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IL SOFFIO

Post n°127 pubblicato il 19 Settembre 2012 da fittavolo

Il soffio del vento sembra una litania. Una di quelle che si sentono in chiesa e rendono mistiche anche le azioni più semplici. Incanta col suo ripetersi costante e d’un tratto mi conquista. Ripenso a pochi istanti fa, a quello che è successo, alla spiegazione che mi sono dato.

Non c’era buio nella mia camera da letto, la luce dei lampione attraverso le fessure la lasciava in penombra. Ero supino e fissavo il soffitto. Fantasticavo con le immagini che i miei occhi dilatati vedevano nel chiaroscuro. Nel ronzio del silenzio sentivo Laura respirare, dormiva e sognava, riposava dopo una giornata estenuante di lavoro. Io non riuscivo a prendere sonno, era già una buona oretta che ci provavo senza alcun risultato. Dapprima mi ero messo su di un fianco, sembrava funzionare, ma poi mi ritrovavo inspiegabilmente con gli occhi aperti a guardare la scura parete di fronte. Allora avevo deciso di aspettare Morfeo, così fissando il soffitto senza alcuna fretta.
È strano come i sensi si sensibilizzano in questa condizione, aumentando la loro capacità percettiva in modo esagerato. I rumori dei piani più alti parevano concentrarsi tutti nella stanza, così da confondersi con quelli localmente prodotti dal vivere naturale delle cose. Scricchiolii continui attivano la mia attenzione e non conciliavano il mio sonno. Stremato mi sono rimesso su di un fianco e ho chiuso gli occhi.
Non era un respiro che si sovrapponeva a quello di Laura, era qualcosa che somigliava a un soffio. Un leggerissimo soffio, uno sbuffo d’aria che investiva il mio volto.
La sua immagine non era molto chiara, ne distinguevo i contorni e qualche tratto degli indumenti che indossava. Era seduto sulla sedia con le gambe accavallate e si appoggiava al muro con la spalla destra. Aveva in mano un bastone con un pomello su cui sovrapponeva le due mani. Il cappello sul capo, investito da una luce più viva, era la cosa che più distinguevo. Non mi ha spaventato la sua presenza, come se l’avessi già visto da qualche parte, già conosciuto. Piuttosto mi ha sorpreso il vederlo lì, tranquillo che mi scrutava. Quando si è rizzato il suo volto mi è apparso e ho visto che sorrideva, come se fosse felice.
– Che fai qui? – gli ho chiesto semplicemente, come si fa con una persona nota.
Lui non è parso sorpreso dalla domanda e neppure dalla mia calma. Anzi, ho avuto l’impressione che se lo attendesse.
– Aspetto – mi ha detto con disinvoltura senza smorzare il sorriso.
Mi ha incuriosito la sua risposta e gli ho chiesto – cosa aspetti? -.
Lui ha allargato ancora di più il sorriso ed ha alzato le sopracciglia.
– Aspetto che muori – ha risposto sottovoce scandendo bene la parola m_u_o_r_i.
– Aspetta tu… – ho detto d’impulso e ho chiuso gli occhi.
La notte lentamente è scivolata via. L’aurora è penetrata nella stanza destandomi. Laura dormiva beata e la sedia era vuota. Che sogno strano. Ma era un sogno? Cos’altro poteva essere?
Mi sono alzato e sono andato in cucina. Ho chiuso dietro di me la porta per lasciare tranquillità nel resto della casa. Ho bevuto un bicchiere colmo d’acqua tutto d’un sorso e sono andato sul balcone.

 

Il soffio del vento sembra una litania. Una di quelle che si sentono in chiesa e rendono mistiche anche le azioni più semplici. Incanta col suo ripetersi costante e d’un tratto mi conquista. Ripenso a pochi istanti fa, a quello che è successo, alla spiegazione che mi sono dato. Sembrava così vero. Metto le mani sul ringhiera, una accanto all’altra, e ci appoggio su la testa. Mi duole terribilmente. Lentamente scivolo al suolo, mentre il soffio freddo della morte sbatte contro il mio viso.

 
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