Creato da: lontano.lontano il 22/01/2008
la poesia, la musica ed il loro contrario.

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C'era una volta il west- Il mio sogno

 

Eravamo nel 1968 ed io
dodicenne mi guardavo intorno
per capire cosa stessi cercando,
cosa volessi ma soprattutto,
chi fossi.
Un adolescente che vedeva
intorno a sè un mondo
cambiare, forse in maniera
troppo rapida per capire, forse
in maniera troppo lenta per i
sogni che si hanno in mente a
quell'età.
Un mondo nuovo arrivato
addosso, che portava
con sè nuove parole, nuove
mode, nuova musica.
Ascoltavo come tutti in quegli
anni la prima radio "libera",
quella Radio Montecarlo che
si faceva preferire ai canali
Rai a cui per forza di cose
eravamo legati.
Ricordo tutte le canzonette
dell'epoca e non mi vergogno
nel dire che molte non mi
dispiacciono neppure ora.
Arrivavano i primi complessi
stranieri di una certa
importanza e i compagni
di scuola si buttavano a
comprare i loro dischi.
Io continuavo ad ascoltare
tutto ciò ma li ascoltavo solo,
non li sentivo, non mi
riconoscevo, nulla era ciò
che stavo cercando, ero solo
sballottato da sonorità che
non mi prendevano e poco
mi appassionavano.
Un giorno mi capita di
ascoltare questo tema, per
caso arrivato fino a me, una
musica che mi ha attirato a sè
o per meglio dire mi ha
attirato a me, una musica che
è stata lo specchio della mia
anima, una musica che è
diventata mia proprio come
io diventavo suo.
Non sapevo da dove venisse,
non immaginavo neppure fosse
una colonna sonora, non
sapevo dove andarla a ritrovare.
L'ho cercata, l'ho scovata ed è
con me da quarant'anni, non
potrei fare a meno di lei perchè
perderei la parte migliore di me,
sarebbe come specchiarsi e non
vedersi, sarebbe come mangiare
e non nutrirsi, sarebbe come
vivere senza pensare.
Io per mia natura non sono
geloso, perchè penso che la
gelosia, in fondo, non sia che
la nostra insicurezza che ci
fà credere di non esser
all'altezza di sostenere una
comparazione con qualcuno
che, diamo già per scontato,
esser meglio di noi.
Lo sono però verso questa
musica che sento mia e solo
mia e non mi fà molto piacere
se altri mi dicono di
riconoscersi in lei, sarebbe come
vedere all'improvviso spuntare
un nostro replicante mentre fino
ad oggi credevamo di essere unici.
La capisco e lei mi capisce, mi
prende per mano e mi porta in
posti tranquilli, mi asciuga
gli occhi dalle lacrime
dopo averli bagnati,
così senza neppure un perchè,
mi stringe forte la gola
togliendomi quasi il respiro,
facendomi male ma
riportandomi in vita.
Chi mi vede quando sto con lei
mi dice che cambio espressione,
che mi perdo in un mondo
lontano, che trattengo,
senza riuscirci, un'emozione che
raramente mi capita di avere.
E' vero, e non chiedetemi perchè,
non saprei rispondere,
non si motivano le sensazioni,
non si riescono a spiegare
i tumulti del cuore,
non si sà nulla degli
sconvolgimenti dell'anima,
non si razionalizza l'amore.
Una dolcezza infinita che
mi prende la mente e
se la porta con sè e non sono
più io, proprio quando sono
più io che mai,
mentre io divento lei e
lei diventa me, uniti in un sogno
che finirà solo quando
non avrò più la forza per sognare.

 
 
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Messaggi del 11/01/2015

 

Tragicamente bello - 1^ parte

Post n°240 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Le parole “pianeta” e “mondo”, per certi versi, potrebbero esser sinonimi.
Abitiamo il nostro mondo che è la Terra, non siamo né sulla Luna né su Marte, e la Terra è il nostro pianeta, fin qui non ci son dubbi però, mai facciamo riferimento al nostro pianeta e sempre, invece, al nostro mondo.
Perché non equipariamo i due termini, perché non li assimiliamo nei nostri discorsi e li alterniamo come succede per altri vocaboli?
Semplicemente perché non sono sinonimi perfetti, perché non sono sovrapponibili, perché nella nostra mente e nel nostro pensiero hanno riferimenti diversi, perché avvertiamo quella differenza sostanziale che, così fortemente, li caratterizza, diversificandoli.
Se pensiamo al nostro pianeta, se chiediamo una trasposizione immaginifica alla nostra mente, subito ci appaiono rappresentazioni di rara bellezza e sensazioni di serenità e appagamento.
Montagne innevate con ai piedi boschi verdi e ordinati e, più sotto, prati di un verde più chiaro di quello del bosco e, freschi, tranquilli, limpidi ruscelli che finiscono la loro corsa in laghi di un blu che fa invidia a quello del cielo.
Atolli lussureggianti che si impadroniscono di un pezzo di mare calmo
che, delicatamente, silenziosamente, si appoggia sulla spiaggia di sabbia fine e chiara.
Immagini che conducono dritto dritto alla nostra idea di paradiso terrestre, quell'associazione tra natura e beatitudine che si lega ai ricordi delle lezioni di catechismo frequentate in età adolescenziale.
La parola “pianeta” esprime però anche la perfezione matematica, è didascalica, richiama cifre e dati, è inumana e distaccata come inumani e distaccati sono i numeri.
Nel nostro immaginario il pianeta è una palla che ruota nel cosmo, è natura incontaminata, è solitaria, angosciante sensazione di impotenza, è cosa lontana anche se vissuta giornalmente; può far pensare alla presenza di un dio qualunque ma, non a quella dell'uomo.
E' il fattore umano la discriminante, è l'uomo che fa del nostro pianeta il nostro mondo, che lo completa, e lo toglie dall'immobilismo estatico, che lo umanizza ma, nel contempo, lo disumanizza.
Il mondo è la nostra sfera ambientale, è dove agiamo ed interagiamo con i nostri simili, è il luogo in cui ci rifugiamo ed il luogo dal quale vorremmo fuggire.
E' l'insieme delle abitudini e delle consuetudini, è ciò che realizziamo e ciò che distruggiamo, è dove rincorriamo i sogni e viviamo gli incubi, è dove l'uomo domina sugli altri esseri viventi con la folle bramosia di dominare anche gli elementi.
Così l'uomo rovina tutto, distrugge il pianeta ed il proprio mondo, rovina se stesso, si condanna ad un'esistenza infelice; fa di quel paradiso terrestre che poteva essere, l'inferno che mai avrebbe dovuto essere ma che, invece, malinconicamente, drammaticamente è.
Son del parere che la causa sia da imputarsi ad un genoma umano alterato, un'anomalia nel meccanismo mentale, un difetto incorreggibile dell'apparato pensante che ne pregiudica il corretto funzionamento e non gli consente di vivere in armonia col creato.
Riavvolgiamo il nastro del tempo fino al punto in cui, l'uomo, ha cominciato ad organizzarsi e a vivere in comunità per ragioni di convenienza, perché l'unione fa la forza, perché la collaborazione facilita il lavoro ma, soprattutto, perché l'uomo, nonostante tutto, è un animale sociale.
Vivere in un villaggio, a stretto contatto con persone con le quali condividere la sorte, ha permesso il progredire di idee e tecnologie e, se l'uomo non avesse i difetti dell'uomo, avrebbe potuto integrarsi pienamente con l'ambiente dando alle parole “pianeta” e “mondo” la valenza di sinonimi.
Ma cosa è successo alla storia dell'uomo per prendere una piega diversa?
Cos'ha impedito alla società umana di continuare il percorso di condivisione sul quale pareva avviata per inoltrarsi su quello oscuro di una catastrofica divisione, a parte le ragioni endemiche umane?
Il profitto personale in contrapposizione alla mutualità ed alla condivisione, il prevalere del singolo sul gruppo, il vantaggio privato a discapito di quello pubblico.
L'avvento della moneta, ed il suo scorretto impiego, è il momento fondante di una situazione storica, di un mondo che poteva essere meraviglioso e non solo tragicamente bello qual'è.
Ho trattato la storia della moneta in un precedente libro, per cui preferisco riflettere sul profitto dal punto di vista filosofico.
L'idea del tornaconto personale, del guadagno, dell'accettazione dell'idea del denaro inteso come bene, oltre distruggere l'assetto sociale ha distrutto la speranza del raggiungimento della felicità, ha disumanizzato gli umani, li ha resi, ci ha resi, macchine, facendoci perdere di vista quel nostro unico fine.
Ci ha negata la possibilità di cambiare il nostro destino di schiavi in quello di uomini liberi.
L'infelicità non è genetica, e non è neppure causata da un meccanismo cerebrale incurabilmente compromesso, l'infelicità è indotta.
Noi siamo nati per essere felici, avremmo tutto per esserlo, abbiamo possibilità in noi ed opportunità intorno a noi, siamo stati messi qui, in questo paradiso terrestre, non si sa come e non si sa da chi, proprio per questo; avremmo potuto e dovuto solamente viverlo.
Ma non lo abbiamo fatto perché nessuno ci ha detto cosa veramente sia la vita e conseguentemente, ignorandone il significato non siamo in grado di, pienamente viverla.
Nessuno ce lo ha detto e noi non ci siamo sforzati più tanto per scoprirlo da soli, anzi, abbiamo deriso o, nel migliore dei casi, non abbiamo ascoltato chi, tra noi, qualcosa di più aveva capito.
Non sapendo quali siano le modalità di ricerca, l'uomo percorre illusorie strade e crede di finalizzare tutto nel possesso, nell'avere e non nell'essere, nella prepotente sopraffazione dell'altro e nella bramosia del potere.
Ma la felicità non si può raggiungere col denaro perché non esiste un limite raggiungibile, non c'è una somma alla quale arrivare per comprarsela e lì, goderla, si può e si deve sempre andare oltre, in una rincorsa al tutto che, come spesso accade sfocia nel nulla.
C'è un proverbio che, benché non formulato nella maniera corretta, esprime un concetto pratico esatto, dice come la saggezza popolare sia arrivata a comprendere che qualcosa in quel meccanismo non funzioni: “Chi si accontenta gode”. Ovvero, il desiderio inappagato è infelicità, e continuare a desiderare senza mai accontentarsi di ciò che si ha è equiparabile ad una pena Dantesca, coloro i quali, invece, frenano detta rincorsa non hanno da soffrire gli stessi patemi.
A mio parere il verbo “accontentarsi” non è corretto; non è mai bello “accontentarsi” e mi pare riduttivo, si accontenta chi subisce ed il verbo stesso assume un significato passivo.
Meglio sarebbe stato dire: “Chi apprezza ciò che ha gode” dove “apprezzare” ha valenza positiva, è un verbo inteso in forma attiva; “faccio e non subisco”.
Prendere coscienza del proprio stato, soppesare il dare e l'avere, contrapporre il positivo al negativo, è utile per allontanare da noi l'ingiustificata e nefasta visione dell'esistenza, l'autocommiserazione e l'idea di sfiga cosmica.
Ma l'uomo non sa farlo perché, altri uomini, hanno capito che sulla sua debolezza, sulla sua ignoranza, sulla sua dabbenaggine potevano speculare ed ottenere facili guadagni.
Ma se un uomo è sprovveduto e facilmente raggirabile da un altro, significa che ci sono due categorie di uomini, due dimensioni diverse all'interno dello stesso mondo, che un uomo non è uguale ad un altro uomo.
Penso proprio di si, gli uomini non son tutti uguali ma dire che l'uomo è malvagio è semplicistico, riduttivo e non vero, per il fondato motivo che non esiste nulla senza il suo contrario.
Quindi, se c'è il male, per forza dev'esserci il bene; se c'è il malvagio ci dev'essere obbligatoriamente la persona onesta e mite, e così via.
Le ragioni mi sono oscure ma è probabile che la spiegazione si possa trovare nell'origine stessa della Terra, nella genesi del creato e della vita medesima.
E basta una persona sbagliata per minare l'armonia tra i giusti, ed è per questo che oggi, come ieri, come da sempre, siamo costretti a vivere in questa valle di lacrime.
E qui possiamo aprire un'ulteriore riflessione; se la vita è definita in maniera tanto terribile, se la meta della felicità è irraggiungibile, se l'esistenza non è quella che dovrebbe essere, ma sola sopravvivenza, cosa stiamo realmente vivendo?
Stiamo sopravvivendo una vita manomessa, drogata, ripensata in maniera crudele dalle menti senza scrupoli di quegli uomini che si sono inventati un mondo che non ha senso.
Si, è un mondo senza senso, sena anima e senza cuore, illogico ed immorale, è un mondo letteralmente capovolto, è un mondo difficile da capire e da accettare ma, drammaticamente, illogicamente, accettato da tutti.
Per far meglio intendere il mio pensiero userò la seguente metafora: Ciò che viviamo è come il cielo carico di nuvole nere, piene d'acqua e temporali che incombono paurosamente preannunciando immani disastri.
Però quello che vediamo non è il vero cielo, quella è sola una forte perturbazione, il cielo vero è quello sopra di essa, quello azzurro limpido e senza una nuvola.
Il cielo vero, occultato dalle nuvole sta al mondo vero occultato da un mondo virtuale.
La differenza consiste nel fatto che, ognuno di noi sa che sopra la perturbazione c'è il sereno ma nessuno di noi sa o percepisce che oltre il mondo virtuale esista quello reale.
Non è facile farvi capire che ciò che viviamo altro non è che virtualità, la nostra mente non è allenata all'elasticità di pensiero, noi crediamo solo a quello che appare a prima vista, a ciò che è, e mai a ciò che invece potrebbe essere.
La cosa struggente è che ciò che viviamo altro non è che contraffazione, non è ciò che è ma ciò che vogliono farci credere sia, per cui, ci hanno portato a credere non alle cose vere ma a ciò che per vero ci viene spacciato.
Per essere più chiari, noi non prendiamo neppure in considerazione la possibilità di vivere in un mondo migliore, che potrebbe esserci, un mondo che potrebbe appartenere alla sfera di una fantastica realtà ma, crediamo fermamente, ad un mondo che, sicuramente, appartiene alla sfera della reale mistificazione.
A questo punto è bene fare un riepilogo per meglio focalizzare i punti cardine del mio discorso onde poter continuare avendo chiara la situazione.
La nostra vita, il nostro mondo, ciò che viviamo giornalmente, quella che definiamo “la nostra realtà” non è affatto la condizione imprescindibile, non è l'architettura obbligatoria del pianeta, è soltanto il frutto di scelte che noi umani abbiamo fatte, è solamente una scelta, tra le tante che si sarebbero potute fare e non l'unica possibile.
Il nostro limitato pensiero e l'uso strategico della menzogna non ci fanno ragionare su questo aspetto della storia del mondo, una storia che poteva essere, e potrebbe ancora essere, tutta un'altra storia, se solo si volessero correggere gli errori del passato per vivere un migliore futuro.
La nostra vita poteva essere impostata in tutt'altro modo, non crediate che questa sia un' eresia detta tanto per dire, la storia ce lo insegna, le civiltà si sono succedute in maniera autonoma, gli dei sono stati soltanto usati per finalità umane ma non hanno mai determinato nulla.
Il passato remoto ha consegnato alla storia pagine importanti di progresso ed altre tremende di consuetudini atroci, ma il passato è passato e mai deve condizionare il futuro; diventa invece cosa di primaria importanza se è utile a capire gli sbagli e fare in modo tale che non possano mai più ripetersi.
E gli sbagli commessi da chi ha “inventato” questo mondo sono sotto gli occhi di tutti, non esiste una persona che li possa negare, ne esistono invece in quantità industriale, di altre che li vogliono colpevolmente ignorare.
Si può negare che in questo mondo ci siano le guerre e siano combattute in maniera invisibile, da persone invisibili, tanto che non sappiamo neppure dove?
Si può negare che 85 ricchissime persone possiedano una somma equivalente a quanto possa disporre la metà della popolazione mondiale?
Si può negare che esistano ancora gli schiavi?
Si può far finta di non vedere, che l'intero pianeta stia collassando per cause legate al profitto?
Si può girare la testa dall'altra parte per non essere testimoni di uno scempio commesso stuprando il territorio e la logica, ma non si può certamente negare.
Si può negare che per fornire il sostentamento vitale ad un bambino si ricorra alla pietà, all'obolo, alla misericordia dei singolo a fronte di sprechi immani e lussi che oltrepassano ogni immaginazione?
Si può negare che le parole che vanno per la maggiore oggi siano termini orribili quali: “mercato”, “finanza”, “consumo”, “crescita capitalistica” ed “espansione economica”?
Si può negare che l'unica evoluzione percepita del secolare regime impositivo consista nella modernizzazione del glossario impositivo?
Gabelle, imposte, tasse, tributi, balzelli, accise, fisco, oggi ci vengono serviti sotto forma anglicismi e di insopportabili acronimi, e vai allora con Tobin tax, fiscal drag, fiscal compact, spending review, tarsu, tares, tari, tasi, tuc, irap, ires, iva, ici, irpef, addizionali comunali e regionali, e mi fermo qui per evitarmi ed evitarvi travasi di bile.
Vi pare cosa saggia e condivisibile basare la società su di un presupposto di falsità quale il possesso ed accettarlo come per volontà divina?
Facciamo un semplice esempio:
Leggo sull'enciclopedia in linea che il K2 appartiene alla catena dell'Himalaya ed è, a seconda del versante, Cinese o Pakistano.
E' detta: “La cima degli italiani” perché è stato scalato per la prima volta, nel 1954, dai nostri connazionali: Compagnoni e Lacedelli, ma non è affatto italiano per questo motivo.
Ed allora, se una montagna non ha un padrone, non essendolo diventato neppure chi l'ha conquistata per primo, perché un bosco è di proprietà?
Se il bosco è, esattamente come una montagna è, una parte del pianeta al quale tutti apparteniamo, esiste un motivo valido perché ognuno non possa usufruire di esso nei termini del buonsenso comune?
Certo non sarebbe né opportuno né lecito disboscare per poi rivendersi la legna, ma prender quella di alberi già crollati per riscaldarsi d'inverno dovrebbe esser consentito a tutti. Quando andate per funghi, dovete acquistare un permesso giornaliero che vi permette di raccoglierne un certo quantitativo, ma perché?
Non sarebbe giusto depredarlo in maniera sconsiderata ma, due porcini per un sugo si potranno prendere senza doverli pagare come in un qualsiasi negozio, visto che la natura ce li regala?
Ma la domanda vera è: Come si diventa padroni di un bosco?
La risposta sembrerebbe ovvia........... acquistandolo.
Certo lo si acquista, quindi basterebbe contattare l'ultimo proprietario ed eventualmente definire il prezzo ma …........ il primo possessore chi fu e come, e da chi lo ha ebbe?
Se mi rifacessi al catechismo avrei la risposta immediata ma, non penso che il Creatore abbia voglia di parlare di rogiti con me, quindi non mi resta che fare delle ipotesi.
Fu qualcuno che si appropriò, probabilmente in maniera “poco gentile” di un bene che era di tutti, proprio come il sole che ci riscalda o l'aria che respiriamo.
E da questi presupposti illogici e violenti si è dipanata la matassa di angherie dei forti contro i deboli e dei ricchi contro i poveri.
Non si son presi la luce e il calore del sole, e l'aria che ci entra nei polmoni, per poi rivendercela, semplicemente perché, finora, non son riusciti tecnicamente a farlo ma, son certo, che arriveremo a subire pure questo.
Si sono arrogati il diritto sulla terra, su isole intere, spiagge e porzioni di mare, hanno recintato, privatizzato, segnato con strisce gialle, rosse, blu l'asfalto.
Installate in loco macchinette che ingoiano soldi per dare in cambio uno scontrino che giustifichi la possibilità di parcheggiare un'auto che, oltre ad esser stata pagata, richiede anche il pagamento di una concessione per poter essere usata, aggiunto all'esborso per l'acquisto di un carburante, il cui costo è formato più da accise che dal valoredell'effettiva materia prima
.

 
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Tragicamente bello - 2^ parte

Post n°241 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Si può negare che nel nostro mondo tutto abbia un costo e tutto diventi lecito se tale costo si paga?
Hanno scritte delle regole di convivenza facilmente aggirabili tramite un esborso di denaro, il divieto assoluto, diventa perciò un divieto relativo, basta corrompere il burocrate giusto e la norma si cambia, basta fare la stessa operazione con un giudice, perché anche il peggior colpevole venga assolto.
Tutto si vende e tutto si compra, nulla fa eccezione, si vende il proprio corpo, intero o a pezzetti, si vende la propria mente, si vende la propria anima e la propria coscienza, si vende persino ciò che non ci appartiene.......  la vita altrui.
E' un mondo fatto di clienti e di venditori e tutti siamo una volta gli uni e una volta gli altri, inconsapevoli, frenetiche pedine in eterna oscillazione tra il dare e l'avere di una partita doppia senza la speranza di una chiusura.
Vi sarete certamente trovati, nella sala d'attesa del vostro medico di famiglia, a contatto con giovani rampanti perennemente indaffarati a trafficare col proprio cellulare.
Non vi saranno allora sfuggiti degli stralci delle loro conversazioni, anche perché, senza rispetto alcuno per chi sta loro intorno, non lemoderano acusticamente.
Come mega direttori, tracciano obiettivi da raggiungere, di spazi di mercato da conquistare, sequele di appuntamenti nei vari studi medici da rispettare, di campioni di prodotti da omaggiare affinché siano poi
dai medici consigliati ai propri pazienti, di congressi o corsi di perfezionamento per gli stessi, organizzati presso le più rinomate località turistiche, di rivalità accese con le case farmaceutiche concorrenti.
Avete avuto modo di riflettere su cosa siamo noi, utenti del servizio sanitario, per quel commercio che loro rappresentano?     Clienti, semplicemente dei clienti, ovvero delle persone che presso di loro devono effettuare degli acquisti, esattamente come in qualsiasi altro punto vendita.
Ma se io sono un cliente del panettiere sotto casa, costui avrà interesse che io non mangi più pane?
Certo che no, al contrario, lui avrà tutto l'interesse che io ne mangi di più o che, tramite il passa parola, parli bene del suo prodotto, affinché possa venderne maggiormente.
Ebbene per le case farmaceutiche vale la stessa legge mercantile, a loro, non giova la nostra salute.......... 
se noi guarissimo, smetteremmo di consumare il loro prodotto, a loro interessa una fascia di mercato fatta di persone mantenute dai farmaci sul confine tra malattia e salute, tanto da mantenere in vita ma, certamente, da non fare guarire.
Le multinazionali del farmaco hanno fatturati con tanti di quegli zeri, che neppure riusciremmo a leggere, pensate che lavorando in maniera onesta, deontologicamente e moralmente cristallina, avrebbero potuti raggiungerli?
Ma, soprattutto, concordate sul fatto che non abbiano alcuna intenzione di rinunciarvi, anzi, semmai la volontà di vederli aumentare costantemente?
Ci chiedono continuamente soldi per sovvenzionare la ricerca contro le malattie rare o i tumori; sembrerebbe una cosa sacrosanta e, per tale motivo, ognuno di noi ha partecipato a questa gara di solidarietà con le migliori intenzioni.
Chi non ha avuto un familiare, un amico, una persona cara che ci ha lasciati a causa di malattie incurabili?
Chi è stato esentato dal dolore per l'altrui dolore e da quel disperato desiderio di miracolo, raffigurato in un flaconcino o in una macchina che faccia entrare il nostro caro ammalato e lo faccia uscire risanato?
E a fronte di ciò abbiamo compilati bollettini di versamento ed inviati sms ma, tutto ciò, appartiene alla pratica relativa ad un mondo reale o ad un altro perfidamente inventato?
Detti degli stratosferici guadagni dei produttori dei farmaci, cosa che permetterebbe un corposo investimento nella ricerca, fatti salvi gli emolumenti da corrispondere ai migliori “cervelli”, ai grandi specialisti del settore, quanto denaro occorre per arrivare a trovare una cura definitiva?
E' possibile ed accettabile l'equazione: soldi per la ricerca di una possibile cura; niente soldi, nessuna ricerca e nessuna speranza?
Sono un visionario io che son convinto che un medico abbia il dovere di combattere le malattie, e debba svolgere tale compito come una missione, non per arricchimento economico ma come arricchimento personale e morale?
O è semplicemente la verità capovolta e rimodellata su di uno stile di vita che rappresenta tutt'altri valori ma al quale ci siamo tutti passivamente abituati.
Questo stravolgimento lo potete notare senza alcuna difficoltà.
Leggete le scritte riportate su di un pacchetto di sigarette, le avvertenze; un po' come le modalità d'impiego di un farmaco scritte sul bugiardino o le istruzioni nel manualetto dell'elettrodomestico.
“Il fumo nuoce gravemente alla salute” o “il fumo uccide” è pensabile scrivere tali frasi su prodotti che si stanno vendendo?
No, per nulla, non è tollerabile l'ipocrisia, non può passare la tesi che mira a scagionare il colpevole di un reato, a fronte di un avviso, non può bastare un avvertimento per lavarsi la coscienza e continuare imperterriti a guadagnare a scapito dell'altrui salute.
Lo stesso dicasi per le pubblicità degli alcolici o dei giochi d'azzardo; mostrare una vita di successo, fatta di relazioni stimolanti e di possibilità infinite è il messaggio prevalente, è ciò che deve arrivare al cliente, è la ragione stessa della pubblicità.
Farci credere che, sia sufficiente la frase che invita a far uso di tali prodotti commerciali con moderazione, perché gli stessi potrebbero causare dipendenza, frase recitata, tra l'altro, alla velocità della luce, è del tutto privo di senso.
Meglio allora sarebbe non dire nulla, non coprirsi di ridicolo, non mostrare quella doppiezza evidente che irrita, che sa di presa per la parte che usiamo per sederci, che è dimostrazione di sfida e di arrogante superiorità.
Tutti sappiamo questo, tutti sappiamo come funziona il meccanismo perverso, tutti sappiamo che lo Stato lucra sulle dipendenze, sia quella verso il fumo, come quella nei confronti del gioco d'azzardo, ed entrambi sono un'imponente fonte di reddito per l'erario.
Un'entrata corposa alla quale, chi ci governa non vuole rinunciare, attività che manco si sognano di eliminare da un bilancio che, non sono mai stati in grado di gestire in maniera degna.
Tutti vediamo una realtà che è finzione ma nessuno ha il coraggio o la lucidità analitica per ammetterlo.
Forse anche per colpa di quella situazione che io definisco: “La vergogna della vittima” ovvero la non ammissione ed, anzi, la negazione di un raggiro, per paura di passare da fessi per esser stati raggirati.
Vi sarà successo di prendere qualche fregatura, ad esempio, aver effettuato un incauto acquisto, oppure aver pagata una somma maggiore del pattuito, aver subito un danno non risarcito o un cattivo servizio dalla vostra banca.
Ebbene se una persona vi fa notare dette situazioni, voi trovate un motivo qualsiasi per giustificare il comportamento scorretto dell'autore dello stesso, che è poi il modo automatico per la vostra auto giustificazione.
Magnificate la bontà delle operazioni, arrivando persino a difendere l'onorabilità dei soggetti rei, riuscite a diventare voi, tramite i vostri sensi di colpa, quelli da condannare.
Vi è capitato di andar a mangiare in uno di quei ristoranti esclusivi, quelli con tutte quelle stelline attribuite loro dai professionisti del giudizio, quelli il cui personale, quando entrate, vi scruta per capire se siete adeguati per sedervi al tavolo?
Sono i ristoranti che vi propongono un menù indecifrabile, son quelli nei quali dovete andare, non per mangiare, ma per “sperimentare”, non per colmare quel vuoto che avete nello stomaco ma per colmare la lacuna di conoscenza che è considerata un peccato mortale.
Quando vi arriva il piatto lo guardate dubbiosi perché potrebbe contenere qualunque cosa, cercate senza riuscirci, di decifrarlo e non potere far altro che augurarvi che sia, non quella magnificenza di cui vi avevano detto ma, almeno commestibile.
E, nella migliore delle ipotesi, va così, lo mangiate, magari fingendo un entusiasmo che fa a pugni con le vostre papille gustative ma, dovete partecipare a quella farsa onde non esser giudicato un guitto da coloro che siedono al vostro tavolo.
E una volta fuori dal ristorante vi unirete al coro unanime che canterà le lodi di piatti che, sapete bene mai giustificherebbero il loro costo.
E vorreste dire che non avete mangiato ma solo fatti assaggini di cibi accoppiati secondo criteri più modaioli che legati al gusto ma non lo fate perché, nessuno, anche se la pensa esattamente come voi mai si sognerebbe di farlo.
E così l'ipocrisia legata alla “vergogna della vittima” fanno il gioco del proprietario del ristorante che sfrutta la situazione ed incassa lodi e denari a fronte dell'unico merito che ha ..... un'ottima faccia tosta.
Però lui non ha nessuna colpa se siamo dei fessi, mica ci prende per il braccio e ci porta all'interno del locale, siamo noi che prenotiamo per andarci, non certo perché i piatti serviti valgano il prezzo richiestoci ma perché tutti ne parlano bene, senza avere neppure una minima ragione per farlo.
Si nega pertanto, la fregatura subita per negare di essere stati raggirati, onde elaborare la pesantezza della truffa.
E questo facciamo ogni giorno, non ammettendo la fregatura della quale siamo vittime, per negare la nostra insensata esistenza, per esimerci dalla colpa per non far nulla per cambiarla, pensando che in fondo, non possiamo neppure lamentarci troppo, visto che c'è sempre chi sta peggio.
Ecco perché non vogliamo accettare l'idea di essere vittime dei “Dominanti”; quella razza umana e disumana che vista dal di fuori è simile a noi ma che ha caratteristiche intrinseche diverse.
I Dominanti che, come ho già detto nel libro: “E lontano, lontano nel mondo”, sono gli uomini che hanno inventato questo nostro mondo a loro esclusivo uso e consumo, quelli che da sempre dominano sul loro prossimo con l'intento di renderlo schiavo.
E qui siamo al secondo punto cardine del mio pensiero; non accettiamo l'idea di un mondo diverso da questo.
E' paradossale, ad esempio, prendere in considerazione tesi religiose che promettono la vita eterna, un Regno dei Cieli, il vero mondo e la vera vita, dopo la parentesi vissuta qui su questa terra, per poi negarlo quando il ragionamento riguarda situazioni laiche.
Basterebbe questo per far riflettere su una reale possibilità, almeno i credenti, potrebbero concedere un minimo di credito al Verbo Divino piuttosto che a quello economico ma, invece, li vedo sordi e ciechi anche nei confronti del Supremo.
Figuriamoci tutti gli altri, quelli che non si tutelano con la fede, quelli che credono che la vita sia questa, solo questa, malinconicamente questa.
Vi siete chiesti a chi giovi il nostro modo di pensare e la nostra vocazione a “non” agire?
Questo nostro atteggiamento fatto di paura e sottomissione, questa scelta di sposare le tesi del potere a prescindere dalla loro veridicità, questa dimostrazione di disciplina, che dovrebbe invece diventare rabbia, a fronte di prese in giro evidenti?
Proviamo a comprenderlo tramite un'immagine:
Disegnate una piramide avente l'altezza di 10 cm.
Tracciate una linea orizzontale a 1 cm dall'apice ed otterrete il primo settore A.
Tracciate una seconda linea orizzontale a 2 cm di distanza dalla linea precedente onde ottenere il settore B.
Tracciatene una terza ad una distanza di 1 cm dalla precedente ed otterrete il settore C.
Una quarta distante 2 cm dalla precedente ed otterrete il settore D.
E l'ultima a distanza di 2 cm onde ottenere i settori E ed F.
Nel settore A ci sono quelle 85 persone che da sole posseggono un patrimonio pari a quello della metà della popolazione mondiale, e che ritengono, in ragione di ciò, di avere il diritto divino di gestire i destini del mondo.
Nel settore B ci sono altre persone molto ricche; coloro i quali gestiscono le grandi aziende, le multinazionali, le banche, il potere economico e finanziario.
Assieme alla categoria precedente, sono i veri padroni del mondo, coloro che ne reggono le sorti, sono quelli che, tramite i loro “maggiordomi” i politici e i militari, gestiscono la finanza, scatenano guerre o sconvolgono il clima del pianeta.
Son quelli che pensano che solo la loro potenza possa stabilire le regole di convivenza e la sorte di miliardi di persone, ritenute solo in grado di ubbidire.
Son quelli che si riuniscono in società segrete e in riunioni blindate, lontane da occhi critici ed indiscreti, son quelli che decidono se una nazione debba prosperare o essere affamata, son quelli che, cinicamente, scommettono, in un perverso gioco, sulla vita o sulla morte di persone inconsapevoli.
Son loro che non hanno mai abolita la schiavitù, son quelli che, come gli imperatori romani, decidono col pollice all'insù o capovolto il destino di stati, un tempo, sovrani.
Nel settore C rientrano tutti coloro i quali sono strettamente legati ai primi due, chi tutela i loro affari a livello politico, coloro che devono fare il lavoro “sporco” finalizzato agli interessi dei potenti.
Del settore D fanno parte le caste e tutti quei personaggi ambigui e intrallazzatori che politici e non, usano per ottenere consenso, per manovrare l'opinione pubblica, per far passare certi messaggi e silenziarne altri, onde ottenere univocità di pensiero.
I giornali e i giornalisti compiacenti, gli opinionisti a vario titolo, i professionisti dell'informazione che diventa colpevole disinformazione e tutti gli apparati burocratici che traggono un elevato profitto economico grazie ad un sistema pensato proprio per tale scopo.
D'altronde, che fareste voi se percepiste dieci, venti volte di più di un comune lavoratore?
Vi giochereste una carriera e la possibilità di vivere in maniera agiata per dire la verità e non collaborare alla sua mistificazione?
No, di certo, pensereste che intanto, visto l'andazzo, è consigliabile stare a cuccia buoni e godere dei benefici che tale comportamento regala.
Ma perché mai voler cambiare le cose, il mondo, la vita, con la possibilità di veder la propria peggiorata economicamente?
Meglio esser dalla parte del più forte, perché stravolgere questa usanza in voga da millenni, perché andarsi a cercare delle grane, visto che già quelle, arrivano per conto proprio?
Nel settore E c'è quel ceto definito “medio” al quale ancora apparteniamo, chi vive del proprio stipendio o della propria minuscola azienda, i pensionati, e tutti coloro che riescono a cavarsela solo grazie al mutuo soccorso familiare.
Le persone definite comuni, quelli che hanno mille casini e mille pensieri causati da coloro che stanno più in alto nella piramide sociale, quelli che non contano nulla ma che devono fare i conti ogni giorno per tirare avanti.
Quelli che si illudono di vivere in regimi democratici e di esser parte di qualcosa, non pensando nemmeno lontanamente che quel “qualcosa” sia una malinconica farsa.
L'ultimo settore, non a caso, è quello degli ultimi, quello a cui appartengono persone che vivono con un reddito che non consente loro neppure il necessario.
Coloro i quali non riescono a trovare un'occupazione o che, per motivi vari l'hanno persa, coloro i quali vivono in povertà e senza la speranza di un futuro decente, quelli che son tirati in ballo come alibi per giustificare le imposte, quelli che sono i primi nei pensieri ipocriti dei politici, quelli che muoiono nella vana attesa che tali pensieri assumano una forma concreta.
Purtroppo questo è il settore in maggior espansione, quello che erode spazio al precedente, quello che a breve ne prenderà il posto, quello di cui, presto, pure noi entreremo a far parte.
Di tutta questa variegata umanità, solo chi ha poco o niente, avrebbe interesse a cambiare l'attuale modo di vivere ma non ci pensano, noi tutti non ci pensiamo perché hanno rasa al suolo questa possibilità.
Come fa un povero cristo a pensare, a riflettere sulla propria esistenza, a farsi domande su cosa sia la vita, sul come ed il perché sia venuto alla luce, se la sua mente è occupata a risolvere i problemi economici e tutti i guai che gli hanno creati?

 
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Tragicamente bello. - 3^ parte

Post n°242 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Può pensare lucidamente uno che ha perso il lavoro, uno che non ha neppure più la speranza di trovarne uno, un disgraziato perennemente alle prese con un bilancio da far quadrare?
Da questo desolante affresco appare evidente che tutto sia stato preordinato, programmato nei minimi dettagli e messo in opera con fredda e lucida determinazione.
Il potere si radica profondamente nella società in maniera subdola ma intelligente, la politica asservita che lo asseconda aderendo ad ogni suo ordine, i mezzi di comunicazione di massa che inducono il popolo al pensiero univoco e addomesticato, fanno apparire come logica e persino imprescindibile la sua esistenza.
Così, rimbambiti dall'eterna pubblicità mediatica, frastornati dal continuo lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti, ci scopriamo a credere, ad essere convinti che siano irrinunciabili i vaneggiamenti che ci parlano dei mercati, della crescita, del P.I.L., della competizione mercantile, della produttività, del debito e dell'austerità da sopportare perché finalizzata al suo abbassamento.
E' il pensiero unico, imposto con tattiche e strategie modernizzate.
Un tempo gli oppositori finivano messi al rogo o incarcerati o rinchiusi in manicomi criminali, oggi chi prova a far crollare il castello di fandonie, viene deriso, attaccato a livello personale e tacitato con una campagna denigratoria senza esclusione di colpi.
Basta una persona definita “esperto economico” o teorico dell'economia, funzionale al sistema, inserita sistematicamente in ogni trasmissione televisiva per garantire il bavaglio dell'interlocutore dissidente.
Quante volte vi siete sentiti ripetere dallo schermo .........
Sarebbe la catastrofe!, Sarebbe il fallimento!,
Andremo a prendere un caffè con la carriola piena di denaro!
Però non hanno mai argomentato, non occorre una tesi credibile per convincere il popolo bue, bastano due scene di paventato dramma e tutto si rimette in riga.
Sono decenni che la politica trova argomenti giornalieri per distoglierci dai veri temi che assillano il Paese, son decenni che parlano e ancora parlano con la deliberata intenzione di non dire nulla.
Parlare del nulla o di cose senza senso e di nessuna importanza, facendo credere al popolo che la nostra esistenza, il nostro presente ed il nostro futuro siano legati ad un metodo per andare a votare o alla riforma della Camera o del Senato, o al titolo quinto, o alle primarie di partito, alle Leopolde varie o all'enunciazione delle cose che da cent'anni sarebbero da fare e che, per cent'anni, si sono guardati bene
persino dai cominciare.
Ma vi rendete conto che è tutto virtuale, che è tutto uno spettacolo illusionistico ed illusorio, ma vi rendete conto che ci stanno prendendo in giro, con la perfida soddisfazione di vedere che ci riescono benissimo?
E se ve ne rendete conto, vediamo se vi appare chiaro che siete voi, i primi difensori del sistema, che siete voi il primo baluardo contro il pensiero non contaminato.
Siete voi che date patenti di pazzia a quelli come voi, a quelli che sollevano dubbi e si pongono domande nuove, a quelli che fanno ragionamenti che stravolgono teorie mendaci ma, consolidate anche dentro di voi, quelli che schernite perché uscire dal gregge vi impaurisce, prestando fede a coloro che vi hanno detto che potrebbe
non convenirvi.
Non dico cose strane e solo frutto della mia mente complottista, son cose che fanno parte della letteratura e della storia, son cose che, uno dei massimi filosofi di sempre, ha teorizzato e che voglio qui proporvi:
Il mito della caverna di Platone.
Platone (per bocca di Socrate) immagina gli uomini chiusi in una caverna, gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco.
Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni.
Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà.
Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre.
In un primo momento, l'uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce, la visione delle cose sotto la luce lo spiazzerebbe in forza dell'abitudine alle ombre maturata durante gli anni, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati.
I compagni, in un primo momento, riderebbero di lui, ma l'uomo liberato non può ormai tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre.
Nel mito della caverna la luce del fuoco rappresenta la conoscenza, gli uomini sul muricciolo le cose come realmente sono (la verità), mentre la loro ombra rappresenta l'interpretazione sensibile delle cose stesse (l'opinione).
Gli uomini incatenati rappresentano la condizione naturale di ogni individuo, condannato a percepire l'ombra sensibile (l'opinione) dei concetti universali (la verità), ma Platone insegna come l'amore per la conoscenza (la filosofia stessa) possa portare l'uomo a liberarsi delle gabbie incerte dell'esperienza comune e raggiungere una comprensione reale e autentica del mondo.
Come possiamo attualizzare il racconto?
Semplicemente così: Colui tra noi umani, riesce scoprire la vera vita, il nostro mondo vero, l'esistente da contrapporre al falso percepito, viene osteggiato dai propri simili.
Gli altri come lui, che adesso per paura del nuovo, di ciò che è ritenuto impossibile e della sua verità, non lo ascoltano, dando così maggior credito ad una situazione falsa piuttosto che a quella indiscutibilmente vera.
Ma l'uomo, portatore di una verità conclamata, non si arrende e ridiscende nella caverna per il desiderio che ha di liberare chi è ancora incatenato ad una vita imposta e tirannica.
Trova così la morte per mano dei suoi simili, che lo uccidono perché schiavi dell'abitudine incarnata nell'inganno di una vita ritenuta reale.
Noi, controllori e controllati, portiamo avanti un'esistenza legata a dei concetti inumani, soggetta alle regole di un gioco inventato da coloro che sanno già di vincere, regole perverse utili solo al mantenimento del loro potere.
Non basta dire, come dicono e vi dicono: “Il mondo in cui viviamo non è perfetto, ma è il solo possibile”.
Con la pretesa di aver ragione, e la convinzione che noi ci si rassegni ad accettare passivamente questo messaggio sbagliato, perché il loro interesse è quello che nulla cambi.
Dovremmo e, dobbiamo invece, far ricorso all'utopia, dobbiamo provare a credere in ciò che pensiamo impossibile perché nulla è impossibile se non lo viviamo come tale.
Dobbiamo pensare in maniera nuova, ragionare come mai abbiamo ragionato, credere nei sogni perché solo i sogni possono scacciare gli incubi, dobbiamo essere rivoluzionari armati di idee e non di armi, perché nessuna rivoluzione può aver luogo senza un pensiero che la guidi.
Occorre scardinare questo modello di convivenza perché è ampiamente dimostrato che sia fallimentare, occorre stravolgere e ribaltare il modello di una società basata sul denaro.
Riflettete sul perché una civiltà sia stata fondata su un prodotto inesistente, domandatevi perché un'unità di misura sia diventata il centro di tutto, il punto di rifermento di ogni pensiero e di ogni azione umana.
Il denaro altro non è che un mezzo per facilitare gli scambi ed il commercio, serve per scambiare una merce od un servizio, perché mai avrà mutata cambiata questa sua originale destinazione d'uso?
Semplicemente perché qualcuno ha capito che la moneta poteva diventare essa stessa un valore e non solamente il mezzo per quantificarlo.
Appurato, pertanto, che il denaro sia il male mondiale, la fonte dell'infelicità umana, la causa di ogni guaio e di ogni sofferenza, occorre obbligatoriamente ripensare un mondo che ne possa fare a meno.
A questo punto vorrei esser preciso sul fatto che, quello che propongo non sia il migliore in assoluto, non è il solo pensabile, è uno dei tanti modelli proponibili.
Ciò di cui son convinto invece, è che sia nettamente migliore di quello attuale; quello a cui oggi siamo prostrati.
Peggio di questo non potrebbe esserci, cambiandolo possiamo solo migliorare, non dobbiamo temere la catastrofe o la fine del mondo, perché il mondo, il nostro mondo è già imploso su se stesso da tempo.
Per continuare il mio ragionamento devo però mettere una condizione imprescindibile, dobbiamo assolutamente dimenticare le attuali regole, resettare ogni riferimento alla situazione attuale, ripartire non da zero ma da sotto zero, intesa anche come temperatura, temperatura che finora ha congelate le idee ed il libero pensiero.
Senza la paura del cambiamento, del nuovo, dell'immaginario, perché è un'operazione già avvenuta nel tempo.
Non è la prima volta che si inventa qualcosa, sarebbe la prima volta, invece, che tale invenzione sarebbe volta al raggiungimento della felicità.
Proviamo allora a progettare un mondo nuovo, proviamo ad abbattere i dogmi che ci rendono schiavi.
Eliminiamo il denaro perché non ha alcuna ragione di esistere e lo posso dimostrare con questo esempio: Io vado al lavoro per ricevere una somma di denaro che mi servirà per ottenere merci e servizi.
Quindi, a fronte del mio lavoro posso ottenere ciò che mi serve, il passaggio potrebbe essere diretto; barattare il mio lavoro direttamente con i beni materiali.
In tal maniera i soldi non esisterebbero più, e con essi verrebbero eliminati i problemi ad connessi e le annesse azioni illegali ed improprie che al denaro sono strettamente legate.
Non avremmo più a che fare con quelle figure parassitarie che lo hanno fisicamente prodotto e gestito per i loro fini ed il loro interesse.
Non esisterebbero più i trafficanti e i trafficoni, gli speculatori e gli strozzini e neppure i ladri, perché non ci sarebbe più l'oggetto che più facilmente si presta allo scopo.
Se non esiste il denaro, non esisterebbero neppure le tasse, non avrebbe ragione alcun prelievo coercitivo nei confronti del cittadino che, finalmente, prenderebbe coscienza della truffa al quale è sempre stato sottoposto.
Le tasse, infatti, altro non sono che il diritto, che qualcuno si è arrogato, di vivere in maniera parassitaria alle spalle altrui.
Per avere un riferimento concreto, riflettiamo sulla nozione che ci hanno ammansita del reddito da lavoro.
Ci hanno detto che ogni lavoratore a fronte della propria opera, riceve una somma che viene definita reddito.
Però se definiamo il lavoro come uno scambio che avviene tra il prestatore della propria opera ed il suo giusto compenso, ci appare chiaro che questa non sia un'operazione che produca un evidente vantaggio economico.
Il lavoratore scambia il suo tempo, la sua competenza, il suo sacrificio e la sua fatica in cambio di un compenso.
In pratica vede un'uscita del proprio reddito potenziale che viene compensata con un'entrata successiva.
Qualora non venisse pagato, non avrebbe una perdita di 100 (la somma non incassata) ma di 200, perché, in tal caso subirebbe anche una perdita del proprio reddito potenziale.
Quindi, se io faccio uno scambio alla pari, significa che do qualcosa in cambio di qualcos'altro, onde per cui, io non ho un vantaggio né uno svantaggio.
Ma perché allora, a fronte di uno scambio, mi dicono che io abbia avuta una voce attiva (reddito) e la persona fisica o giuridica che ha scambiato qualcosa con me sia depositario di una passività?
Se baratto un valore 100, sotto qualsiasi forma, e ricevo un valore 100 in forma di denaro, perché il fisco parassita si appropria del mio 40%, sotto forma di tassazione, lasciandomi solo il 60?
E se, in preda al delirio più feroce, accettassi la loro tesi, potrei ulteriormente dimostrare che il valore di riferimento, non sarebbe ugualmente quantificabile in 100.
Quella somma sarebbe necessaria infatti per effettuare altri scambi, una parte di essa in cambio del pagamento per l'affitto dell'abitazione, ad esempio, o per il sostentamento della mia famiglia, o per la fornitura di servizi ecc.
Per la tesi di cui sopra, se, chi mi da dei soldi in cambio di una mia prestazione, ha una passività e non un reddito, allora anch'io dovrei ritenere quel 100, o una parte di esso, una passività e non un reddito.
Semmai, sempre in considerazione di quella follia contabile, dovremmo ragionare che, il supposto reddito, dovrebbe essere quello al netto di ogni uscita contabile.
Ragione per cui anche la tassa irragionevole dovrebbe esser contabilizzata sul 10 o sul 20 rimanente e non sul 100 iniziale.
Potete facilmente comprendere che esiste una notevole differenza su una tassazione del 40% riferita a 100 e la stessa percentuale impositiva riferita a 20; un balzello di 8 contro uno di 40, ancorché iniquo ed ingiusto, sarebbe, almeno, più digeribile.
Voglio altresì far notare che l'imposizione avviene anche al perfezionamento di ogni scambio commerciale, le aliquote del 4 del 10 e del 22% gravano sul prodotto acquistato rincarandolo, andando così ad erodere ulteriormente quel famoso, ipotetico reddito.
A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che le tasse, ancorché calcolate in maniera non corretta, son necessarie per finanziare la spesa pubblica.
Anche questa però, è un'ulteriore fandonia, una scusa per giustificare un'illecita entrata.
Infatti, il cittadino può disporre della moneta solo a fronte di una spesa di un soggetto che la scambia con lui, non può spendere prima i soldi che non ha, orbene, se quel soggetto è lo Stato, risulta evidente che solo dopo aver speso e messa in circolazione la moneta può incamerare il tributo.
E' evidente quindi che avviene l'esatto contrario; è la spesa che finanza le imposte.
In verità, le tasse sono necessarie allo Stato per due motivi: uno storico ed uno strategico.
L'imposizione fiscale è funzionale e necessaria per perpetuare la situazione di cittadino-suddito.
Da sempre, il potere deve ribadire questo suo ruolo, da sempre deve essere forte e chiara la consapevolezza di subalternità nei confronti dello Stato, da sempre al cittadino deve esser chiaro che non ha alcuna autonomia e, sempre, deve far riferimento ad un organismo che condiziona la sua libertà.
Altresì lo Stato ricorre alle tasse per far accettare l'uso di un'unica moneta.
Teoricamente, infatti, potrebbero circolare più monete perché, essendo queste null'altro che l'unità di misura del valore, sarebbe possibile scambiarle tra loro e con beni e servizi.
Però questa situazione metterebbe in crisi gli speculatori, e tutti coloro che dalla moneta traggono profitti, ecco quindi l'imposizione fiscale che costringe il cittadino ad usare la moneta unica che, sola è riconosciuta ed accettata per il pagamento dei tributi.
Il mondo nuovo, ripensato umanamente, farebbe a meno in un sol colpo di questi due elementi.
Detto che il denaro non ha alcun valore intrinseco ma è solo un mezzo per scambiare dei beni, appare evidente che il tutto potrebbe avvenire direttamente saltando questo inutile passaggio.
Sarebbe necessaria però, una completa riorganizzazione del lavoro, cominciando dall'aspetto filosofico e culturale, vedendo questa attività da una prospettiva e da una dimensione nuove, tanto da renderla vivibile e compatibile con una vita qualitativamente migliore.
C'è stato un periodo della mia vita nel quale vivevo il lavoro come libertà ed emancipazione.
Lavorando, pensavo che avrei il controllo della mia vita e del mio destino, che avrei potuto avere la possibilità di raggiungere quella tranquillità economica che mi avrebbe permesso di vivere onestamente del mio lavoro ed impostare un programma per il futuro.
Nulla di più sbagliato, perché quella mia visione era legata ad un mondo precedente a quello che stiamo vivendo, un mondo anch'esso sbagliato ma, forse, un po' meno o, forse, non così drammaticamente ridotto.

 
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Tragicamente bello. - 4^ parte

Post n°243 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da lontano.lontano
 
Foto di lontano.lontano

Cerchiamo allora, di dire le cose come sono, al di la delle convenzioni e del semplicistico pensare, tralasciando i luoghi comuni e l'ingenua visione di un mondo di fiaba.
Il lavoro non è affatto la libertà ma la sua negazione, il lavoro è schiavitù ed oppressione, è fatica e sudore, sono ore, giorni, anni, negati a noi stessi in cambio di un compenso.
Il lavoro è attinente alle macchine, non all'uomo, il lavoro occupa il cervello distogliendolo dalle prerogative per il quale siamo stati dotati, dal pensiero, dalla riflessione, dalla possibilità di vivere una vita nell'esatta dimensione per la quale siamo venuti al mondo, per godere di una possibilità che unica ed irripetibile.
Alla nascita, ad ogni essere è stato fatto un dono, e il dono, per definizione, è una cosa gradita, un qualcosa di bello e che dà gioia, e la vita regalataci è un'opportunità che abbiamo il diritto ed il dovere di sfruttare.
Non ha senso sprecarla, non esiste ragione per annientarla nella fatica e negli stenti, è un dono non è un supplizio, è una cosa da amare e non da maledire.
Sarà capitato anche a voi di udire le parole che un genitore ha esclamate, agli astanti, più che al bimbetto di pochi mesi: “Ne faremo un valente ingegnere” oppure: “ Diventerà un grande avvocato!”.
Ebbene quelle frasi che, ascoltate allora, nulla più hanno causato di un mio asettico sorriso, oggi mi fanno rabbrividire.
Oggi che ho capito che l'essenza della vita è tutt'altro, oggi che ho capito che una persona non nasce con il destino di un utensile da lavoro, oggi che ho capito che le uniche parole da dire ad un bambino sarebbero:
“Ti aiuteremo ad essere felice”.
Ciò che affermo sembra un paradosso alla luce della disperante disoccupazione che attanaglia il mondo intero, sembrano parole di follia, sembrano riflessioni di chi può permettersi una vita agiata,
senza la necessità di portare a casa uno stipendio, di chi vive nella parte alta della piramide sociale ma, non è affatto così.
Se si può vivere senza tasse e senza il denaro, si potrebbe certamente vivere meglio anche senza il lavoro.
O per essere più precisi, una società, anche se molto avanzata non può fare a meno del lavoro, può però cambiare l'essenza dello stesso, il suo impianto, le sue metodiche ed anche il suo valore.
Non è affatto vero che manchi il lavoro, di lavoro ce n'è quanto vogliamo e per tutto il tempo che vogliamo, è forse l'unica cosa che non manca e mai mancherà.
Ciò che manca invece, sono i soldi per pagare i lavoratori.
Ed è questo il punto focale di ogni ragionamento; lavorare senza barattare il proprio lavoro col denaro, visto che, in un ipotetico nuovo mondo in una società più giusta e vivibile sarebbe possibile, anzi sarebbe doveroso farne a meno.
Non crediate sia impossibile, perché, nulla è impossibile se si riesce ad immaginare.
Per essere fattibile si dovrebbe far diventare il lavoro una parte serena della vita, non un motivo di afflizione ma un momento di soddisfazione ed appagamento.
A parte pochi fortunati, tutti noi siamo infelici perché avvertiamo che metà della nostra vita ci sfugge inesorabilmente dalle mani, mezza esistenza trascorsa svolgendo un'occupazione a noi non consona.
Ci dobbiamo però rassegnare a questo destino perché abbiamo l'esigenza di sopravvivere e pagare le tasse, provando a ricercare un motivo di consolazione nel fatto che, almeno, noi un'occupazione ce l'abbiamo.
Però l'umanità è variegata, ognuno di noi è diverso da un altro, ognuno di noi è un universo di capacità, potenzialità, di attitudini, di predisposizione e di genialità uniche, ed è questo bagaglio personale
che deve essere tenuto in considerazione al momento della scelta occupazionale.
Per fare un esempio concreto, se io volo con la mente e mi perdo nella calma di un ragionamento, non potrei svolgere al meglio un lavoro frenetico ma, soprattutto, sarei infelice come infelici sono tutti i lavoratori che vengono impegnati in mansioni non adatte a loro.
E' sufficiente allora far svolgere ad ognuno attività confacenti alla propria indole ed alle proprie inclinazioni.
A questo punto il lavoro non graverà più come un macigno insopportabile sull'anima e sulla psiche del lavoratore ma sarà fonte di appagamento e soddisfazione; un po' come se il lavoro diventasse il divertimento con il quale trascorriamo il tempo libero.
A queste condizioni sarebbe possibile la piena occupazione a costo zero.
A dire il vero, al lavoro non retribuito, nell'attuale mondo ci stiamo arrivando.
Ormai l'uomo è diventato lo schiavo che volevano ridiventasse e la disoccupazione artatamente creata ha accelerato il processo.
Oggi i lavoratori son messi in competizione tra di loro, il poco lavoro disponibile se lo stanno giocando al ribasso, con la benedizione di chi ha sempre auspicata la diminuzione del costo della manodopera, qualificata e non.
E' una guerra tra poveri che, fatalmente, sfocerà in una carneficina, una catastrofe peggiore di una guerra tradizionale, perché prima o poi le guerre terminano e si ricomincia, mentre il conflitto in atto non avrà mai fine.
Di fronte ad un panorama siffatto, come non prendere in considerazione la possibilità di lavorare a costo zero?
Costo zero, tanto per capirci, non significa gratis, non significa schiavitù, significa soltanto eliminare il passaggio di denaro, significa poter accedere a tutto ciò che necessità contraccambiandolo con la propria opera e le proprie competenze.
Facciamo un esempio concreto:
Oggi un lavoratore, a fine mese, riceve un compenso per aver ceduto le sue prestazioni lavorative.
Una parte di tale somma, la usa per effettuare le spese necessarie per il sostentamento della propria famiglia e per far fronte agli impegni presi.
La spesa per l'affitto o per la rata mensile del mutuo per la casa, ad esempio, sarebbero voci di spesa facilmente eliminabili perché ogni persona avrebbe una casa garantita dalla comunità.
Un sogno? No, cosa fattibilissima perché, disponendo di manodopera a costo zero, si potrebbe rimettere in uno stato di agibilità tutto il patrimonio immobiliare fatiscente che oggi non è, per questo motivo, disponibile.
Oggi esiste l'emergenza abitativa a causa di una quantità enorme di case sfitte, appartamenti che non vengono affittati perché i proprietari temono di non poter disporre liberamente del proprio alloggio se occupato da altri.
Non riescono neppure a venderli perché la crisi economica ha ridotto la capacità economica di ognuno, per cui la situazione è bloccata, causando una situazione inaccettabile per ogni soggetto in causa.
Se viceversa si desse la possibilità ai proprietari di ristrutturare i propri immobili a costo zero, con la possibilità di ottenere due appartamenti più piccoli, qualora quello principale fosse troppo grande, si riuscirebbe ad aumentare sensibilmente la possibilità abitativa.
Dico a costo zero perché, non usufruendo più del denaro, non esisterebbe più, di fatto, la proprietà privata.
Vediamo meglio questo concetto.
Gli attuali proprietari, nella società futuribile, abiterebbero il proprio alloggio e, dopo di loro, le future generazioni, fino a che, in assenza di queste, l'immobile entrerebbe a far parte del patrimonio abitativo pubblico.
I proprietari non subirebbero così nessuna perdita economica, non esistendo più alcuna tassazione e nessuna spesa manutentiva, potrebbero invece godere, per sempre, di un alloggio in perfette condizioni.
Ogni cittadino, assieme al suo nucleo familiare, ha diritto ad una casa, e son convinto che, restaurando quelle attualmente non agibili e quelle sfitte, le case da costruire ex novo non sarebbero un numero esagerato.
Le nuove costruzioni, a differenza di come avviene oggi, sarebbero costruite sotterranee.
Non pensate alle tane degli animali o a gallerie oscure e tetre, pensate invece alle costruzioni sotterranee già esistenti; stazioni ferroviarie e della metropolitana, ipermercati con gli annessi parcheggi o modernissimi bunker.
Strutture avveniristiche, godibilissime di luce e comodità, abitazioni che, così concepite, non vanno ad aggravare una problematica ambientale ormai al collasso.
Una casa per tutti in una natura di tutti, città a misura d'uomo che non si sviluppano verso il cielo per insufficienza di terra.
Ricordo ancora che parlo di un mondo che non è più basato sul denaro, né su nessun altro mezzo analogo, è opportuno fare spesso questa precisazione perché è un concetto che difficilmente riesce ad entrare in menti, quali le nostre, da sempre abituate a viverlo come fondamento della nostra società.
Non crediate poi che ci siano lavori che qualcuno non farebbe mai, perché l'errore che commettereste sarebbe concettuale.
Proprio perché non esiste nulla senza il proprio contrario, così come voi pensate che nessuno lo farebbe, esiste un altro che pensa esattamente nella maniera opposta.
Posso far riferimento ad un caso personale che mi pare esplicativo.
Ho mia madre anziana che deve essere assistita 24 ore al giorno, faccio le notti semi sveglio perché son rari i momenti in cui riposa ed io posso abbandonarmi ad un sonno breve e leggero.
E' una situazione pesante ma se gestita in maniera ottimale potrebbe dare sollievo a me e a tante persone che devono far fronte alla mia stessa situazione.
Basterebbe avere una struttura adeguata con camerette da quattro posti letto per altrettante persone anziane, mentre io faccio la notte per assistere mia madre potrei badare anche alle tre ospiti della stanza e questa, dovrebbe essere la prassi seguita per ogni stanza della struttura.
Sarebbero così disponibili tre parenti per notte a sostegno di dodici persone assistite e ciò permetterebbe ad altre nove persone di poter riposare tranquillamente nel proprio letto onde esser disponibili per effettuare il proprio turno.
A sostegno dei parenti un medico che potrebbe intervenire sollecitamente in caso di necessità e personale diurno che si occupa della cucina e delle attività proprie dell'assistenza.
In una società che non fa uso del denaro tutti sono sullo stesso piano, nessuno ha troppo e nessuno ha troppo poco, non ci sarebbero più persone che sprecano ed altre che sperano di trovare nei cassonetti della spazzatura tra quello spreco il sostentamento giornaliero.
Il progetto della nuova società capovolge il principio dell'ineluttabilità della moneta.
Se dobbiamo guadagnare il denaro per poter avere accesso a dei beni, è altrettanto possibile poter usufruire degli stessi fornendo in cambio un servizio alla collettività direttamente, saltando quell'odioso passaggio.
In pratica, è uno scambio alla pari, il principio fondamentale ed inderogabile è l'abolizione della proprietà privata.
L'idea che abbiamo del possesso è completamente falsa e contraddittoria.
Secondo il comune pensare, possedere qualcosa significa avere la possibilità di accedere a tutto, invece, il possessore di denaro, potrà acquisire soltanto una piccola parte dei beni perché, a fronte di un acquisto dovrà sempre effettuare una rinuncia.
Io invece sostengo che, solo non possedendo nulla, un essere umano potrà, disporre di tutto.
Un esempio pratico:
Un lavoratore fornisce alla collettività un servizio per mezzo di un lavoro che lo gratifichi e che sia confacente alle sue attitudini, altri come lui, ognuno di noi, farà una scelta analoga; ciò significa che ogni giorno tutte le esigenze collettive verranno soddisfatte.
Il soggetto, pertanto, non sarà più costretto a scegliere tra un prodotto ed un altro ma, con saggezza e spirito di condivisione, avendo cura di evitare ogni spreco, potrà soddisfare ogni suo bisogno; dai prodotti alimentari ai mobili, dall'abbigliamento al computer.
Tutto ciò comporterebbe un cambiamento radicale del modo di pensare, delle strategie e della visione economico-industriale.
Le industrie.
Le aziende di condivisione (uso questo termine per evitarne altri ingombranti quali statale o pubblico) non mireranno più al profitto ma solo alla qualità ed al risparmio dei materiali.
Un ulteriore esempio:
Oggi un'industria che produce lavatrici le costruisce usando materiali e componenti elettronici atti ad essere efficienti soltanto per un periodo di tempo limitato.
Di solito, esso coincide con la scadenza della garanzia, per cui da quel momento in poi si assisterà ad un decadimento strategicamente studiato, che darà luogo ad un guasto ritenuto irreparabile o la cui riparazione richiederebbe un esborso maggiore di quello dell'acquisto di un modello nuovo.
Il pensiero economico-industriale vigente, pertanto, impone l'acquisto di bene ogni cinque anni.
Questa demenziale scelta in ossequio al consumismo dimostra come l'uomo sia affetto dalla delirante sete di possesso e del facile profitto.
Chi produce non si rende conto però che il maggior impiego di materie, per forza di cose, ne causa l'aumento di prezzo, non capisce, o finge di non capire, che produrre in maniera sconsiderata, a lungo termine, provoca un danno economico all'azienda stessa che, per stare sul mercato, è costretta ad abbassare i costi, e le voci sulle quali operare tagli son sempre gli stesse; la qualità del prodotto e il costo del lavoro.
Beni sempre più scadenti che, è vero, costano poco ma, che si dimostrano molto più cari a fronte di molteplici acquisti.
Manodopera sfruttata che non riuscirà ad acquistare i beni prodotti, meccanismo che innesca la crisi economica e da qui l'impoverimento della società, perché, se vengono tagliati gli stipendi, obbligatoriamente i lavoratori taglieranno i loro acquisti.
Quando si perdono dei posti di lavoro o le persone non trovano un'occupazione, si assisterà sempre un calo dei consumi per cui, a fronte dell'aumento della disoccupazione, c'è sempre un decremento dell'economia.
La soluzione consiste nel rendere pubblico ogni aspetto della società, non avendo nulla di privatistico per cui nessun profitto personale ogni bene prodotto non sarà più soggetto alla triste logica consumistica.
L'industria pubblica sarebbe iper meccanizzata, sarebbero le macchine robotiche a fare ogni tipo di lavoro loro possibile e l'uomo dovrebbe solo sovrintendere e controllare.
Pochissima manodopera umana, perché non avrebbe importanza alcuna la garanzia del posto di lavoro, non occorrerebbe più fornire un salario che garantisca la sopravvivenza ai lavoratori.
Il lavoro non mancherebbe mai a nessuno, ma sarebbero le macchine prevalentemente a svolgerlo, qualunque esso sia, non ci sarebbero lotte sindacali per preservarlo, non assisteremmo più alla fuga delle industrie verso i paradisi patronali che coincidono con l'inferno dei lavoratori.
Non ci sarebbero più le chiusure fallimentari delle industrie perché, queste produrrebbero solo ciò che abbisogna e, cosa ancora più importante e rivoluzionaria sarebbe la produzione seriale di ogni componente.
Mi spiego meglio, anche a fronte di modelli nuovi, i loro componenti dovrebbero essere sempre singolarmente sostituibili, lo stesso cestello per ogni lavatrice, le stesse pompe, gli stessi oblò, le stesse schede, onde evitare di dismettere l'intero prodotto per mancanza di pezzi di ricambio.
Questa politica ridurrebbe ad una percentuale risibile lo spreco di materie prime, e ridurrebbe la produzione di prodotti non necessari.
L'ordinamento statale.
Le decisioni e le scelte su investimenti e spese avverrebbero in ambito
strettamente locale, coordinate e ottimizzate per mezzo di un sistema informatico con un ente nazionale.
Un esempio.
La comunità locale deve provvedere al proprio sostentamento ricorrendo alle risorse del territorio, ciò che non fosse materialmente disponibile verrebbe scambiato con prodotti di altre realtà che ne producono in surplus.
I prodotti alimentari primari sarebbero garantiti localmente, andando ad occupare zone occupazionali abbandonate, oggi l'agricoltura e l'allevamento sono stati azzerati da politiche economiche demenziali.
Produrre in perdita non è possibile per cui è diventato più conveniente non produrre, domani invece, non avendo fini di lucro si potrà mettere a disposizione di tutti i prodotti locali per far fronte ai bisogni locali.
La giornata tipo di un lavoratore. 
Io faccio con passione un lavoro o più lavori, posso dare una mano ai fornai, o a chi produce formaggi o chi fornisce supporto psicologico a categorie in difficoltà, ebbene in ragione di queste mie prestazioni,
vado mangiare in una mensa o lì posso ritirare il pasto per consumarlo a casa.
A prepararlo sarebbero lavoratori che amano il lavoro di cucina, oggi, tra l'altro, sembra che la passione per l'arte culinaria abbia contaminata la penisola, quindi sarebbe anche garantita anche un'elevata valenza qualitativa.
Essi a loro volta, e come ogni altro lavoratore, sia medico o farmacista, fabbro o infermiere, vigile del fuoco o agricoltore avrebbero e avremmo accesso ad ogni bene per soddisfare nostra necessità.
Lavoro che piace e non crea stress, lavoro che da la dignità di esser parte vitale di una comunità, lavoro che non è mortificato in un triste salario da rubacchiare, lavoro che permette molto tempo libero per dedicare al vero lavoro a noi destinato .......... vivere!
Il sistema sarebbe coordinato centralmente onde sopperire alle mancanze e gestire le eccedenze, e lo stesso avverrebbe a livello internazionale.
Tutto sarebbe ripensato in maniera ritenuta avveniristica, anche se le tecnologie son già disponibili da anni, basta per sempre con fonti di approvvigionamento energetiche costose per la collettività e per la salute del pianeta.
Un mondo riprogettato in maniera vivibile che non voglio continuare a descrivere perché continuando a farlo darei l'impressione che il mio fosse l'unico mondo progettabile ed allora ci troveremmo nella penosa situazione attuale.
Le visioni che ho descritte sono solo un assaggio, solo alcune delle situazioni fattibili tra le molteplici inventabili, visioni che dovremmo prendere in considerazione perché tutto diventa possibile se non lo riteniamo aprioristicamente impossibile.

 
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