sopra ogni cosa risvegliare l'orgoglio dei meridionali per  troppo tempo oppressi da una montagna di falsità.  

Non ci sono dubbi. L'inizio dei guai economici del meridione è da ricondurre al momento della cruenta conquista da parte del Piemonte, così come la condizione di continuo sbando delle popolazioni del Sud è frutto di una gestione discriminante dei governi unitari che si sono succeduti dal 1861 al giorno d'oggi.

Antonio Ciano racconta gli eventi della barbara conquista savoiarda rimarcando più e più volte le figure dei cosiddetti "eroi nazionali", cui sono state dedicate strade e piazze in tutt' Italia, evidenziandone la crudeltà e la ferocia con la quale essi  hanno spento nel sangue tutti i tentativi di insorgenza che vanno dal 1861 al 1870.

Per l'autore il tempo della menzogna è finito, la coscienza del Sud riemerge giorno dopo giorno e per i criminali di guerra piemontesi sta giungendo il giorno del giudizio.

La convinzione più che la speranza è che, in concomitanza con il recupero della verità storica, le popolazioni del Sud potranno finalmente riscattare l'autonomia, l'autodeterminazione, la libertà.      

 

Le Loro Altezze Reali

i Principi Carlo e Camilla di Borbone delle Due Sicilie,

Duca e Duchessa di Castro

 

 

 

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OMAGGIO AI RE DELLE DUE SICILIE

                         

 

 ONORE AI NOSTRI

AUGUSTI SOVRANI

ONORE AI RE E ALLE REGINE

 DI BORBONE

 DELLE DUE SICILIE

 

    sempre nei nostri cuori

 

AI DIFENSORI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Ormai tutti sanno che l'occupazione del Regno di Napoli fu un sorpruso da parte del Piemonte, che attraverso intrighi politici e la complicità della massoneria, corrompendo ufficiali e ministri e provocando scontri interni attraverso la collaborazione di mafiosi e camorristi, con lo sbarco dei mille iniziò l'usurpazione della nostra terra. Ma contro quest'usurpazione lottarono fino alla fine gli eroici soldati del Regno, il popolo duosiciliano,  uomini e donne che furono poi chiamati briganti, ma che si opposero a quest'ingiustizia. Con questi,  quegli eroici soldati del Volturno, e quelli che insieme ai  cittadini di Gaeta, di Civitella del Tronto e di Messina,  co il loro  Re Francesco II e la Regina Maria Sofia, continuarono a lottare per il Regno e la libertà.

         Onore  agli eroici

        difensori del Regno

         delle Due Sicilie

        

I libri che parlano dei nostri eroi:

       

AA. VV.  La difesa del Regno

Gaeta  Messina  Civitella del TrontoEd. Il Giglio

         

Non mi arrendo. Romanzo storico.

Da Gaeta a Civitella, l'eroica difesa del Regno delle Due Sicilie.

Gianandrea De Antonellis  Editore Contro Corrente

 
 

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