Creato da fittavolo il 03/12/2007
I MIEI RACCONTI, LE MIE FANTASIE, LE MIE ESPERIENZE.

Area personale

 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 
Citazioni nei Blog Amici: 5
 

Ultime visite al Blog

fittavolostellamarisdgl11stellamarisOdgldglallegra.gioiamario_ameriomakavelikatempestadamore1900enrico505robi19700Seria_le_Ladychiarasanyblaisemodestylorenzoemanuegesu_risortoannunz1
 

Ultimi commenti

What weather today,What weather today in United States,...
Inviato da: What weather today
il 04/04/2022 alle 17:37
 
Un racconto molto breve,più che altro,un ricordo pieno di...
Inviato da: stellamarisodgl
il 24/09/2014 alle 14:47
 
mi dà SEMPRE i brividi questo testo
Inviato da: sonosaffitrina
il 02/06/2012 alle 09:19
 
LACRIME
Inviato da: puzzle bubble
il 07/05/2012 alle 23:36
 
e il seguito???
Inviato da: Arabafelice0
il 20/04/2012 alle 09:38
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« FERIEPIZZA EXPRESS »

QUAD

Post n°123 pubblicato il 15 Settembre 2011 da fittavolo

È  mattino presto e da poco mi sono alzato. Fa già caldo, purtroppo la notte non è riuscita a dissipare il calore del giorno prima. Appoggiato alla balaustra del balcone guardo il piccolo parcheggio sottostante. È vuoto. Di fronte gli alberi sono fermi e puntano i rami dritti al cielo, come se lo supplicassero di far cadere qualche goccia d’acqua. Manca mezz’ora all’arrivo degli altri. L’appuntamento è alle 7.30 e alle 8.00 è prevista la partenza. Ho ancora un po’ di tempo prima di preparami, ma Patty mette fuori la testa e mi sollecita. La puntualità è sempre stato un suo cruccio. Faccio un cenno con la mano, come per dirle calma, rientra borbottando. Possibile che anche quando siamo in ferie dobbiamo correre? Non possiamo per qualche giorno buttare in un angolo la tuta d’atleta indossata tutto l’anno e affrontare la vita con la calma più assoluta? Possibile? Possibile no, per lei certi principi non vanno mai in vacanza. Eccola che sbuca di nuovo dalla portafinestra, mi guarda in malo modo senza dire niente, sbuffa e torna dentro. Comincia a innervosirsi, devo muovermi prima che sbotti, oggi non ho proprio voglia di litigare.
Gli altri arrivano con mezz’ora di ritardo, c’è appena il tempo di salutarci, l’ora della partenza non può essere spostata: a detta di Gino bisogna arrivare presto altrimenti i posti migliori vengono occupati. Le quattro macchine si avviano, formando una piccola colonna una dietro l’altra. La velocità è modesta fino alla statale 16, poi chi è in testa comincia ad accelerare, e gli altri a ruota. So dove stiamo andando, però il posto specifico non lo conosco. Mi hanno detto che c’è una pineta, fresco, dei tavoli da picnic ricavati con dei tronchi d’albero, dove è possibile mangiare comodamente. Vicino al mare fa sempre caldo, anche in pineta, mi sa che oggi sarà una di quelle giornate indimenticabili, per il forte disagio che dovrò subire. Lasciamo la statale 16 e ci immettiamo su una provinciale con il fondo stradale a tratti dissestato, moderiamo la velocità. Siamo ancora distanti ma in fondo alla strada si vede Marina di Lesina. Da lontano, la lunga fila di case bianche, la fanno sembrare una grande caserma, un paese con le mura di cinta. Adesso mancano meno di due chilometri e non vedo sbocchi alternativi alla pineta che fronteggia Lido Rosa. Il mio peggior incubo si sta materializzando: passare un’intera giornata in pineta, a due passi dal mare, con il falso fresco che mi fa sudare e l’odore della salsedine che stimola il ricordo di quando al mare ci andavo dalla mattina alla sera. Inaspettatamente vedo accendersi la freccia destra di chi mi precede. Giriamo su una stradina secondaria, non tanto larga, però sufficiente per il passaggio di due automobili. La velocità è moderata, riesco a guidare e guardare le case coloniche che compaiono alternativamente a destra e a sinistra. In alcune i segni dell’abbandono sono evidenti, le finestre sono aperte e sconnesse e la vegetazione si è allargata fin sotto i porticati. Il pallore delle facciate mette addosso tanta tristezza. Finisce l’asfalto, la strada diventa sterrata, terra battuta. Una nuvola di polvere si solleva e investe la colonna d’auto. Sono costretto a chiudere il finestrino. Man mano che proseguiamo c’è a malapena lo spazio necessario per far passare un’automobile. Se dovessimo incontrare qualcuno per proseguire dovremo buttarci nella sterpaglia. L’ambiente circostante è solo natura. È quello che più desideravo, forse la giornata è salva. Attraversiamo un cordone di alberi, faccio fatica a distinguere la via, svoltiamo a destra e finalmente vedo le auto parcheggiare. Il cordone di pini appena passato prosegue costeggiando la strada. È la pineta. Non scendo subito, spengo il motore e aspetto che la polvere si depositi, guardo il cofano, ne ha su due dita. Gino non perde tempo, sta già scaricando la roba, lo vedo tutto indaffarato a portarla verso l’unica panchina di legno ancora integra. Guardo in giro, c’è solo una famigliola più in fondo, a un centinaia di metri da noi. La tanta temuta ressa per occupare il posto migliore è in ritardo e forse non accadrà mai. Scendo dall’auto e una leggera brezza mi rincuora. Non soffrirò il caldo. Aiuto a sistemare il barbecue. Il ragazzo di Lella fa pulizia degli agli di pino, si è inventato una rudimentale scopa e con essa li raccoglie ai margini dell’area da noi occupata. In meno di un quarto d’ora è tutto pronto, bisogna solo aspettare l’orario, accendere il fuoco e mettere a cuocere la carne. Ma sono appena le 9.30, che si fa fino ad allora? Patty tira fuori le carte, in un attimo si radunano intorno ai due tavolini da picnic messi uno adiacente l’altro, io resto distante, giocare a carte è l’ultima cosa che voglio fare. Qui c’è un luogo da esplorare, da capire. La striscia di pineta che ci ospita e larga una ventina di metri e lunga circa trecento. Ai lati solo bassa vegetazione bruciata dal sole. Un tempo la pineta doveva occupare tutta la superficie. Dai resti di pini bruciacchiati intuisco cosa sia successo. Forse è stato un incendio, come quelli visti in tv, soprattutto d’estate. Anche i pini che ci fanno ombra, hanno subito dei lievi danni. La loro corteccia, nella zona più bassa del troco, è a tratti tutta annerita. Però al suolo non c’è alcuna traccia di cenere o di altri resti. Probabilmente è un danno subito tempo fa e il cambio degli aghi ne ha favorito la scomparsa al suolo. Sono dei pini molto alti, chissà quanti anni hanno, comunque non meno di quelli carbonizzati. Mi allontano e vado verso un rudere, situato su di un dosso. Della costruzione originaria restano solo le mura perimetrali, all’interno qualche escremento dove non c’è la vegetazione. Questo vecchio rudere la cui storia nessuno conosce, è diventato il cesso pubblico di questo posto. Guardo verso ponente e scorgo un luccichio in lontananza. È il Lago di Lesina. Allora mi volto e intravedo tra le canne di bambù, al di là della pineta, il mare. Nonostante la brezza a favore, non riesco a sentire il rumore delle onde. La distanza e la vegetazione fanno da ostacolo. Il sole comincia a picchiare forte, torno tutto sudato sotto la pineta. Preso dalle mie osservazioni, non mi ero accorto dell’arrivo di altre macchine. Altre famiglie più o meno numerose, hanno preso possesso di altri metri quadrati di pineta. L’organizzazione è la stessa, tavolini e sedie da picnic, frigo portatili e l’immancabile barbecue. Alcuni bambini prendono un pallone e corrono a giocare inseguiti dalle solite raccomandazioni dei genitori. Percorro il tratto di pineta verso il mio accampamento costeggiando questa realtà. In fondo allo sterrato altre macchine che arrivano, parcheggiano alla meglio occupando gli ultimi posti rimasti. Gino aveva ragione a metterci fretta, se fossimo arrivati adesso saremmo rimasti sotto il sole. Un bel bicchiere di acqua fresca è proprio quello che ci vuole per spegnere la calura. Dal frigo prendo una bottiglia d’acqua e chiedo un bicchiere. Patty me lo dà con aria interrogativa – dove sei stato? – mi chiede.
– In giro – non aggiungo altro. So che a lei dà fastidio quando la lascio sola o quando mi isolo, ma non mi importa: un posto del genere non può essere solo usato come luogo per fare una scampagnata, e poi m’annoia giocare a carte. Gino ritira le carte e le passa al ragazzo di Lella, poi comincia a preparare la carbonella. Lungo la striscia ombreggiata tutti sembrano fare la stessa cosa. Si alzano qua e là piccole colonne di fumo, e come in un rituale imparato alla stessa scuola, gli uomini si occupano di arrostire la carne e le donne preparano al meglio la tavola. La brezza è diventata un venticello vivace che alterna folate di aria calda e fresca, se non ci fosse si creperebbe dal caldo, nonostante l’ombra. Così nel giro di dieci minuti i primi spiedini e alcuni pezzi di salsiccia sono messi sulla griglia. La cottura è veloce, non l’avrei mai detto. La salsiccia è gustosa, ne mangio quattro tocchi. Poi bevo un bel bicchiere di vino. Il pomeriggio comincia con la fine del pranzo, qualunque ora sia. Questa regola non scritta ma sentita da tanti, non viene meno anche oggi. Gino si accomoda in macchina e allunga il sedile, lo stesso fa sua moglie. Piero pare indeciso, ma sbadiglia. Non passa molto tempo prima di cedere alla stanchezza e sdraiarsi in auto. Gli altri dopo aver ripulito e riposto ogni cosa decidono di riprendere a giocare a carte, però la brezza trasformatosi in venticello, spazza via quelle appoggiate sul tavolino. Fanno un paio di tentativi, dopo rinunciano. Pensare di passare un pomeriggio seduto all’ombra dei pini, a parlare del più e del meno, non fa per me. Prendo la macchina fotografica e chiedo a Patty se vuole venire a fare una passeggiata.
– Dove? – è stata la sua risposta.
– Andiamo a vedere dove sbuca questa strada – le propongo. Mi guarda con aria annoiata, come se sapesse già. Fa qualche smorfia di disappunto e mi risponde no. Non ci contavo, so che quando è con i suoi parenti difficilmente li lascia soli per seguire le mie manie d’avventura. Mi avvio da solo, da qualche parte questa strada dovrà portare. Alla fine del cordone di pini, il fondo stradale diventa sabbioso, e dopo un po’ si confonde con l’area circostante. Se non fosse per qualche sterpaglia presente qua e là a evidenziarne il percorso, affermerei che la via è finita. Ora sembra di essere in spiaggia, cammino piano sollevando bene i piedi per evitare di far entrare la sabbia nei sandali. In fondo, a un centinaio di metri, comincia una pineta. Sono pini bassi e molto fitti. Mi fermo e faccio qualche foto. Il passaggio dalla luce al buio è drastico. Sembra di essere entrato in una caverna dove al sole è impedito l’ingresso. Il fondo è molto scivoloso per via degli aghi, ce n’è uno strato abbastanza alto. Proseguo con molta attenzione. Resti di lattine e bottiglie vuote testimoniano che il non rispetto dell’ambiente non conosce ostacoli. La strada che seguivo si dissolve in questa pineta. Raccatto un ramo e lo ripulisco ottenendo un discreto bastone. Lo uso per sostenermi e per sondare il terreno. Alla mia destra c’è un masso enorme, ideale per sedersi e riposarsi un po’. Ci batto su il bastone per far scappare eventuali serpi, poi mi siedo. L’aria qui sotto è veramente fresca e secca. In pochi minuti mi asciuga il sudore e mi dà un sollievo enorme. Ci resterei tutto il pomeriggio se non fosse per gli altri lasciati in pineta. Inutile scattare foto, verrebbero scure e senza alcun interesse. Fermo e concentrato sulla frescura percepisco dei rumori provenire dalla profondità del boschetto. Al principio non gli do peso, poteva essere il sibilare di qualche folata di vento, ma quando distinguo chiaramente dei lamenti mi inquieto. È difficile capirne la provenienza. Provo a tendere l’orecchio, sembrano cessati. Un'altra traccia, questa volta più evidente: è un mugolio intenso. Vado verso quello strano verso armato di bastone. Non molto distante da dove mi ero fermato, il bosco diventa più rado, qualche raggio di sole riesce a penetrarlo. La luce più intensa mi permette di vedere in profondità. C’è come una piccola oasi più avanti, un’area priva di alberi all’interno della pineta. Distinguo un ombrellone conficcato nel suolo sabbioso, due corpi sdraiati e avvinghiati nella sua ombra. A fianco a pochi metri di distanza c’è parcheggiato un quad. È la prima volta che vedo due far l’amore e sono un poco in difficoltà. Resto immobile, pietrificato, come se all’improvviso il sudore che è ripreso a colarmi addosso si congelasse, trasformando il mio corpo in un enorme ghiacciolo. I due si staccano, è evidente l’eccitazione di lui. Sono imbarazzatissimo e anche maldestro, perché mi abbasso per evitare che mi vedano, schiacciando dei rametti di pino. Il frinire delle cicale cessa. La ragazza si mette seduta coprendo i seni con un braccio, guarda nella mia direzione. Quello che vede è un goffo tentativo di mimetizzazione con la sabbia.
– Là c’è qualcuno – grida spaventata indicando nella mia direzione.
Il ragazzo si volta
a guardarmi, poi si alza. Il suo coso è ancora in tiro.
– Guardone di merda vieni qua che ti faccio un culo così – grida mettendo le mani a parentesi tonda – pure le foto volevi fare, brutto maiale ti spacco la spina dorsale –.
Mi ricordo della macchina fotografica appesa al collo.
– Non è come credete – dico prendendo la macchina fotografica – sono qui per caso, sto facendo un giro, delle foto alla natur… – cacchio un lampo di luce parte dalla mia mano, ho schiacciato il tasto delle foto. La ragazza grida terrorizzata, vedo il ragazzo indossare il costume, è incazzato da far paura. Devo scappare mi dico, finché sono in tempo devo scappare, la mia posizione è difficilmente spiegabile, non ho alibi. Scappo. Comincio a correre come un forsennato tornando dentro l’oscurità del boschetto. Pochi istanti e sento un motore partire. Il suo rombo è minaccioso. Mi infilo in mezzo agli alberi più fitti e scivolo via come una biscia. Da lontano sento la ragazza gridare al ragazzo di non lasciarla da sola. Lui le intima di far presto. Una forte accelerata mi fa rabbrividire, aumento la velocità. Il boschetto finisce e mi ritrovo sulla spiaggia  a una cinquantina di metri dal mare. Sono allo scoperto, di peggio non può capitarmi. Mi volto e li vedo sbucare seguiti da una scia di polvere. Accelero più che posso, ma ormai sono sfiancato, l’unica salvezza è tornare nel boschetto. Troppo tardi, non posso più farlo. Allora risalgo il precipizio confinante con la pineta, in realtà è una duna gigantesca. Il mio intento è di tornare sotto gli alberi, dal lato dove il quad ha difficoltà a passare. Sono in cima alla duna. Loro sono ai piedi. Affannato e completamente sudato li vedo allontanarsi per prendere la rincorsa. Riprendo a correre, mentre sento una forte accelerata trapanarmi le orecchie. Con la coda dell’occhio intravedo una nuvola di sabbia schizzare verso l’alto, come una geyser. Una forte accelerata anomala mi blocca. La sabbia lanciata verso il cielo dalle ruote aumenta a dismisura, poi di colpo più niente. La polvere sabbiosa lentamente torna giù. Quei due col quad sembrano inghiottiti dalla sabbia. Una debole voce, è quella della ragazza, chiede aiuto. Mi avvicino cautamente al margine della duna. Il quad è a gambe all’aria, dei due nessuna traccia. La voce proviene da lì. Comincio a scendere. Vedo un braccio uscire da sotto la carrozzeria. Prima di spegnersi il quad ha coperto i due con la sabbia. Comincio a scavare, prima un lato poi l’altro. Libero in parte la ragazza è cosciente, invece il ragazzo non reagisce, forse è svenuto. Mi guardo intorno, non c’è nessuno. Sfilo da sotto il quad la ragazza, sembra non avere nulla di rotto, solo qualche livido e un piccolo taglio sulla gamba destra. Piange. Insieme cerchiamo di liberare il ragazzo. Lo tiriamo da parte, qualche metro al di là del quad. Ha un grande livido sulla fronte, anche lui sembra tutto intero. La ragazza lo chiama, io gli do qualche schiaffetto sulla faccia. Pian piano si riprende, riconosce la ragazza e la tira a sé. Riconosce me e mi molla un cazzotto in pieno viso.
– Ma che cacchio fai? Sei impazzito – gli grido addosso.
– È per colpa tua se è successo tutto questo – dice  con voce sofferente, ma non arrendevole.
– Lo vuoi capire che non sono un guardone, che vi ho incontrato per puro caso – dico con fermezza. Lui si lascia andare giù, facendo una smorfia di dolore.
– Non muoverti, se hai una costola rotta, puoi solo peggiorare la situazione – dico.
Si tasta lentamente il petto, per costatarne l’integrità, per lo meno adesso mi ascolta.
– Non sperare di cavartela così, consegnaci le foto che hai fatto, dai qua la macchina – dice allungando la mano.
– Va bene così la facciamo finita – dico.
Prendo la macchina fotografica, è piena di sabbia, spero fortemente che non si sia rotta. L’accendo. Il rumore dell’obbiettivo che avanza, mi dà un senso di sicurezza. Vado nella modalità di play. Appare l’ultima foto fatta, quella scattata per sbaglio, per paura. Il quad mostra integralmente la sua potenza, anche nella foto è a gambe all’aria. Poi mostro le altre foto, la pineta bassa, la strada sabbiosa, il cordone di pini con le auto parcheggiate, il rudere trasformato in cesso pubblico, il Lago di Lesina visto in lontananza, la corteccia dei pini bruciacchiata, Patty che sorride, Gino che accende la carbonella, io che bevo un bicchiere d’acqua. Fine delle foto.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963