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Quelli che sognano di giorno sono consapevoli di tante cose che sfuggono a quelli che sognano solo di notte. (Edgar A. Poe)

 

 

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LA SPIDER - seconda e ultima parte

Post n°674 pubblicato il 20 Aprile 2012 da sciffo

 

"Il sottile nastro d’asfalto della statale è nuovo e liscio come un tappeto afghano, di un bel grigio antracite, senza buche o sassi, con le strisce segnaletiche – rigorosamente tutte e solo bianche, siamo negli anni settanta – che sembrano essere state appena dipinte a mano, e forse lo sono. I Michelin radiali si godono impeccabili la guida rilassata, solo a tratti vagamente sportiva, e potrei giurare di sentire, attraverso il sedile, le molecole di gomma del battistrada aggrapparsi per un istante sospeso a quelle dell’asfalto, senza apparente sforzo, come un trapezista che afferra la sbarra dopo un doppio salto mortale, e sorride al pubblico.
Parliamo ancora poco, lui vagamente distratto dalla ricerca di una posizione più abbronzante, ed io che al solito mi perdo dentro qualche ricordo, nella vana ricerca di una domanda perfetta. Ci mettiamo un po’ a realizzare che oggi, solo per oggi almeno, non siamo padre e figlio, ma semplicemente due amici a spasso. Ma alla fine le parole mi escono da sole, da una di quelle benedette zone della mente dove la razionalità non ha mai messo piede:
“Mi sarebbe piaciuto davvero tanto che avessimo potuto fare, almeno una volta, la Maratona delle Dolomiti assieme”.  Nella mia voce non c’è tristezza, è solo una constatazione.
“Sarebbe stato bello, magari potevano venire anche mio fratello con tuo cugino”.
“Già… scommetto che adesso la bicicletta ti manca un bel po’”  pronunciando queste parole, il mio sguardo si sposta automaticamente verso gli ultimi tornanti che, qualche chilometro più avanti, ma ben visibili in quello spoglio paesaggio d’alta montagna che ti prende l’anima, conducono al Rifugio Frara, battezzato con il nome ladino del passo Gardena.  Mi è impossibile, ogni volta che passo per di qui, non pensare alla fatica bella di quell’ultima salita che incornicia il Sella Ronda, ed al conseguente piacere di indossare in corsa il giubbotto antivento, per poi lanciarsi finalmente in discesa verso Corvara. 

E così continuiamo a parlare, con frasi brevi seguite da alcuni attimi di silenzio, che ci lasciano il tempo di gustare una per una le tante emozioni evocate dalle parole, come sommelier che sfruttano la dolce tregua tra i sorsi di un grande vino per distinguerne i bouquet più sfumati.
Parliamo di bicicletta e di montagna, di mitiche giornate di sci sulla Dantercepies o sul Piz Boè, di quanto sia un’incredibile ode alla vita guidare una spider su quella strada, sotto un sole così incredibilmente bello. A dire la verità, questo non ce lo diciamo, ma lo pensiamo tutti e due, e lo pensiamo così forte che è come se  lo stessimo addirittura urlando.
Gli narro di cose che non ha mai saputo, di quelle che ad un padre non si dovrebbero mai raccontare, di scorrerie in questi luoghi con gli amici, di scherzi pesanti, della volta che vi ho guidato la moto con tanto vino in corpo che la visiera del casco si appannava continuamente.
Lui ascolta e ride di gusto, non c’è preoccupazione nei suoi occhi, in fondo (e purtroppo) è tutta acqua passata e quindi chissenefrega, di sonore cazzate d’altronde ne ha fatte tante anche lui, anche se ancora non conosco i dettagli.
“Dai, raccontamene qualcuna..” lo invito, come non ho fatto mai quando avrei potuto. Mi sono sempre dovuto accontentare di piccole allusioni, di fugaci sguardi d’intesa con qualche suo amico, di briciole insomma, quando so che ci sarebbe molto da sapere.
E lui si sbottona, con dovizia di particolari, di minuzie emozionali che una persona coglie ed un’altra no, e che ti fanno capire qual è la sua visione delle cose, la sua scala di valori. Sono storie che parlano di cose che si confessano solo agli amici, quelli veri, di sesso droga e rock and roll, insomma.
E intanto la Spider continua a pennellare le curve senza fare una piega  anche se, forse preso dal pathos del suo racconto, adesso mio padre guida un poco più deciso, ha tutte e due le mani sul volante e fa alzare la voce al motore prima di cambiare.
Io ascolto, mi bevo ogni parola e, piano piano, nebbie ed aloni si diradano, e comincio a vedere mio padre per quello che era davvero. Un uomo come tutti gli altri, né dio, né diavolo.
Animale fuori e umano dentro, il destino scomodo di essere senziente, influenzato da ricordi, pulsioni ed emozioni, e appesantito dal fardello della coscienza. Tutto qui, se vi sembra poco. Un mammifero un po’ strano che affronta quasi disarmato un mondo a tratti difficile, che viene sballottato da eventi che raramente può controllare. Che a volte compie scelte giuste ed altre volte sbagliate, in modo, ammettiamolo, spesso miseramente randomico.   
Un circuito cerebrale mi si attiva all’improvviso: gli avrei sempre voluto chiedere perché, quella volta che mi sorprese alzato fuori orario a guardare la tv, me le diede di santa ragione. Ma adesso, che non è più un padre ma un amico, mi rendo conto che sarebbe una domanda del cazzo. Chissà che cosa gli era successo quel giorno, un litigio, problemi di lavoro, chissà. Fu semplicemente uno sbaglio, come quelli che miliardi di uomini e donne fanno ogni giorno, come quelli che faccio io con i miei figli.

Non so se sono ore o minuti che parliamo, quante decine o migliaia di curve la Spider ha percorso, ma oggi
sono riuscito a capire, o meglio ad accettare, molte cose che erano già da tempo sotto i miei occhi. Bastava togliere il velo dei ruoli, ma nella dimensione del reale non è impresa così facile.
Un sogno  vivido e proficuo, dalla durata indefinita, ma adesso che il risultato è raggiunto, sento che sta per terminare.
E’ arrivato il momento di fermarsi, e dell’ultimo saluto.
La Spider riposa al sole, quieta come una pantera dopo la caccia, il cofano caldo, accarezzata dagli sguardi ammirati degli immancabili motociclisti tedeschi, mentre noi due  sorseggiamo con calma una birra sulle panche di legno della terrazza del Frara. La beviamo piano, perché non ce ne saranno altre, mai più.
E non c’è nemmeno più niente da dire: guardo le nostre mani appoggiate sul tavolo e mi accorgo che le sue sono diventate quelle di un uomo anziano, nodose e macchiate, le mie quelle paffute di un bambino.
Oltre il Passo, sotto di noi, di stende la Val Badia, immobile come in una cartolina, un oggetto comune nel 1978 ma oggi non più. E tutt’attorno quei monti forgiati un milione di anni fa dall’acqua, dal vento  e dal fuoco. Quelli sì, che sono dei.
Vedo scintillare, per un attimo, un raggio di sole su di un traliccio della funivia, il che mi ricorda che l’inverno ormai alle porte. Adesso è ancora tutto verde, ma qui siamo ben oltre i duemila metri, in un luogo creato per aquile silenziose e invulnerabili licheni, e la prossima perturbazione porterà di sicuro la prima neve. Miliardi e miliardi di piccoli cristalli d’acqua, dalla forma solida magicamente uniforme e geometrica.
Tutti così fragili e fugaci, e tutti così importanti."

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
ilaria il 27/04/12 alle 13:31 via WEB
..che dire, paura di scrivere un aggettivo per non essere banale pero' si sente...e tanto..e mi sono pure un po' commossa.
 
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