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DA MOLTO NON SE NE PARLA PIU', MA LA "RIFORMA GELMINI", IN REALTA' E' PASSATA. NON HA PIU' SENSO RICHIAMARE UNA RACCOLTA DI FIRME (COME AL MIO POST #160, IN CUI NE RICHIAMAVO UNO DI  elena.c.q.d) . PERO', INVITO TUTTI COLORO CHE HANNO FIGLI, TUTTI QUELLI CHE SOGNANO UN MONDO MIGLIORE, TUTTI QUELLI CHE SANNO ANCORA PENSARE CON LA PROPRIA TESTA, A NON ABBASSARE LA GUARDIA E AD ESSERE PRONTI AD ANDARE IN PIAZZA PER SALVARE LA SCUOLA ITALIANA E, CON ESSA, IL NOSTRO FUTURO.
mgf70

 

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CREDO SIA IMPORTANTE...

Inviato da andrea7770 il 26/05/08 @ 08:41 via WEB
MESSAGGIO IMPORTANTE Gli operatori delle ambulanze hanno segnalato che molto sovente, in occasione di incidenti stradali, i feriti hanno con loro un telefono portatile. Tuttavia, in occasione di interventi, non si sa chi contattare tra la lista interminabile dei numeri della rubrica. Gli operatori delle ambulanze hanno lanciato l'idea che ciascuno metta, nella lista dei suoi contatti, la persona da contattare in caso d'urgenza sotto uno pseudonimo predefinito. Lo pseudonimo internazionale conosciuto è ICE (=In Case of Emergency). E' sotto questo nome che bisognerebbe segnare il numero della persona da contattare utilizzabile dagli operatori delle ambulanze, dalla polizia, dai pompieri o dai primi soccorritori. In caso vi fossero più persone da contattare si può utilizzare ICE1, ICE2, ICE3, etc. Facile da fare, non costa niente e può essere molto utile. Se pensate che sia una buona idea, fate circolare il messaggio di modo che questo comportamento rientri nei comportamenti abituali.
 

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Messaggi del 25/11/2015

Nuvole basse

Post n°983 pubblicato il 25 Novembre 2015 da mgf70
 

. . . [autunno]

Si alzò che il buio lasciava il posto alla luce. Faceva freddo e tossì un paio di volte, prima di giungere in bagno, accendere la luce, vedere l'immagine di uno sconosciuto, nello specchio del bagno, prima di chiuderne la porta e isolarsi nei quotidiani gesti.

Andò nella stanza del piccolo per chiamarlo, ché i figli grandi erano già usciti, per andare a scuola; ma, prima di svegliarlo, pur nello scuro, si sedette sul bordo del letto, per guardarlo mentre ancora dormiva e gli si strinse il cuore: era una delle sue ultime gioie, eppure anche la sua principale condanna, perché la sua sensibilità e la sua vulnerabilità, erano il vero ostacolo ad un'altra vita, in cui non ci fosse disagio, recriminazione, o pentimento, nei gesti.

- E' ora d'alzarsi - lo scosse delicatamente - Vuoi andare a scuola, o al prescuola?

- Vorrei dormire ancora venti minuti... - gli rispose il piccolo, in dormiveglia.

- Allora "scuola"? - gli chiese a scanso di equivoci.

- Si...

Lo baciò delicatamente, sulla piccola e liscia guancia e si alzò. Andò in cucina, preparò il caffé per sé, scaldò il latte ed un croissant, per il piccolo. Quando venne l'ora, lo chiamò, gli fece fare colazione e lo mandò a prepararsi. Mentre lui stesso si vestiva, lo seguì con discrezione, mentre si lavava, si cambiava ed indossava il grembiulino. Prima di bardarlo per il freddo, gli sistemò un po' meglio i capelli ed uscirono per andare, a piedi, a scuola.

- Sono contento che hai queste ferie!

- Così puoi dormire un po' di più?

- Anche - fece il piccolo con la sua vocina - Però, è soprattutto perché così, stai un po' più con me. Lo so che è importante che hai un lavoro, ma ti vedo così poco...

- Anch'io sono contento - gli rispose, trattenendosi da lacrimare per la commozione - E non solo, perché ho bisogno di riposare. Sai, anche a papà, piace avere il tempo per stare con te...

Camminarono, mano nella mano, sul marciapiede lungo la statale, mentre il piccolo parlava a raffica, nel suo scaldacollo e lui, cercava di afferrare cosa dicesse, perché non aveva il coraggio di chiedergli di ripetere, per più di due volte, ciò che non riusciva a capire, per sordità avanzante e per quel senso di disagio alla vita, che sembrava privarlo di un po' tutti i cinque sensi.

Arrivarono al piazzale, che stava suonando la campanella e lo aiutò con lo zainetto con le ruote, portandoglielo sino alla sommità dei gradini. Lo baciò e lo lasciò andare; ma lui, tornò subito sui suoi passi e lo abbracciò, per un lungo attimo, prima di tornare verso il portone della scuola. E mentre andava, ogni tanto il piccolo si girò a salutarlo, per vedere se lui fosse ancora lì: finché non scomparve del tutto alla sua vista, lui non si mosse da quella mattonella. Poi, prima di commuoversi di nuovo, si allontanò in fretta.

Si fermò ad un negozietto di alimentari, per prendere il latte ed il pane fresco, poi rientrò a casa. Le stanze vuote e quel silenzio irreale, erano come una coltellata con un pugnale di ghiaccio. Si gettò nelle faccende di casa, per allontanare quelle sensazioni e quella tristezza, che gli montava dentro. Sistemò la spesa, mise a fare una lavatrice, rifece i letti, spazzò e spolverò, ritirò la lavatrice del giorno precedente, bevve un altro caffé e stese il bucato, appena la macchina ebbe finito.

Si guardò intorno, in quel gelido silenzio e s'accorse che, se fosse rimasto a casa, anche quella mattina, sarebbe impazzito. S'infilò il soprabito e, senza pensarci, uscì di casa. A passo svelto, raggiunse la vicinissima stazione del metrò e prese il primo treno, in direzione del centro. Nel vagone, si sedette vicino alla porta e accanto ad un'immigrata, bardata col niqab, il pesante velo che lascia visibile solo una fessura per gli occhi. Aveva la mente troppo ingolfata dal proprio malessere, per pensare al rischio di quanto vi si potesse celare, sotto quella cortina.

Dopo aver perso lo sguardo sul pavimento, per un paio di fermate, alzò un poco la testa ed osservò le persone del vagone. Tutti i visi, da quello della ragazza che aveva di fronte, a quello dei tre uomini, che si tenevano a distanza, denotavano un certo timore: la psicosi degli attentati, dei terroristi islamici, impietosamente gelava i loro sguardi, nei confronti di tutti quelli che potevano appartenere al mondo musulmano.

Seguendo il loro sguardo, arrivò ad intercettare quello della donna, dalla fessura nel velo:

"Ti prego, non aver paura di me" sembravano supplicare i suoi occhi, da giovane invecchiata "E non mi fare del male, ché io non c'entro, con quegli assassini...".

"Non ho paura di te" le rispose, mentre il suo suo sguardo affondava nello scuro profondo dei suoi occhi "E non temere che qualcuno ti faccia del male, ora: ci sono io..."

Con un lieve cenno del capo, ribadì quel silenzioso messaggio e a lui parve d'intravedere, negli occhi della donna, un qualche sorriso. Avrebbe voluto fare di più, ma sapeva che qualsiasi suo gesto, sarebbe stato inadeguato alla cultura di lei, o male interpretato dagli impauriti viaggiatori e se ne astenne. Tornò a chiudersi nelle sue sensazioni e nelle sue tristezze, rivolgendo nuovamente i suoi occhi, al pavimento.

Scese al capolinea, assieme a lei e le camminò vicino, con discrezione, finché non la vide incontrarsi con quello che sembrava essere suo padre, ma che forse era suo marito e con altre donne, non tutte velate in quel modo così ferreo, accompagnate da altrettanti uomini. Prima di allontanarsi col suo gruppo, lei si girò di scatto, come se avesse sempre saputo, dove lui si trovasse e gli lanciò un ultimo sguardo:

"Grazie" fù l'unica parola che intuì, da quegli occhi grati e frettolosi.

Sentendosi meglio, per quel muto ringraziamento, ora che era tornato a muoversi per se stesso, si ritrovò ancora più solo e triste: si sentiva un carnefice e, allo stesso tempo, soffriva come un cane. Un refolo di vento, lo fece rabbrividire: alzò il bavero e riprese ad andare per la sua strada, senza una reale meta, mentre le nuvole basse, opprimenti, oscurandogli il sole, gli rendevano più pesante il respiro. Sfilò accanto ai palazzi della politica, ben presidiati da guardie armate e accanto a quelli dei defunti partiti che, in un lontano passato, avevano deciso le sorti del paese, prima che quell'effimero potere si sbriciolasse, come sabbia del tempo: là dove i postulanti si recavano a capo chino, anche di fronte agli uscieri, ora c'era una banca e qualche negozio.

Cominciò a vagare per le strade di quasi natale, ma non si sentiva né più buono, né più leggero, o felice. Guardava le vetrine, le belle ragazze che entravano ed uscivano dai negozi e che sorridevano, chiacchierando tra loro, inconsapevoli, della durezza che avrebbe rappresentato la vita. Osservò i turisti che, cartina, o smartphone, in mano, cercavano d'orientarsi, alla ricerca dei tanti monumenti: nessuno di loro, sembrava triste, o infelice e tutto ciò che guardavano, sembrava loro un tesoro. Mentre per lui, tutto ciò che incontravano i suoi occhi, era marciume, a cominciare dalla sua immagine, riflessa dalle vetrine.

Tutto quel brulicare di gente allegra, quasi gli faceva male e si trovò a cercare riparo, nella galleria coperta. Ma, anche se c'era meno luce e le persone erano più compassate, c'era ancora troppa vita, intorno e decise d'infilarsi nella mega-libreria, che si trovò di fronte. Ma, il suo bisogno di solitudine, complici i primi acquisti natalizi, rimase deluso; però, anche se lontana dalla discrezione e dal silenzio, regnanti in negozi più piccoli, quella rimaneva pur sempre una libreria e l'atteggiamento più contenuto dei clienti, era già più accettabile.

Il suo sguardo vagava sugli scaffali, scorrendo i numerosi titoli dei libri che aveva letto e che gli ricordavano il proprio vissuto e le proprie riflessioni di ieri (come gli sembravano lontani quei tempi!). E, con essi, gli occhi sfioravano i titoli di quelli che non aveva ancora letto, talvolta scartandoli a causa della pretenziosità degli autori, altre volte, rimanendo incuriosito dai titoli: in tal caso, li prendeva e ne leggeva un passo a caso, per decidere se ne valesse la pena di prenderlo. Ad un certo punto, sentì nel sottofondo quella voce inconfondibile, che lei gli aveva fatto conoscere, cantare Someone Like You e si sentì di nuovo infelice. Quasi a fuggirle, scappò con i libri che aveva scelto, ai piani superiori, dove c'era la sezione film.

Tra i dvd del primo piano, già non si sentiva più la musica del pianoterra e si poté di nuovo distrarre, cercando quei films che amava e che avrebbe voluto vedere e far conoscere ai suoi figli. Addirittura, vincendo la sua naturale ritrosia, si rivolse ad una commessa per trovare un vecchio film di Almodovar, che tanto lo aveva divertito. Nella ricerca, dovette saltare tutte le commedie degli anni '50-'60, che raccontavano della Roma del dopoguerra, perché ricordava bene, quanto lei li amasse e quante volte aveva sognato di rivederli con lei. Si tuffò, allora, su tutti quelli che non aveva fatto in tempo a vedere al cinema, prima che li ritirassero dalle sale e dei quali aveva sentito parlare bene.

Dopo un lungo tempo, scese di nuovo giù e si mise in fila alla cassa, per pagare, Quando fù il suo turno, si ricordò d'avere da diversi mesi, nel portafoglio, una tessera-regalo, che avrebbe dovuto utilizzare, poiché prossima alla scadenza.

- Vorrei pagare con una gift-card, se è possibile.

- Mi faccia vedere. Sì, è ancora valida, ma sta per scadere...

- Mi dica quanto debbo integrare.

- Dunque, sono 94 euro e 70 - fece la cassiera - Così ne rimarranno 5 e 30, se non aggiunge altro.

- Allora, mi scusi, vorrei aggiungere anche questo - fece lui, girandosi verso la pila di libri "di classifica", che era vicino alla cassa.

Ma proprio mentre prendeva in mano il libro-inchiesta, di cui aveva sentito parlare, i suoi occhi caddero sulla locandina del lancio del nuovo disco di Adele: era riuscito a sfuggire alla sua voce, ma l'immagine della cantante, lo aveva riportato ai pensieri, alle sensazioni, che avrebbe voluto allontanare da sé. Su di lui, tornò l'infelicità e la tristezza e ritrovò quel senso di travaglio interiore, per il senso di colpevolezza, che provava, pur mitigato da mille giustificazioni razionali. Così, aggiunta una piccola differenza, finì di pagare ed uscì velocemente dalla grande libreria, rischiando d'essere visto male dai militari col mitra spianato, che pattugliavano il marciapiede, prossimo al palazzo del Governo.

Fuori l'aria era fredda, ma non se ne curò, pensando solo ad allontanarsi il più possibile da quel luogo, come se questo fosse sufficiente ad allontanarlo anche dal dolore e dal senso di colpa, che provava. Andò alla ricerca di quello storico negozio di abbigliamento (aperto nel lontanissimo 1870), che a causa della crisi, si era dovuto trasferire pochi anni addietro, dalla sede storica. Ma, grazie al cellulare e alle magie della rete, lo trovò molto presto e vi andò subito, dato che era poco distante.

Ma, quando vi si trovò di fronte, rimase un po' deluso, dato che il nuovo negozio era meno della metà, di quello che un tempo aveva frequentato. In dubbio se entrare o meno, decise di concedersi il "lusso" di un maglioncino, come quello che amava portare negli anni dell'Università. Ma, forse per l'assortimento ridotto, a causa dei minori spazi, non trovò esattamente, ciò che cercava e, dopo essere rimasto a lungo in dubbio, prese lo stesso quello che più era simile, a ciò che aveva cercato.

Per lui era strano, perché di solito per sé non comprava nulla, se non gli fosse stato proprio "necessario" e, soprattutto, perché era molto raro che lui comprasse qualcosa che non fosse esattamente quello che aveva in mente di acquistare. Uscendo in strada, mentre guardava la busta di carta del negozio, con quel gusto retrò inconfondibile di un'altra epoca, si accorse che aveva fatto quello che Lei gli aveva sempre suggerito: aveva pensato, per una volta, a se stesso. Forse, quello era stato un ottimo suggerimento, ma allo stato attuale, non gli aveva procurato alcuna soddisfazione e, anzi, gli stava procurando solo un'inconfessabile nostalgia...

Si mise sulla strada del ritorno, verso la fermata del metrò e passò davanti a tanti negozi, tante vetrine, tutti molto cambiati, da quelli che frequentava anni addietro, in cui non ebbe il coraggio di entrare e che non ebbe neppure quello di guardare. Ad un certo punto, per aggirare un capannello di giovani disadattati, che parlavano in gruppo, in viva-voce, con un loro amico, si ritrovò davanti ad un negozietto, che trattava articoli di pelletteria artigianale. Si ricordò che, anni prima, in quello stesso negozio, dopo averci pensato a lungo, anche per non pesare sul bilancio di casa, aveva rinunciato a comprarsi un giaccone, che gli era piaciuto molto: quella era stata una delle poche volte, in cui si era pentito della sua scelta.

Malgrado fosse molto stretto e lui, con la sua mole, detestasse posti così, decise di entrare, alla ricerca di...quello stesso giaccone di allora. Ma, anche le mode passano e ciò che, un tempo trovavi facilmente, ora non puoi più averlo. Guardò in tutto il negozio, chiese anche ad una gentilissima commessa, ma non trovò più quello di allora. Trovò altri articoli, ma non più quello speciale, che gli era tanto piaciuto.

Uscì anche da lì e, a quel punto, non aveva più alcun interesse per prolungare la sua permanenza in centro e tornò al suo cammino verso casa. Poco prima di arrivare agli scalini per accedere alla metropolitana, dovette passare per una porta, delle antiche mura cittadine. Erano anni, che non passava di lì, ma ricordava bene quanto quel posto fosse trafficato, anche a causa di una piccola rivendita di curiosità e souvenirs, nonché per colpa di un piccolo bar, al suo interno, gestito da dei giovani simpatici e molto in gamba, che era sempre affollato, da impiegati e da gente di passaggio. La rivendita c'era ancora, ma il bar era chiuso ed i locali, a giudicare dalla polvere sulla seracinesca, erano abbandonati da un pezzo.

Scese nel sottopasso della metropolitana e salì sul primo treno, sotto lo sguardo di altri militari, col mitra a tracolla e lo sguardo attento. Si buttò sul primo sedile, indifferente a chi gli era vicino: una donna peruviana di mezza età, che passò metà del viaggio al telefono, per fortuna parlando pochissimo ed ascoltando, quasi soltanto: una biondina che passò tutto il tempo a chattare, con gesti frenetici, senza staccare mai lo sguardo dallo schermo del cellulare. Di fronte a sé, c'erano due carabinieri in pensione, con la divisa della loro associazione di ex, uno studente tutto capelli e brufoli, una signora anziana, dal viso frastornato. E lui, che continuava a trattenersi dal piangere, tanto era turbato, da quel suo piccolo viaggio.

Combattendo col disagio interiore, aveva visto la paura e la violenza sottopelle, aveva dovuto combattere coi ricordi e la nostalgia, innescati dal destino. Aveva dovuto constatare che il mondo era cambiato e che tutto ciò che conosceva, era andato perduto col tempo. Ed aveva dovuto accettare il fatto che, alle rinunce di un tempo, poi non si poteva più rimediare: il tempo per godere delle scelte, era passato ed ormai, non c'era che il ricordo ed il rimpianto, a segnare il suo viso.

Rientrato a casa, mise a posto i suoi acquisti, mangiò qualcosa e si mise ad aspettare che arrivasse l'ora per andare a riprendere il suo piccolo, a scuola: di tutto il suo mondo, di tutto il suo amore, in quel momento, sentiva che non gli era rimasto che lui.

E mentre la sit-com che aveva davanti agli occhi, eccheggiava di risate preregistrate, una lacrima, lenta, solcò il suo viso...

 
 
 
 
 

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(1989) SENTO IL ROMBO DEI BUS

Non più amici, né donne, o altro, intorno a me. Alle mie parole, solo il silenzio risponde. Lontano, sento il rombo dei bus: pur colmi di gente, a me paion vuoti. Condannato così, a restar in balìa di me stesso, nevrosi e stanchezza...           Inverno e non me ne accorgo, se non dal passo pesante: lo stesso di chi ha perso una partita; identico a quello sulla ghiaia di un cimitero.                                              E, così, non riesco più a sorridere, ad esorcizzare le mie fobìe: spezzati sono i miei ricordi (giammai felici).                                                                                                 Questo mondo di rumori cittadini, è ben distante dai miei pensieri e, mi fa sentire ancor più distante; non ho scampo, dalla mia mente, né dal mio destino...
 

L'ULTIMO SPETTACOLO (S.VECCHIONI)

...non lasciamoci "stancare" dalla prima parte: dà un senso alla (meravigliosa) seconda...

 

R E V I S I O N E

OGGI DI' 5 D'APRILE DELL'ANNO DOMINI 2012, HO DECISO DI PROCEDERE AD UNA PRIMA REALE REVISIONE DEL TEMPLATE DEL MIO BLOG, RIPRISTINANDO, CANCELLANDO, SPOSTANDO, CIO' CHE NON HA PIU' RAGIONE DI RESTARE, CIO' CHE NON ERA PIU' FRUIBILE, CIO' CHE HA PERDUTO DI ATTUALITA' IMMEDIATA: ogni tanto, occorre far pulizia !

SPERO, NESSUNO SE NE ABBIA A RISENTIRE...

 

COL TEMPO SAI (VERS. BATTIATO)

 

(1992) LA FRATTURA

Un attimo, una stupida incomprensione, un attrito ridicolo e ogni motivo di serenità è già finito: non sembra svanita la passione; ma, appare perduta ogni volontà di comprendersi. Non più la voglia di starsi accanto, ma la tentazione d’offendersi, che diviene un muto schivarsi, tra le pareti domestiche…Anche da momenti banali, stupidi, può morire un rapporto.

A che serve, far l’amore con passione, con la voglia dell’altro, se poi ne subiamo il fastidio, nelle cose di tutti i giorni? Poi, si finisce di farlo per noia, o (peggio), per quella forma di “dovere”, insita nei comportamenti consolidati... Così, si finisce per sconfessare il proprio desiderio, arrivando a fare (o farsi) male, pur di annullarne l’identità, con la cosa bella, che conoscevamo.

 

 
 

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