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CICERUACCHIO (Angelo Brunetti)

Post n°182 pubblicato il 30 Novembre 2011 da Nezumina
 

(Roma, settembre 1800 - Porto Tolle, 10 agosto 1849)

 

            A Roma non piove molto, maquando il cielo decide che è ora di piangere, manda giù tanta di quell’acquache noi romani diventiamo scemi. No, non scherzo. Noi siamo avvezzi al sole, cicrogioliamo sotto la sua luce e non conosciamo nebbia, neve, bora né nubifragi.Siamo un po' come le lucertole, usciamo solo con il bel tempo e, visto che c'èsempre il sole, usciamo sempre. Ma quando piove… Quando piove e siamo costrettia mettere il muso fuori di casa causa lavoro, noi romani impazziamo. Se con ilsole siamo soliti usare gli autobus e la metro, con la pioggia montiamo tuttiin macchina, terrorizzati all'idea che una singola goccia d'acqua possabagnarci. E allora vedi l'Urbe divenire un'immensa pozzanghera, straripare diautovetture in fila per ore per giungere a destinazione, con gli automobilistiche smadonnano e si insultano reciprocamente, dando la colpa al tempo se fannotardi. È follia, ma è sempre così. Quando piove, Roma va in tilt. Figuriamocise dovessero scendere due fiocchi di neve…

            Osservo in silenzio le macchine incolonnate,imbottigliate nel caos cittadino, mentre me ne sto sotto l'ombrello in attesache arrivi l'autobus che mi conduca al lavoro, stando bene attenta a non farmischizzare dalle automobili che passano sulle buche piene d'acqua piovana.Alcuni vigili provano a sfidare l'ira degli automobilisti, ricevendo in cambioinsulti e minacce sussurrati a fior di labbra. Solo un singolo essere sorridedivertito, un uomo che mi sta vicino, senza alcun riparo e che guarda con sommodisprezzo la follia che scivola dinanzi ai suoi occhi. Lo sbircio e mi accorgoche, a dispetto della pioggia, è asciutto e veste un po' dimesso. Lo osservomeglio e subito dopo sgrano gli occhi, esclamando:

-Ciceruacchio!-

            Lui si volta a guardarmi esorride, illuminandosi in quel volto rotondo che ispira fiducia e tranquillità

-Ma tu guarda 'sti romani di oggi!- esclama con il suo forte accentoromanesco.

-Ai tuoi tempi era diverso.-

-Lo puoi dire forte, ragazza mia! E non c'era neppure questo rumoreassordante al quale voi vi siete assuefatti. Tutt'al più si potevano udire glistrilloni in Campo Marzio, o a piazza Navona, o lo stridio delle ruote dellecarrozze sul selciato oppure il calpestio degli zoccoli dei cavalli. Tuttoquesto…- e fa un gesto con la mano, -roboante rumore non c'era.-

-Si viveva meglio, eh?- commento divertita dalla sua aria schifata.

-Eccome!-

            Esito un attimo, quindiabbasso il mio ombrello e mi accorgo che la pioggia devia, non mi tocca, comese fossi coperta da una invisibile campana di vetro. Come al solito la gentenon ci vede neppure e torno a guardare lui, con quei suoi baffoni scuri e quelpizzetto che quasi fanno sparire la bocca.

-Perché il soprannome Ciceruacchio?- domando curiosa.

-È una corruzione di ciruacchiotto, ossia cicciottello. Ed io lo sono semprestato, fin da piccolo.-

-Tu sei nato e vissuto a Roma in un periodo un po' turbolento.- ricordo.

            Scuote la testa annuendo esi accarezza il ventre prominente.

-In effetti, dopo la rivoluzione francese, si annusava in giro aria di ribellioneovunque.-

-E tu ti sei dato da fare.-

            Lo vedo corrucciarsi escurirsi in volto, quel volto rubicondo che i romani avevano imparato ad amaree rispettare, nonostante fosse solo un semplice oste.

-Con il mondo che cambia, che riscatta la sua libertà, secondo te cosa avreidovuto fare? Starmene con le mani in mano?-

            Non rispondo, consapevoleche ha ragione. È destino che alcuni uomini sentano maggiormente il richiamodella Storia, seppur inconsapevolmente, e lui è uno di questi. Non a caso,durante la Repubblica Romana,si diede da fare per far passare armi e vettovaglie ai combattenti e al popolodi Roma.

-So che i romani hanno sempre guardato a te come il portavoce dei lorosentimenti.-

-Ero il loro specchio,il riflesso di loro stessi!- esclama soddisfatto. -Essendo un oste, conoscevopiù che bene il malumore dei miei concittadini, che si riunivano nel mio localeper parlare male o bene di taluna persona o di tale nobile o porporato. Lagente si confidava con me ed io ascoltavo. Ed essendo sempre stato socievole ebontempone, ho preso le redini in mano quando si è trattato di eleggere ilnuovo papa.-

            Sgrano gli occhi e chino latesta di lato, incredula.

-Tu… hai eletto il nuovo papa?- esclamo.

-Ma no! Certo che no!- risponde quasi offeso. -Con l'avvento di Pio IXMastai Ferretti, mi feci portavoce del malcontento popolare e riportai con lamia dialettica diretta, priva di retorica, tutta l'ansia dei romani che datempo attendevano riforme.-

            Espiro, inconsapevole diaver trattenuto l'aria e subito dopo sorrido. Be', capita di fraintendere…

-Addirittura,- riprende con il suo vocione, -ho ringraziato pubblicamente ilnuovo papa per aver concesso la libertà ad alcuni prigionieri politici ed hoofferto da bere nella mia osteria. Ah, sì…- sospira e un velo di malinconiaricopre i suoi occhi attenti. -Che festa abbiamo fatto… Fino a sera tardi, allume delle torce e delle fiaccole, tutti a bere e cantare e mangiare:sembravano tornati i bei tempi andati.-

            Rimango in silenzio,domandandomi a quali bei tempi si riferisse e, a dispetto della mia ricercanella memoria, non trovo nulla che possa definirsi tale. Forse è solo un suosentimento personale. Di certo l'Italia non percorreva un buon periodo, vistala dominazione francese e austriaca.

-A Porta del Popolo, poi,- continua con aria estasiata, -abbiamo acceso unfuoco enorme, richiamando tanti di quei romani che tu non puoi immaginare.-

            Sogghigno sotto i baffi,immaginando un concerto dei Queen, o dei Led Zeppelin, o dei Pink Floyd eneppure rispondo, lasciandolo crogiolare nel suo ricordo. E in quel lasso ditempo mi rendo conto di quanto possano essere cambiati i tempi nel volgere diun solo secolo, stravolgendo le abitudini e lo stesso pensiero.

-Ma poi qualcosa è cambiato.- noto.

            China mestamente la testaal ricordo bruciante e si morde le labbra.

-Avevo riposto grande fiducia nel nuovo papa, tanto da sperare fino all'ultimoche avrebbe veramente cambiato le cose. Ma quando è fuggito, facendo crollareanche la Repubblica Romana,ho aperto gli occhi.-

-Non poteva essere il successore di Pietro il riformatore, vero?-

-No.- ammette controvoglia. -E l'ho capito a mie spese. È fuggito abbandonandoRoma nelle mani dei francesi. Ti lascio immaginare gli avventori della miaosteria: indignati, offesi e furiosi era a dir poco. Io con loro.-

            Annuisco, eppure non so seriesco a capire pienamente il suo stato d'animo. Di certo non deve essere statofacile vivere in quel periodo di stravolgimenti emotivi. Da una parte la Francia che insegnava conla sua rivoluzione e con l'avvento di Napoleone, dall'altra l'Austria e la Prussia con le loro ancorsolide radici nel medioevo, impermeabili a qualsiasi capovolgimento,insofferenti a ogni riforma e ognuna di loro con basi stabili, o semistabili,in Italia. In effetti, noi giovani di oggi, cosa possiamo sapernedell'occupazione, delle restrizioni, dell'impossibilità di esprimere le proprieopinioni, della morte che si annida dietro ogni angolo che si può svoltare?Salvatore Quasimodo ne sapeva qualcosa e la sua meravigliosa "Alle frondedei salici" è lì a testimoniarlo.

-Anche tu sei fuggito.-

-Be', a dir la verità, visto come si mettevano le cose, ho preferito seguireGaribaldi… Hai presente Garibaldi?- domanda con aria da inquisitore.

-Eh, sì.- sospiro annuendo.

            Mi fissa a lungo, come sela mia espressione non gli piacesse e provo a piegare le labbra in un sorrisoamichevole.

-Aho, regazzì,- mi riprende alzando l'indice come un maestro e agitandomelosotto il naso, -guai se ti vedo deridere il nostro Garibaldi. Non te lo permetto.-

-Non lo permetterei a me stessa.- ribatto. -So bene chi fosse Garibaldi e neho profondo rispetto, nonché stima.-

-Ah, be'.- commenta compiaciuto.

            Lo vedo rilassarsi in voltoe porta le mani dentro le tasche del panciotto, con aria soddisfatta.

            Rimango a osservarlo, inattesa che continui il racconto e, quando si rende conto del mio prolungatosilenzio, mi fissa e chiede brusco:

-Be'? Che hai da guardare?-

            Esito, non sapendo benecosa dire, quindi rispondo:

-Guardo un eroe romano.-

            Quella risposta lo compiacee sorride beota.

-Be', forse hai ragione.- risponde. -In finale, ho dato la mia vita per Roma,per la sua libertà. E con me l'hanno data i miei due figli, il più grande e ilpiù piccolo, poco più di un bambino.-

-Sì, ricordo. Gli austriaci non hanno avuto pietà di un ragazzino.-

-Già- ringhia con espressione furiosa. -Ci vuole coraggio a fucilare untredicenne mingherlino.-

            Avverto il sarcasmo econvengo con lui. Non deve essere facile affrontare la morte a viso aperto,figuriamoci poi se al fianco ti ritrovi con due figli che debbono fare la tuastessa fine. Me lo immagino, Ciceruacchio, provare a coprire con il suo corpomassiccio il figlio minore, nella speranza di salvarlo dal plotone diesecuzione.

-Sei morto lontano dallatua Roma.- commento.

-Purtroppo. E pensare che quando ero partito, speravo di contribuire allasua liberazione. Sai,- mormora sconsolato, -con Garibaldi volevo dare una manoa Venezia che resisteva agli austriaci, ma ci siamo dovuti fermare al Delta delPo, per sfuggire alle vedette nemiche. Abbiamo chiesto rifugio ai connazionali,ma quei bastardi di italiani, anziché aiutarci, ci hanno denunciato agli austriaci,i quali hanno provveduto a fucilarci senza perdere tempo. Comprendi? Noi,italiani che volevamo scacciare gli oppressori, denunciati dai nostri stessiconcittadini! Roba da non credere.-

            Scuoto la testa come lui,pensando che fosse normale per gli italiani dell'epoca, divisi per secoli, nonprovare un sentimento di unità nazionale. Troppo diversi. Troppi dialettidiversi. Troppe frontiere. Ma, chissà perché, questo solo pensiero non miconsola dinanzi alla vista di italiani che tradiscono gli stessi italiani.Quello che mi colpisce e mi ferisce, è che oggi, tutto sommato, la pensiamoancora come quei contadini del Delta del Po.

-Oggi, però, riposi al Gianicolo.- lo consolo.

            Sorride e in un gestoaffettuoso mi dà un buffetto sulla guancia.

-Aho, regazzì, e mica è da tutti!-

            Rido della sua romanità e inquel momento sento la pioggia inumidire la tesa. Alzo lo sguardo e mi bagno ilvolto, ricordando che avevo chiuso l'ombrello perché riparata dalla presenza diCiceruacchio. Quando mi giro per salutarlo, non c'è più e la pioggia sul mioviso mi sembra all'improvviso come un pianto silenzioso per tutte quelle vitedonate per un ideale che oggi nessuno sente più.

 
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