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DA MOLTO NON SE NE PARLA PIU', MA LA "RIFORMA GELMINI", IN REALTA' E' PASSATA. NON HA PIU' SENSO RICHIAMARE UNA RACCOLTA DI FIRME (COME AL MIO POST #160, IN CUI NE RICHIAMAVO UNO DI  elena.c.q.d) . PERO', INVITO TUTTI COLORO CHE HANNO FIGLI, TUTTI QUELLI CHE SOGNANO UN MONDO MIGLIORE, TUTTI QUELLI CHE SANNO ANCORA PENSARE CON LA PROPRIA TESTA, A NON ABBASSARE LA GUARDIA E AD ESSERE PRONTI AD ANDARE IN PIAZZA PER SALVARE LA SCUOLA ITALIANA E, CON ESSA, IL NOSTRO FUTURO.
mgf70

 

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Inviato da andrea7770 il 26/05/08 @ 08:41 via WEB
MESSAGGIO IMPORTANTE Gli operatori delle ambulanze hanno segnalato che molto sovente, in occasione di incidenti stradali, i feriti hanno con loro un telefono portatile. Tuttavia, in occasione di interventi, non si sa chi contattare tra la lista interminabile dei numeri della rubrica. Gli operatori delle ambulanze hanno lanciato l'idea che ciascuno metta, nella lista dei suoi contatti, la persona da contattare in caso d'urgenza sotto uno pseudonimo predefinito. Lo pseudonimo internazionale conosciuto è ICE (=In Case of Emergency). E' sotto questo nome che bisognerebbe segnare il numero della persona da contattare utilizzabile dagli operatori delle ambulanze, dalla polizia, dai pompieri o dai primi soccorritori. In caso vi fossero più persone da contattare si può utilizzare ICE1, ICE2, ICE3, etc. Facile da fare, non costa niente e può essere molto utile. Se pensate che sia una buona idea, fate circolare il messaggio di modo che questo comportamento rientri nei comportamenti abituali.
 

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« Amicizie (pensieri confusi)Possibilità »

IL GRANDE SOGNO

Post n°910 pubblicato il 09 Novembre 2014 da mgf70
 

[Take My Broken Wings...]

.

[nota: questo racconto è rimasto nel cassetto, un bel po'. Non so nemmeno io, per quale motivo l'ho tirato fuori ora, forse perché è un periodo in cui ho voglia di fare pulizia di pensieri e di affrontare tutti i miei personali mostri, che per troppo tempo ho ricacciato negli angoli bui]

.

_La scura acqua del fiume, trasportando ogni sorta di rifiuti, disegnava gorghi astratti e dava al tutto l’immagine del turbinio della vita: nulla poteva restare uguale, al se stesso di un attimo prima.


         Gli occhi su quello spettacolo naturale, forzato dalla volontà umana tra bianchi muraglioni, rattristavano l’animo già poco allegro di Marco, chino su di un parapetto del lungofiume.


         Il suo amato sole, andava scomparendo dietro i vecchi palazzi che circondavano il corso d’acqua, in una sorta di malevolo abbraccio: non c’era cosa che gli piacesse in quel bel tramonto di fine aprile.


         Non ha senso “ pensava “ Nulla lo ha, in tutto ciò. Aveva un bel dire, quella mia amica, che è in noi che bisogna trovare la forza di reagire alla vita: nulla è più come quando eravamo compagni di scuola. I problemi, oggi, sono reali e... terribili ”.


         La risatina allegra di una coppia di giovani che passavano, abbracciati, accanto a lui, lo fecero trasalire un poco: certo, aveva un bel po’ di soldi ed una bella donna per il suo letto, ma si sentiva dannatamente solo. E quel viaggio in incognito, fatto per ritrovare qualcosa che la sua anima aveva smarrito, non stava dando alcun frutto e si andava rivelando controproducente.


         Dal giorno del suo finto funerale, di pari passo al senso di liberazione dall’oppressione dei debiti, una situazione di disagio andava montando in lui.


         Era stata una bella funzione, ricca di fiori e d’amici, alla quale aveva assistito, tra la folla, lontano e ben camuffato.


Come tutte le cerimonie in cui si compiange un giovane, lo strazio era incontenibile e le lacrime avevano solcato tutti i visi, amici, parenti e compagni.


Non mancava praticamente nessuno, tra ragazze con cui era stato e amici. Certo c’era stato anche qualche grande assente che, per via del lavoro, o di qualche altro impegno, non era stato rintracciato in tempo. Ma poi, si sa quanto la morte (reale o fittizia che sia), quasi per sua definizione, tenda a falciare le vite in modo inaspettato; quindi, non si poteva lamentare: tra i sofferenti, erano in pochi a mancare.


         Non era filosofo, né scrittore, per trovare un qualche divertimento all’idea di “non esistere più”, per il suo mondo: a parte i suoi genitori, obbligati per forza di cose a quella lugubre messinscena, non c’era più parente, socio, compagno di partite a tennis, né compagno di scuola, con cui poter rivivere il tempo che era stato. E pur non essendo mai stato un tipo incline alla malinconia, sentì pienamente il peso del totale sradicamento dal suo passato, della totale mancanza di un futuro “ normale ” davanti a lui.

 

         Riavutosi da quelle sensazioni, grazie ad un fresco alito di vento nella schiena, di quelli che ti fan pensare alla mamma e alle sue dannate canottiere di lana, camminò per l’argine sino alla macchina, che aveva noleggiato per muoversi liberamente nella sua vecchia città.


Anche se si muoveva sotto falso nome, doveva comunque prestare attenzione a non incontrare qualcuno che potesse riconoscere il suo sguardo, o la sua voce, dato che un abile artigiano del bisturi aveva cambiato la sua fisionomia.


         Pur originario della maggiore città industriale del paese, era innamorato dell’improduttiva capitale, sua città adottiva; anche se, ad onor del vero, più che in città aveva sempre abitato nell’hinterland capitolino ed il suo quotidiano, era sempre stato scandito dal lento ritmare della vita provinciale. Eppure, era a quella città che col cuore si era sempre rifatto: la poteva sommergere di critiche, disprezzarla pubblicamente, ma con la distanza s’era accorto di amarla dal profondo.


Nonostante i suoi soldi quasi gl’imponessero divertimenti d’alto bordo, quasi preferiva quelli della sua adolescenza, quando faceva sega a scuola andando a giocare a bigliardo al Circolo del Tennis, vicino al liceo, o al McDonald’s appena aperto in città, per rimorchiare le pischelle, che comunque non ci stavano mai.


         Magari un salto al Mac, ce lo posso anche fare ” pensò, avviando il motore “ Ma al C.T. proprio no: là ero troppo conosciuto. E poi ne voglio approfittare, ché in quella dannata isola caraibica, non sanno fare neanche l’ombra di un hamburger decente. Sarà la carne che usano... ”.


         Ma, mentre girava per la città, si accorse che qualcosa era cambiato: ora, di locali così, la città era piena, come di sale-giochi, internet-caffé ed i ragazzi sembravano così diversi da quelli dei suoi tempi.


         - Al diavolo, non sono così vecchio da non riconoscere il mondo! - esclamò al primo semaforo, vedendo ragazzi tatuati, con piercing e dai capelli di colore improbabile, sempre attaccati al cellulare - In fondo, anche noi eravamo trasgressivi, ai nostri tempi, coi piumini Ciesse, le toppe sui jeans, le Timberland...


         Smise di parlare, perché era da vecchi parlare da soli e perché non era mica tanto sicuro di ciò che diceva: la sua fuga era avvenuta non molto tempo prima, quando non aveva ancora trent’anni, ma gli sembrarono secoli.


         Infilò la macchina al parcheggio sotterraneo del centro cittadino e raggiunse svogliatamente la sua meta, attraverso scale-mobili e tapis-roulants, improvvisamente ammutolitosi anche nei pensieri.


         Le mura erano le stesse, così le strade, il cielo ed il sole, di quella sua amata città, ma tutto gli era così estraneo e quando imboccò l’entrata del Mac, il vedere le scatole dei panini ed i bicchieri delle bibite molto diversi da come se li ricordava, fu un’altra delusione. Stava per tornare sui suoi passi, quando sentì parlare due dipendenti di problemi dei lavoratori e si ricordò che lì, un tempo, lavorava un suo compagno di scuola, un mezzo gigante gentile che faceva pure il sindacalista.


Forse per dar seguito alla sua ricerca del tempo perduto, gli venne voglia di vederlo.


Così, seguì la corrente degli altri clienti sino alla fila alle casse, gli occhi spalancati alla sua ricerca e, con la memoria, tornò ancora al giorno del suo funerale.


Ricordò gli arrivi trafelati prima della cerimonia, le speranze infrante nelle vane ricerche di una smentita, di un qualche gesto che dicesse, che non era vero. E quando non ci fu quell’agognato cenno, proprio quel ragazzone non smise più di piangere, fino alla sepoltura.


         Lo sapeva persona sensibile, malinconica ed introversa, ma non aveva immaginato una simile reazione. Al ricordo di quella scena, tornò in lui un vago senso di colpa, per il dolore inferto, a tutti coloro che gli avevano veramente voluto bene.


         - Salve, desidera? - lo apostrofò il cassiere davanti al quale si era ritrovato nel frattempo.


         - Eh? Un attimo. Sto decidendo... - rispose sorpreso, un po’ infastidito dalla figura fatta: non era stato, da solo, abbastanza in fila per pensarci?


         Sciorinò un’ordinazione eccessiva e si mise la mano in tasca per tendere al cassiere una banconota di grosso taglio, per non far credere che fosse stato per mancanza di soldi, che non aveva risposto subito.


         Forse era stato questo il suo guaio: aveva sempre vissuto cercando di dimostrare che lui certe cose poteva permettersele, che non era un “poveraccio”, uno dei paesi più sperduti e, proprio per essere sempre il più, era probabilmente finito sul lastrico.


         In ogni modo, ormai tutto questo se lo era lasciato alle spalle e se viveva agiatamente, era pur vero che non poteva permettersi più gli sfarzi di un tempo.


         Seduto al tavolo, guardò in giro…


         In fondo alla sala, intento a pulire i tavoli e sgomberarli da vassoi e dai resti della consumazione, credette di riconoscere la figura alta e robusta di quel suo compagno.


         “Ancora sta qui, ancora fa ‘sto lavoro?” si chiese perplesso.


Ma, quando lo vide girarsi, s’accorse che non era lui.


Fù tentato di chiedere di lui, a qualcuno dei dipendenti; poi, il ricordo della necessità di mantenere l’anonimato, prevalse sul suo desiderio di riassaporare, in qualche modo, il passato.


“E poi, se anche lo incontro che gli dico?” rifletté, amaro “Non posso parlare né di me, né del passato: per lui non sarei che uno dei tanti estranei, che entra ed esce da questo locale.


Ormai, non sono che un estraneo anche per me stesso. Il mio passato…non può che essere perduto, come pure il sogno che avevo, di fare vedere a tutti cos’ero in grado di fare, dov’ero capace di arrivare”.


I cibi, ormai freddi, persero ogni residua attrattiva.


Alzatosi, ringraziò con un cenno l’inserviente che aveva preso il suo vassoio coi resti del pasto, per svuotarlo nell’apposito contenitore. Allontanandosi lentamente, rimase ad osservare i gesti, veloci ed efficienti, coi quali si compiva quel lavoro di pulizia sommaria.


Svuotato nell’animo, contemplò la discesa nel contenitore dei rifiuti di ciò che, poco prima, era stato nelle sue mani: gli sembrò quasi un paradosso, che tutto ciò che lo aveva riguardato finisse in tal modo, come quegli avanzi, come la sua attività, come il suo passato e come pure il suo sogno di grandezza.


Uscì dal locale e guardò la città, così incredibilmente cambiata: non aveva senso cercare tra i resti della sua vita, ciò che aveva inavvertitamente gettato.


Allora, col suo animo pratico, poco incline alle analisi interiori ed ai sofismi, tornò alla sua auto e si diresse all’appuntamento che aveva originato il suo viaggio e gettò al vento l’ultimo desiderio di un impossibile ritorno al passato_

Commenti al Post:
bizzina61
bizzina61 il 11/11/14 alle 22:22 via WEB
.....il passato non torna ..."dannatamente soli "...non ha tempo ...!...che strano il destino che costruiamo in noi ....I minuti scorrono solo al di fuori della nostra anima ...Scrivi molto bene ,ma pensi intensamente senza traccia di parola...Io sono come un indiano cieco ...Catia...
 
 
mgf70
mgf70 il 16/11/14 alle 08:38 via WEB
Ti ringrazio, ma non capisco cosa tu intenda, alla fine del tuo pensiero: delucidami. Un saluto
 
Hanahr
Hanahr il 19/11/14 alle 16:36 via WEB
Meditabondo...meglio non piangere sul latte versato
 
 
mgf70
mgf70 il 20/11/14 alle 20:47 via WEB
Già. Ed è inutile provare a rivivere il passato: nulla sarà più com'era stato. Bisogna sempre volgersi al domani...
 
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R E V I S I O N E

OGGI DI' 5 D'APRILE DELL'ANNO DOMINI 2012, HO DECISO DI PROCEDERE AD UNA PRIMA REALE REVISIONE DEL TEMPLATE DEL MIO BLOG, RIPRISTINANDO, CANCELLANDO, SPOSTANDO, CIO' CHE NON HA PIU' RAGIONE DI RESTARE, CIO' CHE NON ERA PIU' FRUIBILE, CIO' CHE HA PERDUTO DI ATTUALITA' IMMEDIATA: ogni tanto, occorre far pulizia !

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(1992) LA FRATTURA

Un attimo, una stupida incomprensione, un attrito ridicolo e ogni motivo di serenità è già finito: non sembra svanita la passione; ma, appare perduta ogni volontà di comprendersi. Non più la voglia di starsi accanto, ma la tentazione d’offendersi, che diviene un muto schivarsi, tra le pareti domestiche…Anche da momenti banali, stupidi, può morire un rapporto.

A che serve, far l’amore con passione, con la voglia dell’altro, se poi ne subiamo il fastidio, nelle cose di tutti i giorni? Poi, si finisce di farlo per noia, o (peggio), per quella forma di “dovere”, insita nei comportamenti consolidati... Così, si finisce per sconfessare il proprio desiderio, arrivando a fare (o farsi) male, pur di annullarne l’identità, con la cosa bella, che conoscevamo.

 

 
 

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