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"...dammi carta e penna,
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Il mio libro preferito: Herman Hesse - Siddharta
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Il Templare e l'eremita

Post n°116 pubblicato il 05 Novembre 2006 da morphamind
Foto di morphamind


Tanto tempo era passato dall'ultima visita dell'Arconte Magister nella contea. Moltissima acqua gelida e limpida era passata nel letto del fiume Dharma, il quale attraversava esattamente al centro la città di Karma, capitale della contea di Samsara e città natale di Artanis.

Dopo un lungo girovagare senza meta durato un anno, l'Arconte decise che era giunto il momento di tornare al paese natìo. In verità covava una tremenda paura, la paura del cambiamento. Aveva il terrore che il veleno dell'ipocrisia e dell'indifferenza avesse potuto raggiungere quell'oasi di pace incontaminata quale era Karma.

In sella al suo fido destriero Balihas, il Templare si diresse verso il centro di quel territorio verdeggiante e sconfinato dal nome di Samsara. Il cammino era lungo, per cui si resero necessarie alcune soste, fu proprio in una di quelle che Artanis si trovò di fronte a un dejà-vu. Una situazione già vissuta che gli si ripresentava davanti come uno stormo di rondini che tornava dai paesi caldi in cui era migrato.

Il borgo di Alone era tanto piccolo quanto accogliente, al punto di prolungare la permanenza di Artanis per una notte in più, dando modo a Balihas di tornare in perfetta forma. La curiosità, che da sempre condizionava il Cavaliere nelle sue esperienze, si impadronì del paladino anche quella sera.
Scambiando alcune parole col gestore della locanda in cui alloggiava, venne a conoscenza dell'esistenza di un uomo, originario di quel posto, il quale viveva da solo in un casolare, appena fuori quel piccolo agglomerato di abitazioni. Egli fu definito come un vero proprio eremita, nessuno si ricordava più com'era in volto poichè non era mai più uscito dalla propria abitazione ed ora viveva dei frutti del proprio orto. Al Cavaliere tornò subito in mente il Templare Solitario, con cui aveva già avuto a che fare suo malgrado, una situazione che aveva stimolato in lui tanta tristezza. La voglia di parlare con l'uomo l'aveva ormai sopraffatto.

Il giorno dopo si recò al casolare, ma esso era vuoto. Dopo aver lasciato Balihas nel piccolo cortile antistante l'abitazione, Artanis entrò.
L'ambiente era scarno, forse eccessivamente sobrio, e in ogni stanza vi erano ammassate decine e decine di lettere. Il Cavaliere ne prese una a caso e cominciò a leggere:
"11 lunghi anni sono passati da quel giorno. Loro mi hanno abbandonato lasciandomi qui, solo. Mi mancano, malgrado ciò che essi mi hanno fatto, ebbene...mi mancano. Ma come perdonarli? Non hanno fatto nulla per potermi convincere a concedere loro una qualche forma di perdono, ma non vedo perchè dovrei.
Perdonarli significherebbe sollevarli dalle loro colpe, e non voglio ciò. Voglio che essi si rendano conto della mia situazione. Per colpa loro ora vivo da solo in questo triste posto isolato. E nessuno si degna di portarmi un saluto.
Ma che vengano. Io li tratterò a modo e rimpiangeranno di essere venuti qui. Oh se lo rimpiangeranno! Capiranno quanto la mia rabbia possa divenire crudele!
Ma mi mancano...vorrei che qualcuno mi venisse a trovare. Qualcuno. Chiunque!"

La contradditorietà di quelle parole fece capire ad Artanis quanto quell'uomo dovesse sentirsi triste. C'erano stati degli spiacevoli eventi che portarono alla conclusione dei rapporti tra l'eremita e gli abitanti di Alone, ma il suo orgoglio gli impediva di tornare. Gli impediva di farsi mezza clessidra di cavallo per arrivare al centro della città e scambiare due chiacchiere con un passante.

Il locandiere gli aveva raccontato che quell'uomo, Dany'el, si lamentava con la comunità di sentirsi isolato, ma lo era per forza di cose. 11 anni prima il paese era in guerra, Artanis se lo ricordava bene perchè in quella guerra aveva combattuto pure lui. Il conflitto impediva una comunicazione continuativa tra il paese e il casolare di Dany'el, ma la situazione in cui versava la contea imponeva ai popolani di pensare a ben altro. Evidentemente l'uomo non la pensava allo stesso modo. Smise di recarsi in paese e pretese che, chi avesse avuto bisogno di lui, sarebbe dovuto andare a cercarlo di persona. Lo comunicò per forma scritta. Ma nessuno pareva avere bisogno di lui. Il suo contributo alla comunità, aveva detto il locandiere, era pressochè nullo, anzi l'uomo era considerato addirittura un peso.

Ma in quel momento irruppe Dany'el:
"Chi diavolo sei?" domandò l'uomo brandendo un bastone.
"Sono una persona che vuole aiutarti" rispose prontamente Artanis, poggiando una mano sull'elsa della propria spada.
"Nessuno vuole aiutarmi e io non accetterò nessun aiuto da te! Fuori di qui"
"Aspetta! Conosco la tua storia e ho letto una tua lettera. Voglio parlarti"
"Vattene! Non voglio parlare!"
"A me pare il contrario. Una persona che scrive così tanto mi sembra che abbia molte cose da dire"
"Preferisco scrivere che parlare"
disse, calmandosi e abbassando il bastone insieme allo sguardo.
"Capisco la tua situazione e voglio aiutarti. La soluzione è più semplice di quanto tu pensi"
"E quale sarebbe oh mio salvatore?"
disse in tono sgradevolmente ironico.
Con un leggero fastidio, Artanis rispose: "Basterebbe che tu andassi in città col tuo cavallo e gli abitanti ti accoglierebbero a braccia aperte"
"Fandonie! Perchè non vengono loro qui?"
"Ci sono venuti ma li hai cacciati"
"E tu come fai a saperlo?"
"Ho parlato con loro"
"Ma che vuoi da me?"
"Voglio solo aiutarti"
"Io non voglio essere aiutato. Voglio che mi si riconosca la ragione!"
"Tu vuoi la loro compagnia. Vuoi il loro aiuto ma non vuoi chiederlo e in caso loro te lo offrissero tu non lo accetteresti"
"Va via!"
Artanis si rese conto di avere colto nel segno. L'uomo gettò in terra il bastone, prese una spada che era appesa alla parete e si lanciò su di lui.
Con un abile colpo, il Cavaliere, rese l'uomo inoffensivo e disarmato, dopodichè lo osservò con gli occhi lucidi dicendo:

"Quanta tristezza v'è in te. Mi sforzo ma non riesco a cogliere il perchè di tutto questo. Questa situazione è opera tua, basterebbe che tu ti sforzassi di parlare, di comunicare, e tutto finirebbe. Ma evidentemente ti trovi bene in questa malinconica e terribile situazione. Resta pure in questo tuo limbo al di fuori del mondo, ti sei giocato il mio aiuto come ti sei giocato l'aiuto degli altri. Spero tu possa essere felice nella tua triste solitudine. Sappi però che se e solo se cambierai idea loro ci saranno. Io invece qui non tornerò per moltissimo tempo, perciò, per quanto mi riguarda, addio..."

Così dicendo, Artanis uscì lasciando la tristezza del proprio cuore in quel casolare. Come può l'orgoglio distruggere un uomo fino a quel punto?

Alla tristezza ci si abitua, e quell'uomo ne aveva fatto la propria ragione di vita. Talmente impegnato a compatirsi che si sarebbe sentito senza fiato qualora non l'avesse più fatto.


Il giorno dopo Artanis ripartì
, lasciando quell'uomo alla sua amata solitudine e dirigendosi verso quel luogo che stentava ancora a chiamare "casa", ma che in realtà era per lui il luogo che più si avvicinava a quella definizione.

 
 
 
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