Creato da gianlucagian69 il 20/09/2008
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(non hai inserito il titolo) (e sti cazzi)

Post n°34 pubblicato il 23 Gennaio 2010 da gianlucagian69
 

Qui si riescono a scrivere cose più lunghe che su Facebook. Dunque si riescono a fare ragionamenti, evitando la tentazione pseudo-letteraria dell'aforisma.

Certo, per chi può permetterselo. Di ragionare.

 
 
 

Ringhiere come fossi, e corde di parole

Post n°33 pubblicato il 16 Febbraio 2009 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

"Pinelli non ha resistito alle torture morali e psichiche, e si è buttato giù dalla finestra: variante la più leggera. O non ha resistito alle torture fisiche, cogliendo il momento di distrazione degli astanti per buttarsi giù. O alle torture non ha resistito, morendo, ed è stato buttato giù".


Leonardo Sciascia

 
 
 

GRAZIE

Post n°32 pubblicato il 06 Febbraio 2009 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Uno dei pochi degni della bandiera europea.

 
 
 

Perché mi guardi?

Post n°31 pubblicato il 14 Gennaio 2009 da gianlucagian69
 
Tag: Storie
Foto di gianlucagian69

Entro in biblioteca, abbasso la testa su un libro – ho cercato una serie di edizioni degli anni ’50, traduzioni di poeti tedeschi, mi hanno consegnato due testi su sei, gli altri erano irreperibili – e ho letto che il tempo delle rose è andato.

Perfetto, è dicembre: aspetterò un’altra guerra, altre telefonate fatte per compiacimento, altre improvvise simpatie. 

Avrei potuto aspettare nella stanza da letto o nel salotto, ma ho preferito stare qui, nell’aria che non si respira, ad attenderti. E – “nel bene e nel male” – sei arrivata. Benvenuta.

Nella mia libreria immaginaria. Nel mondo che non ha più il mio tempo.

 
 
 

Babbo Natale veste di Rosso.

Post n°30 pubblicato il 29 Dicembre 2008 da gianlucagian69
 
Tag: Storie
Foto di gianlucagian69

Sangue.

 

Al solito, la solita competizione tra sparatorie (Secondigliano, Crotone, l’altro fuori di testa in Campania che spara in mezzo alla folla  per colpire il nuovo compagno della sua ex… auguri, eh?).

 

A Milano ci si spara fuori dal locale De Sade (nome che dovrebbe stuzzicare altri appetiti, ma ognuno si diverte come più gli piace).

 

A Gela un piede pestato in discoteca può valere un coma farmacologico (certo, c’è sempre da ascoltare l’altra campana, ma le cose non possono migliorare, al limite peggiorare, perché più si cercano giustificazioni a queste cose, più si scava nella merda).

 

E a Civitavecchia… A Civitavecchia, drammaticamente, ci si supera.

 

E’ l’alba, una macchina con cinque ragazzi va “stranamente” fuori strada. Quattro ragazzi muoiono, uno – il guidatore – no.

L’auto andava veloce, e vabbe’; un carabiniere coinvolto nell’indagine dice che, al di là di ciò che potrà essere successivamente accertato, le condizioni dell’asfalto potevano compromettere la tenuta di strada (specie, per l’appunto, se procedendo a forte velocità). Semplice, prudente, logico, senza pregiudizi. Bravo.

 

Qui la prima cosa: trecento persona accorrono all’ospedale, per tutta la giornata successiva, per controllare se ci sono i loro figli tra i feriti.

Un paese in cui ti chiamano al cellulare pure per sapere se rutti in la diesis, o in si bemolle, si precipitano all’ospedale. Eppoi, si può prendere come dichiarazione di sfiducia? O di cervello completamente in pappa? E ancora, ma se arriva uno tsunami, che si fa? (Oddio, meglio non chiederselo).

 

Ma doveva ancora arrivare il meglio. Soprattutto per un posto di banali, come è l’Italia.

Controlla qui, controlla lì… e … finalmente! Il ragazzo che guidava stava fuori con la cocaina (sostanza che per vari motivi detesto particolarmente – lo dico per evitare equivoci con il seguito del racconto). E subito partono le interviste agli “esperti” (esperti… pensare che si va a chiedere ad un primario chirurgo dei danni che la cocaina può arrecare al cuore, mi fa venire i brividi).

E comunque, l’esperto che dice? Che addirittura, la miscellanea che si crea tra alcool e cocaina fa perdere – per dirla breve – il contatto con la realtà. Fa sentire onnipotenti.

 

Il conducente (del quale è già visibile la foto sui siti Internet, tanto per non scatenare cacce all’uomo), si diceva, è l’unico sopravvissuto. Perché aveva allacciato la cintura di sicurezza.

Pensa te quanto stava fuori di testa.

 

Pietà e pena per i morti, ma senza trovare sterminatori che non esistono.

 
 
 

ICQ

Post n°29 pubblicato il 17 Dicembre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Haiku è il componimento in terzine (in traduzione italiana: settenario, quinario, settenario), in cui la sintesi è essenziale per produrre il sentimento che si intende comunicare, in cui l’unico punto di raccordo concettuale è il riferimento ad una delle quattro stagioni, espresso attraverso la citazione di un fiore, un vento, un frutto, un panorama.

C’è un tale che non ha più haiku da voler leggere, perché non ha metrica a dettarne il ritmo della vita, né stagioni a scandirne i periodi dell’esistenza.

Anzi.

Il nostro tale ha (quasi) smantellato la sua collezione di cd da viaggio per i suoi giri parasolitari in montagna, stracciato i classici italiani ed europei. Tiene solo a mente, per distrarsi, il passaggio di un racconto di Charles Bukowski in cui il bambino racconta al padre del tizio che – quando lui non c’è – con uno strano dito toglie la cioccolata dal sedere della mamma.

Ci ride sopra, poi getta via anche quel libro. Getta via tutto. Anche se stesso. Quel se stesso.

Dopo di che, spegne le luci di casa, accende le luminarie natalizie, e lascia andare la visione.

C’è il figlio morto di Ungaretti, e le liriche strappate alla bocca – c’è il suono giocoso o amoroso di cummings, che gioca e diverte, ma sempre rinnova – c’è l’infinito lirico di Dylan Thomas, che rinnova il mondo della parola e della luce, del ritmo e del suono ad ogni suo verso.

C’è qualsiasi anima dentro, e nessuna che sia negabile.

E in questa lotta di suoni e luci, colori e parole, il nostro tale sorridendo si addormenta.

Trafitto solitario dal dolore del mondo.

 
 
 

Well I Wonder

Post n°28 pubblicato il 05 Dicembre 2008 da gianlucagian69
 
Tag: Storie
Foto di gianlucagian69

Dopotutto, una storia semplice. (Primo passo verso l’autodistruzione.)

Messaggi pubblici, poi messaggi privati.

La prima telefonata. I primi sms. La webcam.

Poi il tutto ripetuto, costantemente, sempre più frequentemente.

Poi l’incontro, poi le difficoltà – la distanza, le vite diverse, le difformi intenzioni.

Dopo, il secondo incontro, ancora più intenso del primo.

La promessa “abbi cura di te”, per la prima volte lacrime per entrambi – il legame è vero.

Poi i silenzi, un incontro pessimo, ma il cuore ancora c’è.

Torna il silenzio, ma torna anche la voglia di riavvicinarsi. Poi l’incomprensione (voluta? cercata?).

Giunge la fine, e giunge sottovoce, silenziosamente.

E mi chiedo: mi hai mai sentito? Divertente giocare? Passata la noia?

Ora – non un altro giro d’orologio, ma altri profili, altri nickname, altri msn. Dunque altro di tutto.

Via la noia, via la morte.

Ma mai più dire “sei vivo, conoscevo solo i vivi-morti”.

I morti non distinguono.

 
 
 

Profili

Post n°27 pubblicato il 01 Dicembre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Da poco più di un anno giro per internet e relativi blog. Dopo aver superato le mie personali (e tutt'ora vive) titubanze, qualcosa ho fatto. Ho partecipato ad un blog collettivo, scritto e sviluppato corrispondenza, vissuto affetti ed amicizie (o entrambe le cose contemporaneamente).

E sempre vivendo il tutto come sono abituato a vivere le relazioni interpersonali dirette - dicendo ciò che penso, essendo quel che sono, con tutti i miei "casini" mentali e personali che mi annodano le idee e i sentimenti, le sensazioni e le pulsioni.

Ed è un processo che - nonostante tutto - continua, non mi fa recedere dalle mie abitudini, o dalle mie intenzioni che dir si voglia. Intendo: faccio o provo a fare le cose di un anno fa, semplificando le strade che mi hanno portato alle conoscenze che ho, alle relazioni umane che ho intessuto, nonostante le cattive abitudini di internet.

Perché, effettivamente, per tutto il ragionamento precedente c'è un "però". Grosso come una casa. Ineludibile. Perciò stesso ancora più fastidioso da affrontare. L'anonimato, e i mille profili che l'anonimo si dà.

Perché, dopotutto, tolte le persone che non si sottraggono al contatto (magari in maniera più sensata e prudente, ponderata della mia, il che è certamente un merito), per il resto è un andirivieni di anonimi e profili.

Il tipo con tre profili - il primo per scrivere cazzate, il secondo per dedicare a suoi simili conturbanti riflessioni intorno al mondo, il terzo per salutare mamma e papà - che poi non ti porta da nessuna parte, perché sono schegge di una personalità che forse neanche è tale.

Quello con il profilo da "acchiappo", che poi fa log out, log in, e tira fuori il blog sui figli. E poi la tipa che tresca ma non lo deve far sapere ad altri, perché poi alla seconda tresca, se fa confusione con i profili, manda a puttane tutto. E addio tresche.

Vorrei avere intorno solo persone complete, magari imperfette, lunatiche, di "sigaretta e bicchiere" come me. E tirare l'acqua per far sparire il resto di un mondo inesistente. Pompato su, da un orgoglio nato nel sottoscala di un soprannome.

 
 
 

Forced to go

Post n°26 pubblicato il 25 Novembre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

Mi fu detto: non andiamo mica alle guerre.

Mesi dopo, mi fu comunicato il contrario.

Un anno dopo, forse, era stato tutto un gioco.

Un gioco come alla maniera del fanciullo wordsworthiano.

Dove i bambini, tra fratelli e sorelle, son sempre sette.

Pure se “my brother John was forced to go” (bellissimo, inimitabile verso per semplicità e naturalezza).

Anche se uno è stato “costretto ad andarsene”.

Ma tutti rimangono, perché allo stato delle cose tutti in qualche modo esistono.

Nessuna cattedrale inutile, per queste dipartite, solo mani e parole.

 
 
 

La macchia

Post n°25 pubblicato il 20 Novembre 2008 da gianlucagian69
 
Foto di gianlucagian69

E’ stato una settimana fa.

Un corso d’acqua del quale rimangono solo sabbia e pietra.

Dopotutto, è lo stesso corso d’acqua di un anno fa, o del Duemila, o di circa vent’anni fa.

Comunque, questo è stato. Ora – perché talvolta il tempo sa essere assoluto, seppur non immortale.

Un giro nei corridoi, come attraverso vallate e montagne, un mediocre parquet che rimanda alla mente mille strade di provincia e salite montane.

Strade come corridoi e persone nelle stanze come gente che occhieggia da bar e botteghe.

Personal computer che potrebbero essere piccole fabbriche, ognuno assiepato dietro la propria occupazione, lavorando o facendo altro, comunque costruendosi un sogno privato.

Dopo tutto il giro, i piani percorsi e le salite scalate, i saluti distratti e le commesse sbadate, quel punto oscuro – la stanza non più occupata, la camera d’albergo che torna ad essere singola – non vedi più quella luce oscura. Il fuoco estinto, il richiamo assente. La macchia.

L’ombra emanata da una lampada ambigua, intermittente. Intensamente, intimamente dolorosa.

Non ci sono più i mostri ad urlare nella testa, né l’incitamento ad aver cura di sé ed ognuno dell’altro, non ci sono appelli da raccogliere né parole da ascoltare (che valga la pena d’ascoltare).

Non ci sono più macchie.

Il passato è limpido. Il futuro è vuoto.

Il mondo fu pieno di colori. Oggi ogni voce rimane nello stomaco, o nelle teste altrui.

 
 
 
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