Creato da: lontano.lontano il 22/01/2008
la poesia, la musica ed il loro contrario.

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Ultime visite al Blog

monellaccio19castalia71Mas_que_palabraslontano.lontanoNeSontm12ps12Sofia_070karen_71markaos63vittorio.59g.incalcaterracassetta2Penna_Magicamaremonty
 

Contatta l'autore

Nickname: lontano.lontano
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 6
Prov: GE
 

Chi può scrivere sul blog

Solo i membri di questo Blog possono pubblicare messaggi e tutti possono pubblicare commenti.
 

Ultimi commenti

...invece la bassotta sta risolvendo tutt'e cose
Inviato da: Faitù
il 09/03/2024 alle 17:43
 
"Festa" poi, non si può sentire. È una...
Inviato da: Faitù
il 09/03/2024 alle 13:22
 
In Italia si perdona tutto e si permette di dire tutto solo...
Inviato da: lontano.lontano
il 23/01/2024 alle 11:36
 
In Italia ti perdonano tutto ma non la ricchezza
Inviato da: cassetta2
il 23/01/2024 alle 09:24
 
Io penso che la soglia di attenzione per ciò che si legge...
Inviato da: Faitù
il 13/01/2024 alle 14:41
 
 

C'era una volta il west- Il mio sogno

 

Eravamo nel 1968 ed io
dodicenne mi guardavo intorno
per capire cosa stessi cercando,
cosa volessi ma soprattutto,
chi fossi.
Un adolescente che vedeva
intorno a sè un mondo
cambiare, forse in maniera
troppo rapida per capire, forse
in maniera troppo lenta per i
sogni che si hanno in mente a
quell'età.
Un mondo nuovo arrivato
addosso, che portava
con sè nuove parole, nuove
mode, nuova musica.
Ascoltavo come tutti in quegli
anni la prima radio "libera",
quella Radio Montecarlo che
si faceva preferire ai canali
Rai a cui per forza di cose
eravamo legati.
Ricordo tutte le canzonette
dell'epoca e non mi vergogno
nel dire che molte non mi
dispiacciono neppure ora.
Arrivavano i primi complessi
stranieri di una certa
importanza e i compagni
di scuola si buttavano a
comprare i loro dischi.
Io continuavo ad ascoltare
tutto ciò ma li ascoltavo solo,
non li sentivo, non mi
riconoscevo, nulla era ciò
che stavo cercando, ero solo
sballottato da sonorità che
non mi prendevano e poco
mi appassionavano.
Un giorno mi capita di
ascoltare questo tema, per
caso arrivato fino a me, una
musica che mi ha attirato a sè
o per meglio dire mi ha
attirato a me, una musica che
è stata lo specchio della mia
anima, una musica che è
diventata mia proprio come
io diventavo suo.
Non sapevo da dove venisse,
non immaginavo neppure fosse
una colonna sonora, non
sapevo dove andarla a ritrovare.
L'ho cercata, l'ho scovata ed è
con me da quarant'anni, non
potrei fare a meno di lei perchè
perderei la parte migliore di me,
sarebbe come specchiarsi e non
vedersi, sarebbe come mangiare
e non nutrirsi, sarebbe come
vivere senza pensare.
Io per mia natura non sono
geloso, perchè penso che la
gelosia, in fondo, non sia che
la nostra insicurezza che ci
fà credere di non esser
all'altezza di sostenere una
comparazione con qualcuno
che, diamo già per scontato,
esser meglio di noi.
Lo sono però verso questa
musica che sento mia e solo
mia e non mi fà molto piacere
se altri mi dicono di
riconoscersi in lei, sarebbe come
vedere all'improvviso spuntare
un nostro replicante mentre fino
ad oggi credevamo di essere unici.
La capisco e lei mi capisce, mi
prende per mano e mi porta in
posti tranquilli, mi asciuga
gli occhi dalle lacrime
dopo averli bagnati,
così senza neppure un perchè,
mi stringe forte la gola
togliendomi quasi il respiro,
facendomi male ma
riportandomi in vita.
Chi mi vede quando sto con lei
mi dice che cambio espressione,
che mi perdo in un mondo
lontano, che trattengo,
senza riuscirci, un'emozione che
raramente mi capita di avere.
E' vero, e non chiedetemi perchè,
non saprei rispondere,
non si motivano le sensazioni,
non si riescono a spiegare
i tumulti del cuore,
non si sà nulla degli
sconvolgimenti dell'anima,
non si razionalizza l'amore.
Una dolcezza infinita che
mi prende la mente e
se la porta con sè e non sono
più io, proprio quando sono
più io che mai,
mentre io divento lei e
lei diventa me, uniti in un sogno
che finirà solo quando
non avrò più la forza per sognare.

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 10
 

 

 
« Il treno nella nebbia. 3° parteLa macchina del tempo. »

Il treno nella nebbia. ultima parte

Post n°199 pubblicato il 22 Gennaio 2011 da lontano.lontano
 

Ad un tratto si spengono le luci ed il riscaldamento, la nebbia si avvinghia ai vetri dei finestrini formando stalattiti di ghiaccio, la temperatura all'interno bruscamente si abbassa e non basta più stringersi nei giacconi imbottiti.
Ci stenderemo sul pavimento della carrozza presi dalla gelida sonnolenza fino a che la morte di ghiaccio ci sorprenda nel sonno.
E' singolare talvolta la vita, passiamo anni a chiederci come poter vivere meglio ed ora ci troviamo a pensare come meglio sia morire, con la speranza di una morte per non incontrare la paura di un'altra più cruenta e misteriosa.
Siamo tutti nella prima carrozza, gli schienali delle poltroncine appoggiati a quelli delle altre formano dei piccoli scompartimenti che nascondono i visi ma possono fare arrivare le voci degli occupanti.
Il corridoio che passa in mezzo vede persone andare su e giù da uno scompartimento all'altro per ascoltare impressioni, fare domande inutili perché prive di risposta, imprecare o sfogarsi con persone diverse per non tediare oltre misura chi già troppo fino a quel momento aveva ascoltato.
Nella poltroncina della fila di fronte nell'altro scompartimento obliquo al nostro, è seduta una signora che, commentando quelle esternazioni di nervosismo, guardando verso di me, perché Mirko se ne stava con gli occhi chiusi e la testa appoggiata lateralmente mi dice: “Son qui che già ho tanta paura che basta e ci mancano pure i lori discorsi a crearmi ancora più ansia".
Non l'avevo notata prima, perché ero con la mente altrove ma anche perché lei si era fatta poco notare non avendo mai parlato fino ad ora, è una signora che ha all'apparenza la mia età, capelli neri che fanno corona ad un ovale dai contorni delicati e sottili come le sopracciglia che sovrastano due occhi non grandissimi di un castano color dolcezza.
La bocca piccola con labbra appena marcate, un paio di orecchini rotondi oro internamente e fuori fasciati di blu e granata ed un girocollo rosa con appeso un medaglione tondeggiante d'argento.

Capisco il suo malessere, i suoi tormenti, e la voglia, che si ha in quei momenti, di liberare almeno il cuore quando è impossibile liberare la mente, per cui mi alzo e mi vado a sedere nella poltroncina di fronte alla sua per darle modo di parlare un po'.
Mi dice di essere da pochi mesi un insegnante in pensione e soprattutto di non sentirsi pronta per uscire dal mondo, e poi di uscirne così, senza una causa apparente né un motivo valido, senza neppure uno non valido con il terrore di veder vacillare la propria mente da un momento all'altro.
Lo sconforto le riga con una lacrima la guancia mentre ripete: “ Non penso di meritare una fine così”, e lo ripete ancora cercando in me l'assicurazione che quella “fine” ancora per noi, non verrà.
Adesso glielo dico, pensavo dentro di me, mentre la sua cantilena esce nel pianto, le dico che finirà tutto bene, che ce ne torneremo ognuno alla nostra vita di sempre, che non può succederci nulla di cattivo, che è stato solo un brutto sogno.
Ho sentito che parlavate delle vostre vite, delle difficoltà che avete incontrate, del vostro star male, anch'io ho attraversati momenti difficili, come voi ma nonostante tutto non voglio morire su questo treno o chissà dove ci stanno portando” mi dice.
Mi trovo immerso giornalmente in situazioni nelle quali devo spingere le persone verso la vita, farle vivere trovando un motivo qualunque dentro di esse, inventandolo se non c'è, facendole sognare un sogno per far dimenticar loro la loro realtà o farle accontentare di quello che hanno onde non soffrire per ciò che non hanno.
Ed ora che, presumibilmente, stiamo andando verso un'altra esistenza, paradossalmente, dovrei trovare delle buone ragioni per non vivere quella che prima a tutti i costi cercavo di far accettare, di trovarne dei difetti per far preferire quella che verrà a prescindere da ciò che sarà.
La faccio parlare e si racconta come forse mai aveva fatto prima, vedo che le fa bene raccontarsi ad uno sconosciuto, è più facile senza le remore che una conoscenza comporta e dalle sue parole escono sensazioni sconosciute persino a se stessa.
Mi dice che è sul nostro treno perché sta andando a Chiavari per incontrare un'amica e con lei salire su quello che le condurrà a Bologna, per accompagnarla all'ospedale Sant'Orsola per sottoporsi ad una visita.

Per un periodo di tempo che non so quantificare escono dalla sua bocca riflessioni e qualche sorriso, poi una pausa più lunga, un silenzio che riporta alla realtà e la sua frase: “Mi ha fatto bene parlare con te, sto meglio, ma...”   “Si lo so, ma vedrai che usciremo anche da questo incubo” le dico, non mentendo ma, senza il coraggio di sperarlo, Certo che si” mi risponde mentendo e senza il coraggio di cancellarmi un sogno.
Apre la borsa per prendere dei fazzoletti di carta e qualcosa le ruzzola sotto il mio sedile, mi abbasso per prenderlo ed allungo la mano, scontro qualche supporto in ferro e sento sul dito qualcosa di tagliente, non è nulla ma un po' di sangue comincia ad uscire.
Vado un attimo in bagno per dargli una sciacquata con l'acqua” dico, mentre lascio il posto di fronte a lei.
Dal rubinetto azionato col pedale, esce dell'acqua che faccio scorrere un po' sulla piccola ferita, che poi, asciugo con un foglio di quella carta che le ferrovie mettono a disposizione.

Ne prendo un altro asciutto e ritorno al mio posto iniziale, mentre rassicuro Cristina (così si chiama la signora) con un: “E' tutto a posto”, c'è una piccola traccia rossa sul tovagliolino di carta per cui lo infilo in tasca perché non mi sembra opportuno metterlo nell'apposito contenitore.
Guardo fuori, poi in giro, mi soffermo sui visi delle persone che ho conosciute qui e penso se questa conoscenza rimarrà la sola ed unica di un mattino, fuggevole ed impalpabile come la nebbia fuori, o diverrà fraterna di prigionia oppure eterna per unione nell'aldilà.
Questo non sapere incoraggia e terrorizza, fa nascere la speranza e la fa morire subito dopo, questo non sapere sarà meglio o peggio di ciò che sapremo o che solo altri un giorno sapranno o che nessuno saprà mai?
Ma secondo voi, da quanto siamo qui?
Ci chiede Claudio, aggiungendo:” Non posso permettermi di perder tutto questo tempo senza lavorare”.

Non ho idea ma di certo non giungerò in tempo per l'arrivo dell'aereo", replica Mirko, anche Sandro ha un appuntamento con alcuni compagni e per questo pure lui ha motivo per lamentarsi.
Mi rendo conto come, sia loro che io stesso, non si abbia la percezione precisa di ciò che ci vede in questo momento protagonisti.

Ragioniamo come se stessimo viaggiando su di un treno che porta un cospicuo ritardo, come se si trattasse di una seccatura, di un disagio temporaneo e non di un qualcosa che invece potrebbe metter fine ad ogni nostro disagio.
Sarà l'attaccamento alla vita che si manifesta quando se ne vede la fine, sarà il pensiero drogato di ottimismo come quello al quale ci siamo assuefatti vedendo le immagini pubblicitarie che giornalmente ci vengono propinate ma, quasi ci crediamo veramente.
Ad un tratto dal nulla un grido: “Sta frenando!”
Ci guardiamo in faccia, in silenzio per qualche istante con tutti coloro che possiamo raggiungere con lo sguardo poi i: “Pare anche a me” si rincorrono tra ottimismo e timore.
E' vero, la sensazione che tutti hanno è giusta, il treno rallenta nel silenzio dei binari inesistenti e di ruote che neppure girano, bucando la nebbia che appare più rarefatta.
Siamo tutti con gli occhi incollati ai vetri, qualcosa dovrà pur vedersi, qualcosa dovrà pur esserci oltre quella coltre grigia la fuori.
Paura dell'ignoto, ecco cosa schianta il nostro stomaco, percorre i nostri nervi e si impossessa dei nostri pensieri, la paura di tutte le paure che girano da tempo dentro di noi.
Sì, è giunto il momento, la carrozza è ormai ferma e la nebbia dolcemente si sposta trasportata da un vento leggero che quasi sentiamo soffiare.
Si mostra così ai nostri occhi un paesaggio ancora confuso nei colori pastello che filtrano da un velo di grigio che a poco a poco comincia a cadere.

Si vedono le montagne, i prati verdi, un fiume che scende tranquillo verso il lago e le colline che sovrastano il mare al quale fanno corona degli scogli appuntiti e spiagge dorate.
E' un mondo incredibile di magia c'è tutta la natura compresa in un solo sguardo, lo guardiamo estasiati mentre la nebbia che si dissolve ci permette di metterlo a fuoco in tutta la sua bellezza, compaiono così anche delle figure che liberate dal vento, prendono una forma più precisa e mostrano la loro fisionomia.
Si apre la porta della carrozza senza rumore, come una tenda di sipario che schiude lo spazio in quel mondo incredibile, ci sono passeggeri che mettono la testa fuori ma senza l'ardire di scendere.
Dal vetro abbassato del finestrino del nostro scompartimento, vedo avvicinarsi una figura che, in lontananza mi pareva mio padre ma che, la razionale incredulità mi suggeriva non poter essere vero.
Si avvicina ancor più alla porta spalancata, ora non ho più dubbi e preso dall'emozione più grande grido sui visi di Claudio, di Sandro e di Mirko girandomi di scatto per correre verso la porta: “E' mio padre!”
Arrivo sui gradini ed è lì a pochi passi da me nel suo vestito più bello, quello che paradossalmente si indossa nel giorno più brutto, e mi sorride allungando appena il braccio verso di me mentre nella mano dell'altro, stringe una sciarpa ripiegata a metà.
La mente mi vola all'ultimo ricordo che ho di lui a quell'immagine fissata nelle parole che gli scrissi quando lo lasciai, con la speranza di ritrovarlo un giorno.
Devo dirti addio e con te dico addio ad una parte di me, una parte che tenevo nascosta nel cuore e che forse neppure io credevo fosse così grande".
Pensavo che questo momento non dovesse mai arrivare, ti vedevo forte, vivace, invincibile ed eterno, sapevo che c'eri e pensavo ci saresti stato per sempre.
Invece te ne sei andato in punta di piedi, in silenzio, senza farti sentire, così come avevi vissuto, lasciandomi una vita di ricordi che terrò solo per me.
Tieni stretta la sciarpa che ho voluto metterti tra le mani, lasciala solo per stringermi ed accarezzare nuovamente
le mie, appena ci incontreremo di nuovo”.
Allora ha letto, penso tra me e me, mentre mi accingo a scendere quei due gradini che ci separano, è venuto qui per incontrarmi, per riabbracciarmi, per raccontarmi, per stare un po' con me ed allora questo viaggio che, fino a poco tempo fa, mi aveva creata sofferenza si è rivelato la gioia più grande.
Tocco appena con la scarpa l'erba del prato che accoglie il treno ed avverto una forza grande, quasi severa che mi trattiene imponendomi di risalire, non capisco il perché e sono contrariato.
Allora mio padre che, sembra accettare meglio di me questa volontà imposta, fa un passo indietro tirando indietro il suo braccio teso e con un sorriso di amaro distacco e di tenera gioia assieme mi dice: “
Il tuo viaggio non è ancora finito, torna indietro e cerca di fare un buon viaggio”.
Sono deluso, triste, sento gli occhi che vorrebbero allagarsi e la gola stretta da un nodo che è salito fin lì e mi impedisce il respiro, come negli addii di altre stazioni, è un dolore forte e sarebbe mortale se mio padre rimanesse li fermo fino alla partenza del treno.

Si allontana invece nei primi fumi di nebbia che sta per ritornare, senza volgersi indietro, senza che io possa dire nulla, fare nulla, come nulla potei fare quando sfiorandomi la mano si allontanò da me e pensavo fosse per sempre.
La porta del treno è ancora aperta e continuando a guardare finché avrei potuto guardare, vedo una persona scendere dalla porta dell'ultima carrozza, come stavo facendo io prima che mi fosse impedito.
Scende tranquilla e qualcuno l'accoglie con il braccio proteso nessuno la ferma mentre insieme si incamminano in quel posto che sa di irreale.
Ero certo e tutti lo eravamo, mentre guardavamo quella scena, che nessuno fosse rimasto da solo su quell'ultimo vagone, c'è un passeggero affacciato al finestrino che si sente di garantirlo mentre, molto lentamente, anche la porta a qualche centimetro dalla mia testa, impietosa si chiude.
Mi ritraggo perché mi manca la forza di fare altro, di buttarmi giù, di fare ciò che passa per la mente ogni volta che una porta di treno si chiude sul viso di qualcuno.
C’è dolore in ogni addio, il mondo ci cade addosso quando le parole non escono e mai, comunque, sarebbero sufficienti per dire, in quell’istante, ciò che per mille ragioni, senza una vera ragione, non siamo riusciti a dire quando il tempo ci sarebbe stato.
La porta è chiusa e, la nebbia scende sul treno come sul mio cuore che ha persa la voglia di pulsare.
Sono stravolto dai pensieri e nei pensieri che neppure riesco a pensare, sto ancora troppo male dentro per capire, troppo male fuori per essere lucido, quel troppo male che disconnette il cervello per salvaguardarlo.

Le voci di tutti mischiate fra tutte, a dire di quella persona scesa, sola da un posto in cui non doveva essere, perché non c'era nessuno, giurano i passeggeri che, da lì si sono spostati per venire nella prima carrozza.
Mi vado a sedere ordinato al mio posto, di fronte c'è Sandro, il ragazzo del centro sociale, vicino a lui Claudio, l'uomo senza una fissa dimora, vicino a me Mirko che sta andando dalla sua ragazza ma nessuno dice più nulla.
Ci guardiamo senza la consapevolezza di farlo, il cervello è disgiunto dagli occhi, perso in quella nebbia che, di nuovo, si è impossessata di un treno che riparte veloce senza rumore.
Apro gli occhi di colpo.
Meno male, devo essermi addormentato un attimo, son solo nella mia poltroncina in favore della direzione del treno, e poi anche se ci fosse stato qualcuno mica potrebbe sapere dove sarei dovuto scendere.
Sono quasi arrivato, il convoglio esce ora dalla galleria, ecco i lampioni con le sfere di luce bianca, non piove neppure, mi pare, meglio così non devo neanche aprire l'ombrello.
Sta per fermarsi e mi accingo a scendere, la porta del mio vagone si apre molto più in la dell'uscita della stazione, non sale nessuno dalla mia porta troppo lontana dalla comodità.
C'è poca gente ed il treno riparte in fretta, oppure, sono io che non ne ho per nulla e me la prendo adagio, guardo le carrozze che sfilano in direzione opposta alla mia, vedo visi assopiti e assonnati in pagine di giornale.
C'è un ragazzo coi capelli rasati, solo, in uno scompartimento ha l'aria delusa da una vita che delude un po' tutti ma lo penso impegnato forse anche politicamente, forse fa del volontariato, chissà ma ho questa impressione.
Nei finestrini che corrono sempre più veloci passano altri visi che vedo di sfuggita, un uomo con i capelli raccolti in un codino che conta qualche spicciolo ed un altro con gli occhiali che controlla un foglio che chissà perché penso di qualche coincidenza di treni.
Mi guardo intorno svagato, immerso nei miei sogni, quando incontro gli occhi di una signora che, per un attimo, mi guarda come se mi conoscesse ed io, per un attimo, ho la stessa sensazione poi, come se entrambi avessimo capito trattarsi di un errore causato da una sveglia troppo precoce, continuiamo la nostra strada.
A lei viene incontro un'altra signora e dopo un saluto, si rifugiano velocemente nel bar della stazione, a me non verranno incontro che vie deserte di foglie bagnate da una pioggia recente.
Guardo un attimo il cellulare per regolarmi con l'ora, 5.43, preciso come un “treno svizzero”, noto la data, oggi è il 9 novembre il compleanno di mio padre, ieri mi è venuto in mente, forse è per questo che devo averlo sognato stanotte.
Oggi, quando andrò da mia mamma le racconterò di aver avuta la visione di lui, sereno, in un posto bellissimo nel quale io stesso vorrei stare, come una S. Margherita trasportata in Trentino, col mare e la montagna, un paradiso insomma.
Già, un paradiso, ed io invece son qui che vado al lavoro, in una giornata che sa di sonno e di inutilità, vabbè è così, poi in fondo, c'è sempre qualcuno che sta peggio di me e, qualcuno che, peggio ancora, non ha potuto assistere al miracolo del proprio risveglio.
Cammino, solo coi miei pensieri, in quelle strade sole, passo l'ombrello chiuso nell'altra mano infilando quella libera in tasca, scontro la cerniera col dito che mi fa sentire un tagliente fastidio, guardo il dito che sanguina da una ferita non ancora rimarginata.
Non è possibile che mi sia tagliato ora con la cerniera che non è tagliente, eppure stamattina lavandomi non mi sono fatto male, anzi non avevo proprio alcuna ferita, quando sono uscito di casa.
Capisco la mia distrazione ma, non riesco proprio a ricordare come e dove mi sia fatto quel taglietto che fa sanguinare il dito e che dovrò tamponare col fazzoletto.
Infilo una mano in tasca, ecco lo tamponerò con questo fazzolettino di carta che di sangue è già macchiato, però è strano, ma quando mai ce l'avrò messo in tasca un fazzolettino di carta delle ferrovie?

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Commenta il Post:
* Tuo nome
Utente Libero? Effettua il Login
* Tua e-mail
La tua mail non verrà pubblicata
Tuo sito
Es. http://www.tuosito.it
 
* Testo
 
Sono consentiti i tag html: <a href="">, <b>, <i>, <p>, <br>
Il testo del messaggio non può superare i 30000 caratteri.
Ricorda che puoi inviare i commenti ai messaggi anche via SMS.
Invia al numero 3202023203 scrivendo prima del messaggio:
#numero_messaggio#nome_moblog

*campo obbligatorio

Copia qui:
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963