Creato da: lontano.lontano il 22/01/2008
la poesia, la musica ed il loro contrario.

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C'era una volta il west- Il mio sogno

 

Eravamo nel 1968 ed io
dodicenne mi guardavo intorno
per capire cosa stessi cercando,
cosa volessi ma soprattutto,
chi fossi.
Un adolescente che vedeva
intorno a sè un mondo
cambiare, forse in maniera
troppo rapida per capire, forse
in maniera troppo lenta per i
sogni che si hanno in mente a
quell'età.
Un mondo nuovo arrivato
addosso, che portava
con sè nuove parole, nuove
mode, nuova musica.
Ascoltavo come tutti in quegli
anni la prima radio "libera",
quella Radio Montecarlo che
si faceva preferire ai canali
Rai a cui per forza di cose
eravamo legati.
Ricordo tutte le canzonette
dell'epoca e non mi vergogno
nel dire che molte non mi
dispiacciono neppure ora.
Arrivavano i primi complessi
stranieri di una certa
importanza e i compagni
di scuola si buttavano a
comprare i loro dischi.
Io continuavo ad ascoltare
tutto ciò ma li ascoltavo solo,
non li sentivo, non mi
riconoscevo, nulla era ciò
che stavo cercando, ero solo
sballottato da sonorità che
non mi prendevano e poco
mi appassionavano.
Un giorno mi capita di
ascoltare questo tema, per
caso arrivato fino a me, una
musica che mi ha attirato a sè
o per meglio dire mi ha
attirato a me, una musica che
è stata lo specchio della mia
anima, una musica che è
diventata mia proprio come
io diventavo suo.
Non sapevo da dove venisse,
non immaginavo neppure fosse
una colonna sonora, non
sapevo dove andarla a ritrovare.
L'ho cercata, l'ho scovata ed è
con me da quarant'anni, non
potrei fare a meno di lei perchè
perderei la parte migliore di me,
sarebbe come specchiarsi e non
vedersi, sarebbe come mangiare
e non nutrirsi, sarebbe come
vivere senza pensare.
Io per mia natura non sono
geloso, perchè penso che la
gelosia, in fondo, non sia che
la nostra insicurezza che ci
fà credere di non esser
all'altezza di sostenere una
comparazione con qualcuno
che, diamo già per scontato,
esser meglio di noi.
Lo sono però verso questa
musica che sento mia e solo
mia e non mi fà molto piacere
se altri mi dicono di
riconoscersi in lei, sarebbe come
vedere all'improvviso spuntare
un nostro replicante mentre fino
ad oggi credevamo di essere unici.
La capisco e lei mi capisce, mi
prende per mano e mi porta in
posti tranquilli, mi asciuga
gli occhi dalle lacrime
dopo averli bagnati,
così senza neppure un perchè,
mi stringe forte la gola
togliendomi quasi il respiro,
facendomi male ma
riportandomi in vita.
Chi mi vede quando sto con lei
mi dice che cambio espressione,
che mi perdo in un mondo
lontano, che trattengo,
senza riuscirci, un'emozione che
raramente mi capita di avere.
E' vero, e non chiedetemi perchè,
non saprei rispondere,
non si motivano le sensazioni,
non si riescono a spiegare
i tumulti del cuore,
non si sà nulla degli
sconvolgimenti dell'anima,
non si razionalizza l'amore.
Una dolcezza infinita che
mi prende la mente e
se la porta con sè e non sono
più io, proprio quando sono
più io che mai,
mentre io divento lei e
lei diventa me, uniti in un sogno
che finirà solo quando
non avrò più la forza per sognare.

 
 
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Messaggi di Dicembre 2016

 

Domanda originaria.

Post n°304 pubblicato il 01 Dicembre 2016 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Quando mi accingo a scrivere, ho nella mente soltanto un pensiero non ancora ben definito, che vi è entrato in maniera autonoma, all'apparenza, e, forse, è proprio per questo che avverto l'esigenza di vederlo trasformare in parole che, una dopo l'altra prendon vita sullo schermo del computer.
Stavolta, è ancora più difficile perché, ho nebuloso persino quell'embrione concettuale che, come sempre, non so dove andrà a finire, ma stavolta, non so nemmeno dove possa cominciare.
Vi chiederete allora perché mi metta a scrivere in conseguenza di questa premessa, ma la risposta è meno difficile di quanto pensiate.
Scrivo perché sono di fronte alla riflessione originaria e definitiva e sento l'esigenza inderogabile di liberarmi di un concetto che, se non affrontato, me ne impedirebbe ogni altro successivo.
Negli articoli precedenti ho trattato delle domande esistenziali, del come noi si viva, delle cose belle e di quelle brutte che appartengono al nostro vivere, delle cose semplici o complicate nelle quali, noi tutti, poveri mortali, ci vediamo accomunati.
Ora però, mi rendo conto che, le poche domande a cui ho tentato di dare una risposta, e tutte quelle per le quali risposta non ho, non hanno senso, se non ci si pone la vera domanda. Che è questa:
Se tutta la storia del mondo gira intorno al potere e al denaro, perché chi ha raggiunto tale condizione non si ritiene appagato?
Mi spiego meglio; chiedetevi perché non bastino più le piccole menzogne, utili a mantenere l'egemonia su tutto, ma ci mentano anche sui massimi sistemi, quelli che, all'apparenza o, in concreto, non andrebbero ad intaccare il loro stato.
Mi chiedo, e vi chiedo: Per quale motivo, dopo averci resi sudditi ossequiosi, dopo averci depredati di ogni nostro avere (anche, e soprattutto, intellettuale), dopo averci resi schiavi, abbiano arruolata anche la “scienza” per ingannarci ulteriormente?
Per fare qualche esempio concreto: Per il potere mondiale, che l'umanità sappia o non sappia cosa nasconda la faccia oscura della luna, che sia il sole che si sposta e non la terra, o che noi si viva su una trottola che gira in eterno, piuttosto che su una superficie piatta e immobile, cambia qualcosa?
Certo, qualcuno potrà lucrare anche su questo ma, tali esseri mediocri, sono l'ultimo anello della catena, sono gli schiavi carcerieri di altri schiavi, sono quelli che mettono sul mercato quel poco che hanno da vendere, e lo fanno, miseramente, per poche monete.
Non contan nulla e, sarebbe cosa saggia, non conceder loro ulteriore credito, ma non sono loro che ci interessano per darci qualche risposta.
Dobbiamo, invece, riflettere in maniera diversa.
Al potere fa comodo il pensiero omologato mentre è terrorizzato da quello libero, fa buon gioco l'assuefazione allo stabilito, mentre teme la non accettazione della regola, neppure quella concettuale.
Chi domina teme la consapevolezza del dominato.
Il perché è semplice, chi non si rende conto del proprio stato, mai potrà affrancarsi da esso.
Soltanto se sappiamo, o ipotizziamo, che ci sia una strada alternativa, potremmo cercarla; se, invece, ci dimostrano, anche in maniera assurda, convincendoci, che esiste un unico sentiero, per cui ogni altra via sia irreale, non ci affanneremo di certo a cercarla.
Ma è tutto qui?
Se il potere mondiale, uso questa definizione perché non ne so trovare un'altra, possiede già tutto e può stamparsi tutto il denaro che vuole, oltre a tutto quello che già ha tolto a noi, perché non gli basta questo, in aggiunta alla nostra schiavitù?
Quale logica, illogica ispira un comportamento che va oltre il profitto economico, oltre quello della psicosi del dominio, un agire che supera ogni altra umana pulsione?
La risposta è solo una, se ci han già presa ogni cosa concreta, vedi le nostre braccia, i nostri cervelli, le nostre vite, quello che voglion prenderci non può che trattarsi di cosa astratta: le nostre anime.
Ma da qui nasce una seconda domanda: Un umano, che cosa se ne fa di un'anima umana?
Toglier l'anima ad una persona significa renderla inanimata, far di un esser cosciente un burattino, un fantoccio, privarlo del libero arbitrio, della sua forza e della sua energia vitale, declassarlo ad entità inesistente.
E quando questo accade un umano che tornaconto ha?
Probabilmente non ha alcun movente logico.
A mio parere, non esistono motivi, c'è qualcosa che va oltre il desiderio dell'uomo, c'è qualcosa di sovrumano che ci vuole inanimati, tutti, compresi i burattinai che hanno in mano i fili di noi burattini.
Potrei immaginare un patto tra potenti, il potere terreno da una parte e quello extra terreno dall'altra, uniti per convenienza, magari con opposti, ma convergenti interessi.
L'interesse di lasciare l'umanità nel limbo della non conoscenza, o peggio ancora, zittendo con ogni mezzo tutte le voci di dissenso.
Non farci sapere nulla del mondo vero, negando ogni teoria valida per dar credito soltanto a quelle che fan loro comodo, farci vivere nella menzogna per l'inspiegabile terrore di svelare ogni verità.
Farci morire senza aver saputo nulla del mondo che abbiamo abitato, ignorandone la struttura e persino la forma, morire avendo la sola certezza che sia stata menzogna ogni cosa che ci hanno raccontata.
Non riesco ad essere più razionale di così, non riesco a capire cosa nasconda questo enigma, non riesco a spinger oltre questo mio pensiero.
Troppe cose sono strane e poco credibili, troppe cose son inequivocabilmente false e troppe falsità son gridate così forte con lo scopo di farle diventare vere.
C'è il volere di qualcuno o qualcosa che ci ha messi qui, in questo teatro surreale a recitare una commedia che è farsa e tragedia, in un'illusione cosmica e concettuale.
E' uno spettacolo da baracconi, dove si entra nel padiglione della grande illusione e, tra specchi che deformano la realtà, immagini tridimensionali che fan credere che sia ciò che non è, prospettive falsate e lenti deformanti, tolgono al visitatore il contatto con la realtà.
Il nostro problema è che non stiamo solo visitando un padiglione per poi uscirne un po' frastornati, noi in quel padiglione siamo condannati a starci in eterno, se non avremo la forza di renderci conto di dove realmente siamo, con la consapevolezza che, l'illusione è solo un trucco che può essere smascherato.

 
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Addio.

Post n°305 pubblicato il 08 Dicembre 2016 da lontano.lontano
 
Tag: addio
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Non dirò mai addio, perché non è soltanto una parola.
Addio
, è un modo per star male, oltre il male che già c'è.
Non la dirò perché è qualcosa di definitivo, qualcosa di finale, che va oltre la fine, anche se fine mai non c'è, neppure quando, poi tutto finisce.
E' una parola che non ha pietà, ché ti colpisce, nonostante tu sia già inerme a terra.
Non ti finisce, come lealtà vorrebbe, ti uccide, si, ma poco a poco, con sadico dispetto.
Addio, è una panchina fredda, abbandonata li, sul marciapiede di una caotica stazione.
Son le tue mani che stringono il dono del ricordo, perché c'è sempre un dono, da stringere, quando te ne te ne devi andare.
E' una figura che vedi allontanarsi, con le mani che sembrano andar distratte sui capelli, facendosi violenza per non dovere più voltarsi.
Son gli occhi che, umidi, fissano nel vuoto, lo stesso vuoto che ormai è dentro di te.
E' quel freddo gelido, oltre l'inverno, oltre il tempo, ora immobile, ma che, troppo lesto ormai, se n'è già andato.
Addio è un mondo a parte; dal mondo di tutti ormai troppo distante.
Un mondo che ti passa accanto e che neppur ti vede, perché non esisti per nessuno, tranne, per chi l'ha pronunciato, e per il tuo tormento.
Addio, sono le lenzuola bianche di un letto di dolore.
E' quella fiammella che vedi spegnersi lenta, per poi andar ad accendersi, la, dove c'è sempre luce.
Addio, è il viaggio che ti porta indietro nel passato, per poi scaraventarti in un futuro fatto solo di ricordi.
Non dirmi mai addio perché io non te lo dirò.
Se vuoi andare vai e non ti fermerò, puoi anche non dir nulla, puoi anche dirmi tutto, e poi ancor di più, ma non mi dire addio.
Non dirmi addio perché, intanto, io mai ti scorderò.
Sarai accanto a me, benché lontana e, se non si dice addio,
mai nulla finirà, anche se tutto potrà sembrar finito.

 
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E' tutta illusione.

Post n°306 pubblicato il 14 Dicembre 2016 da lontano.lontano
 
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Illusione, è solo una grande, enorme illusione.
E tu non te ne accorgi solo perché ne fai parte.
E' tutta illusione, soltanto una grande illusione.
Non te ne accorgi solo perché non ci pensi.
Sei convinto che tutto sia vero, solo perché ti hanno imposto questo pensiero.
Ma se ti liberi del pensiero obbligato, credi ancora che sia tutto vero?
E' tutta illusione, soltanto una grande illusione.
Guardati intorno, non ci sono verità, ci son solo teorie.
Una teoria è soltanto un'ipotesi tra le tante,
E' solo una bugia di pochi, spacciata per verità per i tanti.
E' tutta illusione, soltanto una grande illusione.
Guardati intorno e poi guarda dentro di te,
se non vedi le stesse cose, hai pensato il motivo qual'è?
Ti sei mai chiesto dove sia la verità vera?
Hai mai pensato che possa esser celata da quella non vera?
Hai mai trovata su una mappa l'isola che non c'è?
Ma se ci fosse l'isola e non ci fosse la mappa, cosa penseresti?
E se ci fosse l'isola e ci fosse pure la mappa ma ti fossero celate?
Cosa penseresti?
E tu, se solo per averlo pensato, al di fuori del comune pensiero, fossi denigrato e deriso, riusciresti a non pensare che tutto intorno a te, non sia illusione, soltanto una grande illusione?

 
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Fatti non foste.

Post n°307 pubblicato il 16 Dicembre 2016 da lontano.lontano
 
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Considerate la vostra semenza: Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".
E' una delle terzine di Dante maggiormente conosciute e citate; per la cronaca, fa parte del canto 26° dell'inferno, su cui non mi dilungherò perché lo potete reperire facilmente in internet.
A me piace particolarmente ma, secondo le mie attuali concezioni, la ritengo inesatta e negatrice di una, a parer mio, consolidata verità.
Sostengo, infatti, una tesi opposta a quella dantesca:
Proprio se consideriamo la nostra “semenza” ovvero le nostre origini, il motivo per il quale ci troviamo qui, capiamo chiaramente che fummo esattamente prodotti “a viver come bruti”.
Dante non poteva concepire che la nostra sorte era quella di essere manovalanza schiava, non poteva immaginare che altri esseri, tramite l'ingegneria genetica, creassero una specie utile per essere asservita.
Nasciamo quindi schiavi e non come specie libera però, e qui Dante ha ragione, qualora ci fossimo affrancati dalla tirannia, avremmo il sacrosanto diritto, se non proprio il dovere, di seguir virtute e canoscenza”.
Che poi significa che, tramite le nostre doti intellettuali e le nostre possibilità cognitive, dovremmo ricercare la vera conoscenza ed il vero sapere, in una parola, la verità in ogni settore della nostra esistenza.
Purtroppo non è così, per cui, appare palese, che la nostra totale liberazione non si sia ancora definitivamente concretizzata.
La domanda che mi pongo è chi siano coloro che ancora ci tengono schiavi.
Saranno “quelli la” che ci hanno originati, in prima persona o dei loro tramiti, tipo i prefetti ai tempi dell'impero romano, oppure degli schiavi come noi, diventati nostri schiavisti?
Il campo delle ipotesi è affascinante ma la risposta, qualora possibile, attualmente è ancora lontana dall'esserci data.
E' certo che, data la manipolazione evidente di ogni verità, ci sia qualcuno che stia agendo affinché' la nostra “virtute e canoscenza"sia nascosta ai nostri occhi, come potrebbe esserlo un chicco di riso in un deserto sabbioso.
A causa del nostro atavico asservimento, non riusciamo neppure ad accorgerci di questo, non riusciamo a capire che, tutto ciò ci viene inculcato nella mente, altro non è che un continuo depistaggio.
Dante ci esorta ad esser soggetti e non oggetti, ci induce al risveglio dopo un letargo che da troppo tempo dura, ci sprona a distinguere il vero dal falso e a non uniformarci al pensiero unico.
A questo proposito, ricordo a tutti che, il sommo Poeta, odiava particolarmente l'atteggiamento di tutti coloro che non hanno mai agito né nel bene né nel male, senza mai osare avere un'idea propria, ma limitandosi ad adeguarsi sempre a quella del più forte.
Per questo, volle punirli sistemandoli nell'Antinferno, tra gli “Ignavi”, dove sono costretti a girare nudi per l'eternità inseguendo un'insegna che corre velocissima e gira su se stessa, punti e feriti da vespe e mosconi, col loro sangue che, mescolato alle loro lacrime, viene succhiato da fastidiosi vermi.
Personalmente, penso che potrei finire in altri gironi ma, certamente, non in questo, chiedo a voi se vi convenga rischiare una simile pena, o non sia meglio, una volta tanto, oltre che, in ragione di questo, pensare con la vostra testa.

 
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Favola di Natale.

Post n°308 pubblicato il 20 Dicembre 2016 da lontano.lontano
 
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Questa, che sto per raccontare, è una storia vera, realmente accaduta ma, in questi giorni particolari, mi piace vederla come un favola.
Le favole son storie che lasciano a bocca aperta chi le ascolta e, a parer mio, devono sempre avere un lieto fine, e questa non fa eccezione.
Mi piace immaginare di raccontarla davanti al caminetto, mentre la neve scende, dietro ad una finestrina di una stanza con il tetto di legno.
Nell'atmosfera propria del Natale, come un dono da trovare, sotto un albero addobbato coi colori della festa.
Non importa quanti anni fa, ma certo pochi non sono.
Era ormai sera avanzata e mi trovavo in una stanza affollata della chat, quando, ad un tratto, mi si aprì una finestra di conversazione.
Avvertii distintamente che colei che mi stava scrivendo era, una persona giovane, quasi, una ragazzina.
Una volta che ne ebbi la conferma, la invitai a non scrivere con me, ma di contattare dei coetanei.
Lei insistette nella sua scelta ed io nella mia, fino a quando, le chiesi di spiegarmi il motivo della sua ritrosia nello scegliere persone della sua età.
Mi disse di aver tentato un dialogo, ottenendo però solo delle chiusure non appena gli interlocutori erano messi al corrente che lei era gravemente ammalata.
A quel punto, capii che non sarebbe stato giusto lasciarla nella solitudine di quella situazione, per tener fede alla regola che mi ero dato, ovvero quella di non scrivere con persone molto più giovani di me.
Da quella prima sera scrivemmo assieme ogni sera, fino a quando la forze le consentivano di farlo, fino a quando la debolezza le chiudeva gli occhi nel sonno.
Scriveva dal suo letto, spesso, con la flebo che, goccia a goccia, portava un po' di nutrimento in un corpicino straziato dalla malattia.
Mi sforzavo, non, di farla sperare nella guarigione ma, di credere fermamente nella sua concretizzazione, mi sforzavo, nel fare in modo che io, neppure per un secondo, avessi il minimo dubbio su quelle mie parole.
Non era facile, perché avvertivo che, nonostante i suoi sforzi immani, il suo fisico non riusciva a sostenerli e, l'energia della sua mente era sufficiente solo per la sua sopravvivenza.
Parlavamo della possibilità, dopo la fase più critica, di gite in montagna o di passeggiate al mare, di stagioni colorate o di luoghi da visitare, di un domani di cose da fare ma, soprattutto, di un domani, possibile.
Non un domani assieme, ma al suo domani, alla sua vita, staccata e autonoma dalla mia, alla sua futura esistenza, diversa dalla sua attuale esistenza
Non sapevo cosa farle sognare, ma sapevo che doveva sognare, sapevo che, solo da un sogno avrebbe avuta la forza per vivere la realtà.
Le chiedevo se avesse mangiato qualcosa, sperando che le fosse possibile farlo, almeno un pochino, mi rispondeva mentendo, sperando, che io credessi alla sua rassicurante bugia.
Ogni sera passava così, con la realtà da trasformare in sogno, ed il sogno da trasformare in realtà.
Mi chiedeva, senza mai chiedere, il coraggio e la forza per andare avanti, io la invitavo a credere, al di la di ogni possibile dubbio, che le potenzialità della sua mente le avrebbero consentito di mutare un destino già segnato.
Io ci credevo, o volevo fermamente crederci, lei mi seguiva su questa via e voleva crederci quanto me, nonostante i dubbi che il dolore provava, malignamente, a risvegliare in lei.
Una sera, dopo aver parlato di ciò che c'è o ci sarà, mi chiese: “Ma come sarà di la, cosa potrei trovare se ci andassi”?
Rimasi bloccato, senza parole, senza idee, senza vita per dei secondi lunghi come dei secoli.
Dopo averle fatta sognare una vita qui, avrei dovuto farle sognare una vita da un'altra parte?
Forse si, anzi, certamente si, perché sarebbe stato un sogno in più, e non la negazione del sogno primario.
Le dissi, allora, che la mia visione non l'avrebbe riguardata, ma che l'argomento era affascinante a livello puramente fantastico, e avremmo potuto immaginarlo assieme.
Fu così che mi inventai il paradiso.
Mi inventai un posto da favola, in una favola che è sempre rimasta tale, un posto da poter inventare senza temere di essere smentiti, un posto da inventare a piacimento, perché, se pure il paradiso, fosse conforme solo alle altrui aspirazioni non sarebbe certo un paradiso ma un inferno.
Montagne innevate, ruscelli che scendono verso boschi e prati di un verde incredibile, un rifugio dove poter riposare dopo aver contate le stelle del firmamento ed aver riempito di parole la luna.
Isole di sabbia, e palme che danno un po' di tregua ai raggi del sole, frutti da cogliere da alberi che solo il vento del sogno avrebbe potuto far arrivare fin li, acqua di mare talmente limpida da esser senza un proprio colore, e per questo, rubare quello del cielo.
Immersa in questi sogni, una sera mi disse che, per un tempo, senza tempo non ci saremmo più scritti.
Doveva essere ricoverata in una clinica e il capitolo del suo libro sarebbe stato tutto da scrivere o forse il libro sarebbe stato da chiudere su quella pagina.
La cercai ogni sera, per lunghi mesi fatti di speranza ma, mai, di accettazione di ciò che poteva far pensare ad un ovvio destino, perché sapevo, ero convinto, non volevo con tutte le mie forze, che quel destino dovesse essere.
Ad ogni finestra di conversazione che si apriva il cuore batteva più forte e quando si calmava alla vista di un nome diverso, in mezzo ad altre parole raccontavo questo pezzetto di storia.
Una persona di queste, chissà perché e chissà per come, una sera, contattando un amico, chissà per quale distrazione, cliccò su un nome simile ma al femminile.
Si mise a parlare con questa ragazza che, chissà perché e chissà per come, le chiese se conoscesse una persona che stava cercando ma del quale, a causa delle cure intraprese, non ricordava che il nome di battesimo.
Non mise molto tempo, questa mia amica, a capire che la storia di questa ragazza combaciava perfettamente con la mia e mi chiamò all'istante.
Non l'avrei mai trovata da solo perché aveva cambiato il suo nome di chat, ma chissà perché e chissà per come, il destino o chi per lui aveva scelta quella strada per farci incontrare di nuovo.
Scrivemmo subito e capì che ero io ma non ricordava più nulla, troppe cure, troppe metodiche, troppe terapie, le avevano fatto perdere troppi ricordi, tranne quello di una persona che in tante sere, aveva sognato con lei.
Nelle sere successive, riuscii ad avere un quadro un pochino più chiaro della situazione e venni a sapere che era stata strappata alla morte grazie ad un trapianto che, da miraggio, si era trasformato in realtà.
Certo, la medicina fece molto ma, in quelle sere fatte di parole e di sogni, noi facemmo anche di più perché, quella ragazza ebbe la forza di rimanere viva fino a quando un miracolo le venne incontro.
Io feci poco ma lei fece tutto, la sua forza di volontà il suo coraggio, la sua voglia di credere oltre il credibile, la sua follia in un tale pensiero, le permisero di far attendere quel paradiso che, per quanto bellissimo fosse, sarebbe stato un delitto dover visitare così presto.
Da quella sera sono passati molti anni.
Quella ragazza è diventata una donna ed è madre di due splendide creature, una femminuccia di pochi anni ed un maschietto di otto anni, a proposito, indovinate come si chiama.
Ha la sua vita e non è mai più entrata in quella chat che ci ha fatti incontrare, ci sentiamo al telefono, quando decide di farlo, magari in questi giorni che pur essendo giorni come tutti gli altri, sono un po' diversi dagli altri.
La favola di Natale si conclude così, come tutte le favole si devono concludere, così come ci piacerebbe fare della realtà una favola o come una favola diventasse realtà.
Sembra impossibile, forse lo sarà ma, questa che vi ho raccontata è la prova che non tutte le cose impossibili debbano rimanere tali.
Provate a credere in ciò che appare incredibile, forse l'impossibile è solo illusione, forse ciò che appare non è, e ciò che è, forse, non appare.
Una persona ha creduto in un sogno, ci ha creduto tanto da farlo diventare realtà, lo ha voluto con tutte le sue forze e se lo è preso con tutta la sua volontà.
Probabilmente, i vostri sogni sono li, in attesa che voi li sogniate, provate a farlo, sono i vostri, vi appartengono, non lasciateli ad aspettare oltre.
E' Natale ormai, aprite questo dono, questi sono i giorni giusti per i sogni e i desideri, provate ad esprimerlo, forse, si avvererà.

 
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