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Messaggi di Dicembre 2015

ACCIDENTALLY SANTA CLAUS

Post n°85 pubblicato il 22 Dicembre 2015 da splendore07

 

 

Neve, neve, ancora neve!

Da un cielo piombo,fitti fiocchi turbinavano vorticosamente incalzati da un vento capriccioso che li costringeva ad improvvise impennate e ,repentine cadute: bianche creste di onde che incessantemente si allungano per poi venir risucchiate, senza sosta.

Restavo per un tempo infinito, con il naso appiccicato al vetro della finestra, rapito da quell’instancabile movimento, la bocca aperta, dalla quale usciva ritmico il mio respiro che, frangendosi contro il vetro, disegnava su quest’ultimo, rotonde nuvolette.

Uno scalpiccio, mi strappò bruscamente al mio turbinare di grosso fiocco sbatacchiato insieme agli altri.

Mi voltai, una lunga ombra si stagliò nel vano della porta, occupandola quasi per intero.

Mi giunse da una bocca che non vedevo, ma sapevo a chi appartenesse ,un sonoro moccolo.

– What a fuck! cosa ci fai sempre al buio?-

Mio padre, tastò la parete all’altezza dell’interuttore e un violento fiotto di bianca luce al neon, inondò la stanza. Sbattei le palbepre su occhi brucianti .Quasi arrancando, raggiunse la poltrona all’altro angolo del soggiorno.

Mi disse: -avvicinati, devo farti una confdenza, quest’anno sarai tu Santa Claus-

-Ma ho solo 11 anni- gli feci notare

-lo so, sei abbastanza grande per poterlo fare-

Abbassando la voce quel tanto che, a suo modo di vedere, sarebbe servito per imprimere il giusto pathos alla rivelazione che stava per farmi, aggiunse:

-In città, gira da qualche tempo una misteriosa confraternita che ha il compito di trovare un giovane Santa Claus per rimpiazzare quello pronto per la pensione.

Lui, disse, era ormai troppo vecchio e stanco per quel ruolo.

Il sogno si era infranto anno dopo anno, in quello squallido centro commerciale a pochi isolati di distanza, dove, a suo dire, aveva svolto un onorato lavoro, ma con scarso successo.

Ormai, da tempo, nessuno piu’ si fermava al suo instancabile richiamo: Buon Natale. Oh! oh! oh!. Nemmeno i bimbi piu’ piccoli!

-Ma tu, disse, potresti essere il predestinato, potresti avere talento-

Mi svelò, sussurrandomi con labbra umide attaccate al mio orecchio, che non mancarono di procurarmi un vago senso di ripulsa, dove fosse custodito il costume.


In cucina, presi un grosso paio di forbici, e, mi avviai su per le scale che portavano alla soffitta.

Dalla scatola, emerse un vecchio, liso, stinto costume. Un penetrante odore di muffa si insinuò nelle mie narici.

Della barba, non rimaneva che un triste intricato ammasso di un colore indefinibile, ridotto un groviera, dalle tarme.

Sotto, ben ripiegato trovai il sacco, rammendato in piu’ punti e spelacchiato. Il velluto, aveva qua e là, lasciato il posto a chiazze di tessuto sottostante, tanto da far sembrare il sacco, affetto da alopecia.

Indossai il costume: era enorme.

Con la precisione di un chirurgo, praticai un’incisione nella stoffa, e , con fatica, tagliai piu’ della metà della lunghezza di pantaloni e giacca.

Con un punteruolo, feci una serie di buchi sbilenchi sulla screpolata pelle del cinturone.


Ho dimenticato un particolare importante: sono un bambino negro, o meglio, di colore, come mi hanno insegnato che è questo, l’appellativo, con il quale si identificano le persone di pelle scura.

In verità, non sono esattamente nero, ma piuttosto, il colore della mia pelle, ricorda quello del cioccolato al latte.

Mamma, è nera come il cioccolato fondente. Papà, invece, è bianco.

Dall’alto dei miei 11 anni, mi chiedevo: si è mai visto un Santa Claus marroncino?

Non avevo nessuna aspirazione ad essere il predestinato, e, a raccogliere l’eredità di un Santa Claus vecchio e stanco.

Vivevo nei miei romanzi fantasy, dei quali diventavo il protagonista, chiamando me stesso con il nome dei personaggi che via via si susseguivano nelle mie letture.

Ero, per questo, emarginato dai compagni di scuola.

L’appellativo piu’ gentile con il quale erano soliti rivolgersi a me era: grassone di merda.

Papà, non è mai stato una figura molto presente nella mia vita.

Preferiva a mia madre e me, la compagnia di avventori di un malfamato coffe-bar, poco lontano, dal quale rincasava tardissimo e pieno fino all’orlo come un otre, di scadente birra in lattine che, era solito allineare, in una sorta di assurda parata sulla formica unta del tavolino.

Una stupida sfida con se stesso: ogni volta, lo schieramento, si arricchiva di un nuovo soldato.


-Natale, è domani, te la senti di fare Santa Claus?-mi chiese mia madre.

Seduta di sbieco, di fronte alla Tv, il riflesso della luce dello schermo, conferiva al suo volto, un’aliena fosforescente tinta verdina

Risposi con un’alzata di spalle.


Un caso fortuito, mi fece scoprire dove mia madre nascondeva i regali: il fondo di un vecchio e traballante armadio.

Roba vecchia, la maggior parte di seconda mano: giochi di società per bambini, videocassette di cartoni animati, una scatola di lego tenuta insieme da vari giri di nastro adesivo contenente un imprecisato miscuglio di pezzi provenienti da altre scatole, probabilmente, andate perse,nel corso degli anni, una vecchia pistola giocattolo  esatta riproduzione della Beretta 92, un tempo, in dotazione alla polizia.

La sola idea di mettere nel sacco quella roba, mi procurava un groppo alla gola.

Aspettai che mia madre si addormentasse, al solito, sul divano nelle tante interminabili attese che mio padre tornasse, e ,cominciai ad incartare i regali.

Visto il magro bottino con il quale avrei riempito a malapena la metà del sacco, andai a dare un’occhiata alla dispensa.


Due cambi di metropolitana e due di autobus, mi portarono al drugstore, che avevo scelto come palcoscenico per il mio debutto: Un piccolo emporio frequentato perlopiu’ da sfigati come me. Non ne volevo sapere di centri commerciali!

Il via vai era incessante.


-Buon Natale! Oh! Oh! Oh!.

-E tu, saresti Santa Claus?- mi chiese un ragazzino secco come un bastone con in mano un enorme bagel cheese.

-Sono solo un principiante,- risposi.

Tolsi il sacco dalla spalla, ci tuffai una mano ed estrassi un regalo per lui. Dalla carta, uscì un pacco di biscotti al cioccolato Oreo e, per sua sorella, dalla carta dorata, emerse, una bottiglietta quasi vuota di Xanax di mia madre.

La piccola, mi rivolse uno sguardo interrogativo, ma non fiatò.


Nel giro di poco, avevo terminato la distribuzione di quel ciarpame, comprese le cibarie precotte, razziate in dispensa.

Mi accorsi, da una protuberanza, che era rimasto un regalo, andato a cacciarsi, chissà come, in una piega del sacco.

Era la pistola!

La liberai dalla carta luccicante  e la impugnai.

Sprofondai immediantamente in uno dei miei racconti fantasy con un senso nuovo di stordimento e assenza di peso, come se la mia ciccia, si fosse improvvisamente dissolta.

Non mi accorsi, di un agente che si materializzò all’improvviso con una pistola puntata contro di me sul braccio teso.

Urlò qualcosa che non udii.

Il suono di uno schiocco secco, mi arrivò ovattato, come se provenisse da molto lontano.

Una sensazione di bruciante calore  mi avvolse dal basso, irradiandosi, poi, a tutto il corpo.

Girai la testa.

La mia faccia sdoppiata nello specchio nero dei vetri


Aveva smesso di nevicare.


Uno spicchio di luna, una sparuta manciata di stelle appese ad un rettangolo di cielo inchiostro

 

(Splendore)

 
 
 

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