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Futurismo e consumismo
Post n°598 pubblicato il 06 Maggio 2009 da molinaro
A volte mi domando se, mettendo qui nel blog e/o su Facebook le poesie appena le scrivo (non lo faccio sempre, ma lo faccio spesso), compio un gesto consumistico. Se riduco le poesie a discorso quotidiano, effemeride, parole usa e getta. Da un lato certamente no: le poesie le scrivo esattamente come le scrivevo prima che si inventasse l'informatica; le scrivo quando mi vengono e le scrivo con il primo strumento che ho sotto mano (il computer se mi "arrivano" mentre sono al lavoro; la penna negli altri casi). E sto preparando un libro, dove metterò le poesie inedite che mi sembrano migliori: un altro libro, accanto a quelli che ho già pubblicato: un libro, un oggetto (un po') più durevole che una "schermata". Quindi le poesie sono sempre loro, sono le poesie, da leggere dopo un minuto o (volendo essere un po' presuntuoso) dopo secoli: le poesie sono lì, indipendentemente. Eppure a volte la velocità della rete mi dà un senso di consumo, di scialo, di spaesamento. Recentemente sono andato a rileggere mie poesie di oltre trent'anni fa, e mi sono accorto che c'è dentro una storia, una storia che si è scritta da sola, e che ha il respiro lento dei decenni, non quello precipitoso dei minuti. E allora la poesia buttata lì nella rete informatica, letta e poi forse subito dimenticata, non è magari fuori luogo? Non lo so. In altri tempi e in altre latitudini le poesie venivano (vengono) pubblicate sui giornali, sui giornali quotidiani. Nell'Italia di oggi no, perché non interessano e perché non rendono denaro: sono molto più redditizi i necrologi. Una poesia nella pagina letteraria di un giornale, però, non mi dà l'idea di consumismo, ma di contributo, di partecipazione. E allora forse sono solo impressioni, sensazioni legate all'abitudine a un supporto diverso (la carta) che però in fondo, nel caso del giornale quotidiano, ha la stessa effimera durata: il giorno dopo ci incarti la verdura (cioè ce la incartavi, prima che arrivassero le norme igieniche sugli involucri per alimenti eccetera). Il consumismo ha radici almeno secolari. Il futurismo dei primi del Novecento già mi sembra contenere una forte spinta consumistica: per Marinetti i musei e le gallerie d'arte erano cimiteri da distruggere, l'arte era possibile solo come movimento, divenire, velocità. Cioè, sotto un certo aspetto, consumo. E qual è la principale tragedia del consumismo? Non è forse la perdita del senso della vita che perdura, in un bosco come in un dipinto del Rinascimento, la vita che anima le cose al di là dell'istante, al di là di me stesso, e che fa sì che né un bosco né una galleria d'arte siano cimiteri? La vita che attecchisce fuori dal vortice del precipitoso divenire, e quasi lo ferma, o almeno lo rallenta? L'ubriacatura della velocità è l'inganno della civiltà industriale. L'arte è una sfida al tempo, una sfida perdente ma nobile. I poeti non sono certo i soli a percepire e a emozionarsi della vita, dei suoi attimi fuggenti. La loro peculiarità è il folle tentativo di fermarlo, l'attimo fuggente: di metterlo dentro un segno, dentro un richiamo che lo fa rivivere, che lo trasmette, lo consegna ad altre sensibilità in altri tempi o spazi. Quanti brividi avranno percorso la pelle di quante donne quasi tremila anni fa! Ma Saffo ne ha messo uno in due versi, e quel brivido è qui, assomiglia al mio, sconfigge tremila anni di morte e disfacimento. L'arte è questa piccola modesta eternità. L'esatto opposto del consumo. Chissà se è mai stato scritto un saggio sul percorso dal futurismo al consumismo. Un percorso che ha attraversato avanguardie che forse in alcuni casi erano retroguardie, esperimenti dove forse ciò che si sperimentava e perfezionava era solo la vittoria del capitalismo. Arcadie sdegnose che fingevano di servire il popolo, cricche di cortigiani disanimati che coprivano il loro nulla con il frastuono di ciò che poi sarebbe diventato il consumo: cioè, del loro nulla, il trionfo. Chissà. È uno studio complesso. Io non ho le competenze, ho vissuto lontano dalle accademie. Forse il futurismo e il consumismo sono una conseguenza della «morte di Dio». Ma c'è una piccola obiezione che mi sento di muovere. Dio non è mai nato, ma neppure è mai morto: non ha queste dimensioni, non gli appartengono. Non posso dimostrarvelo filosoficamente o scientificamente, ma credete per una volta alla parola dei poeti. Loro lo sanno. Lo sa Saffo e, nel mio piccolo, lo so io. Dunque, ero partito con il domandarmi se è consumistico mettere le poesie nel blog e/o su Facebook. Mah, non lo so. Ci penserò, vedrò. Forse è consumistico che io abbia scritto questa cosa qui in tre quarti d'ora senza pensarci troppo, ma devo andare a prendere il treno per Vercelli. |
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