Creato da mystical_BLACK_DEMON il 25/06/2007

tra magia e mistero

fantasy

 

 

I CAVALIERI DELL'APOCALISSE

Post n°30 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON

I Cavalieri dell'Apocalisse sono quattro figure mitiche nominate nell'Apocalisse di Giovanni 6,1-8 e successivamente presenti nella cultura medievale. Sono quattro cavalieri, ognuno legato a una disgrazia, che cavalcherebbero sulla terra il giorno dell'Apocalisse, segnando la fine del mondo. I loro nomi sono: "Guerra, Pestilenza, Morte e Carestia". I quattro cavalieri non sarebbero portatori di libertà nella terra di Israele ma porterebbero rovina e distruzione in tutto il mondo dando inizio alla Fine del mondo. Nell'Apocalisse i quattro cavalieri vengono rappresentati come mali intangibili e inevitabili che l'umanità si porterà avanti fino allo sfociare della totale perdizione del genere umano Il cavallo bianco Il primo dei quattro cavalli, porta con sé un arciere a cavallo, quindi abile nell'uso delle armi, simbolo di supremazia bellica, secondo alcuni teologi, potrebbe rappresentare l'uso delle abilità fisiche, basandosi sul mondo moderno, gli imperi schiavistici del Terzo mondo. Il cavallo rosso Il cavaliere dal cavallo rosso possiede una spada affilata e potrebbe rappresentare l'Ira di Dio che si abbatte sulla Terra, difatti gli viene concesso il potere di uccidere e di infondere il desiderio agli uomini di sgozzarsi a vicenda. Il cavallo nero Il terzo cavallo sembra non fare uso di armi, poiché è portatore di una bilancia, quindi il cavaliere potrebbe portare un segnale di equilibrio, ma anche di carestia, con cui si potrebbero pesare i viveri rimasti. Il cavallo verde L'ultimo cavallo porta alle proprie spalle La Morte, rappresentata come uno scheletro che cavalca appunto un destriero scheletrico; nella Bibbia è scritto che ha il colore dei cadaveri in purtrefazione (verde) ed è il simbolo propriamente della pestilenza.

Grazie Anakaerie

 
 
 

LA NECROMANZIA part II

Post n°29 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON

I negromanti babilonesi erano chiamati Manzazuu o Sha'etemmu, e gli spiriti che essi invocavano erano detti Etemmu.
Erroneamente viene considerato una sorta di manuale di evocazione negromantica anche il Libro dei Morti egizio che in realtà non ha lo scopo di richiamare un defunto ma bensì quello di agevolarne il passaggio verso l’aldilà.
Il tema dell’eroe che va fino agli inferi per ottenere la conoscenza dai defunti è presente nella Odissea e nell’Eneide. Nella mitologia norrena Odino evoca una veggente morta per chiederle informazioni su eventi futuri e nella lettura ottocentesca per esempio nel Faust.
Anche la Bibbia fa numerosi riferimenti alla negromanzia con cui tenta di mettere in guardia gli uomini da questa pratica.
Anche nella nostra epoca vengono praticate tecniche di divinazione collegate alla negromanzia. Anche il voodoo (praticato ancora oggi ad Haiti e in altri luoghi) si può ricondurre a una forma di negromanzia.
La divinazione attraverso il contatto con i morti è una cosa molto seria e per questo motivo non andrebbe affrontata con leggerezza. Il dolore per la perdita di una persona cara può tentarci, può farci venire la tentazione di evocare i loro spiriti ma è un errore.
Se i morti hanno la necessità di mettersi in contatto con noi lo faranno volontariamente senza bisogno di evocazioni. E’ il caso per esempio delle presenze che avvertiamo nitidamente accanto a noi in determinati momenti della nostra vita o in determinati luoghi. Disturbare i morti, evocarli dallo stato di benessere nel quale si trovano può poi rendere difficile il loro percorso di evoluzione spirituale.
Non è inoltre da sottovalutare che può capitare che spiriti maligni si spaccino per lo spirito invocato e che poi sia difficile interrompere il “contatto”. Lo spiritismo come tutte le discipline magiche deve essere praticato con grande giudizio e rispetto.

 
 
 

LA NECROMANZIA parte I

Post n°28 pubblicato il 10 Dicembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON

La necromanzia è l’arte esoterica di interpellare i defunti per predire il futuro, comunicare con le anime disincarnate per fini di divinazione. La praticavano i babilonesi, gli egizi, gli ebrei (di nascosto poiché era proibito dalla bibbia), i greci e i romani. E la praticano i medium che fanno le sedute spiritiche.
L’origine etimologica della parola deriva dal greco ed è composta da due parole che significano “morto” e “divinazione”.
Coloro che praticano questa arte magica sono detti negromanti e cercano di mettersi in contatto con i morti per ottenere attraverso essi la conoscenza di eventi futuri o altri poteri speciali.
La pratica della negromanzia è stata spesso associata nel medioevo alla malvagità, alla magia nera e all'adorazione del diavolo. Bisogna però aggiungere che nel medioevo si cercava di demonizzare tutta la magia in ogni sua forma.
Secondo alcuni manoscritti di necromanzia ancor oggi conservati in alcuni musei europei, i rituali necromantici si effettuavano al chiaro di luna, pronunciando formule magiche in latino.
Fonti storiche indicano la negromanzia come metodo di divinazione utilizzato anche dai persiani e pare che fosse molto diffusa anche in Caldea, Etruria e babilonia.

 
 
 

IL MIO ESSERE... pensieri

Post n°27 pubblicato il 28 Novembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Quella notte lei mi trasmise il suo dono oscuro,
la mia anima non esiste più da allora,
brucia per l'eternità tra le fiamme dell'Inferno...
Sono forse maledetto?
Sono forse al pari di Satana,
il Signore del Male,
per via del dolore che porto mi porto dentro?
per via del sangue di cui mi nutro?
No...
Io sono un figlio delle tenebre,
un demone immortale,
un essere libero,
senza pensieri e preoccupazioni...
Un essere che per vivere si nutre di vitale sangue,
sangue...
Il dono oscuro mi ha reso ciò che sono...
La notte è mia!

 
 
 

LICANTROPI

Post n°26 pubblicato il 23 Novembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Licantropi, misteriose e leggendarie creature che da sempre fanno parte del mondo fantastico.
Molteplici sono i racconti e gli aneddoti riservate alle origini dei Lupi Mannari, con svariate credenze e storie a seconda del luogo e del continente.
Già nella Bibbia vi fu un primo accenno riguardante il Re Nabuccodonosor che fu trasformato da Dio in un essere simile al lupo.
Secondo l’universo mitologico greco anche il Re dell’Arcadia Licaone fu trasformato da Zeus in un lupo per vendicarsi della ferocia del sovrano che usava nei suoi banchetti carne di fanciulli.
Mentre nell’antica Roma si associava il fenomeno a stregonerie nel resto del pianeta ogni popolazione aveva i suoi licantropi: si va dagli uomini giaguaro del sud America agli uomini Tigre delle zone orientali. Nell’Europa e nelle zone occidentali la leggenda dell’uomo lupo deve essere attribuita anche a barbare popolazioni germane che, in determinate circostanze, usavano vestirsi con pelli di animali per trarre da loro la forza e la ferocia per combattere e cacciare.
Discorso diverso per i Daci che si autoproclamano Lupi di etnia, in quanto asserivano che la loro razza scaturiva dall’unione tra un lupo soprannaturale ed una principessa.

Nell’Europa del cinquecento si diffuse un’altra credenza legata ai licantropi, quella della trasformazione nelle notti di luna piena. Credenza che si associò con legami oscuri con streghe e vampiri che portarono a roghi di massa nel Medioevo.
Il demonio nel Medioevo era considerato il vero ispiratore del terrore suscitato da questa creatura notturna e questa ideologia creò notevoli scontri anche tra quegli studiosi che ritenevano la Licantropia un problema di natura Psichica.
Sempre nel Medioevo si riteneva che i licantropi altro non erano che streghe o stregoni trasformati in bestia per volere del Diavolo e che alla loro morte si trasformassero in vampiri.
Le leggende sui licantropi continuarono ben oltre il Medioevo, in alcune zone della Francia del 1700 si raccomandava di non avventurarsi nelle foreste dopo la mezzanotte.
Persino agli inizi del XIX secolo alcuni scrittori raccomandarono di non perseguitare alcuni stregoni per non dovere subire la vendetta del loro branco.
Ad ogni modo la ferocia di questo essere, unita alle dimensioni e alla velocità soprannaturale ne hanno fatto una creatura sempre in bilico tra religione, storia e leggenda.

 
 
 

I  4  CAVALIERI

Post n°25 pubblicato il 22 Novembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Guerra,

porta distruzione e inimicizia fra i popoli...

      Pestilenza,

porta malattie, epidemie incontrollabili
e spesso incurabili...

           Carestia,         

tutti hanno fame,
ma lei non permette la crescita
di ciò che si ha bisogno...
Sono tre cavalieri feroci,
ma l'incontrastata,
la più maligna e perfida,
che deride tutto e tutti,
brandendo la sua falce
immacolata di sangue,

   è Morte,


il quarto cavaliere,
conseguenza delle azioni immonde
degli altri tre.
E purtroppo non verranno con l'Apocalisse...
... sono già fra noi!

 
 
 

I DRAGHI NELLA STORIA

Post n°24 pubblicato il 22 Novembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Nelle leggende mesopotamiche, si narra di due esseri primordiali: Apsu, spirito dell’acqua corrente e del vuoto, e Tiamat, spirito dell’acqua salmastra e del caos. L’aspetto di Tiamat era quello di una creatura fatta dall’unione di parti del corpo di tutte le creature che dovevano nascere: possedeva le fauci del coccodrillo, i denti del leone, le ali del pipistrello, le zampe della lucertola, gli artigli dell’aquila, il corpo del pitone e le corna del toro. Se formiamo un’immagine mentale di questa creatura, ci accorgeremo che risponde perfettamente alla nostra idea di drago.
Secondo la leggenda, dall’unione di Apsu e Tiamat nacquero gli dei, uno dei quali uccise il padre, Apsu. In preda a furia animalesca, Tiamat diede alla luce molti mostri, il cui compito sarebbe stato quello di perseguitare gli dei.
Per difendersi, gli dei nominarono campione Marduk, uno della loro razza; lo armarono con potenti armi e lo inviarono contro Tiamat. Marduk uccise la madre in un epico scontro, poi catturò i mostri da lei generati e li rinchiuse negli inferi.
Come si può ben vedere, anche in questa leggenda è il drago a subire un torto: in questo caso Tiamat perde il marito per causa dei suoi figli, e vuole punirli. Gli uomini di quei tempi, però, erano come bambini: ancora capaci di essere terrorizzati dalla furia degli elementi, di cui non concepivano le cause. Gli unici a ergersi tra loro e la potenza devastante della natura, incarnata nei draghi, si ergevano gli dei. E’ chiaro quindi che essi vedevano nel drago, ovvero Tiamat, il nemico e negli dei la salvezza.

Anche in Egitto, all’epoca dei Faraoni, c’era la credenza che ogni volta che Ra, il dio sole, “tramontava” entrava in realtà negli inferi, combatteva contro Apopi, il drago degli abissi, e usciva vittorioso. Questa è un’evoluzione del mito mesopotamico, e già comincia a delinearsi il pensiero del drago come essere malvagio e caotico.

Anche gli dei della Grecia combatterono contro un drago: era Tifone, ed aveva mille teste e un’immane bocca che vomitava fuoco e fiamme. Solo Zeus ebbe il coraggio di affrontare il mostro, definito Titano. Lo condusse fino oltre il mar ionio ed infine ebbe la meglio su di lui, scagliandogli contro un enorme macigno. Ma la leggenda vuole che Tifone non morì: continuò infatti a vomitare fuoco e fiamme da sotto il macigno, divenuto isola, e questa è la ragione delle eruzioni dell’Etna secondo i miti greci. Come si può vedere, già al tempo di Achille e Agamennone l’evoluzione del concetto di drago era compiuta: da madre primordiale e incontrollabile, fonte di vita e di morte, come era la Tiamat mesopotamica, si era ormai giunti al concetto odierno: il drago era un mostro terribile e incontrollato, che vomitava fuoco e vapori venefici, che distruggeva ogni cosa al suo passaggio (i tifoni hanno preso il nome proprio dal drago Tifone), che uccideva e terrorizzava le razze del mondo, perfino gli dei.

I Romani dipingevano sui loro stendardi i Dracones, i vichinghi chiamavano le loro imbarcazioni Drakkar, tutti nomi che indicavano la figura del drago.

I draghi “comuni”, invece, dovettero fin da subito lottare con grandi eroi. Riemersi dagli inferi al tempo degli antichi greci, dovettero subito battersi con eroi come Giasone, Ercole e addirittura con gli dei. A volte però le divinità li assoldavano come guardie di un particolare posto, o come creature da mandare in battaglia. 
Con la caduta dei greci e l’avvento dell’Impero romano, di loro si perse quasi ogni notizia, salvo alcuni avvistamenti di Plinio il Vecchio. In Europa di loro si tornerà a parlare nel medioevo, specialmente nell’Alto medioevo, dove molti eroi inizieranno a cacciare i draghi, uccidendone la maggior parte e causandone l’estinzione. In tutti quegli anni però i draghi non erano scomparsi: essi si fecero vivi migrati a nord, e per secoli avevano devastato la Scandinavia e la Russia. Fu forse in quegli anni che le loro fila persero il maggior numero di draghi: infatti dal nord si levarono grandissimi eroi, come Beowulf, che ne uccisero moltissimi.

E proprio nelle lande del nord essi guadagneranno l’appellativo di malvagi e infidi: essi comparivano infatti all’improvviso, magari dopo essere cresciuti all’insaputa di tutti nell’umidità dei pozzi o nei pressi delle paludi.

 
 
 

DEDICATO A NIEDDA

Post n°21 pubblicato il 11 Novembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON

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SEI PASSATA DAL MIO BLOG PER L'ENNESIMA VOLTA E MI HAI LASCIATO UN PEZZO DELLA TUA CREATIVITà  SONO DAVVERO FELICE DI DI AVERTI CONOSCIUTO HAHAHAHAHAHA!!  MI PIACEVA QUESTA EMO SI PERCHè TI HO CONOSCIUTO COSì.... QUI DENTRO HO DAVVERO POCHE AMICHE COME TE  SI POTREBBERO CONTARE SU TRE DITA  UN BACIO E PASSA QUANDO VUOI... solitamente non dedico post di questo genere a nessuna... ma per lei blaze0606, Anakaerie e Sonnya lo farei un bacio a tutti e buona lettura 

 
 
 

I DRAGHI 

Post n°20 pubblicato il 02 Ottobre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Altre importanti storie sui draghi riguardano i paesi nordici; come omettere la leggenda di Beowulf?
Secoli fa, quando ancora gli eroi dominavano le terre del Nord, una figura vestita di stracci avanzava carponi lungo una spiaggia rocciosa della Scandinavia alla ricerca di una via per arrampicarsi sulla scogliera soprastante. Era uno schiavo che fuggiva dal suo padrone, un signore del regno dei Geat e, sebbene di lui non si sappia nemmeno il nome, le sue gesta epiche cambiarono il destino del suo popolo”. Nella prima parte della leggenda, lo schiavo vagando lungo la riva si imbatte in un enorme tumulo di pietre, forse tomba di un antico re. Trova l’entrata e penetra nel tumulo. “Si trovava in una stanza del tesoro, dove erano ammassate le ricchezze di una potente e sconosciuta tribù del passato. Braccialetti d’oro a forma di serpente, spille in filigrana d’argento, spade di ferro dall’impugnatura dorata, coppe in ceramica rossa di Samo, amuleti dell’antico dio Thor, monete luccicanti riempivano l’intera caverna. Stava già per avventarsi su quelle meraviglie, quando qualcosa gli gelò il sangue, bloccando ogni suo movimento”. Ed ecco apparire il drago. “avvolto in grandi spire, era acquattato sulle zampe dai lunghi artigli; i fianchi squamosi luccicavano, le ali membranose erano piegate, la grande testa riposava sul pavimento della caverna e le pesanti palpebre erano chiuse su occhi vecchi di secoli”. A questo punto lo schiavo non vuole altro che tornare dal suo padrone, così prende una coppa d’oro per farsi perdonare e fugge dal tumulo. “Quello schiavo, però, disturbando il guardiano del tesoro, aveva decretato la fine del suo popolo. Infatti il drago poteva vedere e sapere tutto, così, quando si risvegliò si accorse subito del furto commesso e avvertì immediatamente l’odore di carne mortale. 
Lentamente, trascinò le proprie pesanti spire lungo lo stretto passaggio che conduceva fuori dalla sua tana e, alla luce ormai fioca della sera, osservò la landa desolata alla ricerca delle tracce lasciate dai piedi dell’intruso; appena ebbe trovato ciò che cercava, con un grido e un getto di fuoco, s’innalzò in volo, sbattendo le grandi ali verso il regno dei Geat. Sorvolò tutti i villaggi e le sue urla agghiaccianti fecero precipitare gli abitanti fuori dalle case, i volti cinerei levati verso il cielo; sopra di loro, il drago volteggiava in una danza di morte, lanciando il suo grido terrificante mentre iniziava la discesa.
I suoi colpi furono rapidi e terribili: sputando lingue di fuoco, investì i tetti delle case e scomparve in lontananza. In quella terra, tutte le abitazioni, anche quella del re, erano costruite in legno, canne e paglia, furono perciò facili bersagli per il fuoco del drago. In tutto il regno dei Geat, quella notte il cielo venne rischiarato da alte lingue di fuoco che si levavano dai villaggi, che bruciavano come pire funerarie. 
Niente sfuggì alla furia del drago, e, quando giunse l’alba, le case dei Geat erano ridotte in cenere; dai villaggi si innalzavano sottili fili di fumo accompagnati dagli strazianti lamenti delle donne”. A questo punto il re dei Geat, il mitico Beowulf ma molto più anziano, si arma, si reca al tumulo del drago assieme ai suoi migliori combattenti e affronta il mostro. Solo uno dei compagni del re parteciperà allo scontro, il nobile Wiglaf, e così il re e il drago si uccideranno a vicenda.

Questo è un classico esempio di leggenda sui draghi, tanto più che in Scandinavia, attorno al 1000 a.C. (l’epoca descritta nella leggenda) ci fu un immane incendio, che sembrerebbe provare l’esistenza del drago. Tuttavia, analizzando la leggenda, si scoprono alcuni dettagli che potrebbero ribaltare la situazione e scambiare i ruoli di protagonista e antagonista.
Innanzitutto l’evento scatenante della vicenda: il furto della coppa d’oro. Come è chiaro, qui quello che subisce il sopruso è il drago, che, accortosi del furto, esce per riappropriarsi del manufatto e punisce gli uomini con l’incendio devastante, anche se con troppa severità… anche persone estranee al furto vengono coinvolte nella vendetta del Drago.
Nessuno dice che il leone è crudele perché uccide la gazzella. Può sembrare crudele, ma non lo è. Così è per il drago che, non dobbiamo dimenticarlo, non segue la logica umana. Per il drago della leggenda l’uomo ha commesso un torto, dunque l’uomo va punito. Può sembrarci ingiusto, ma come ci insegna Einstein tutto dipende dal punto di vista.

 
 
 

I DRAGHI   San Giorgio

Post n°19 pubblicato il 24 Settembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Il più famoso Santo uccisore dei draghi è, naturalmente, Giorgio, Santo-soldato protettore dell’Inghilterra. Della sua storia si conosce ben poco: visse, nella zona di Diospolis, in Palestina; fu decapitato a Nicomedia per ordine di Daziano Preside, nell’ambito delle persecuzioni di Diocleziano, intorno all’anno 287. Nel XII secolo, importata dai Crociati, cominciò a circolare la leggenda secondo la quale San Giorgio, giunto a Silene (Libia) dalla Cappadocia, aveva ucciso un drago in procinto di divorare una principessa legata ad uno scoglio. Giorgio diventò l’uccisore di draghi per eccellenza, e fu adottato come patrono dell’Inghilterra da Edoardo III intorno al 1348. Il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii” racconta che San Giorgio ha vissuto in Brianza, dalle parti di Asso. Un drago imperversava da Erba fino in Valassina, ammorbando l’aria con il suo fiato pestifero e facendo strage di armenti. Quando ebbe divorato tutte le pecore di Crevenna, la gente del paese cominciò a offrirgli come cibo i giovani del villaggio, i quali venivano estratti a sorte; il destino volle che tra le vittime designate vi fosse anche la principessa Cleodolinda di Morchiuso, fu lasciata legata presso una pianta di sambuco. San Giorgio giunse in suo soccorso dalla Valbrona, e, per ammansire la belva, le gettò tra le fauci alcuni dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del sambuco. Il drago, docile come un cagnolino, seguì tranquillamente Giorgio fino al villaggio; qui, di fronte al castello, il Santo lo decapitò con un solo colpo di spada, e la testa del mostro rotolò fino al Lago di Pusiano. In ricordo dell’avvenimento, ancora oggi il 24 Aprile, giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca, latte, burro e fiori essiccati di sambuco. I Pan meitt si gustano tradizionalmente con la panna: per questo l’eroico San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, dei militari, dei boy-scout e di Ferrara, è anche il protettore dei lattai lombardi, che un tempo tenevano in negozio un altarino a lui dedicato.

 
 
 

I DRAGHI la storia

Post n°18 pubblicato il 22 Settembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Come detto in precedenza, la figura del drago nelle zone occidentali era sinonimo di carestia, distruzione e morte.
In Europa i draghi erano simbolo di lotta, di violenza e di guerra: infatti la loro immagine veniva spesso utilizzata come araldo in battaglia; sono innumerevoli i riferimenti storici e le leggende legate ai draghi, la maggior parte dei quali risalenti al medioevo.
Moltissime sono le fonti storiche ed i manoscritti che testimoniano la presenza de  "la bestia per eccellenza" nel vecchio continente.
Nei Bestiari ad esempio, ci sono descrizioni dettagliate sull'aspetto e sulle abitudini dei draghi, i quali erano soliti usare come tana, grotte in cima a montagne o in territori molto impervi da dove uscivano molto raramente; è anche noto che al solo ruggito del drago, tutti gli
animali, compresi i leoni, correvano terrorizzati nelle loro tane. Secondo la tradizione occidentale, l'estinzione dei draghi, risale proprio al medioevo dove, cavalieri erranti, avventurieri in cerca di gloria e cacciatori di draghi dedicavano la loro vita alla lotta contro queste bestie, decretandone lo sterminio. E' molto celebre la storia di San Giorgio  l'uccisore di draghi. 

Non ha bisogno di presentazione la ancestrale ed impari lotta dell'uomo contro il drago. Il drago come simbolo del Male in Europa dunque, per capirne il motivo basta ricordare i massacri e le carestie che portavano i draghi medievali al loro passaggio; quale migliore arma contro la manifestazione del male se non la Santità? Si pensi dunque alle leggende di San Marcello vescovo di Parigi, di San Romano e della Gargouille di Rouen, di San Silvestro che libera Roma dal drago dall' alito velenoso, che vive in una grotta profonda per accedere alla quale bisogna scendere centinaia di gradini...  

Importante anche la storia di Santa Marta che sconfisse un drago chiamato Tarasca: la leggenda racconta che nei tempi in cui Santa Marta stava evangelizzando la Provenza, un terribile ed enorme drago chiamato “Tarasca”, devastasse le fertili pianure della valle del Rodano e impedisse agli uomini di vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa, venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di Acqua Benedetta e segnandola con il Segno della Croce. Infine, mansueta e addomesticata, legò alla sua cintura la coda del mostro e lo portò nell’odierna città di Tarascona, che dal drago prese il nome. La popolazione si vendicò dei soprusi e delle barbarie lapidando il drago.
Da allora ogni 29 giugno la Chiesa ricorda Santa Marta e nella città di Tarascona si tiene una solenne processione aperta dal fantoccio dell’impressionante Tarasca con le fauci spalancate. Nei pressi una ragazza vestita di bianco benedice il mostro, che alla fine viene legato e sopraffatto.

 
 
 

I DRAGHI   premessa

Post n°17 pubblicato il 17 Settembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Fin dagli albori dei tempi, i miti e le leggende sono state popolate di mostri incantati, dalla forza sovrannaturale. I più potenti erano i draghi: creature con il corpo di serpente, le zampe da lucertola, gli artigli da aquila, le fauci di un coccodrillo, i denti di un leone, le ali di un pipistrello. I draghi avevano incredibili poteri sovrannaturali e, soprattutto, erano malvagi e distruttivi. In ogni mito, in ogni leggenda occidentale, il drago fa la parte del cattivo. L’origine dei draghi si perde nei meandri della storia dell’uomo: infatti compaiono nelle leggende di popoli del passato, sia europei che orientali, ma la loro concezione è notevolmente differente; mentre nelle zone occidentali i draghi erano considerati l’incarnazione del male, portatori di distruzione e morte, in oriente erano visti come potenti creature benefiche.
I draghi sono sempre stati descritti come delle creature simili a enormi serpenti, con grandi arti anteriori e posteriori, dotati di fauci enormi e artigli taglienti.
Normalmente venivano descritti con il corpo pieno di squame protettive e capaci nella maggior parte dei casi di sputare fuoco e di volare grazie a grandi e potenti ali.
Nelle leggende, i draghi sono visti come creature prodigiose: si riteneva che le ossa, così come il loro sangue, potessero avere elevate proprietà curative.
Il loro sviluppo poteva durare molti secoli prima di raggiungere la piena maturità, si narrava che un uovo di drago impiegasse non meno di un secolo per schiudersi; inoltre solo dopo altre centinaia di anni il drago raggiungerà il suo massimo sviluppo con la crescita sulla testa di lunghe corna ramificate.
Naturalmente, grazie alla loro grande longevità, queste creature, che è estremamente riduttivo chiamare semplicemente “animali”, acquisivano una conoscenza e una saggezza senza pari… eh già, perché il Drago ha anche un’intelligenza superiore a quella dell’uomo!
 

Perché dunque si è giunti all’idea del drago come di incarnazione del caos, come creatura che distrugge e non crea?
Questo tipo di pensiero risale anch’esso agli albori del tempo.

 
 
 

Glamis castle

Post n°16 pubblicato il 11 Settembre 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Il castello di Glamis si trova a Tayside in Scozia. Esso è senza ombra di dubbio, assieme a Borley Rectory, che però oggi non esiste più, una delle dimore infestate più famose di tutto il Regno Unito. A questa principesca residenza è legato il sinistro e macabro "segreto degli Strathmore", la nobile famiglia inglese che fin dal XVI secolo ha abitato le sue stanze. Ma ancor prima che la maledizione degli Strathmore rendesse il castello un luogo tenebroso ed infero, il suo nome già era legato a terribili e drammatiche disgrazie. Infatti, secondo una leggenda, quando ancora il castello non era stato costruito, nel X secolo, esattamente sul luogo in cui sorgerà più tardi, Macbeth uccise suo cugino il re di Scozia, Duncan I. A dire il vero però gli storici ritengono che l'omicidio, raccontato peraltro anche da Shakespeare, fosse avvenuto un po' più a nord, presso Elgin. Dopo poco, nel 1034, un altro re di Scozia, Malcom II, fu tagliato a pezzi da un gruppo di ribelli all'interno del castello. Il suo sangue formò sul pavimento una enorme macchia che non si riuscì mai a cancella e che ancora oggi è perfettamente visibile (la vicenda della macchia di sangue ispirò probabilmente Oscar Wilde per il suo spassoso Fantasma di Canterville, in cui egli narra un episodio simile).

 

 

Il castello di Glamis, Tayside (Scozia)

 

Molti però ritengono che l'origine delle numerose morti legate al castello sia da far risalire a Sir John Lyon che, nel 1372, acquistò il castello di Glamis. Nella sua dimora precedente, il palazzo Forteviot, vi era un calice che, secondo la leggenda, non doveva assolutamente essere spostato dal luogo in cui era conservato, pena terribili disgrazie che si sarebbero abbattute senza pietà sulla stirpe di colui che avrebbe osato fare una cosa simile. Sir John, incurante di questa stupida diceria, portò il calice nella sua nuova residenza. Da allora, per generazioni e generazioni, tra gli abitanti di Glamis si verificarono misteriose ed orribili morti. Ad iniziare proprio da sir John, che, undici anni dopo essersi trasferito a Glamis, perì in un duello.

 

Nel XVI secolo fu la volta di Lady Campbell, la moglie del sesto conte di Glamis. Sospettata d'aver tentato di avvelenare re Giacomo V, marchiata dell'accusa di stregoneria, trascorse gli ultimi anni della sua vita nelle segrete di una prigione sotterranea, prima di morire sul rogo, davanti al castello di Edimburgo. Si dice che dopo il supplizio abbia fatto ritorno a Glamis, in veste di spettro, e che disturbi la calma del maniero dondolandosi in una vampa di fuoco, proprio sopra l'orologio della torre.

 

LA STANZA SEGRETA

Nel XVII secolo il castello fu ereditato dal conte Patrick Strathmore, che la storia e la leggenda vogliono essere un individuo violento e di costumi dissoluti, divorato dal gioco ed eternamente ubriaco. Su di lui circolavano due sinistre leggende. Si diceva infatti che avesse rinchiuso in una stanza segreta un suo figlio nato deforme, verso il 1800. Egli era una creatura deforme, senza collo e con braccia e gambe rattrappite, dotata però di una forza straordinaria. Per tenerlo lontano dagli sguardi dei curiosi, venne rinchiuso in una camera speciale, con una serratura massiccia. Fino ad oggi la camera segreta non è stata ancora ritrovata. A giurare sulla sua esistenza fu, però, addirittura Peter Underwood, uno dei più famosi Ghost Hunters (cacciatori di fantasmi) del Regno Unito, autore tra l'altro di un opera fondamentale per tutti gli appassionati di ectoplasmi, una vera e propria guida ai fantasmi britannici. Underwood riteneva infatti che la stanza segreta fosse stata costruita attorno al 1684 e che qui il mostro di Glamis fosse stato rinchiuso fino alla data della sua morte, nel 1921 (dunque ultracentenario!!).

 

La stanza segreta e lord Patrick, però, come già detto, sono legati ad un'altra orribile leggenda. Si racconta che Patrick, accanito giocatore, abbia perso la sua anima giocando a carte con il Diavolo. Tale partita sarebbe avvenuta per l'appunto nella stanza segreta. Ancora si dice che il conte rinchiudesse i suoi nemici nella stanza segreta, lasciandoli morire di fame. I disgraziati, spinti dalla disperazione non solo iniziarono a mangiarsi l'uno con l'altro, ma arrivarono al punto di strapparsi a morsi dei pezzi di carne dalle proprie braccia. A conferma di questa tradizione due fantasmi, un negro ed un bianco, che subirono appunto questa atroce sorte, si aggirerebbero ogni tanto nei pressi del castello.

 

Agli inizi del Novecento il XIV conte Strathmore organizzò nel castello una festa, durante la quale egli pensò di organizzare una ricerca della stanza segreta. Allora gli ospiti girarono per tutte le stanze, appendendo a ciascuna finestra un lenzuolo bianco. Dopo che ebbero finito, si ritrovarono tutti nel giardino e, con loro grande stupore, si accorsero che ben sette finestre erano senza lenzuolo. Si cercò a quel punto di individuare le stanze corrispondenti, ma ogni ricerca fu totalmente vana. A prendere sul serio questo racconto, sembrerebbe dunque, non solo che la stanza segreta esista, ma anche che ce ne sia più di una.

 

La stanza segreta interessò anche Walter Scott. Lo scrittore scozzese nottetempo si recò, allo scopo di trovare la stanza in cui lord Strathmore e il Diavolo avevano giocato a carte, nella cripta della torre. Accompagnato da un valletto che faceva luce con la torcia attraversò un corridoio, le cui pareti erano piene di muffa e trasudavano umidità, in mezzo allo squittire costante dei topi. All'improvviso vide una luce brillare e di fronte a lui comparvero due nobili, uno dei quali doveva essere proprio Patrick, che seduti attorno ad un tavolo giocavano accanitamente a dadi, imprecavano, bevevano e maledicevano Dio. Ad un tratto il demonio, attirato dalle bestemmie, apparve nella stanza. Il Diavolo costrinse i due nobili a giocare per tutta l'eternità. Ancora oggi qualcuno dice di aver sentito provenire da qualche parte del castello un chiaro rumore di dadi che scivolano sul tavolo.

 

Più tardi Walter Scott scrisse "Devo ammettere che quando udii le porte che venivano chiuse, una dopo l'altra, dopo che la mia guida si era ritirata, cominciai a sentirmi troppo distante dai vivi e troppo vicini ai morti."

 

ALTRI FANTASMI

Molte altre sono le entità soprannaturali che, di notte, popolano il castello. C'è la donna senza lingua che va girando per il parco indicando a chiunque incontri la sua menomazione, c'è The Mad Earl's Walk, un folle che, nelle notti di tempesta, si aggira per il castello percorrendo sempre lo stesso tragitto. C'è un bambino che siede davanti alla camera della Regina Madre e che si suppone fosse un servo maltrattato dai padroni.

 

Lady Halifax disse di aver visto, una volta, due giocatori di dadi nella Blue Room, una stanza del castello. Si dice infine che ci sia una porta che si apre ogni notte, anche quando la si blocchi con dei fermi.

 

LA MALEDIZIONE DEGLI STRATHMORE

Si dice che la famiglia degli Strathmore nasconda un terribile segreto che ogni discendente maschile deve rivelare al figlio nel giorno del ventunesimo compleanno. Nessuno sa logicamente di quale segreto si tratti nè quanto antico sia, per la prima volta questa storia si conobbe nel 1904, quando il XIII conte, Claude Bowes-Lyon, a ventun'anni, ammise pubblicamente l'esistenza di un segreto e ad un suo amico disse queste testuali parole: "Se solo sapessi la natura del nostro segreto ti getteresti in ginocchio e ringrazieresti Dio per esserne immune". Il figlio di Claude, ovvero il XIV conte, fu informato, come avveniva da secoli ormai, del segreto di famiglia quando compì 21 anni, non resistendo a tale fardello, confidò il segreto al giardiniere, il quale senza pensarci due volte fece i bagagli e si allontanò per sempre dal castello. Oggi la discendenza maschile degli Strathmore si è estinta, il castello è di proprietà della nipote del XIV conte, la quale, quando interrogò l'ex-giardiniere, cercando di farsi dire quale fosse il segreto, per tutta risposta egli le disse: "Siete fortunata a non conoscerlo, e non lo saprete mai, perché sareste altrimenti la più infelice delle donne".

 

Probabilmente non avremo mai modo di conoscere questo terribile segreto.

 
 
 

IL SANTO GRAAL part II

Post n°15 pubblicato il 17 Luglio 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Esistono tre possibili approcci al "Graal". Un primo approccio considera il Graal come un oggetto dalle precise caratteristiche fisiche, nella maggioranza dei casi legato alla figura di Cristo. Tale connessione risale al 1200, quando il francese Robert de Boron scrisse il Roman de l'Estoire du Graal, dove il Graal venne identificato con il calice utilizzato da Gesù durante l'Ultima Cena; nello stesso si dice che fu raccolto il sangue versato durante la Crocifissione da Giuseppe d'Arimatea. Esistono numerose altre teorie circa la natura fisica del Graal: è stato variamente identificato con una pietra caduta dal cielo, di origine forse meteoritica, con l'Arca dell'Alleanza, con un libro scritto da Gesù stesso, con la Sindone di Torino, con un gioiello caduto dal cielo insieme a Lucifero, con la macchina che Mosé utilizzava per produrre la manna… Motivo comune degli studi dedicati a questa categoria "fisica" sul Graal è il tentativo di identificare con assoluta precisione il luogo ove dimorerebbe l'oggetto. Il filone di questi studi si può definire "Linea Archeologica".
Una seconda categoria di studi preferisce accantonare le ricerche "sul campo", ritenendole soltanto l'aspetto vulgato e volgare di una ricerca dai tratti più simbolici e spesso esoterici. All'interno di questa visione, il Graal diventa un simbolo dal valore universale che si presenta in varie forme all'interno di differenti sistemi mitico-religiosi. Secondo Julius Evola, ad esempio, il Graal rappresenterebbe la Tradizione occidentale ghibellina, contrapposta a quella giudaico-cristiana. Per René-Guenon sarebbe simbolo del Sacro Cuore di Cristo. Per Carl Jung, un archetipo dell'inconscio. Per Jesse Weston, un simbolo sessuale e di fertilità. Come si potrebbe determinare con rigore storico-scientifico quale tra queste interpretazioni è la più aderente alla realtà? E' evidente che ognuna possiede una ricchezza di significato ed una funzionalità ben specifica nel contesto all'interno del quale è sorta. Si può far riferimento a questo tipo di studi con il termine di "Linea Simbolica".
Una terza categoria si limita a considerazioni di natura filologica intorno al tema del Graal, studiandone - così - le origini letterarie e individuando il progressivo evolversi del mito attraverso i secoli, con l'analisi delle diverse simbologie che man mano si sono delineate intorno a esso: si tratta di quella che può definirsi "Linea Filologica".
Non è possibile identificare una fonte univoca che abbia determinato la nascita del mito del Graal. Si può, invece, individuare con precisione l'anno in cui l'Europa vide comparire, per la prima volta, in un romanzo il termine "graal": è il 1190, anno in cui morì lo scrittore Chrétien de Troyes, lasciando incompiuto il suo ultimo romanzo cortese, il Perceval ou le Conte du Graal. Il fatto che il Perceval sia il primo romanzo a citarlo, però, non ci autorizza a concludere che sia stato Chrétien a creare quello che diventerà l'archetipo del calice, della coppa, del vassoio "graal". In Europa già erano presenti nella cultura celtica oggetti miracolosi in forma di vasi, caldaie e coppe: le più conosciute erano la Caldaia della dea Ceridwen e la Caldaia di Bran.
La sovrabbondanza di fonti e la evidente difficoltà a dipingere uno scenario contemporaneamente semplice e coerente ha fatto sì che nel corso dei secoli venissero avanzate le interpretazioni più bizzarre sulla genesi del mito del Graal.
Tra le più bizzarre, segnaliamo: la teoria di Henry Lincoln, Richard Leigh e Michael Baigent sul Santo Graal di Rennes-le-Chateau che può esser riassunta con le loro stesse parole: "Se la nostra ipotesi è esatta, il Santo Graal… era la stirpe e i discendenti di Gesù, il 'Sang real' di cui erano guardiani i Templari… Nel contempo il Santo Graal doveva essere, alla lettera, il ricettacolo che aveva ricevuto e contenuto il sangue di Gesù. In altre parole doveva essere il grembo della Maddalena." (Baigent, Leigh, Lincoln Il Santo Graal).
Una teoria propone come sede ultima del Santo Graal la città di Torino. La prima motivazione portata a sostegno di questo fatto è la presenza - nella stessa città - della Sindone, il lenzuolo che secondo la tradizione avrebbe avvolto il Corpo di Gesù dopo la morte. La leggenda affonda le sue radici in un libro scritto nel 1978 da una giornalista appassionata di esoterismo, Giuditta Dembech, che propose la teoria sul primo volume di Torino Città Magica. La teoria è affrontata in
questo articolo, che confuta anche le affermazioni circa una identificazione del Graal con la Sindone di Torino, associate perché entrambe reliquie che, in qualche modo, "raccolsero" il sangue di Cristo dopo la Crocifissione.
La confusione sorta nel corso dei secoli intorno al Graal è ben riassunta da Piergiorgio Odifreddi, che sul suo Il Vangelo secondo la Scienza scrive: "Che cosa sia il Santo Graal si sa: è qualcosa di cui non si sa né cosa sia, né se ci sia."

 
 
 

IL SANTO GRAAL  part I

Post n°14 pubblicato il 17 Luglio 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Secondo la mitologia le prove da superare per raggiungere il Graal sono tre.

  1. il respiro di Dio: solo l'uomo penitente potrà passare.
  2. la parola di Dio: egli procederà solo sulle orme di Dio.
  3. il sentiero di Dio: solo con un balzo sulla testa di un leone egli proverà il suo valore.

Cos'è il Santo Graal? Un calice? una pietra? Un libro? Poeti scrittori ed esoterici hanno diverse opinioni in proposito.

La storia sul Graal coinvolgerebbe direttamente o indirettamente personaggi di grande rilievo come Leonardo, re Artù, Isaac Newton e pare intrecciarsi misterisamente con con quella di un altro oggetto di culto la Sacra Sindone custodita a Torino.

Una delle possibili etimologie di Graal comprendente l'attributo "San": "San Graal" appunto, sarebbe l'errata trascrizione di "Sang Real" ovvero "Sangue Reale". Il sangue sarebbe quello di Cristo contenuto nella coppa, ma per altri commentatori il termine sangue designa una dinastia. La stirpe di cui i ricercatori Michela Baigent, Richard Leigh ed Henry Lincoln hanno scoperto l'esistenza dopo una appassionata ricerca sarebbe la dinastia di Gesù. Salvatosi dalla crocifissione, il redentore avrebbe generato dei figli, da cui sarebbe nata la dinastia francese dei Merovingi. L'ipotesi, descritta in The Holy Blood and the Holy Grail (il Santo Graal, mondadori, 1984) non si ferma qui. Certe misteriosa carte rinvenute dal parroco Bérenger Saunière nell'altare della chiesa di Rennes-le-Chàteau sarebbero state il punto di partenza per il ritrovamento di altri documenti i quali proverebbero che, lungi dall'essersi estinti nel 751, i Merovingi (quindi gli eredi diretti di Cristo) sarebbero ancora tra noi, protetti dalla antica società denominata "Priorato di Sion", il cui scopo sarebbe quello di ripristinare la monarchia al momento opportuno. Come i "Superiori Sconosciuti" di Agharta, i membri del priorato, di cui sarebbero stati i Gran Maestri, tra gli altri Nicola Flamel, Leonardo Da Vinci, Ferrante Gonzaga, Robert Fludd, Victor Hugo, Claude Debussy, Jean Cocteau, costruirebbero una "Sinarchia" o governo occulto che, ormai da quasi un millennio, influisce sulle scete (politiche o d'altro genere) dei governi ufficiali.

 
 
 

I cavalieri templari

Post n°12 pubblicato il 16 Luglio 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

L'Ordine deI Cavalieri Templari, altrimenti detti Cavalieri del Tempio di Salomone, nacque nel 1118 a Gerusalemme con l'intenzione di offrire aiuto e protezione ai pellegrini sulla strada del Santo Sepolcro. I fondatori furono nove, guidati da Hugues de Payns: a loro fu offerto un ricovero nei pressi delle rovine del Tempio di Salomone, da cui il nome dell'Ordine.
I Cavalieri Templari erano temuti per la decisione con cui affrontavano i loro nemici e per la spietatezza che dimostravano in combattimento. Per tale motivo, quando la cristianità perse la battaglia per il possesso del Santo Sepolco, nobili famiglie, ricchi mercanti e confraternite religiose affidarono all'Ordine dei Cavalieri Templari il compito di trasportare i loro tesori in Europa. Questa attività fruttò ingenti guadagni all'Ordine, così i Cavalieri Templari, che già erano riconosciuti come i più temibili avversari dei Saraceni, dopo la sconfitta cristiana divennero un punto di riferimento per la finanza europea. Il loro potere crebbe sino a poter condizionare gli eventi politici dell'epoca.
Nel 1307, su iniziativa di Filippo IV detto "il Bello", con l'avallo di papa Clemente V, l'Ordine dei Templari fu decapitato con un colpo di mano attuato la notte del 13 ottobre. Le ragioni di questo provvedimento furono diverse: all'Ordine venivano attribuite gran parte delle responsabilità per la sconfitta militare crociata, l'Ordine era diventato molto potente e quindi scomodo per lo scacchiere politico dell'epoca, inoltre Filippo il Bello era indebitato con l'Ordine, infine l'Ordine aveva rifiutato di accogliere il figlio di Filippo il Bello tra le proprie file. Tuttavia i motivi addotti furono di altra natura: i Cavalieri Templari furono accusati di eresia e di idolatria, in particolare furono accusati di adorare Baphomet, un idolo bifronte.
Le accuse di eresia erano state mosse poiché i Templari, che in battaglia si erano mostrati spietati avversari dei Saraceni, tentarono di realizzare una convergenza sincretica tra le proprie credenze religiose e filosofiche e la filosofia degli ismaeliti, islamici che interpretavano il corano in chiave simbolica. Lo stesso Baphomet probabilmente rappresentava questa duplice ricerca, nel tentativo di realizzare il Grande Sogno dei Templari: la Fratellanza Universale.
Una bolla papale del 1312 sciolse l'Ordine. Jacques de Molay, l'ultimo Grande Maestro dei Templari, fu bruciato al rogo su un'isola della Senna nel 1314. Tuttavia la storia dei Cavalieri Templari probabilmente non terminò con il rogo del suo Grande Maestro. E' tutt'altro che improbabile che l'Ordine si sia reso invisibile e sia sopravvissuto per secoli in segreto, condizionando in modo strisciante gli eventi politici della storia dell'Occidente.

 
 
 

Elfi parte V

Post n°11 pubblicato il 16 Luglio 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Un altro aspetto singolare del rapporto tra Elfi e Umani e il recente utilizzo della figura mitica dell'Elfo come ideale di vita alternativo. Avrete sicuramente sentito parlare delle comunità di Elfi che si sono insediate in alcuni sobborghi abbandonati delle montagne toscane della Garfagnana. Si tratta di piccoli gruppi, che vivono senza elettricità o acqua corrente, coltivando la terra e producendo oggetti di piccolo artigianato. Talvolta li troviamo a fiere e feste di paese, dove vendono collanine, bracciali.. Per un giocatore di ruolo o per un appassionato di letteratura fantastica parlare con uno di loro, o semplicemente vederli scendere dal bosco per andare a far provviste in paese, può essere un'esperienza molto profonda. Anche la New Age, filosofia religione che dal mondo anglosassone sta contagiando un po' tutto l'Occidente, rifacendosi per certi aspetti alla mitologia celtica, e comunque a un rapporto più equilibrato con la realtà che ci circonda, accoglie elementi elfici. Sentir parlare di consapevolezza di sè e armonia con la natura non può non far pensare agli Elfi di Lothlorien e alla loro capacità di comprendere la bellezza del Bosco Dorato. Lungi da noi l'intenzione di darsi ad analisi sociologiche, ci piace segnalare l'esistenza di questo approccio filosofico come conferma del fascino che gli Elfi continuano a esercitare sull'immaginario: il mito di un essere perfetto, malinconico nella sua perfezione, altero e al di là del tempo che scorre, e probabilmente immortale.

 
 
 

Elfi parte IV

Post n°10 pubblicato il 16 Luglio 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

La storia degli Elfi in Tolkien è quindi epica e drammatica: le vicende della Terra di Mezzo costituiscono una vera e propria storia morale di cui gli Elfi sono protagonisti, e il loro destino è direttamente correlato a quello delle divinità. I temi classici di ogni mitologia sono chiaramente presenti: la vita nel paradiso terrestre , la caduta, la ribellione contro la divinità, il riconoscimento del Male e la lotta contro di esso. L’Elfo è quindi una creatura permeata di essenza divina, e che è amica degli dei. Questa sua posizione lo rende di conseguenza un essere alle soglie della perfezione, e in quanto tale bellissimo nell'aspetto, agile, slanciato, coraggioso, dotato di una profonda saggezza. Ma la perfezione può essere la causa di tremendi errori: lo testimoniano le scissioni in seno alla stirpe elfica, e soprattutto la facilità con cui l’Elfo, in nome della bellezza, cade di fronte alle tentazioni di Sauron. Non è un caso che la vicenda dell'anello abbia bisogno, per concludersi felicemente, del coinvolgimento delle altre razze dei Popoli Liberi (Nani, Umani e gli apparentemente insignificanti Hobbit). È indubbio il fatto che tutte le ambientazione successive hanno dovuto ‘fare i conti ’ con gli Elfi di Tolkien, talvolta banalizzandone la caratterizzazione. Così il distacco dalla realtà materiale, dovuto alla divinità degli Elfi, diviene molto spesso presunzione o razzismo o incapacità di relazionarsi con le altre razze, l'intenso rapporto con la natura e il pretesto per costruire personaggi in calzamaglia verde e calzature leggere. Naturalmente non mancano casi in cui la rivisitazione dei grandi temi tolkieniani e originale e innovativa: i Faerie di Cosile Folkenstein lasciano il loro regno incantato a caccia di avventure steam fantasy, perché trovano noiosa la perfezione dei loro stessi simili e amano la spontanea passionalità degli umani: i Sidhe di Changeling: the Dreaming incarnano la nobiltà e l'aura di perfezione che gia abbiamo trovato negli Elfi di Tolkien, tornando alla gioia selvaggia dei miti celtici in cui gli Elfi sono esseri belli e terribili che vivono al di la del tempo. La caduta dalla perfezione è un altro aspetto che accompagna la rielaborazione della elficità; è singolare che uno degli aspetti marginali della caratterizzazione degli Elfi in Tolkien abbia dato vita a una delle più interessanti rivisitazioni della elficità nei giochi di ruolo, gli Elfi Scuri, Quelli che per Tolkien erano la stirpe non toccata dalla luce del paradiso, diventano terribili creature dell'oscurità, richiamando così le tradizioni del folclore, che vedono alcuni esponenti dei Sidhe come malvagi e spaventosi (gli Sluagh o i Redcap). I Drow di Forgotten Realms sono una dello razze più sanguinarie e malvagie dell'intero multiverso di AD&D. Gli Elfi Scuri del mondo di Martelli da Guerra hanno origine dal fascino subito da alcuni Elfi alti per gli dei del Caos: la corruzione creò una stirpe che perse le consuete caratteristiche di fascino e bellezza e sviluppò una contorta malignità d'animo. Gli Elfi Scuri furono banditi dai Regni Elfici con una sanguinosa guerra civile, che li costrinse a rifugiarsi nelle oscure foreste confinanti con le terre del Caos, nell'estremo nord del Nuovo Mondo. Paradossalmente, un'ambientazione che rilegge gli stereotipi della elficità in una chiave originale e non banale è quella di Flintloque, che sovrappone l'orgoglio e il valore degli Elfi alla grandeur della Francia napoleonica: gli Elfi del Cristallo sono la razza del mondo di Valon con la migliore organizzazione militare. La rivolta del principe Mordred, con l'invenzione della Polvere Nera, e il motivo scatenante di un conflitto che seminerà morte e distruzione ovunque. Gli ideali elfici di superiorità si confondono con l'orgoglio della Guardia Imperiale napoleonica, la proverbiale destrezza in battaglia di queste creature veloci e agilissime richiama l'impressionante superiorità di manovra delle truppe francesi comandate da Bonaparte.

 
 
 

Elfi parte III

Post n°9 pubblicato il 12 Luglio 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

Mentre Melkor era incatenato, le virtù degli Elfi progredivano. producendo manufatti di inimmaginabile e insuperata bellezza. Intanto, sotto l'ala protettiva di Melian (antenata di Elrond, uno dei protagonisti de Il Signore degli Anelli, custode di Vilya, l'anello d'Aria) i Sindar istituirono nel Doriath (la Terra della Cintura, così definita a causa della rete di incantesimi che Melian pose a protezione della regione) il primo potente regno delle Terre dei Mortali. Mentre Féanor costruiva i Silmarìl, le tre gemme che racchiudevano la luce dei due alberi di Valinor, la liberazione di Melkor getto un'ombra su questi tempi gloriosi...

Le trame tessute da Melkor Morgoth (l'Avversario) portarono ben presto alla guerra con Ungoliant. il terribile ragno gigante distrusse gli alberi e si impadronì dei Silmarìl, aprendo una stagione di freddo e oscurità. Assetato di vendetta. Firanor, alla testa dei Noldor, nonostante l'opposizione dei Valar, mosse guerra a Melkor. Ma per impadronirsi delle navi con cui arrivare nella Terra di Mezzo i Noldor combatterono contro i Teleri, divenendo così un popolo maledetto. Le schiere di Finwè arrivarono invece nella Terra di Mezzo attraverso Helcaraxe, il terribile ponte di ghiaccio. Ebbe così inizio la Guerra delle Gemme, ma solo l'intervento dei Valar riuscì a piegare Melkor: il Beleriand (le terre a ovest dei Monti Azzurri) era ormai ridotto a una terra desolata e per lunghi tratti sommersa dal mare... Solo una piccola parte. il Lindon, sopravvisse alla devastazione. Intanto, a Numenor nasceva il primo regno degli Uomini. Molti Elfi abbandonarono nuovamente la Terra di Mezzo. ma da quelli rimasti nacquero il regno di Thranduil di Bosco Atro (descritto ne Lo Hobbit) e di Galadriel e Celeborn a Lothlorien (a cui sono dedicate alcune delle pin belle pagine de lì Signore degli Anelli). Fu in questi tempi che fece la sua comparsa nella Terra di Mezzo Sauron (l'Aborrito), il Maia (divinità minore rispetto ai Valar) malvagio delle schiere di Melkor. Sotto mentite spoglie Sauron riuscì ancora una volta a volgere a suo favore l'amore per la bellezza degli Elfi: infatti spinse Celembrimbor Mano d'Argento a costruire gli Anelli di Potere. Le battaglie che seguirono furono terribili, e solo con l'aiuto dei Numenoreani gli Elfi riuscirono ad arginare le orde nere di Sauron. La risposta del Maia fu tremenda: Numenor fu distrutta. Aman e la Terra di Mezzo furono divise, Terreno e Ultraterreno non avrebbero più potuto convivere finche il mondo fosse infestato dalla presenza dell'Oscuro Signore. La nuova guerra contro Sauron vide la sua sconfitta, ma al caro prezzo della morte di Gil Galad, ultimo re dei Noldon ed Elendil, il fondatore dei Regni Numenoreani nella Terra di Mezzo lì resto, sarà storia che riguarda anche gli Hobbit...

 
 
 

Elfi parte II

Post n°8 pubblicato il 10 Luglio 2007 da mystical_BLACK_DEMON
 

La tradizione originaria dei Sidhe-Elfi sarà poi rielaborata dai mille rivoli delle tradizioni popolari, talvolta sovrapponendosi agli spiriti pagani dell'acqua, del mare e delle foreste. Questa stirpe andrà a costituire la miriade di creature del cosiddetto Piccolo Popolo. Si tratta di esseri spesso malvagi, talvolta burloni, sempre elusivi e misteriosi; esseri che esistono tra due mondi e che possono attirare gli umani verso Faerie, un luogo da cui nessuno può (O vuole?) fare ritorno. E’ in questa forma che, prima con Chaucer e poi con Shakespeare, gli elfi entrano nella letteratura; letteratura e tradizione popolare si incontreranno nell'opera di raccolta delle fiabe e leggende irlandesi di W.B. Yeates, il veicolo che ha traghettato i popoli di Faerie verso il mondo contemporaneo.

È con Yeates che arriviamo all'Elfo dell'epoca vittoriana; sostanzialmente un Folletto, una creatura di piccole dimensioni (se si escludono quelli giganteschi...) allegra e spensierata, che visita il nostro mondo per divertirsi alle spalle degli umani. In un certo senso, l'opera di Tolkien è uguale e contraria a quella di Yeates, Se il premio Nobel irlandese ha utilizzato le fonti folcloristiche per creare una narrativa mitologica moderna, l'autore sudafricano, da studioso delle letterature britanniche arcaiche, crea il suo mondo fittizio in primo luogo come laboratorio di linguistica. L’obiettivo e ancora quello di studiare il mito e di salvarlo dall'oblio, ma questa volta 'dall'interno', creando un mondo con lo scopo di scriverne la storia e la mitologia, e analizzarne la sua nascita. E in questa operazione gli Elfi occupano un posto fondamentale caratterizzando l'intera Prima Era, come narrato ne Il Silmarillion, mantenendo una posizione di primo piano nello sviluppo delle vicende della Terra di Mezzo fino alla distruzione dell'unico anello. Figli prediletti dei Valar (le divinità del pantheon tolkieniano), si destarono nella Terra di Mezzo presso il lago Cuivienen (acqua di Risveglio); ancor prima dell'esistenza del sole e della luna gli Elfi furono chiamati a vivere presso i Valar in Aman (le Terre Imperiture), per proteggerli dalla malvagità di Melkor (il Vala ribelle nel quale si ripete il mito della Caduta di Lucifero). Così si ebbe la prima scissione tra le stirpi degli Elfi: gli Avari (coloro che hanno rifiutato) non si recarono in Aman, dando origine agli Elfi Silvani o Elfi Scuri. Le stirpi dei Vanyar, dei Noldor e dei Teleri intrapresero invece la Grande Marcia, ma i Teleri, la stirpe piu' numerosa, si divisero: alcuni rinunciarono al viaggio, come i Nandor (che si rifiutarono di passare i Monti Brumosi), i Laquendi e i Sindar, che saranno poi noti come Elfi Grigi. Coloro che non hanno visto la luce di Aman, non essendone stati toccati, non avranno l'aura di bellezza soprannaturale che accompagnerà i discendenti di coloro che hanno intrapreso il viaggio verso Aman. Solo una minima parte arrivò poi ad Aman, trasportata su un'isola utilizzata da Ulmo, Vala delle acque, come imbarcazione. Vanyar e Noldor costruirono in Aman la città di Tirion e e il Porto dei Cigni (Alqualondè): e il tempo della Pace di Arda, alla luce di Telperion e Laurelin, gli alberi d'argento e d'oro.

 
 
 

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